Perché Dio non dimostra una volta per tutte la sua esistenza?

orme-sulla-spiaggiaSe Dio è Dio, allora può fare tutto: anche qualcosa di così clamoroso da obbligarci a credere in Lui. E se ci ha fatto Lui, vuoi che non abbia il potere di plasmare il nostro cuore e la nostra testa come gli pare? Lo chiedono a Gesù persino i suoi nemici, quando è inchiodato alla croce: «Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. E’ il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: sono Figlio di Dio!”» (Mt 27,41-43).

Avrebbe potuto, certo. Ma c’è un problema. Se l’avesse fatto, se ci avesse obbligato a credere, avrebbe saltato la nostra libertà. Che è la cosa a cui tiene di più. Gli avremmo detto un “si” che non sarebbe stato nostro. Ci avrebbe soffocato. Così, invece, succede il contrario: Dio dà modo a chi lo incontra di poter dire un “sì” che sia davvero suo. Detto di cuore, con tutto se stesso. Per questo ha fatto di tutto per farsi conoscere da noi. E’ diventato uomo, un amico. Che cosa c’è di più umano di un’amicizia? Poi, si è rivelato nella maniera più adeguata a chi lo seguiva. Non di colpo, perché li avrebbe travolti; ma un po’ alla volta, gradualmente. Se leggi il Vangelo con attenzione, te ne accorgi: Gesù non dice subito “io sono Dio”. Sarebbe stato impossibile per gente abituata a non poter pronunciare il nome di Jahvè neanche nelle preghiere. Ma lo fa capire ai discepoli e agli altri poco alla volta; attraverso i suoi gesti, le cose che dice, i miracoli, il modo in cui guarda e capisce le persone. A un certo punto, quello che fa diventa così clamoroso che attorno a Lui cresce una domanda fortissima: ma chi è? «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?» (Mc 4,41). Lo rivelerà solo alla fine, quando quello che avevano vissuto stando con Lui era tale che potevano essere certi. Potevano fidarsi di Lui totalmente. Credere davvero a quella cosa così impensabile: era il Messia.

Qui torna, prepotentemente, la questione della fede. Credere in Gesù, essere cristiani, vuol dire credere che Lui è Dio. Come hanno fatto gli apostoli ad arrivarci a capirlo? Avevano motivi ragionevoli. Decine, centinaia, migliaia di segni. Cose viste e sentite in quei tre anni di amicizia e la cui unica spiegazione plausibile, ragionevole, era: quest’uomo ha qualcosa che nessun altro ha. E’ una presenza eccezionale. Fino al punto in cui sono costretti ad ammettere, come fa Pietro: non capisco tutto quello che dici, ma se non credo a te non posso credere neanche a me stesso. «Gesù disse ai dodici: “Volete andarvene anche voi?” Simon Pietro gli rispose: “Signore, da chi andremmo noi? Tu solo hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,67). Perché Pietro risponde così, d’impeto? Perché era sicuro di quello che aveva visto. La sua vita era carica di una certezza conquistata stando con Lui. Non ci fosse stato, non avesse condiviso con Gesù tre anni, momento per momento, avrebbe fatto molta più fatica a rispondere così. Forse se ne sarebbe andato anche lui.

Proprio come fanno, oggi, molte persone che non fanno i conti con la proposta cristiana. Non hanno mai aperto il Vangelo, di quello che dicono il Papa e i vescovi sanno a malapena ciò che esce sui titoli di giornale, eppure concludono: a me la fede non interessa. Non si sentono chiamati in causa. Cristo, invece, ti chiama in causa di continuo. Tutta la sua vita è come se fosse continuamente accompagnata dalla domanda radicale che a un certo punto fa ai discepoli: «E voi, chi dite che io sia?». In fondo, è la stessa domanda che fa oggi a te e a me: per noi, chi è Gesù? Però, appunto, è una domanda. Cristo ci interroga. Ci sollecita a prendere posizione nei suoi confronti. Ma non si sostituisce a noi nella risposta, mai.

Certo, così Dio si espone a un rischio: possiamo sceglierli di dirgli di “no”. Possiamo rifiutarci di credergli, come succede a un’infinità di persone. E’ successo persino a chi ha assistito a uno degli episodi più clamorosi del Vangelo: la resurrezione di Lazzaro. Mai vista una roba del genere, no? Un morto che torna a vivere. Eppure, guarda che cosa succede subito dopo, tra quelli che erano lì e avevano visto tutto: «Molti dei Giudei che erano venuti, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono quel che Gesù aveva fatto» (Gv 11,45-46). E’ lì che hanno deciso di ucciderlo.

La libertà è davvero un mistero. Però, prova a pensarci: se uno non può dire di “no”, non può dire neanche un vero “sì”. Sarebbe una macchina. Mentre Dio ci vuole uomini. Cioè, liberi.

 

di Davide Perillo, tratto da La fede spiegata a mio figlio (Piemme 2007, p. 50-54)

 

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Paternità responsabile, il card. Tuckson e Papa Francesco hanno ragione

TurksonFrancescoGran polverone suscitarono le parole di Papa Francesco nel gennaio 2015 sulla paternità responsabile: «alcuni credono che per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli, no? No. Paternità responsabile. Questo è chiaro e per questo nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli esperti in questo, ci sono i pastori, e si cerca. E io conosco tante e tante vie d’uscita lecite che hanno aiutato a questo». Parole pronunciate dopo aver valorizzato, ancora una volta, il coraggio di Paolo VI e della sua Humanae Vitae, che ripropose la tradizionale dottrina della Chiesa sulla sessualità.

