Parità di diritti? Le coppie omosessuali sono già tutelate dalle norme italiane

Gazzetta ufficialeL’argomento è all’ordine del giorno, ci perdoneranno i lettori se ultimamente dedichiamo così spazio a questa tematica. Sentiamo tutti parlare di “difesa dei diritti” delle persone omosessuali spiegando che nei codici italiani per quanto riguarda il patrimonio, le pensioni, l’assistenza in ospedale, l’acquisto di una casa ecc, la coppia gay non sarebbe contemplata. Per questo le coppie di fatto, omo ed etero, reclamano questi diritti.

 

I grandi media non lo dicono, ma esistono già tutele di questi diritti quando si parla di conviventi. Entriamo più nello specifico elencato alcune di queste tutele.

ASSISTENZA SANITARIA. La legge n. 91 del 1 aprile 1999 prescrive che i medici devono fornire informazioni sulle cure tanto “al coniuge non separato” quanto “al convivente more uxorio“ (nel 2012 la Corte d’Appello di Milano ha sancito che nella nozione legale di “conviventi more uxorio” rientrano anche le coppie omosessuali, per le quali vale “il diritto a un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”). I medici devono consultare il convivente sulle terapie e nessuna legge gli vieta la visita in ospedale.

PERMESSI RETRIBUITI. La legge n. 8 del 2000 riconosce il permesso retribuito di tre giorni all’anno al lavoratore e alla lavoratrice anche in caso di documentata grave infermità del convivente.

CONSULTORI FAMILIARI. La legge n. 405 del 1975 assicura assistenza psicologica e sociale per i problemi della coppia e della famiglia anche ai componenti di una convivenza.

ASSISTENZA AI DETENUTI. Le norme sull’ordinamento penitenziario in applicazione della legge n. 354 del 1975 prevedono possibilità di colloqui e corrispondenza telefonica al “convivente detenuto” alle stesse condizioni stabilite per il coniuge.

FIGLI. Nessuna differenza sul piano legislativo tra genitori regolarmente sposati e conviventi. Addirittura la legge n. 6 del 2004, nell’elencare chi dev’essere preferito come amministratore di sostegno di una persona priva di autonomia, colloca “la persona stabilmente convivente” subito dopo il coniuge e prima del padre, della madre, dei figli, dei fratelli.

LOCAZIONI. La corte costituzionale, con la sentenza n. 404 del 1988, ha riconosciuto al convivente more uxorio il diritto di succedere nel contratto di locazione in caso di morte del partner, anche quando sono presenti eredi legittimi.

VITTIME DI MAFIA O TERRORISMO. La legge n. 302 del 1990 ha esteso anche ai conviventi more uxorio le provvidenze che lo Stato accorda alle vittime.

ANAGRAFE. Il regolamento anagrafico in vigore dal 30 maggio 1989 stabilisce che “l’anagrafe è costituita di schede individuali, di famiglia e di convivenza”, senza bisogno in quest’ultimo caso di ulteriori registri.

VITTIME DI ESTORSIONE E USURA. La legge n. 44 del 1999 comprende tra i beneficiari delle provvidenze anche i conviventi delle vittime.

ALTRE TUTELE. Oltre ai benefici fin qui elencati, vi sono garanzie per i conviventi anche per quanto riguarda l’assegnazione degli alloggi popolari, l’impresa a carattere familiare, il risarcimento dei danni patrimoniali, la protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia. In particolare, diritti di risarcibilità del convivente omosessuale per fatto illecito del terzo (cfr. Cass., sez. unite Civ., sent. 26972/08, Cass. III sez. pen. n. 23725/08), di nomina di amministratore di sostegno (artt. 408 e 417 cc), di astensione dalla testimonianza in sede penale (art. 199, terzo comma, c.p.p.), di proporre domanda di grazia (art. 680 c.p), di diritto di stipula di accordi di convivenza per interessi meritevoli di tutela (ex art. 1322 cc).

MATRIMONIO. Il matrimonio omosessuale non è invece un diritto, è escluso dalla Costituzione italiana, come ha ribadito nel 2010 la Corte Costituzionale, ricordando che il suo divieto «non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». Nel 2015 la Corte di Cassazione ha ribadito il concetto: «Deve pertanto escludersi che la mancata estensione del modello matrimoniale alle unioni tra persone dello stesso sesso determini una lesione dei parametri integrati della dignità umana e dell’uguaglianza». Pochi mesi fa, infine, è intervenuto anche il Consiglio di Stato: «Non appare configurabile, allo stato del diritto convenzionale europeo e sovranazionale, nonché della sua esegesi ad opera delle Corti istituzionalmente incaricate della loro interpretazione, un diritto fondamentale della persona al matrimonio omosessuale, sicchè il divieto dell’ordinamento nazionale di equiparazione di quest’ultimo a quello eterosessuale non può giudicarsi confliggente con i vincoli contratti dall’Italia a livello europeo o internazionale».

ADOZIONE. La questione nemmeno si pone poiché nessuno può avere diritti su altre persone, in questo caso i bambini.

 

Non esiste quindi alcun ”vuoto legislativo” da colmare con una legge: il ddl Cirinnà introduce come novità soltanto la stepchild adoption, ovvero facilita l’introdurre della pratica dell’utero in affitto in Italia, come ha riconosciuto anche un laico editorialista de La Stampa Ugo Magri, favorendo una legislazione che verrà poi usata come trampolino di lancio per matrimonio e adozioni per le coppie dello stesso sesso.

La redazione

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Le stigmate di Padre Pio: «sono scientificamente inspiegabili» (altro che acido fenico!)

Padre PioCome molti sapranno il 3 febbraio scorso sono state portate nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura le spoglie di Padre Pio, giunte da San Giovanni Rotondo per volere di papa Francesco in occasione del Giubileo. Molti sono rimasti colpiti dall’enorme folla composta da migliaia di persone che si è radunata in preghiera fin dalla mattina all’alba.

La figura di Padre Pio è certamente legata all’Italia profonda, alla fede popolare alla quale talvolta non mancano eccessi di sentimentalismo e fanatismo. Ma esiste anche una sana e autentica devozione, come ha spiegato molto bene Andrea Acali su Il Tempo. Ricordando, oltretutto, che il santo di Pietrelcina portò alla fede centinaia di persone convertì anche numerosi comunisti, duri e puri, come ad esempio Italia Betti, comandante partigiano soprannominata la “vestale rossa dell’Emilia” che, dopo essersi recata a San Giovanni Rotondo, stracciò la tessera del Pci e si ritirò a vivere sul Gargano come terziaria francescana. Capì soltanto allora cos’è la vera radicalità del vivere, altro che marxismo.

Di Padre Pio abbiamo già parlato in un precedente articolo, smontando la leggenda secondo la quale venne perseguitato dalla Chiesa. Non è così, come appunto abbiamo ricostruito. Legato a questo c’è il caso delle stigmate, cioè le piaghe sul corpo comparse su Gesù Cristo in seguito ai traumi subiti durante la sua passione. Piaghe che comparvero anche sul corpo di Padre Pio e che scatenarono un intenso dibattito scientifico, nel quale ebbe anche un ruolo padre Agostino Gemelli. Al caso si interessò poi l’ex Sant’Uffizio nel 1921.

Com’è noto, padre Gemelli aveva delle riserve scientifiche circa le stigmate, tuttavia non affermò affatto che fossero non autentiche. In un lettera all’assessore dell’ex Sant’Uffizio, monsignor Nicola Canali, scritta il 16 agosto 1933, spiegò di non aver mai pubblicato nulla su Padre Pio e si lamentò di essere stato mal compreso. Nel 1924, infatti, scrisse: «Le stigmate di San Francesco non presentano solo un fatto distruttivo, come in tutti gli altri, ma bensì anche un fatto costruttivo […]. Questo è un fatto assolutamente inspiegabile della scienza, mentre invece le stigmate distruttive possono essere spiegate con processi biopsichici». Nella lettera a mons. Canali, respinse le accuse mossegli da un medico, il dott. Giorgio Festa, di voler riferirsi a Padre Pio: «Evidentemente il dr. Festa ha giudicato che con tale mia assolutezza di giudizio io mi riferissi al Padre Pio […]. L’illazione è ingiusta….».