E’ un caso specifico che abbiamo affrontato nel nostro dossier su Papa Francesco: certo, “non essere come conigli” è un’affermazione sui generis, da contestualizzare all’interno di un’intervista amichevole con i giornalisti sull’aereo papale, non sembra tuttavia aver offeso le famiglie con molti figli: il presidente delle “Famiglie numerose” italiane, Giuseppe Butturini, ha infatti elogiato l’intervento del Papa, concordando con lui sull’errore di una genitorialità irresponsabile. Lo stesso hanno fatto tante altre famiglie numerose, mentre  Francesco Belletti, presidente del “Forum delle associazioni familiari” ha invitato ad andare al cuore delle parole del Santo Padre senza fermarsi «alle loro parti più ad effetto». Pochi giorni prima, proprio il Papa, aveva affermato che «ogni famiglia è cellula della società, ma la famiglia numerosa è una cellula più ricca, più vitale, e lo Stato ha tutto l’interesse a investire su di essa!». In altre occasioni ha invece precisato che «Se una famiglia generosa di figli viene guardata come se fosse un peso, c’è qualcosa che non va! La generazione dei figli dev’essere responsabile, come insegna anche l’Enciclica Humanae vitae del beato Papa Paolo VI, ma avere più figli non può diventare automaticamente una scelta irresponsabile. Non avere figli è una scelta egoistica. La vita ringiovanisce e acquista energie moltiplicandosi: si arricchisce, non si impoverisce!». 

Papa Francesco, dunque, non volle in alcun modo offendere chi ha molti figli o, addirittura, legittimare la contraccezione come molti cattolici hanno sostenuto. Intende riprendere semplicemente quel che venne già spiegato da Giovanni Paolo II, quando smentì che quella cattolica è «un’ideologia della fecondità ad oltranza, spingendo i coniugi a procreare senza alcun discernimento e alcuna progettualità». I metodi naturali per la regolamentazione della fertilità sono la via lecita per una genitorialità responsabile.

Della stessa ha parlato recentemente anche il card. Peter Turkson«anche il Santo Padre nel suo viaggio di ritorno dalle Filippine ha invitato le persone a una qualche forma di controllo delle nascite. La Chiesa non è mai stata contraria al controllo delle nascite e alla decisione delle persone di distanziare le nascite. Per cui sì, il controllo delle nascite può offrire una soluzione per il clima». La BBC ha riferito che il cardinale Turkson «ha tenuto a sottolineare che i metodi artificiali di controllo delle nascite come la pillola contraccettiva sono ancora inammissibili per la Chiesa», ma l’intervista ha suscitato confusione e ha provocato reazioni decise. Forti critiche sono arrivate in Italia da Riccardo Cascioli, direttore de “La Nuova Bussola Quotidiana”. 

Effettivamente parlare di “controllo delle nascite” è controproducente e lo stesso card. Turkson, intervistato da Aleteia, ha riconosciuto che per il mondo anglofono “controllo delle nascite” in genere significa qualche forma di contraccezione artificiale, ammettendo la necessità di stare più attento a scegliere le parole. «In genere in un documento ecclesiale l’espressione usata sarebbe stata ‘paternità responsabile’. È questa l’espressione che viene utilizzata normalmente», ha precisato. «Quando ho usato l’espressione ‘controllo delle nascite’, quello che avevo in mente era l’insegnamento tradizionale della Chiesa sulla paternità responsabile, per cui dove nell’intervista della BBC si legge ‘controllo delle nascite’ si dovrebbe intendere ‘paternità responsabile».

Sia Papa Francesco che il card. Turkson hanno usato due espressioni poco felici, certamente curare la comunicazione è una grande priorità per la Chiesa intera. Ma chiunque capisce a cosa si riferiscono, bastava tenere in considerazione tutto il loro discorso e non soltanto i termini un po’ controversi che hanno scelto. I critici avrebbero dovuto ricordare l’importanza di una terminologia più appropriata (come è stato fatto su Lifenews ad esempio), non insinuare il dubbio che davvero Francesco e il cardinale ghanese volessero aprire alla contraccezione. Tutti dobbiamo migliorare nella comunicazione se si ha a cuore il bene di chi legge e quello della Chiesa.

La redazione

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Nati in corpi sbagliati? Ecco il trans che si “sente” una bambina di 6 anni

Wolschtt2«Ero nato in un corpo sbagliato e ho sempre saputo di essere una donna», o un uomo. E’ questa la frase che si sente più ripetere nei racconti delle persone transessuali. Anche i genitori di Ava Parksman, la piccola bambina di soli 4 anni, lo hanno ripetuto: «Era un bambino nel corpo di una bambina, l’abbiamo liberato», Ava è così stata “fatta diventare” una delle più piccole transessuali d’America.

Tutto è giustificato dal “sentirsi”, senza porsi alcun dubbio sull’origine patologica o meno di questi pensieri, di un’umanità ferita o, semplicemente, di uno stato confusione esistenziale. Eppure la disforia tra sessualità biologica e desiderio mentale è definito vero e proprio “disturbo d’identità di genere” (DIG) inserito nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali.

Curiosa la storia di Paul Wolschtt, meccanico di 46 anni che, dopo 23 anni di matrimonio e sette figli, ha “sentito” di essere nato in un corpo sbagliato convincendosi di essere non soltanto una donna, ma addirittura una bambina di 6 anni. E’ così diventato un transessuale assumendo caratteristiche esteriori del sesso Wolschttfemminile e indossando vestiti da fanciulla: «Non posso negare di essere stato sposato e non posso negare di avere dei figli», ha detto, «ma ora sono andato oltre e sono tornato a essere una bambina». Wolschtt ha così assunto il nome di Stefonkee ed è stato adottato da una famiglia poiché la loro figlia più piccola desiderava tanto avere una sorellina: «Ci divertiamo, passiamo i pomeriggi a colorare e a giocare».

Davvero nessuno si è domandato se Paul Wolschtt non fosse proprio nel pieno delle sue facoltà mentali? Se basta “sentirsi” qualcuno per esserlo e se domani si “sentisse” un cagnolino verrebbe adottato da una famiglia in cerca di un animale da compagnia? Chi, come i teorici del gener, sostiene che il genere sia un aspetto dissociato dal sesso risponderà di “sì”: se Wolschtt percepisce se stesso come una bambina di sei anni allora è una bambina di sei anni.

La verità, come questa storia contribuisce a dimostrare, è che nessuno nasce in un corpo sbagliato, semplicemente è la nostra mente che a volte, per diversi motivi, può prendere strade complicate che non andrebbero affatto assecondate. Lo ha capito da solo l’ex transessuale Matthew Attonley che, dopo aver cambiato chirurgicamente sesso per tentare di sembrare una donna, ha chiesto di essere riportato indietro: «Mi sento come se stessi vivendo una bugia. Ho sempre desiderato essere una donna, ma nessuna operazione chirurgia mi potrà dare un vero corpo femminile. Mi sono reso conto che sarebbe stato più facile smettere di combattere il mio modo di guardarmi e accettare che sono nato naturalmente e fisicamente come uomo».

Paul R. McHugh, professore Emerito di Psicologia presso la prestigiosa Johns Hopkins University School of Medicine, ha interrotto le operazioni chirurgiche sui transessuali una volta divenuto direttore del Dipartimento, dicendo: «Abbiamo sprecato risorse scientifiche e tecniche e danneggiato la nostra credibilità professionale collaborando con la follia piuttosto che cercare di studiare, curare, e in ultima analisi impedirla». Il celebre psicologo parla di “follia”, è un termine medico che lasciamo a lui. A noi interessa stare umanamente vicini a queste persone, ferite dalla vita, che vivono questo disordine oggettivo tra mente e corpo, dispiacendoci se qualcuno asseconda e amplifica -attraverso la complicità dei media- la loro disarmonia piuttosto che aiutarle a far emergere la loro naturale identità. Identità che rimarrà comunque sempre presente nel transessuale, indipendentemente dalla quantità di mutilazioni a cui sottoporrà i suoi organi genitali, ai bombardamenti ormonali e ai vestiti dell’altro sesso che indosserà (compreso il ciuccio da bambina, per quanto riguarda il 46enne Wolschtt, meccanico e padre di famiglia).

 

Qui sotto la (drammatica) video-intervista a Paul Wolschtt

 
La redazione

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Si può ammirare davvero Gesù senza credere in Dio? Purtroppo no

GesuCristoQualche tempo fa abbiamo riflettuto sui tanti non cattolici e non cristiani, orgogliosamente “laici” che, tuttavia, non rinunciano a guardare con ammirazione l’esperienza cristiana e la figura di Gesù Cristo.

Un esempio abbastanza noto è quello di Corrado Augias: su 100 interventi, 95 hanno come tema la religione, la Chiesa cattolica, la fede o il cristianesimo. Più della metà dei suoi libri parlano esplicitamente di tematiche religiose, in particolare nell’ultimo uscito, “Le ultime diciotto ore di Gesù” (Einaudi 2015), Augias vorrebbe ricostruire l’ultima parte della vita di Gesù, utilizzando i Vangeli canonici e gli apocrifi, come il Vangelo di Giuda. Avere come fonte storica gli apocrifi è un errore da principiante, commesso ad esempio da Vito Mancuso. Dopo gli enormi scivoloni sulla storicità del cristianesimo presenti nel libro scritto con Mauro Pesce, “Inchiesta su Gesù”, questa volta Augias ha ammesso giustamente: «Questo libro è un prodotto una storia di fantasia».

Ignorando volutamente l’aspetto teologico del Nuovo Testamento, il noto giornalista si è concentrato «esclusivamente sulla vicenda umana e politica di Gesù. La storia e la vita di un uomo che ne delineano ancor più compiutamente la grandezza, in tutta la sua evidenza. Gesù è un uomo che ha saputo mettere in gioco la propria vita, sino a perderla, per un ideale di rinnovamento. Ci sono sempre stati a memoria d’uomo esempi di grande determinazione. Per citarne solo due, Gandhi e Francesco d’Assisi. La storia di Gesù conserva quel fascino irresistibile dove radici, storia, cultura, filosofia e religione si intersecano. Potrei azzardare e dire che dal punto di vista letterario la vita di Gesù è certamente tra le storie più avvincenti che io abbia mai letto».

Molto apprezzabile questa profonda posizione, ben lontana dall’ateismo sciatto e banale di tanti suoi colleghi. Anche Papa Francesco ha ricordato che «il mondo secolarizzato non mostra disponibilità verso la persona di Gesù: non lo ritiene né Messia, né Figlio di Dio. Al più lo considera un uomo illuminato. Separa, dunque, il messaggio dal Messaggero, il dono dal Donatore». Eppure il fascino laico verso Gesù si rivela involontariamente un grave torto verso lo stesso Messia, nonché una posizione poco razionale.

Un grave torto perché per affermare la grandezza di Gesù bisogna censurare il grande tema dei miracoli e degli esorcismi, non a caso sempre accuratamente evitato poiché lo renderebbero immediatamente ben poco apprezzabile agli occhi di tanti moderni. Preferiscono innamorarsi di un Gesù idealizzato. Come ha ben spiegato John P. Meier, tra i più importanti biblisti viventi: «per quanto sconcertante possa apparire alla sensibilità moderna, è abbastanza certo che Gesù fu tra le altre cose, un esorcista ebreo del I secolo e probabilmente dovette non poco della sua fama e del richiamo di seguaci alla sua pratica di esorcismi (insieme al potere di compiere altri tipi di miracolo» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p. 486). Il prof. Graham Twelftree, docente di Nuovo Testamento e cristianesimo primitivo presso la Regent University, ha ancor meglio precisato: «minimizzare od emettere l’importanza degli esorcismi e dei miracoli di Gesù durante il ministero pubblico può rendere Gesù più comprensibile o accettabile ai moderni, ma crea un’immagine distorta del Gesù storico» (G. Twelftree, “Gospel Perspectives. The miracles of Jesus”, JSOT 1986, p.361).