Nel 2007 lo storico anticlericale Sergio Luzzato ha avanzato dei dubbi sull’origine soprannaturale delle stigmate di Padre Pio citando la testimonianza risalente al 1919 di un farmacista, il dottor Valentini Vista, e della cugina Maria De Vito, ai quali Padre Pio avrebbe ordinato dell’acido fenico e della veratrina, sostanze adatte procurare lacerazioni nella pelle simili alle stigmate. Il prof. Carmelo Pellegrini e il prof. Luciano Lotti hanno tuttavia confutato il contenuto del libro di Luzzato, dimostrando che erano informazioni già note al Sant’Uffizio (le testimonianze vennero portate all’attenzione del Sant’Uffizio addirittura nel giugno 1920), rilevando anche parecchi errori da parte dello storico piemontese. Lo stesso hanno fatto nel 2008 Andrea Tornielli e Saverio Gaeta i quali, dopo aver consultato i documenti del processo canonico, hanno a dimostrato l’inattendibilità delle due testimonianze poiché prodotte dall’arcivescovo di Manfredonia, Pasquale Gagliardi, acerrimo nemico di Padre Pio che sostenne una vera e propria campagna diffamatoria contro il cappuccino dal 1920 al 1930, fino a quando fu  invitato a rinunciare alla guida della diocesi per la sua discutibile condotta e per aver mostrato l’infondatezza delle sue gravi accuse (F. Castelli, “Padre Pio sotto inchiesta”, Ares 2008, p. 91).

Quelle di Padre Pio, inoltre, non erano ferite o lesioni dei tessuti -come avrebbero dovuto essere se procurate con l’acido fenico- ma essudazioni sanguigne. Lo testimoniano tutti i medici che lo hanno visitato, come il dott. Giorgio Festa che esaminò le stigmate il 28 ottobre 1919, scrivendo: «non sono il prodotto di un traumatismo di origine esterna, e neppure sono dovute all’applicazione di sostanze chimiche potentemente irritanti» (S. Gaeta, A. Tornielli, “Padre Pio, l’ultimo sospetto: la verità sul frate delle stimmate”, Piemme 2008). Si trattò di una essudazione continua, costante, notevole, solo in punti precisi e dai margini netti, che oltretutto non davano luogo a flogosi (infiammazioni) o suppurazione. L’applicazione dell’acido frenico o di materiali chimici, al contrario, provoca la consumazione dei tessuti e la conseguente infiammazione delle zone circostanti. C’è poi tutto l’aspetto del fortissimo profumo sprigionato dal sangue coagulato, constatato dai medici e da chiunque esaminasse le stigmate. Un profumo discontinuo e non constante, al contrario di chi fa grande uso di profumi. Gli elementi comunque sono tanti e sono stati tutti ben approfonditi.

Nel 2009, in occasione di un convegno a San Giovanni Rotondo, il professor Ezio Fulcheri, docente di Anatomia patologica all’Università di Genova e di Paleopatologia all’Università di Torino, ha dichiarato di aver esaminato a lungo il materiale fotografico e i documenti sulle stigmate di Padre Pio, concludendo: «Ma quali acidi, quali trucchi… Diciamolo una volta per tutte, sgomberando il campo da ogni equivoco e sospetto: le stimmate di Padre Pio da Pietrelcina sono inspiegabili scientificamente. E anche se, per ipotesi, se le fosse prodotte volontariamente, martellandosi un chiodo sulla mano trapassandola, la scienza attuale non sarebbe in grado di spiegare come quelle ferite profonde siano rimaste aperte e sanguinanti per 50 anni». Ha poi proseguito: «Faccio notare che nel caso di Padre Pio ci trovavamo ancora in era pre-antibiotica, e dunque la possibilità di evitare infezioni era ancora più remota di oggi. Non posso immaginare quali sostanze permettano di tenere aperte le ferite per cinquant’anni. Più si studia l’anatomia e la fisiopatologia delle lesioni, più ci si rende conto che una ferita non può rimanere aperta com’è accaduto invece per le stimmate di Padre Pio, senza complicazioni, senza conseguenze per i muscoli, i nervi, i tendini. Le dita del frate stimmatizzato erano sempre affusolate, rosee e pulite: con ferite che trapassavano il palmo e sbucavano sul dorso della mano, avrebbe dovuto avere le dita gonfie, tumefatte, rosse, e con un’importante impotenza funzionale. Per Padre Pio, invece, le evidenze contrastano con la presentazione e l’evoluzione di una ferita così ampia, quale ne sia stata la causa iniziale. Questo è ciò che dice la scienza».

Avendo la possibilità di leggere l’intera inchiesta condotta dall’ex Sant’Uffizio su Padre Pio, prossimamente (entro l’anno, possibilmente) pubblicheremo un dossier di approfondimento sul caso delle stigmate che, in questo articolo, abbiamo voluto brevemente sintetizzare.

La redazione

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Su La7 frase shock della coppia gay: «La madre? Non serve, è un concetto antropologico»

concettoantropologico2Il tema è al centro del dibattito nazionale, per questo ultimamente ci troviamo a parlarne spesso anche noi. Confessiamo di essere rimasti turbati nel leggere la recente intervista al senatore Sergio Lo Giudice, che si è fatto regalare un bambino da una madre “generosa” degli Stati Uniti che lo aveva prodotto per lui e il suo compagno, Michele. «Siamo in costante collegamento con la madre surrogata americana. Le mandiamo le nostre foto di famiglia, lei le sue».

In un’altra intervista, questa volta per le “Iene”, ha affermato di aver pagato il bambino tra gli 80mila e i 100mila euro e di averlo subito strappato dalle braccia della madre, per impedirgli di legarsi a lei. Qualcuno pensa a questo bambino costretto a crescere con delle fotografie della per supplire alla mancanza dell’amore materno? Questo lo chiamano progresso, difesa dei diritti, è l’essere mentalmente aperti e avanzati.

Turbamento che è cresciuto nell’ascoltare la coppia omosessuale Andrea Rubera e Dario De Gregorio, intervenuti al programma Fuori Onda, in onda su La7 domenica 31 gennaio 2017. Una trasmissione pilotata (intitolata “Family Day contro omosex”), da una parte la scrittrice Costanza Miriano, una portavoce dei Family Day, dall’altra schierati tutti gli altri: Rosario Crocetta, Vittorio Sgarbi, i conduttori Tommaso Labate e David Parenzo, e la coppia gay. Sei contro uno, perché il mondo arcobaleno è per il confronto.

Rubera e De Gregorio hanno raccontato che la donna canadese che ha regalato loro suo figlio si sente complice, mai mamma, perché il suo «è stato un atto di generosità, come donare il sangue o qualcosa del genere». Regalare un neonato è dunque come donare il sangue, come portare un panettone a casa di amici, per Natale. O qualcosa del genere. Al comprensibile sconcerto della Miriano, che ha chiesto animatamente come si potesse privare un bambino di sua madre, uno dei due ha risposto: «Miriano, la madre non c’è. La madre è un concetto antropologico…». Siamo andati oltre al “genitore 1” e “genitore 2” -sempre per non discriminare le coppie omosessuali-, ora la donna, la madre è un essere socialmente inutile, ridotta ad un “concetto antropologico”. Perché tutti, d’altra parte, siamo nati da concetti antropologici. E’ il progresso, è la difesa dei diritti, questa.

Mai come in questo periodo storico valgono le parole di G.K. Chesterton: «La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. È una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto» (G.K. Chesterton, Eretici, Lindau 2010, pp. 242-243).

 

Qui sotto il video della trasmissione (pubblicato anche nel nostro canale Youtube)

 
La redazione

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Unioni civili, la fallacia logica del “così fan tutti”

Family day

di Giovanni Maddalena*
*docente di Filosofia Teoretica presso l’Università del Molise

da Il Foglio, 01/02/16

 

Uno degli epiteti scagliati contro coloro che non sono d’accordo sulla proposta di legge Cirinnà è quello di “retrogrado”. Nella scorsa settimana ho avuto l’occasione di dare un’occhiata a due trasmissioni televisive, dove questo era l’argomento principale: ormai la legge sui matrimoni omosessuali ce l’hanno tutti e dunque deve averla anche l’Italia. Un signore americano, di cui non conosco il nome, sbeffeggiava per questo Roberto Formigoni su un canale, mentre su un altro Ivan Scalfarotto indugiava su quest’argomento con Daniela Santanché. A prescindere dalle persone, a me interessa l’argomento.

Ora, si può prendere questo argomento in due sensi. Il primo è quello più banale, che è allo stesso tempo un errore logico elementare e una falsità storica. Dire che qualcosa è vero o falso, giusto o sbagliato perché lo fanno tutti gli altri nei dintorni è semplicemente sbagliato logicamente ed è il modo con cui si sono appoggiate le peggiori aberrazioni della storia, inclusi razzismo e leggi razziali, la tranquilla ammissione del sistema concentrazionario come strumento di lotta politica, l’accettazione supina della legge del capo o del mercato. “Così fan tutti”, non è mai stato un buon metodo per decidere qualcosa di buono, dalla vita privata quando si comincia a fumare da ragazzini a quella pubblica quando si decide che l’adulterio o l’appartenenza religiosa valga la lapidazione.

Inoltre, come ormai noto, nel caso in questione “tutti” sono i Paesi dell’Europa occidentale, mentre quelli dell’Europa orientale tutti non sono. Anzi, l’on. Scalfarotto, che presta il suo nome a una proposta di legge che include un’estrema attenzione alla discriminazione linguistica, dice che certo non ci confronteremo con la Bulgaria (!) perché i nostri punti di riferimento sono Francia, Irlanda, Inghilterra e Germania. Non mi ferisce affatto l’incoerenza, che anzi parla a favore dell’uomo e a sfavore della sua legge, ma il perché alcuni sì e altri no non lo dice. Così fan tutti quelli giusti? Superiori? Ricchi? Fatto sta che l’errore è logico e storico. Ma forse la verità (con la minuscola) non ci interessava tanto.

A proposito di verità, ecco invece l’altro punto di vista, più discutibile e interessante che emerge. “Così fan tutti” vorrebbe dire che da quella parte soffia il vento della storia e non si potrà fermare, argomento spesso usato in alternanza all’argomento sulla libertà come autonomia. E’ l’antico refrain di Hegel che si trova sotto tante versioni del marxismo ed è anche un certo fatalismo che si accompagna a molte religioni orientali, ad alcune versioni del cristianesimo e all’eredità della filosofia stoica in occidente. Mille versioni nobili di convinzioni che teoricamente affermano grandezza e autonomia dell’uomo e di fatto ne sviliscono la libertà, rendendolo incapace di essere protagonista della storia. Avanguardia e retroguardia sono così decise da coloro che conoscono il divenire della storia. Sono i preti di queste religioni, che siano preti veri e propri, intellettuali, vati di mercato, che sanno dove andrà a finire inevitabilmente tutto. Contro questa ricorrente filosofia/religione fatalista ci sono i mille controesempi della storia, spesso decisa da gesti singoli e singole personalità, ma anche il pensiero che la storia sia certo una grande ricchezza che ci precede – che venga da Dio, dalla Natura, dalla pura tradizione, dall’evoluzione – ma che noi, pur piccoli e fallibili, siamo in dialogo con essa e ne possiamo modificare il corso. Non siamo creatori – diceva Tolkien – ma “sub-creatori”: non possiamo inventare l’esistenza delle cose ma possiamo collaborare alla loro realtà.

A coloro che pensano in questo secondo modo, vicino al senso comune, interessa molto che in metà Europa, e quella più giovane e con più fame in ogni senso, si voglia difendere la famiglia naturale, e che lo stesso accada in molti paesi africani e asiatici. Non perché si rovesci il “così fan tutti” ma perché in tal modo si capisce che la Storia non è il Fato cieco e insensibile e che nulla al mondo toglie all’uomo la responsabilità di dire “vero” e “falso”, “buono” e “cattivo”, “bello” e “brutto” , le sole tre cose – diceva il filosofo americano Peirce – che sollevano l’umanità al di sopra dell’animalità. E non a caso, salvo gesti di libertà, dopo l’eutanasia, sarà proprio la soglia antropologica – la differenza tra esseri umani e animali, ultima soglia della responsabilità – a essere presto attaccata, e orrido retrogrado chi non acconsentirà. Scommettiamo?

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Richard Dawkins: «denigriamo i cristiani ma rispettiamo gli animali»

L’ex zoologo Richard Dawkins, noto “cavaliere dell’ateismo” fino a qualche anno fa, ha trovato un interessante escamotage per riabilitare mediaticamente la sua figura. Da anni è, infatti, costantemente al centro di polemiche tanto che sono sempre più numerosi gli appelli del “movimento ateo” che invitano a rinnegarlo pubblicamente. Lo considerano controproducente, un odifreddi italiano per intenderci.

Ecco quindi l’idea di far sua una campagna tanto di moda oggi, sopratutto sui social network. Ha infatti paragonato la lotta contro gli allevamenti intensivi degli animali a quella contro lo schiavismo di due secoli fa. Lui e Sam Harris, infatti, sono stati recentemente autori di un inno alla dieta vegana, condannando l’immoralità dei “carnivori” definendoli cittadini irresponsabili. Avendo fallito nell’intento di convertire il mondo all’ateismo –lo ha ammesso Dawkins stesso- vogliono ora cavalcare la campagna del vegetarianesimo, spronando al riconoscimento dei diritti umani per i non umani. Si tratta in realtà sempre della stessa strategia: per negare Dio, si tenta di confutare l’unicità dell’uomo, della creatura. E’ una forma di laico proselitismo, come abbiamo più volte fatto notare.

La cosa più curiosa, che pochi hanno fatto notare, è che questa improvvisata militanza contro la sofferenza degli animali arriva da colui che è ricordato per aver paragonato le persone di fede religiosa a dei disabili mentali e che, nel 2012, ha pubblicamente invitato a denigrare i cattolici, «bisogna prendersi gioco di loro, ridicolizzarli! In pubblico!». Oggi vegetariano per “senso etico”, un anno fa twittava: «E’ segno di civilizzazione abortire i feti con Sindrome di Down». Compassione per la sofferenza animale, molto poca per quella dei bambini vittime di abusi sessuali dato che, nel 2013, ha difeso la pedofilia. Nemmeno per le donne, Dawkins, ha mai dimostrato molta pietà: è lui ad aver inneggiato alla moralità del tradimento della propria partner -e delle conseguenti menzogne per coprirlo-, mentre nel 2011 è entrato nella classifica dei peggiori misogini dell’anno per aver intimato ad una donna di non denunciare gli abusi sessuali subiti durante un raduno ateo, per non compromettere la reputazione della comunità.

Ecco perché ora ha bisogno di riabilitarsi pubblicamente abbracciando la filosofia vegana, che va forte nei salotti borghesi occidentali. Certo, non si può non condividere il senso di profonda ingiustizia per la sofferenza gratuita fatta patire agli animali, per gli allevamenti intensivi e per i maltrattamenti che subiscono (la Chiesa è spesso in prima linea da questo punto di vista). Papa Francesco ci ha resi ancora più sensibili all’importanza dell’ecologia verso il mondo naturale, espressione della bontà di Dio. Non condividiamo però la scelta etica di ricorrere al vegetarianismo, sia perché riteniamo giusto che l’uomo disponga del creato (senza sentirsene padrone, però), sia perché non la riteniamo una scelta salutare (sopratutto il veganismo, basta considerare la letteratura scientifica in merito), sia perché la riteniamo una posizione ipocrita. Ci si batte solo per gli animali verso cui possiamo esercitare il nostro antropomorfismo -ovvero cani, gatti, balene, orsi-, escludendo ipocritamente tutto il mondo degli insetti (uccisi a milioni dagli animalisti quando si recano ai loro congressi, con le ruote delle loro auto) e tutti gli animali che meno stimolano la nostra tendenza antropomorfizzante (pipistrelli, blatte, piranha ecc.). Inoltre, chi non mangia animali per “senso etico” non si fa però remore a mangiare piante, ortaggi e verdure, le quali hanno a loro volta una vita di relazione, un’intelligenza e provano sofferenza, come è stato dimostrato.