Proprio la capacità di compiere miracoli è una delle caratteristiche più confermate, avvalorate e certe da parte degli studiosi del Gesù storico, ed è proprio l’aspetto più trascurato dai diversi “atei cristiani”: «liquidare i miracoli così in fretta non rende giustizia all’ampia attestazione dell’attività taumaturgica di Gesù praticamente in tutti gli strati della tradizione evangelica. Le narrazioni dei miracoli di Gesù non si fondano affatto su congetture, né su una apologetica cristiana posteriore», come d’altra parte constaterà anche Flavio Giuseppe. «Un Gesù completamente senza miracoli, idea propagata da pensatori dell’Illuminismo come Thomas Jefferson, è un eccellente esempio di rimaneggiamento e rifusione di un profeta ebreo del I secolo per adattarlo alla sensibilità di un’elité intellettualmente moderna» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p. 24)

Ma non è soltanto questo aspetto a stridere con la “mitologia di Gesù” da parte di tanti scettici e razionalisti, occorre anche ricordare che è lo stesso Gesù che sostiene di scacciare i demoni con il dito di Dio (Mt 12,22-30//Lc 11,14-23), -detto verificato come autentico dalla maggioranza degli studiosi- attraverso il quale «afferma che il regno di Dio è in relazione con la sua persona in quanto il Regno si fa presente, diviene una realtà ora, attraverso di lui» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p. 487-521). Egli si pone di fronte al mondo come il Figlio di Dio, tanto da chiamarlo “papà” (“abbà”), «un appellativo sconosciuto nella tradizione giudaico-palestinese precristiana», egli si manifesta come colui che ha introdotto nella realtà il regno di Dio.

Com’è dunque possibile per un non credente ritenere un “uomo illuminato” una persona che afferma esplicitamente di essere il Figlio di Dio, mandato da Lui per annunciare il suo Regno e introdurlo tra gli uomini? Un falegname di Nazareth che si proclama la Via, la Verità e la Vita, che dice di compiere esorcismi e miracoli? Certo, lo abbiamo già fatto notare, l’ammirazione verso Gesù da parte di coloro che sono lontani dalla fede è certamente una posizione apprezzabile. Tuttavia non crediamo sia possibile ammirare Gesù senza credere in quello che lui diceva di essere. Davanti a lui vediamo solo due posizioni possibili: o Gesù mentiva spudoratamente, e quindi non può essere ammirato in quanto completamente pazzo e fuori di sé, oppure affermava il vero. Era quello che diceva di essere. O è un pazzo scatenato o è il figlio di Dio. Posizioni intermedie, purtroppo, non possono esistere.

La redazione

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Un discorso di Papa Francesco sul nichilismo dell’Occidente

L'urloNon sempre dedichiamo interi articoli ai discorsi di Papa Francesco ma ogni tanto un’eccezione è doverosa, sopratutto quando ne restiamo particolarmente colpiti. E’ accaduto con una recente lettura, lucida e realistica, della nostra società, borghese, benestante e secolarizzata, che si trova effettivamente a fare i conti con il mostro dell’individualismo, dell’indifferenza, dell’idolatria -perché l’uomo, seppur senza Dio, deve comunque piegare le ginocchia di fronte a qualcosa, siano i soldi, il potere, il sesso-, dello smarrimento dei valori (della famiglia, della vita ecc.) e della perdita di un senso globale della sua vita ben rappresentata nel famoso “L’Urlo” di Munch.

«L’atteggiamento dell’indifferente», ha spiegato il Papa durante la celebrazione della Giornata Mondiale per la Pace, «ai nostri giorni ha superato decisamente l’ambito individuale per assumere una dimensione globale e produrre il fenomeno della “globalizzazione dell’indifferenza”». La prima forma di indifferenza che si riscontra è quella verso Dio, «dalla quale scaturisce anche l’indifferenza verso il prossimo e verso il creato. È questo uno dei gravi effetti di un umanesimo falso e del materialismo pratico, combinati con un pensiero relativistico e nichilistico. L’uomo pensa di essere l’autore di sé stesso, della propria vita e della società; egli si sente autosufficiente e mira non solo a sostituirsi a Dio, ma a farne completamente a meno; di conseguenza, pensa di non dovere niente a nessuno, eccetto che a sé stesso, e pretende di avere solo diritti. Contro questa autocomprensione erronea della persona, Benedetto XVI ricordava che né l’uomo né il suo sviluppo sono capaci di darsi da sé il proprio significato ultimo».

Molto significativa anche la riflessione del Santo Padre su come l’indifferenza verso Dio generi indifferenza verso gli altri: «C’è chi è ben informato, ascolta la radio, legge i giornali o assiste a programmi televisivi, ma lo fa in maniera tiepida, quasi in una condizione di assuefazione: queste persone conoscono vagamente i drammi che affliggono l’umanità ma non si sentono coinvolte, non vivono la compassione. Questo è l’atteggiamento di chi sa, ma tiene lo sguardo, il pensiero e l’azione rivolti a sé stesso». Siamo invasi da notizie e informazioni ma questo non porta all’«aumento di attenzione ai problemi, se non è accompagnato da un’apertura delle coscienze in senso solidale. Anzi, esso può comportare una certa saturazione che anestetizza e, in qualche misura, relativizza la gravità dei problemi». In altri casi, prosegue Francesco , «l’indifferenza si manifesta come mancanza di attenzione verso la realtà circostante, specialmente quella più lontana. Alcune persone preferiscono non cercare, non informarsi e vivono il loro benessere e la loro comodità sorde al grido di dolore dell’umanità sofferente. Quasi senza accorgercene, siamo diventati incapaci di provare compassione per gli altri, per i loro drammi, non ci interessa curarci di loro, come se ciò che accade ad essi fosse una responsabilità estranea a noi, che non ci compete».

Pochi giornali hanno ripreso queste parole del Papa e nessuno ha citato le frasi che seguono: «L’oblio e la negazione di Dio, che inducono l’uomo a non riconoscere più alcuna norma al di sopra di sé e a prendere come norma soltanto sé stesso, hanno prodotto crudeltà e violenza senza misura. A livello individuale e comunitario l’indifferenza verso il prossimo, figlia di quella verso Dio, assume l’aspetto dell’inerzia e del disimpegno, che alimentano il perdurare di situazioni di ingiustizia e grave squilibrio sociale, le quali, a loro volta, possono condurre a conflitti o, in ogni caso, generare un clima di insoddisfazione che rischia di sfociare, presto o tardi, in violenze e insicurezza». Allo stesso modo «una cultura improntata al profitto e all’edonismo favorisce e talvolta giustifica azioni e politiche che finiscono per costituire minacce alla pace».