Non se ne esce, se non accettando quello che ricorda giustamente il teologo non cattolico Vito Mancuso: «gli animalisti, con il loro sostenere un comportamento del tutto privo di violenza verso gli animali e con il loro volere per gli animali gli stessi diritti dell’uomo, mettono in atto un comportamento che li distanzia al massimo dal mondo animale». Nessun animale cesserà mai di mangiare carne per “senso etico” e mai «estenderà alle altre specie i diritti di supremazia che la natura» gli ha concesso su altri animali. «Tutto ciò, esattamente al contrario del naturalismo professato da alcuni animalisti, mostra in modo lampante lo iato esistente tra Homo sapiens e gli altri viventi. Se gli esseri umani lottano per estendere agli animali gli stessi diritti dell’uomo non è quindi perché non c’è differenza tra vita umana e vita animale, ma esattamente al contrario perché tra le due vi è una differenza qualitativamente infinita».

Parole sante, almeno per una volta, quelle di Mancuso. Ancora di più va ricordato ciò che scrive Papa Francesco nella sua enciclica: il rispetto per il creato «non significa equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità. E nemmeno comporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata a collaborare con essa e a proteggere la sua fragilità. Si avverte a volte l’ossessione di negare alla persona umana qualsiasi preminenza, e si porta avanti una lotta per le altre specie che non mettiamo in atto per difendere la pari dignità tra gli esseri umani. Certamente ci deve preoccupare che gli altri esseri viventi non siano trattati in modo irresponsabile, ma ci dovrebbero indignare soprattutto le enormi disuguaglianze che esistono tra di noi, perché continuiamo a tollerare che alcuni si considerino più degni di altri. Non ci può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani. È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o è determinato a distruggere un altro essere umano che non gli è gradito. Ciò mette a rischio il senso della lotta per l’ambiente».

La redazione

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Apparizioni di Fatima: in qualche modo fu profetizzata anche la Shoah

Ipotesi su mariaLo scrittore Vittorio Messori ha portato nuovamente in libreria il suo fortunato bestseller “Ipotesi su Maria”, pubblicato da Ares nel 2005. La nuova edizione è stata interamente rivista dall’autore e ampliata di 13 capitoli. Di seguito alcuni paragrafi tratti dal penultimo capitolo (apparsi su “La Nuova Bussola Quotidiana”).

 

Mi càpita di rivedere in rete l’articolo apparso su Le Monde nel maggio del 2000, quando Giovanni Paolo II fece rivelare al mondo quello che chiamano «terzo segreto» di Fatima. Il pezzo del giornale francese su questo evento è firmato da Jean Cardonnel, il domenicano morto alcuni anni fa, per tutta la vita l’intrattabile leader di ogni contestazione sia clericale sia politica, uno dei vedovi inconsolabili degli anni di piombo della Chiesa e della società. Uno per il quale non solo i soliti Mao, Che Gue­vara, Ho Chi Minh ma anche lo sterminatore del popolo cambogiano, Pol Pot, erano da venerare nell’Olimpo delle sacre rivoluzioni.

A Cardonnel si deve tra l’altro un precedente giuridico inedito e pericoloso. Era già molto vecchio, più vicino ai novanta che agli ottanta, insopportabile per la maggioranza dei confratelli per questa sua ossessione contestatrice, per il suo culto del «no» previo a tutto, ma si continuava a ospitarlo – data l’età – nel convento domenicano di Montpellier. Alla fine, il superiore di quella casa religiosa, non potendone più dei suoi costanti malumori, approfittò di uno dei suoi viaggi per sgomberare la sua cella, impacchettare con cura le cose e trovargli un posto in una casa di riposo per anziani. Al ritorno, l’ira di Cardonnel (egli pure, come da copione di ogni prete «adulto» che si rispetti, vietava a chiunque di chiamarlo «padre») esplose clamorosa e, dicendosi vittima di una violenza intollerabile, non pensò neanche un momento a confrontarsi con la legge della Chiesa, il diritto canonico.

Si rivolse invece alla legge della laicissima Repubblica francese, chiamando la Gendarmerie e denunciando il superiore per violazione di domicilio. Il tribunale, dopo lungo dibattito, gli diede ragione, condannò il superiore del convento che aveva proceduto allo sgombero e – per la prima volta, non solo in Francia – dichiarò che la cella di un religioso era un domicilio privato come ogni comune alloggio. Sentenza faziosa e pericolosa, dicevo, perché scavalca e in qualche modo imbavaglia l’autorità ecclesiastica anche all’interno dei suoi spazi.

Ma torniamo al Cardonnel commentatore di Fatima. Scriveva su Le Monde: «Quel presunto “segreto” è un falso, tanto falso quanto la donazione di Costantino con la quale si è voluto legittimare un diabolico controsenso: l’impero cristiano. Un grande teologo italiano – non si dimentichi il suo nome: Enzo Bianchi, fondatore di una nuova comunità monastica – si è subito reso conto della superstizione e della frode perpetrata dal Vaticano a Fatima. Sul quotidiano romano La Repubblica, fratel Bianchi mette implacabilmente il dito nella piaga. Scrive infatti: “Un Dio che, nel 1917, pensa di rivelare che i cristiani saranno perseguitati e che non parla della shoah e dei sei milioni di ebrei annientati non è un Dio credibile”». Continua l’articolo di Cardonnel: «Sì, bisogna scoprire la piaga: come non vedere la tara del presunto segreto di Fatima, la prova lampante che è un falso, che non può venire da Dio? Un falso che squalifica, che scredita l’Eterno. Un Dio, ripeto, non credibile: il Dio del razzismo cattolico, che si interessa solo dei suoi, della sua razza cattolica, nell’oblio del popolo di Gesù».

C’è da rimanere molto sorpresi da simili discorsi e soprattutto, per noi cattolici italiani, c’è da sorprendersi per la citazione (non smentita, anzi ribadita, dall’interessato) di fratel Bianchi. Circola ormai una convinzione, anche tra certi cristiani, secondo la quale la persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti nei 12 anni tra 1933 e 1945 sarebbe, senza paragone possibile: il Male Assoluto, il Massimo Delitto della storia intera, l’Esempio Radicale della malvagità umana. Non a caso, la colpa nazista è considerata inespiabile e ancor oggi si braccano, per processarli e condannarli, dei novantenni se non dei centenari considerati in qualche modo responsabili di quello che viene detto, con termine religioso, «l’Olocausto» per eccellenza. Per un simile delitto, e solo per questo, non è prevista alcuna prescrizione. Stando al Cardonnel e al Bianchi, Dio stesso – se vuol parlarci attraverso Maria – deve, sottolineo deve, ricordare e ovviamente maledire la Shoah, altrimenti non sarebbe «un Dio credibile». Non è il vero Signore se non esecra esplicitamente Auschwitz.

Sia ben chiaro – è davvero inutile sottolinearlo – che non si tratta certo di sminuire la gravità del delitto perpetrato all’ombra di una croce uncinata, che fu il tragico rovesciamento della croce cristiana. Non c’è che da unirsi, ovviamente, alla condanna universale. Ma è davvero paradossale rifiutare Fatima perché nel 1917 la Madonna non avrebbe previsto e condannato – a nome del Figlio e della Trinità intera – quei lager tedeschi che sarebbero venuti una ventina d’anni dopo. Nel 1917, ripetiamo: proprio l’anno in cui Lenin prendeva il potere, dando inizio a quel mostro comunista che avrebbe fatto almeno 100 milioni di morti e che avrebbe praticato la più violenta e sanguinosa repressione religiosa della storia, in nome di un ateismo di Stato proclamato sin dalle Costituzioni dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti.

La ricerca storica più recente, capeggiata dal celebre docente tedesco Ernst Nolte, dimostra, documenti alla mano, che il nazionalsocialismo nasce come reazione al marx-leninismo: senza Lenin nel 1917, niente Hitler nel 1933. Senza il colpo di Stato di San Pietroburgo, l’ex imbianchino di Vienna avrebbe al massimo fatto l’ideologo in qualche stube di Monaco di Baviera per qualche oscuro gruppetto di fanatici. Mettere in guardia, a Fatima, dal comunismo che proprio allora nasceva, significava mettere in guardia dalle altre ideologie mortifere che sarebbero venute dopo di esso e per causa di esso. Il nazionalismo primo fra tutti.

Tra l’altro, Bianchi e Cardonnel sono incomprensibili anche quando denunciano che a Fatima si sarebbe manifestato «il Dio del razzismo cattolico, che si interessa solo dei suoi, della sua razza cattolica». Ma che discorso è mai questo? Per l’ateismo sovietico non c’erano zone franche, nel mondo religioso: a parte il fatto che la stragrande maggioranza delle vittime da Lenin sino a Gorbaciov (egli pure ebbe una giovinezza da persecutore) passando per Stalin, non furono cattoliche, ma ortodosse, i due dimenticano che nell’immensa Unione Sovietica erano presenti tutte le religioni. Così, i pope furono massacrati alla pari dei preti, dei rabbini, degli imam, dei maestri buddisti.