Per questo, l’invito ai cristiani a rompere il muro della “globalizzazione dell’indifferenza” attraverso il diventare testimoni di una misericordia e una compassione autentica, offrendo agli altri ciò che ricevono da Dio. «La fede è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo fare la stessa cosa che fa Gesù: incontrare gli altri», ha spiegato in un’altra occasione. «Noi dobbiamo andare all’incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una “cultura dell’incontro”, una cultura dell’amicizia, una cultura dove troviamo fratelli, dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi, anche con quelli che hanno un’altra fede, che non hanno la stessa fede. Tutti hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini di Dio, sono figli di Dio. Andare all’incontro con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza».

Grazie Papa Francesco!

La redazione

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Femen, la fondatrice si converte e chiede scusa ai cristiani

FemenTutti conoscono le Femen, il commando di femministe protagonista di attacchi e spettacoli volgari, il cui unico risultato finora è stato confermare, purtroppo, il pregiudizio di chi sostiene che le donne, non riuscendo a catturare l’attenzione con i loro ragionamenti, possano soltanto spogliarsi. Per questo sono osteggiate da altrettante donne, che di loro si vergognano e rifiutano di riconoscerle come portavoce.

Si è scoperto inoltre che femministe radicali sono comandate da un uomo, Viktor Svyatskiy, una sorta di padre-padrone di cui sono schiave, e le loro azioni sono studiate e ben finanziate, non certo mosse da grandi ideali.

L’odio delle Femen è particolarmente rivolto ai cristiani, proprio per questo colpisce ancora di più che la fondatrice delle Femen brasiliane, Sara Fernanda Giromini -conosciuta con lo pseudonimo di Sara Winter (nella foto sopra)-, oggi si sia convertita. Non tanto dal punto di vista religioso, di questo non parla, ma certamente dal punto di vista umano e morale. Madre di una bambina, si è allontanata dalle sue amiche fasciste arrivando a combattere il femminismo e l’aborto.

Ha pubblicato il libro “Vadia Não!”, in cui, come si legge su Zenit.it, descrive gli abusi a cui è stata sottoposta e le delusioni che ha sofferto durante la militanza femminista. «Mi sono pentita di aver avuto un aborto e oggi chiedo perdono», ha detto. «Ieri è stato un mese dalla nascita del mio bambino e da quel giorno la mia vita ha assunto un nuovo significato. Sto scrivendo questo mentre lui dorme serenamente sopra la mia pancia. È la più grande sensazione del mondo». «Per favore», ha proseguito, «donne che cercate disperatamente di abortire, riflettete attentamente su di esso. Mi è dispiaciuto molto ciò che ho fatto. Non voglio accada lo stesso a voi». Chi ha visto l’inferno è il più credibile manifesto dissuasivo.

Fin da quando ha portato il movimento Femen in Brasile ha ricordato di aver avuto la sensazione di commettere uno sbaglio. In particolare, racconta, quando si fece protagonista nel 2014, insieme a un’altra militante, di una campagna a favore dell’omosessualismo: le due donne vennero immortalate mentre, seminude, si baciavano con una croce di sfondo, nei pressi della Basilica di Nostra Signora della Candelaria, a Rio de Janeiro. La foto diventò un’icona del disprezzo omosessuale nei confronti del cristianesimo. «La richiesta di perdono non è certo facile da compiere: chiedo scusa ai cristiani per questa protesta femminista. Siamo andati troppo oltre e abbiamo finito per offendere molte persone religiose e non».

La giovane ha definito il femminismo come una “setta”, che usa le donne come oggetti, promuove l’omosessualità e persino copre la pedofilia. «Per la setta femminista le donne non sono l’ispirazione, bensì la ‘materia prima’ nel senso peggiore del termine. Sono oggetti utili allo scopo di infiammare l’odio contro la religione cristiana, l’odio contro gli uomini, l’odio contro la bellezza delle donne, l’odio contro l’equilibrio delle famiglie. Questo è ciò che il femminismo è, posso garantirlo che è così perché io ci sono stata dentro. Il movimento femminista è una copertura per i pedofili», accennando ad ambienti promiscui in cui le minori vengono inserite in modo coercitivo.

Sara rivela di essere stata costretta ad assumere comportamenti bisessuali per ricevere più rispetto all’interno del movimento: «Le donne lesbiche e bisessuali avevano molta più voce, dunque ogni giorno che passava destrutturavo la mia eterosessualità sostituendola con una bisessualità artificiale», allo stesso modo è stata indotta a fare uso di droghe, ad avere rapporti sessuali con sconosciuti e a prostituirsi, è stata anche molestata da un’altra donna in nome della lotta all’uguaglianza di genere.

La svolta nel suo percorso – dice lei stessa – è avvenuta quando per caso, o forse no, ha incontrato un “conservatore” e “antifemminista”, che ha iniziato a darle quell’affetto disinteressato che nessuna sua “compagna di lotta” le aveva mai offerto. Grazie a questo incontro ha intrapreso un nuovo cammino. La Giromini sta donando oggi una percentuale dei guadagni del suo libro a organizzazioni che si battono in favore della vita, sta inoltre tenendo conferenze in giro per il Brasile per denunciare le piaghe del femminismo, del gender e del marxismo culturale insieme alla psicologa e scrittrice brasiliana Marisa Lobo.

«Ho lasciato quel movimento di cui per quattro anni sono stata uno dei principali simboli in Brasile, e nessuno può dire il contrario!», ha detto. «Il risultato? Oggi sono molto più felice e sono in grado di aiutare le donne».

La redazione

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Georges Lemaitre, l’inizio dell’Universo e il “Dio nascosto”

Big Bang 
 
di Paolo Di Sia*
*docente di Matematica presso l’Università di Verona

 
Georges Edouard Lemaître, fisico e astronomo belga, ordinato sacerdote nel 1923, è stato il primo a comprendere che lo spostamento verso il rosso della luce delle stelle forniva la prova dell’espansione dell’universo. Nel 1927 egli pubblicò l’ipotesi del cosiddetto “atomo primigenio”, oggi nota come teoria del Big Bang, del “grande scoppio” iniziale da cui sarebbe nato l’intero universo.

L’ipotesi era basata sulla teoria della relatività generale di Einstein. Lemaître sostenne l’idea dell’espansione illimitata dell’universo, idea accettata oltre trent’anni dopo la sua morte, avvenuta il 20 Giugno 1966 a Lovanio, e attualmente in fase di discussione in relazione ai continui sviluppi dei vari modelli di universo e al multiverso. Lemaître non voleva mescolare l’approccio scientifico con quello teologico, per non generare confusione. Disse: “Esistono due vie per arrivare alla verità. Ho deciso di seguire entrambe …. la scienza non ha cambiato la mia fede nella religione e la religione non ha mai contrastato le conclusioni ottenute dai metodi scientifici” (vedasi anche “New York Times Magazine”, 19-02-1933, 18).

Nel passato si pensava che l’universo fosse esistito da sempre, in modo immutabile; questa visione era pertanto in disaccordo con una possibile sua origine, fatto attestato anche dalle principali religioni. Lemaître, che era anche un acuto matematico e scienziato, basò la sua idea non solamente sul suo credo religioso, ma anche in relazione alle evidenze sperimentali di Edwin Hubble, che aveva scoperto che l’universo si espande. Combinando i dati sperimentali in suo possesso con la matematica della teoria della relatività generale einsteiniana, Lemaître studiò la storia cosmica andando indietro nel tempo, evidenziando che più si andava indietro e più piccolo doveva essere l’universo, e arrivando a pensare ad un singolo “punto iniziale”. Si tratta dell’attuale teoria del “Big Bang”, anche se Lemaître originariamente utilizzò il nome “atomo primordiale”. Uno dei problemi/equivoci principali riguardanti il Big Bang è il fatto che all’inizio l’universo fosse considerato compresso in un solo punto. La delicatezza della questione è legata anche alle particolari caratteristiche dell’infinito dal punto di vista matematico.

L’intero universo è assai grande; i dati attuali mostrano che sarebbe circa 20 volte più grande dell’universo osservabile, e si tratta di una stima per difetto, poiché potrebbe essere addirittura infinito. Se si rimpicciolisce una quantità infinita di spazio a piccolissime proporzioni, abbiamo ancora una quantità infinita di spazio. Lo spazio non ha bisogno di posto in cui espandere, poichè può espandere “in se stesso”, trovando “tanto posto” a disposizione. Questo è vero anche nel caso in cui lo spazio non avesse dimensioni infinite, se si ragiona con la differenziabilità infinita della metrica dello spazio-tempo. L’universo originario era caldissimo e densissimo, con lo spazio-tempo molto curvato ovunque, con una rapidissima espansione dello spazio all’interno dell’universo come caratteristica principale. Quindi più che una grande esplosione (Big Bang) si è trattato di una “dilatazione in ogni direzione”, un “allargamento dello spazio”. Circa la “singolarità” del Big Bang, il “punto iniziale all’istante iniziale”, più che di singolarità, si dovrebbe parlare di “parte (iniziale) della dilatazione in ogni direzione”.

Attualmente la situazione è molto più articolata e complessa; la relatività generale di Einstein non è in grado di spiegare e prevedere cosa è successo all’inizio, quando l’universo era piccolissimo, essendo non possibile evitare i fenomeni quantistici presenti a tale scala. C’è chi risponde che il tempo è nato con l’universo, quindi prima non esisteva; ogni momento dell’universo esiste dopo l’inizio. Ciò porta indietro il problema, ossia al perchè l’universo ha avuto inizio in uno stato così compresso, perchè ha seguito leggi che sembrano arbitrarie, che cosa c’era prima. Per
Lemaître questo potrebbe essere il momento in cui Dio entra in gioco per spiegare quello che la scienza non riesce a spiegare. Gli attuali dati sperimentali non escludono la possibilità che potrebbe esserci un tempo prima dell’inizio, prima del Big Bang, terminato quando l’universo è collassato diventando assai compresso e caldissimo, ma questo comunque non ci aiuta ad oggi a farci un’idea chiara e definitiva su come sia andata di fatto e su cosa davvero sia il tempo.

La singolarità resta ad oggi inspiegata, anche inserita nella dinamica “compressione pre-Big Bang, Big Bang, dilatazione post-Big Bang”. L’universo potrebbe essere eterno, senza inizio; in questo caso, Lemaître avrebbe dovuto rivedere il significato delle parole “in principio”. Nel 1958 egli precisò: “ ….. personalmente ritengo che l’ipotesi iniziale dell’universo rimanga interamente al di fuori di ogni questione metafisica o religiosa. Essa permette al materialista anche di negare ogni essere trascendente ….. E si accorda anche ai versetti di Isaia quando parlano del Dio nascosto”, nascosto anche all’inizio della creazione”.

Nella scienza spesso accade che le risposte ad una domanda terminino e conducano ad altre domande, più raffinate e profonde. A tal proposito, prima di morire Lemaître ebbe a dire: “L’espansione dell’universo è provata soprattutto dalla costante espansione delle capacità umane”.

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Senza oneri per lo Stato? La Costituzione e le scuole paritarie

Scuola 
 
di Daniele Trabucco*
*dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università degli Studi di Padova

da LeggiOggi.it, 18/12/15
 

Dopo mezzo secolo d’attesa il comma 4 dell’art. 33 della Costituzione per il quale “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali” ha trovato attuazione, com’è noto, con la legge ordinaria dello Stato n. 62/2000 recante norme per la parità scolastica.

Il legislatore del 2000, quindi, ha inserito le scuole paritarie a pieno titolo nel sistema nazionale di istruzione secondo un modello pluralistico integrato. Esse erogano, infatti, un servizio pubblico e sono sottoposte alla valutazione dei processi e degli esiti da parte del sistema nazionale secondo gli standard stabiliti dalla legge. I tentativi di boicottare la legge n. 62 sono rimasti senza esito avendo la Corte costituzionale, con sentenza n. 42/2003, già dichiarato inammissibile un referendum abrogativo su parte di essa. La crisi economica, però, ha reso più difficile per le famiglie affrontare le spese per mandare i figli alle scuole paritarie. Da quando non è stato più indicizzato il contributo statale fissato dalla legge 62/200 la situazione è peggiorata.