Lo stesso avvenne ovunque, nel mondo, il comunismo giunse al potere: nessuno scampo per chi non accettava il materialismo e non condannava la religione, tutte le religioni, come «oppio dei popoli». E questo cominciò proprio in quel fatale 1917, quando la Madonna diede l’allarme per una ideologia perversa, anche perché si presentava con un volto nobile, apparentemente evangelico (giustizia, liberazione, eguaglianza, fraternità), ma che avrebbe risvegliato tutti i dèmoni, compreso quel regime tedesco che si presenta, sin dal nome, come l’unione di nazionalismo e di socialismo.

Le apparizioni di Fatima, come tutte le altre pur ufficialmente riconosciute, non sono de fide, possono essere criticate e magari non accettate anche dai credenti. Purché, però, lo si faccia su basi più presentabili di queste.

Visto che parliamo di Fatima e di comunismo: viene giusto a proposito ricordare quanto avvenne a Vienna nel decennio tra il 1945 e il 1955. Mentre gli inglesi, esperti e pragmatici, avrebbero voluto contenere l’Urss a Est, l’insipienza americana fermò i suoi carri armati in vista di Berlino per permettere a Stalin di dilagare nell’Europa orientale, occupando anche l’Austria. Il Paese fu diviso in quattro zone, sul modello della Ger­mania, ma quella riservata ai russi era la più importante e vasta, era quella dove stava la capitale stessa. Il ministro degli esteri, quel Molotov che aveva firmato il trattato con Hitler, permettendogli così di scatenare la guerra, disse e ripeté che Mosca mai si sarebbe ritirata da ciò che aveva occupato e tutti si aspettavano che, come a Praga e a Budapest, i comunisti organizzassero un colpo di Stato per andare da soli al potere nell’intera Austria. Le stesse cancellerie occidentali sembravano rassegnate. Opporsi significava quasi certamente una nuova guerra.

Ma non si rassegnò un francescano, padre Petrus che, tornato dalla prigionia proprio in Urss (e conoscendo quindi sulla sua pelle l’orrore di quel regime), andò in pellegrinaggio nel santuario nazionale austriaco, a Mariazell, per avere ispirazione sul che fare per la sua Patria. Lì, fu sorpreso da una voce interiore, una locuzione interna, che gli disse: «Pregate tutti, tutti i giorni, il rosario e sarete salvi». Buon organizzatore, oltre che sacerdote stimato, padre Petrus promosse una «Crociata nazionale del Rosario», nello spirito esplicito di Fatima, che in breve tempo raccolse milioni di austriaci, compreso lo stesso presidente della Repubblica, Leopold Figl. Giorno e notte, grandi gruppi si riunivano, spesso all’aperto, nelle città e nelle campagne recitando la corona e la stessa Vienna era percorsa da imponenti processioni mariane, sorvegliate con ostilità dall’Armata Rossa.

Gli anni passavano senza che l’occupazione cessasse, ma il popolo non si stancava di pregare la Madonna di Fatima. Ed ecco che nel 1955, all’improvviso, il Cancelliere austriaco fu con­vocato a Mosca, dove fu ricevuto al Cremlino dal Soviet Supremo. Qui, gli fu comunicato che l’Urss aveva deciso di ritirare le sue truppe e di ridare all’Austria la piena indipendenza. In cambio, si poneva una sola condizione, che le autorità del Paese che veniva liberato accettarono di buon grado: un impegno di neutralità che, tra l’altro, avrebbe portato grandi vantaggi a Vienna, facendola diventare la terza città delle Nazioni Unite dopo New York e Ginevra. I governi occidentali furono colti di sorpresa da una decisione del tutto inaspettata e unica, sia prima sia dopo: mai, come aveva ricordato Molotov dieci anni prima, mai l’Urss aveva accettato né avrebbe accettato di ritirarsi spontaneamente da un Paese occupato.

Furono stupiti politici, diplomatici, militari, nel mondo intero. Ma non si stupirono coloro che da anni pregavano con la «Crociata del Rosario»: in effetti, il giorno in cui la notizia del ritiro fu annunciata a Mosca al Cancelliere era un 13 maggio, l’anniversario dell’inizio delle apparizioni di Fatima. Tanto per completare il quadro, lo sgombero totale dell’Armata Rossa fu fissato dal governo comunista per l’ottobre: tra i generali russi (dispiaciuti di lasciare un Paese così bello e strategicamente così importante) nessuno, ovviamente, sospettava che proprio ottobre è, per la tradizione cattolica che risale ai tempi della battaglia di Lepanto, il mese del rosario.

 

di Vittorio Messori, tratto da “Ipotesi su Maria” (Ares 2016)

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Immigrazione: Papa Francesco e il card. Giacomo Biffi hanno ragione

immigrazioneSi parla molto in questo periodo di immigrazione, il contesto attuale è però spesso ideologizzato ed è necessaria una premessa di metodo fondamentale. Non si tratta di valutare opinioni politiche di destra o sinistra. O di strategia italiana, o europea, o americana. O di approccio antropologico esclusionista-razzista o inclusionista-irenista. Si tratta di riflettere oggettivamente e scientemente su un attuale duplice fenomeno storico che è sofferto, tangibile, innegabile, e che ha pochi precedenti nella storia mondiale:

1) La massiccia immigrazione di profughi fuggiti da guerre e miserie, di cultura prevalentemente islamica, nell’Europa di tradizione cristiana (più di un milione di richiedenti asilo nella sola Germania nel 2015);
2) La crescita dell’Islam radicale, con recrudescenza di aggressioni e attentati da parte di fondamentalisti islamici contro islamici moderati e occidente di tradizione cristiana (su questo si veda l’inquietante, nella sua cruda oggettività, report sempre aggiornato nel sito thereligionofpeace.com).

E mi sia permesso anche di attingere ai miei ricordi ed esperienze personali, citando due casi che mi sembrano illuminanti e paradigmatici su questo duplice fenomeno:
mio “fu” babbo Giovanni, che negli anni ’60 emigrò temporaneamente dalla laboriosa ma non ricca campagna romagnola verso l’Eldorado della Germania, dove ha lavorato, pagato le tasse, rispettato le leggi;
un bambino di origine islamica di circa 10 anni di una scuola elementare dove insegnavo qualche anno fa, che un giorno si rifiutò di entrare in un’aula con sole bambine, ma che alla fine acconsentì dicendo: “Ci vado, ma vedrete qui quando comanderemo noi!”, riecheggiando sicuramente quanto sentito da qualche adulto.

I due estremi della questione sono appunto questi, e la verità sta (aristotelicamente) nel giusto mezzo. O meglio nell’insieme. Nei fenomeni migratori è ovviamente giusto e doveroso accogliere i migranti, per motivi religiosi e umanitari (“Ero straniero e mi avete accolto”, Mt 25,35), cercando di concedere tranquillità, serenità, futuro a chi sfugge da guerre, persecuzioni, miseria. E anche per pragmatici motivi demografici, particolarmente sentiti nell’Italia a bassa fertilità che tra pochi decenni non sarà più in grado di mantenere i troppi anziani tramite il lavoro dei pochi giovani.

Ma all’estremo opposto, sarebbe illogico e insensato accogliere tutti indiscriminatamente, inclusa la minoranza di persone radicali e fondamentaliste islamiche che non fuggono da guerre e miseria, ma si presentano alle coste e frontiere europee con l’intento di “gettare il terrore nei cuori dei miscredenti” (Corano 8,12), assoggettare le donne che costituiscono “la maggior parte degli abitanti dell’Inferno di Fuoco” (hadith Al-Bukhari 1,301 e altri), e cercano di “uccidere, catturare, assediare, tendere agguati” agli associatori-politeisti cristiani (Corano 9,5). Passi che, va precisato, la maggioranza moderata di islamici si guarda bene dal prendere alla lettera e contestualizza al periodo storico delle origini.

Dunque serve accoglienza, sì. Ma con integrazione. Cioè col rispetto da parte di chi arriva (perlopiù islamici) verso religione e cultura di chi accoglie (perlopiù cristiani). Lo disse anni fa il compianto card. Giacomo Biffi, in una catechesi pubblica di una serata dell’autunno 2000 a Bologna, alla quale partecipai. In quel contesto la frase scorse via come olio sull’acqua, tanto era scontata e banale alle orecchie dei presenti. Ma nei giorni seguenti Biffi fu pubblicamente “crocifisso” da molta parte della stampa nazionale, additato come razzista e islamofobo.

A quanto pare la cronaca e la storia successiva sembrano avergli dato fattivamente ragione. Forse complice l’indignazione pubblica per gli attentati di Parigi (novembre 2015) e le aggressioni sessuali a Colonia e altre città (capodanno 2015), è passato praticamente sotto silenzio il recente discorso di papa Francesco (11 gennaio 2016) dove ha nuovamente esortato all’accoglienza dei migranti, sottolineando però anche che “chi è accolto… ha il dovere di rispettare i valori, le tradizioni e le leggi della comunità che lo ospita”. E il successivo 12 gennaio 2016 il segretario della CEI, mons. Nunzio Galantino, ha ribadito gli stessi concetti: “Guarda [immigrato] che tu vieni in una realtà che ha delle norme precise, delle regole precise. Io ti chiedo di accogliere queste regole e queste norme, io rispetterò le tue, ma finché non tendono a sopraffare le mie”.

In entrambi questi casi recenti la mancata divulgazione, e soprattutto la mancata contestazione, è un significativo indice di come il sentire comune sia notevolmente cambiato, rendendosi conto della problematicità della situazione e della doverosa necessità di associare immigrazione a integrazione. Situazione che, precisa Galantino, ormai non è un’emergenza occasionale ma un dato di fatto continuo.

Roberto Reggi

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Family Day, analisi dell’infantile reazione del mondo mediatico-arcobaleno

lettera43Che il Family Day sia stato un successo al di là delle più rosee aspettative è dimostrato da tanti fattori.

Innanzitutto, primo elemento, il dato più politico è che secondo la maggior parte degli esperti il ddl Cirinnà ha poche possibilità di passare così com’è, senza modifiche, anche perché se vi fosse completa equiparazione con il matrimonio riconosciuto costituzionalmente interverrebbe a bloccarlo il Quirinale, come ha ricordato Gaetano Silvestri, ex presidente della Consulta.

Tutto questo nonostante i capricci di Monica Cirinnà («io non cambio nulla!», dice), già sotto stress per l’avviso di garanzia recapitato al compagno, Esterino Montino. Le modifiche al ddl dimostrano in ogni caso la sua incompetenza politica: possibile che soltanto alla seconda bozza di un testo di due anni fa non si era mai accorta di problemi di costituzionalità? Sembra infatti che Matteo Renzi non abbia nascosto la sua irritazione verso la senatrice Pd. Sì, due anni, perché si tratta già di una vecchia proposta di legge, un’altra prova della forza degli oppositori: pensare che Ivan Scalfarotto annunciava trionfante che la legge sarebbe arrivata nel maggio 2015 e dovevamo farcene «una ragione». Invece sarà lui a farsi una ragione del fatto che il Family Day ha comportato, secondo i sondaggisti, una perdita di 600-700mila votanti per il suo partito politico. Mentre l’altro grande partito politico, il PDL, si è accorto di aver aumentato i consensi quando si è battuto per la famiglia (mentre la base del Movimento Cinque Stelle si è schierata contro la stepchild adoption).

 

Il secondo dato è che finalmente, dopo la grande e democratica manifestazione del 30 gennaio, diversi giuristi e opinionisti stanno uscendo allo scoperto, confermando i giudizi degli organizzatori del Family Day. Ieri, Ugo Magri, editorialista de “La Stampa”, ha spiegato che effettivamente esiste un nesso tra la “stepchild adoption”, così come è presente nel ddl Cirinnà, e la pratica dell’”utero in affitto”: «la proposta Cirinnà può rappresentare effettivamente un incentivo all’”utero in affitto”. Ammetterlo sarebbe un contributo all’onestà». Un altro editorialista, Ernesto Galli della Loggia del Corriere della Sera, ha smentito che quelli pretesi dal mondo omosessuale siano “diritti” o “principi di democrazia”: «Vengono invocati non solo perché si pensa in tal modo di conferire un crisma di inappellabilità alle richieste in questione, appiccicando agli oppositori la comoda etichetta di reazionari, di nemici della “libertà”. Ma anche per aggirare, mettere da parte, le domande che nel nostro orizzonte culturale sembrano massimamente sconvenienti». L’unico motivo per cui oggi sono al centro dell’attenzione è l’effimero “volere di una maggioranza”, esattamente come ieri si sosteneva l’eugenetica (con tanto di corsi universitari) e domani la clonazione umana. Non essendoci alcun diritto in gioco, chi si oppone alle “pretese gay” potrà saranno individui «democratici e liberali, semplicemente di diverso parere rispetto a loro».

Allo stesso tempo hanno preso coraggio due dei più autorevoli intellettuali del comunismo italiano: Giuseppe Vacca, presidente dell’Istituto Gramsci, e Mario Tronti, padre dell’operaismo italiano degli anni Settanta, oggi senatore del PD. Il loro intervento è stato definito “familismo rosso”, una resistenza da sinistra in difesa della dualità uomo e donna. «La regolazione legislativa dei rapporti eterosessuali ma anche omosessuali non può prescindere da una priorità: il diritto alla vita e alla riproduzione del genere umano, assicurati dall’unione di un uomo e una donna», hanno detto. Oltre al rifiuto del ddl Cirinnà espresso da Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, sono arrivate oltre 300 firme all’appello di giuristi del Centro Studi Livatino, organizzato da Mauro Ronco, ordinario di diritto penale Università di Padova. Tutti contrari al disegno di legge sulle unioni civili, dai presidenti e vicepresidenti emeriti della Corte Costituzionale, come Riccardo Chieppa e Fernando Santosuosso, a celebri magistrati come Paolo Maddalena, dai presidenti di numerosi tribunali a diversi componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, da magistrati ordinari a docenti universitari che hanno fatto la storia dell’Accademia in Italia, come Ferrando Mantovani, Pierangelo Catalano, Ivo Caraccioli ecc.

 

Il terzo elemento è la reazione mediatica: giornali, talk show, trasmissione radiofoniche e televisive hanno perso qualunque equilibrio e distacco sposando all’unisono la legge sulle unioni civili. Lo si è capito chiaramente dal programma di La7 “Presa Diretta”, durante il quale Costanza Miriano -una delle portavoce del Family Day– è stata bersagliata in diretta cinque contro uno, impedendole di replicare e i suoi interventi, al contrario di quelli degli altri ospiti, sono stati continuamente interrotti anche dagli stessi conduttori. «Pare proprio che abbiate loro messo paura, cari amici del Circo Massimo», ha commentato Mario Adinolfi. «La cosiddetta libera informazione ha deciso che contro di noi ora va usato l’olio di ricino». I vari preti mediatici hanno colto l’occasione per cercare un altro applauso da parte del web, dal già noto narciso Mauro Leonardi a don Paolo Farinella (che, nonostante sia un diffamatore già condannato dallo Stato, ha definito il card. Camillo Ruini una mummia che credevamo sepolta e stagionata» e ha paragonato i partecipanti al Family Day ai mafiosi). Il vaticanista Giacomo Galeazzi ha invece definito così l’impegno Massimo Gandolfini, portavoce dell’evento: «crociata bioetica in nome di Dio, senza avvalli ufficiali delle gerarchie ecclesiastiche». Un pazzo invasato, in poche parole.

Già nei giorni precedenti si era annusato qualcosa, pensiamo all’ipocrisia di chi ha protestato per la scelta di Roberto Maroni, presidente di regione Lombardia, di illuminare il Pirellone con una scritta pro-Family Day. Gli stessi che pochi secondi prima esultavano per il patrocinio del Comune di Milano e del sindaco Pisapia al Gay Pride e alla manifestazione-flop “SvegliatiItalia”. Gli stessi che mesi prima esultavano quando l’ex sindaco Ignazio Marino usò il Campidoglio come base per la bandiera arcobaleno. Un altro caso esilarante è quello di Italo: preso di mira perché offriva sconti a chi andava al Family Day –quando in realtà organizza sempre pacchetti scontati per qualunque tipo di manifestazione (compresi i Gay Pride)-, ha dovuto arrivare a chiedere scusa (come l’imprenditore Barilla) per questo, a causa delle minacce e del boicottaggio promesso. Al contrario, Ikea, Coop, Ebay e altre grandi aziende hanno potuto manifestare contro il Family Day senza che nessuno dicesse nulla, senza dover chiedere scusa, senza subire boicottaggio.