La detrazione, pur prevista anche dalla legge n. 107/2015 (c.d. buona scuola), è una misura irrisoria che non risolve nulla. Di fatto consta di 76 euro che non sono certo sufficienti a convincere alcuna persona ad iscriversi ad una scuola paritaria. Una seria politica a sostegno di queste realtà scolastiche (cattoliche e non) consentirebbe un risparmio di oltre 500 milioni di euro l’anno, garantendo a più famiglie la possibilità di una scelta più ampia dell’offerta formativa. Ogni euro investito nella scuola paritaria renderebbe allo Stato 5 euro di risparmio (che potrebbero essere in tutto o in parte reinvestiti nella scuola statale) e questo perché il costo per studente nella scuola statale è più elevato in assoluto e, ovviamente, molto più elevato per lo Stato rispetto al costo per studente che lo Stato versa alla scuola paritaria.

All’obiezione secondo la quale la Carta costituzionale vigente, all’art. 33, comma 3, prevede sì la facoltà per privati ed enti di istituire scuole ed istituti di educazione ma “senza oneri per lo Stato”, si potrebbe replicare che la Costituzione non ha prospettato un divieto assoluto di disporre finanziamenti pubblici alle scuole private che hanno chiesto ed ottenuto la parità; detta esclusione riguarda solo la fase genetica dell’iniziativa privata (Lombardi) e non anche la realizzazione dell’offerta scolastica.

Se da una parte, come ha indicato la Corte costituzionale (sent. n. 36/1982), non può certo desumersi un obbligo in capo alla Repubblica di assumersi gli oneri eventualmente necessari per esercitare la libertà di scelta del tipo di scuola preferito, dall’altra va anche detto che questo deve necessariamente trovare un ragionevole bilanciamento con quella garanzia al diritto allo studio all’insegna del pluralismo scolastico (sent. n. 33/2005 Corte cost.) che le scuole paritarie concorrono a pieno titolo a formare. Scriveva il Presidente degli Stati Uniti D’America. Franklin D. Roosvelt (1882-1945): “la scuola deve essere l’ultima spesa su cui l’America è disposta ad economizzare”.

 
Dello stesso autore consigliamo anche l’articolo odierno: Unioni Civili: riflessioni sul disegno di legge Cirinnà

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Dopo il flop di #SvegliatiItalia i media saboteranno il Family Day

ilgiornaleA maggior ragione dopo le parole chiarissime di Papa Francesco – «Non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione» – e dopo il continuo, per non dire vertiginoso, numero di adesioni al Family Day, un fatto appare chiaro: sabato prossimo, al Circo Massimo, vi sarà un’autentica marea umana; il fatto stesso che stiano crescendo le dichiarazioni di appoggio e vicinanza alla manifestazione da parte di politici sia nazionali sia regionali – politici notoriamente abili, per non dire maestri indiscussi, nel fiutare che aria tira – lo conferma al di sopra di ogni dubbio. Per prudenza eviterei pronostici sulle stime di partecipazione, tuttavia l’invasione di Roma di giovani e famiglie, credenti e non credenti, fra una settimana, mi pare certa.

Ebbene, come sociologo osservo il funzionamento dei mass media – e soprattutto l’orizzonte culturale che li ispira – con sufficiente attenzione per supporre che, parallelamente a questa oceanica manifestazione prenderà subito avvio un’autentica campagna denigratoria della stessa, più o meno evidente e dichiarata. Conduttori televisivi e politici, giornalisti e intellettuali faranno difatti a gara per ripetere gli stessi slogan, gli stessi ragionamenti, in molti casi – tocca dirlo – anche le stesse bugie per depotenziare la portata del Family Day. Siccome notoriamente prevenire è davvero molto meglio che curare, propongo sin d’ora una sintesi di quello che, da qui a sabato prossimo – e anche dopo -, giornali e talk show veicoleranno senza tregua confidando nella nostra ingenuità.

 

Tesi numero uno: si dirà che è triste una piazza contro i diritti.
Ebbene, questa tesi sarà smentita anzitutto dalla festosità del Family Day, constatabile da chiunque vi prenderà parte, ma in parte è smentita pure ora dal fatto che le coppie di fatto, incluse quelle composte da persone dello stesso sesso, – dalla successione nel contratto di locazione a seguito della morte del convivente (C.C. sent. n. 404/1988) alla vista in carcere al partner (D.P.R 30 n. 230 del 2000), dall’assegnazione dell’alloggio nelle case di edilizia popolare (Corte Cost., sent. 559/1989) alla facoltà astenersi dalla testimonianza contro il partner in sede penale (art. 199 c.p.p.), dalla risarcibilità del convivente omosessuale per fatto illecito del terzo (Cass., sez. unite Civ., sent. 2697) ai permessi retribuiti per decesso o per grave infermità del convivente (L.n. 53 2000) – tantissimi diritti li hanno già e nessuna manifestazione, tanto meno quella di sabato prossimo, intende negarli.

Tesi numero due: la contestazione dei numeri.
Di fronte all’enorme affluenza al Family Day, i critici della manifestazione – che troneggeranno indisturbati nelle trasmissioni televisive con l’esplicito supporto di molti conduttori, poco ma sicuro – faranno a gara a chi critica con più perizia le stime di partecipanti che verranno diffuse dagli organizzatori. Facendo finta di non sapere, al di là di quanta gente riempirà il Circo Massimo – e sarà parecchia -, che la maggioranza degli Italiani è contro il ddl Cirinnà, come attestano diverse rilevazioni che, pur effettuate in mesi diversi e da realtà differenti, vedono solo il 46% degli Italiani apertamente favorevole alle unioni gay (Ipr Marketing, 2016), percentuale che talvolta sale al 47% con comunque il 50% che si dichiara apertamente contrario e il restante 3% che non risponde (Lorien Consulting, 2015). Capisco che la democrazia a qualcuno vada stretta, ma finché non verrà instaurata una dittatura è la maggioranza a decidere. Bisognerebbe anche ricordare il rigonfiamento dei numeri della manifestazione a favore delle unioni civili, “SvegliaItalia”, presentata da diversi mass media come un autentico trionfo («siamo un milione», hanno detto gli organizzatori). In realtà anche sommando i già gonfiatissimi dati forniti dagli organizzatori città per città si fa fatica ad arrivare a 50.000 partecipanti. Un flop.