Veri e propri insulti indirizzati al popolo del Family Day sono arrivati da Luciana Littizzetto, comunista milionariauna contraddizione etica vivente. Propaganda d’odio verso i manifestanti è stata creata dalle Iene, i siti web dell’Huffington Post, di Fanpage.it e di quasi tutti i giornali online sono invasi da post di disprezzo contro chi non è a favore del ddl Cirinnà, non esiste un solo articolista che osa pensarla diversamente. Propaganda Lgbt è un appuntamento fisso nelle trasmissioni della soubrette Barbara D’Urso, regina del trash italiano, con sdolcinate storie omosessuali con musichetta in sottofondo (guardandosi bene dal raccontare l’origine dei bambini adottati). Già richiamata dal presidente dell’ordine dei giornalisti. «In un dibattito che sta dividendo il Paese sulla questione delle unioni civili», spiega sempre Adinolfi, «è mai possibile che tutti quelli che dovrebbero essere arbitri dell’informazione sono schierati da una parte?». C’è chi ha titolato: «Gli odiatori del Family Day», chi ha definito la manifestazione come coloro che vogliono «l’oscurantismo e l’oppressione attraverso la religione», chi ha parlato della «setta di Gandolfini che ci impone la sua sharia. Spazzatura di ipocriti e violenti liberticidi».

 

Non è mancata, e questo è il quarto elemento, la reazione dei social network. Il sito del Family Day è stato oscurato dagli hacker di Anonymous -perfetta dimostrazione del disprezzo della legalità degli oppositori-, mentre il giorno dopo la comunità Lgbt ha fatto chiudere il profilo Facebook ad uno dei portavoce dell’evento, Simone Pillon (profilo che gli è stato poi stato ridato grazie alle numerose proteste). I militanti arcobaleno si sono impegnai anche in altre infantili reazioni, ad esempio nel tentativo (rivelatosi un flop) di ingolfare i centralini della regione Lombardia ecc. In queste ore, l’ex ministro Giorgia Meloni sta subendo «insulti impubblicabili», si legge sull’Huffintgon Post, per aver annunciato di essere incinta durante l’evento del 30 gennaio scorso. Il primo a scagliare la pietra è stato il transessuale Wladimiro Guadagno (Luxuria), sono seguite addirittura minacce di morte a lei e al bambino.

 

Dopo questa carrellata di civilissime reazioni del mondo “love-is-love” ad una manifestazione di popolo -oltretutto con età media decisamente bassa, come ricordato oggi dal direttore de La Croce– bisognerebbe domandarsi cosa infastidisca tanto all’effimero mondo borghese-progressista? E’ così scandaloso che un popolo -di mamme, papà, nonni, sedie a rotelle, carrozzine e passeggini-, che per decenni era scomparso dalla scena pubblica o considerato irrilevante, stia rialzandosi in piedi? I primi a reagire sono stati i Paesi dell’Est (la Russia in primis), per decenni sottoposti al regime comunista e che, certo, non avevano alcuna intenzione di ricadere sotto un altro regime, quello arcobaleno. Poi è nata spontaneamente la Manif pour tous in Francia e, come per osmosi, è accaduto qualcosa in ogni grande Paese. In Italia tutto è avvenuto in meno di un anno: cos’è successo «che ha cambiato il cuore di tanti, prima di tutto il nostro? In questo anno che ha visto nascere un popolo, consapevole, forte, coraggioso, pronto al sacrificio?», si è chiesta Costanza Miriano. «È successo che tanti rivoli si sono uniti, tante persone hanno lavorato insieme per dire la stessa cosa, percorrendo l’Italia in lungo e in largo, facendo rete, facendo nascere amicizie, passando parola, diventando una vera compagnia». E’ così che sono apparsi «soldi trovati dal nulla, gente che ha aperto le case, il cuore, il portafogli. Amicizie nate e diventate forti come querce. Noi siamo un popolo, adesso, e questa nuova vita che è partita sarà difficile fermarla».

Aver visto la marea umana al Circo Massimo ha incattivito i portavoce del “progresso”, come è stato scritto. Il popolo della famiglia da una parte e quello di Barbara d’Urso, di David Parenzo, di Luxuria dall’altro. I valori da una parte e il trash dall’altra. L’Italia profonda da una parte (come viene chiamata oggi) e i feticisti di Twitter dall’altra. I senza voce da una parte e l’impero mediatico dall’altra. Il Medioevo degli ospedali, della carità e delle università contro l’Illuminismo del terrore giacobino. Davvero credete di fermare questo popolo con un po’ di propaganda di regime? 

 

Qui sotto un video del Family Day 

 
La redazione

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Nunziante, il regista di Checco Zalone: «ho scoperto la fede e la pietà di Dio»

Zalone NunzianteL’ultimo film di Checco Zalone merita un incasso di oltre 63 milioni di euro? No, onestamente non lo merita, non è un capolavoro però è una commedia divertente, originale, sa pungere i vizi tipicamente italiani. Bello anche il messaggio di “Quo Vado?”, certamente controcorrente: ci lamentiamo spesso, e giustamente, del malcostume italiano ma meglio questo che la disumanità, lo scollamento familiare e sociale che si vive molti Paesi che ci hanno imposto come riferimenti. Il ragazzo interpretato da Zalone prova anche a tentare di adeguarsi alla perfetta sterilità della società nordeuropea, ma si ritrova depresso e svuotato. Come coloro che lì vi abitano.

Molti hanno notato nel film -in quasi tutti i film di Zalone- diversi e positivi riferimenti alla fede cattolica, ben diversi dalle ingiuste caricature di sacerdoti e religiosi presenti in altre pellicole. E’ stata una felice scoperta conoscere la storia del regista di “Quo Vado” (e di tutti gli altri film del comico barese), Gennaro Nunziante. Lontano dalle ospitate televisive, ha raccontato la sua esperienza al settimanale Credere (ripresa da Aleteia). «Da giovane ho frequentato un oratorio salesiano: qui ho conosciuto un prete che mi ha fatto leggere alcuni libri di cinema e portato a vedere dei film. Però la fede non è arrivata in quegli anni: all’epoca la mia era più che altro partecipazione a dei rituali. La conversione vera è arrivata in età adulta, attraverso un percorso di grande dolore: mi sono reso conto che volevo avere tutto ma che, al contempo, tutto era niente. Iniziai a percepire dentro di me un’inquietudine a cui non sapevo dare risposta».

Poi, ha prosegue Nunziante, «di colpo ho cominciato a intuire cosa mi ero perso per strada. Il mio è stato un percorso molto semplice basato, più che sulla meditazione di testi teologici, sull’osservazione della vita alla luce della fede. Ho iniziato così a fare un lavoro dentro di me, stando però molto attento a un concetto: spesso noi cattolici commettiamo l’errore di vantare una maggiore conoscenza presunta della vita. Una superiorità che sinceramente non so nemmeno dove sia di casa: io mi sento un ipocrita che si alza la mattina e chiede pietà di sé al Signore per la pochezza d’uomo che sono». Nessun cinismo nei suoi film, tipico invece di molte pellicole di comicità (sopratutto francesi): «Per anni un certo cinema pseudo autoriale ci ha raccontato storie di amarezza e aridità. Io provengo da una famiglia povera e ho conosciuto il mondo dell’amarezza ma le assicuro che il finale è lieto perché il dolore ti segnala che devi cambiare qualcosa nella tua vita. La nullità dell’uomo, questo suo essere niente, è rivelazione di Dio e il cinema dovrebbe avere l’umiltà di inchinarsi davanti alla pochezza umana».