Tesi numero tre: la critica di una piazza di “ultracattolici”.
Dal momento che sarà difficile – davanti alla forza delle immagini – negare il successo del Family Day, i critici della grande festa che si terrà al Circo Massimo tenteranno di presentare quella come una manifestazione di fanatici e settari, distante anni luce non solo da quanto «ci chiede l’Europa», ma dalla stessa Chiesa di Papa Francesco e di mons. Galantino. Ora, posto che per un cristiano la Chiesa è solo e soltanto di Gesù Cristo, tirare per la giacchetta Papa Francesco su questi temi rischia di essere pericoloso non solo per le sue parole recenti, ma perché da cardinale, nella sua Argentina, convocò «almeno cinquantamila persone» dando loro «appuntamento nella piazza del Congresso con lo slogan: “I bambini hanno bisogno di un babbo e di una mamma”» (La Repubblica 15/7/2010 p. 32). Ma questo, state tranquilli, in televisione non lo dirà nessuno.

Tesi numero quattro: siamo gli ultimi in Europa.
Più che una tesi, ormai è un tormentone. Per di più abbastanza ridicolo dal momento che – confidando, anche qui, nell’ingenuità dei più – vuole far passare il Paese che con la civiltà giuridica romana prima e con la cultura cristiana poi ha strappato alla barbarie se non il mondo intero certo una buona parte dell’Europa come fanalino di coda del Continente. Non può essere che siano gli altri Paesi europei e occidentali ad aver preso, in tema di famiglia, un clamoroso abbaglio? Non è forse vero, del resto, che la stragrande maggioranza dei Paesi del pianeta non prevede né le unioni civili né le nozze fra persone dello stesso sesso? E se così è, non può essere l’Occidente – lo stesso che ha preso clamorose cantonate anche nella storia recente, arrivando ad essere responsabile di molti orrori – a faticare oggi riconoscere l’importanza della famiglia? Sono solo laicissimi dubbi. Alla faccia quanti, in nome del progresso, vivono ormai cullati da laici dogmi.

 

Qui sotto il video-invito al Family Day realizzato da NotiziaProVita

 

Giuliano Guzzo

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Gesù ci ha salvato: cosa vuol dire? Non bastava la Bibbia?

cosa vuol dire gesù salvaGesù ci salva? Perché Dio ha dovuto farsi uomo? Non bastavano la Bibbia e i dieci comandamenti? Si dice sempre che “Gesù ci ha salvato”: da che cosa? E cosa vuol dire?

Ecco, questo è un punto centrale. Anzitutto, ha fatto la cosa più imprevista che potessimo immaginare: è diventato uomo, uno di noi. Non per modo di dire: era uno che passava per strada a Gerusalemme, che potevi incontrare sotto il portico del Tempio, o vedere mentre stava con gli amici. Uno che mangiava, beveva, prendeva in braccio i bambini che gli avvicinavano. Un uomo. Che condivide tutto della nostra vita umana. Tutto: persino la sofferenza e la morte.

Ma non bastava la Bibbia e i Comandamenti? No, la legge morale -cioè il contenuto dei Comandamenti-, non bastava. Anche se, dice la Bibbia, è stato Dio in persona a darla all’uomo, il punto è che non riusciamo a seguirla fino in fondo. Molto spesso, che ci piaccia o no, sbagliamo. Ma anche se ci riuscissimo, se fossimo capaci di seguire tutti i Comandamenti sempre, senza sgarrare, alla nostra vita mancherebbe qualcosa.

Pensaci: in fondo, che cosa vuol dire che quella “X” è entrata nella storia? Cioè, nella nostra vita di tutti i giorni? Vuol dire che ciò che il tuo cuore desidera, cioè la felicità vera, diventa possibile per l’uomo ora, nella vita di tutti i giorni. Quello che il tuo cuore desidera è Dio. Ciò per cui è fatto è Dio. “Ci hai fatto per te, il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”, diceva Sant’Agostino. Con Cristo, questo “riposo”, diventa possibile. Il nostro destino diventa incontrabile. La bellezza piena diventa sperimentabile. La giustizia piena diventa qualcosa di sperimentabile. La verità piena diventa qualcosa di sperimentabile. Carne. Ti sembrano cose astratte? Lo sono fino un minuto prima di incontrare Gesù. Ma un istante dopo, non lo sono più: diventano qualcosa che puoi sperimentare. Come? Come ha detto lui ai primi che lo hanno incontrato, Giovanni e Andrea. “Venite e vedete”. Vieni e vedi, constata tu stesso.

La salvezza non nasce dalla regole, ma da un amore. Come dice Giovanni: «la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,1-18). E come ha fatto Dio a salvarci? Lo ha fatto dando la vita per noi, che è il massimo che un uomo possa fare, il massimo della gratuità possibile. Ma cosa significa questo? Gesù ha accettato quel sacrificio e, accettandolo sostiene la Chiesa, ha preso su di sé il peccato. Non lo ha giudicato, lo ha preso su di sé. Come scrive l’evangelista Giovanni: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui” (Gv 3,16,17).

Ecco, la vita eterna. Gesù ci salva perché risorgendo ha sconfitto la morte. Ha superato proprio il limite più grande per l’uomo, e in questo modo ci ha detto: vedi? La morte non è l’ultima parola. Il tuo desiderio, quella promessa di felicità eterna che il tuo cuore sente da subito, non è falso. Ha una risposta: stai con me e vedrai che sarai felice. Non solo domani, o nell’Aldilà: ora. Gesù ci ha salvato così.

 

di Davide Perillo, tratto da La fede spiegata a mio figlio (Piemme 2007, p. 46-57)

 

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