Il messaggio dei suoi film è un abbraccio, un «”possiamo migliorare e cambiare insieme”. Perché è così che sono stato accolto quando sbagliavo: pur facendomi notare l’errore, qualcuno mi ha sempre teso una mano e aiutato ad andare avanti. E in fondo è questo il grande richiamo di Papa Francesco quando parla della Chiesa come un ospedale da campo. So di non avere l’appeal del cineasta impegnato, ma non mi interessa perché non mi rappresenterebbe. Io sono figlio di una comunità fatta di amici, solidarietà e accoglienza: così sono cresciuto e così considero la vita, e pazienza se qualcuno mi taccerà di buonismo».

Parole, riflessioni ed esperienza che nessuno si aspetterebbe dal regista che ha portato al successo Checco Zalone. Un buon motivo per guardare (o ri-guardare) Quo Vado?, andando oltre alle quattro risate.

La redazione

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Grazie al Family Day, l’Italia diventa il faro d’Europa sul tema della famiglia

family dayIl giorno dopo la grande manifestazione del Family Day al Circo Massimo molti stanno giustamente analizzando la portata di quest’evento, politica e sociale. E’ stata una bellissima espressione di popolo, di difesa spontanea dell’ideale della famiglia.

Ci distacchiamo tuttavia un attimo dall’entusiasmo generale e manifestiamo un piccolo disagio, motivato da due elementi in particolare. Non riteniamo lungimirante aver calcato la mano sui “due milioni” di partecipanti: chi fa questo gioco è perché di solito i numeri non li ha davvero (pensiamo al Flop Gay delle piazze arcobaleno di qualche giorno fa). Invece, le immagini di ieri parlano chiare: una marea umana –composta anche da diverse persone omosessuali- si è alzata in piedi contro il ddl Cirinnà, che rappresenta il tentativo più riuscito finora della definitiva colonizzazione ideologica della famiglia, dopo divorzio e aborto.

Potevamo parlare di partecipazione esorbitante, di popolo italiano, di sterminata distesa di famiglie… le immagini -come già detto- parlano chiare e sono dalla nostra parte. Abbiamo invece ingenuamente dato occasione ai critici -che già non sono questo pozzo di intelligenza e maturità-, di spostare l’attenzione dall’evento in sé al numero dei partecipanti. Dimenticando che si tratta di un raduno unico nel suo genere, organizzato con le sole forze fisiche ed economiche degli organizzatori, nato dal basso in pochissimo tempo e senza l’aiuto di sigle, lobby, associazioni o politici. Oltretutto, avendo come principali avversari gran parte di stampa e televisione (con tanto di istigazione al pestaggio dei pro-family -definiti “fascisti”- da parte di Beatrice Dondi, giornalista dell’Espresso e dell’Huffington Post). Per questo è scattato l’interesse perfino dai media esteri -dalla BBC al Time– che hanno chiesto agli organizzatori che diavolo sta accadendo in Italia (oltre a vedere il simbolo della Manif pour tous conquistare le prime pagine dei giornali italiani).

Secondo motivo di disagio: il 30 gennaio 2016 è stato un giorno storico, usato però da molti come ennesima occasione di divisione, di attacco al Pontefice e ai vescovi italiani. Arrivando a sostenere (come ha fatto Antonio Socci) che Francesco odia la Chiesa italiana e tutti coloro che difendono la famiglia naturale. Invece la CEI ha pienamente appoggiato l’evento attraverso le parole del presidente, card. Bagnasco, mentre il suo vice mons. Galantino ha condiviso le motivazioni ma mostrato riserve sulla modalità di esprimerle attraverso la piazza. E’ dialogo interno, esattamente come avvenne nei confronti del comunismo: c’era chi preferiva lo scontro diretto e chi la via diplomatica, senza reale divisione sugli ideali (in questo caso, la difesa della famiglia).

Durissime critiche (quasi insulti) stanno arrivando a Papa Francesco perché non avrebbe parlato questa mattina del Family Day. Perché, Benedetto XVI ne parlò il 13 maggio 2007, giorno dopo il primo evento di questo tipo? E, Francesco, ha per caso parlato dopo la recente vittoria del referendum in Slovenia? No, ci fu un richiamo, pochi giorni prima, chiedendo ai cittadini sloveni di difendere la famiglia, esattamente come pochi giorni prima del 30 gennaio 2016 ha chiesto di non paragonare il matrimonio ad altri tipi di unioni (la caratteristica del ddl Cirinnà è proprio questa). Tant’è che il suo discorso è stato letto ieri dal palco e usato dall’Osservatore Romano per “benedireFamily day“, sempre ieri, il grande evento (senza dimenticare il suo incontro di un anno fa con la Manif pour tous Italia). Seppur, non va scordato, il Pontefice si riferisce sempre al mondo intero e mai alla singola realtà locale, come ha spiegato oggi il card. Camillo Ruini. Bellissima la sua risposta sulla presunta mancanza di modernità dell’Italia: «c’è anche un’altra modernità, nel vasto mondo e pure nei nostri Paesi. È la modernità che vediamo oggi al Family Day. Una modernità che fa nascere figli, contrastando la crisi demografica che si sta mangiando l’Europa. Una modernità che ha fiducia nel futuro e crede nei legami sociali. Senza di essa, anche la modernità oggi egemone avrebbe poche speranze».

Non lasciamoci dunque trascinare dalle diatribe sui numeri dei manifestanti, facciamo così il gioco degli oppositori. Non facciamoci trascinare dal tradizionalismo anti-papista nella divisione interna: chi alimenta insofferenza verso la Chiesa è chi si è già ormai estromesso da essa, guardandola non più come Madre ma come nemica. Il Papa richiama gli ideali e il popolo, che nella Chiesa da lui rappresentata si riconosce figlio, si organizza socialmente e politicamente per sostenerli e creare un mondo migliore. Per tutti.

L’ultima cosa su cui abbiamo riflettuto è che le critiche che ci vengono rivolte hanno sempre una base di verità. La maggior obiezione ad ogni manifestazione pubblica del mondo cattolico è, infatti, che al suo interno, perfino tra i responsabili delle singole manifestazioni, vige una contraddizione tra il dire e il fare. Tra l’ideale che si afferma e la capacità di viverlo. Nello specifico, quanti cattolici spesso sono i primi a divorziare, a risposarsi, a convivere, a negare con la loro stessa esperienza di vita il valore della famiglia. Molti hanno partecipato, e qualcuno anche organizzato, lo stesso Family Day. Il mondo non capisce che siamo un popolo di peccatori, che la Chiesa stessa si basa sulle fondamenta di uno che tradì tre volte Gesù Cristo. Per chi ci guarda, il tradimento dell’ideale che vogliamo affermare è il più grande ostacolo all’adesione del cammino cristiano. Eppure, sappiamo bene che non c’è reale contraddizione, che si può capire e difendere un valore e non avere in sé la forza di viverlo in prima persona. Vediamo il bene ma compiamo il male, dice San Paolo parlando del peccato originale. L’uomo è fatto così, non deve essere una giustificazione questa, ma nemmeno una sorpresa. Non scandalizziamoci perciò di queste critiche -seppur miopi e sbagliate-, ma usiamole per sforzarci a dare la stessa intensità che abbiamo messo nella bellissima piazza di ieri anche nella nostra vita personale, per essere testimoni della bellezza e inviolabilità della famiglia con la nostra stessa vita, prima che con le parole o le manifestazioni.

Alle leggi sbagliate il popolo deve rispondere anche con le piazze, questo è quel che non capiscono coloro che dubitano di questa modalità di manifestare le proprie contrarietà. Ma queste leggi arrivano perché noi per primi, dal ’68 in poi in modo palese, abbiamo contribuito a corrompere l’ideale della famiglia con il nostro disimpegno quotidiano verso essa (politici “cattolici” compresi). Se l’oceanico evento di ieri non ci spronerà a tornare con più vigore nel testimoniare il valore della famiglia laddove viviamo, fianco a fianco con gli altri uomini, allora sarà servito a poco. Rimanderà l’equiparazione legislativa tra unione e famiglia, magari (si spera), ma non permetterà all’Italia di essere davvero il faro morale dell’Europa su questo tema. Tuttavia, l’assenza di una corruzione legislativa della società naturale -così la famiglia viene definita nella nostra Costituzione- e la presenza di un popolo che si è alzato per difenderla, ci inorgoglisce ugualmente e ci porta a dire, come fa il card. Ruini, che siamo noi ad esprimere la vera modernità.

 

Sulla famiglia l’Europa deve cambiare, ce lo chiede l’Italia.

 

La redazione

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