Andrea Nicolotti e la Sindone, un approccio apologetico e poco scientifico

SindoneChe il responso sulla Sacra Sindone sia una «provocazione all’intelligenza», secondo le parole di Giovanni Paolo II, è dimostrato dal grande dibattito in corso tra “autenticisti” e “negazionisti”. I credenti sanno bene che nessun miracolo è indispensabile alla loro fede, mentre i non credenti sanno altrettanto bene che un solo miracolo è deleterio per la loro fede. Il confronto di posizioni dovrebbe partire sempre da questo assunto.

Non avviene così, purtroppo, lo abbiamo fatto notare pochi mesi fa commentando le recensioni elogiative all’ultimo libro di Andrea Nicolotti sulla (anzi, “contro”) l’autenticità della Sacra Sindone (intitolato “Sindone. Storia e leggende di una reliquia controversa”), da parte di tre storici, noti per il loro fervente laicismo anticlericale e per non essersi mai occupati della Sindone, interessati a sostenere mediaticamente il lavoro del ricercatore piemontese per chiari intenti ideologici ed apologetici.

Sappiamo bene, tuttavia, che il dibattito è composto, come sempre, da favorevoli e contrari. Non si può non dire, infatti, che Nicolotti ha ricevuto parecchie obiezioni, come quelle contenute nel recente volume “2015. La nuova indagine sulla Sindone“ (Priuli&Verlucca 2015), da noi recensito, il quale si rifà -rispetto al dibattito storico- al precedente libro di G.M. Zaccone, “La sindone. Storia di una immagine” (Paoline Editoriale Libri 2010).

Altre obiezioni al suo ultimo libro, anch’esse decisamente valide, sono arrivate da Emanuela Marinelli, fra i massimi studiosi della Sindone a livello internazionale, autrice del recente Luce dal sepolcro. Indagine sull’autenticità della Sindone e dei Vangeli” (Fede&Cultura 2015). La dott.ssa Marinelli ha sottolineato fin da subito ciò che qualunque lettore rileva appena si accosta ai lavori di Nicolotti, ovvero la pretesa di essere esperto di tutto, dai tessili antichi (p. 35, nota 10), alla fotografia (p. 215), dalle misurazioni al radiocarbonio (p. 318), ai pollini (p. 340, note 22, 23 e 24). E’ una sgradita sensazione che si rileva anche in precedenti volumi dell’autore, “I Templari e la Sindone –Storia di un falso” (recensito qui) e “Dal Mandylion di Edessa alla Sindone di Torino – Metamorfosi di una leggenda” (recensito qui).

Le 370 pagine sono un immenso sforzo per negare qualunque possibilità di autenticità della Sindone, operazione benemerita se basata su argomenti validi e documentati, meno convincente se invece si sostengono ipotesi decisamente ardite come quella che a Torino non vi sia la Sindone che si trovava a Lirey a metà del XIV secolo, o quella che (p. 215) ritiene che l’immagine sindonica non si comporti come un negativo fotografico (Nicolotti lo avrebbe capito dal colore giallo-paglierino dell’immagine). Allo stesso tempo, riflette Emanuela Marinelli, a screditare autenticità al suo lavoro sono i ripetuti tentativi di screditare gli «studiosi che esaminarono la Sindone nel 1978 (p. 265 e p. 276), colpevoli di aver portato numerose prove a favore dell’autenticità. Non potendo eliminare il valore dei lavori scientifici che scaturirono da quelle analisi, deve denigrare gli autori di tali pubblicazioni, sostenendo che erano “persone che già si occupavano della Sindone con inclinazione autenticista”. Non posso che sorridere», commenta la studiosa, «pensando a molti membri non cattolici dello Shroud of Turin Research Project, il gruppo di 33 scienziati americani che nel 1978 condusse misure e analisi sulla reliquia, pubblicando poi i risultati su prestigiose riviste referenziate. C’erano tra di loro protestanti, ebrei e atei che partirono per Torino curiosi ma scettici verso l’autenticità del celebre lenzuolo».

Non c’è testo, non c’è conferenza, non c’è libro dove Andrea Nicolotti non usi gran parte del tempo per deridere i “sindonologi” e tutti gli studiosi contrari alla tesi “negazionista”, elogiando contemporaneamente chi la pensa come lui. Una manichea divisione tra buoni e cattivi, oltretutto cadendo in evidenti contraddizioni. Un esempio: tesse infinite lodi al canonico Ulysse Chevalier, il quale negò l’autenticità della Sindone sulla base di una controversa lettera di Pierre d’Arcis (definito «gigante», p. 209), mentre sminuisce le conclusioni opposte di uno scienziato agnostico contemporaneo a Chevalier, Yves Delage, che in seguito ad approfonditi studi, sostenne invece l’identificazione dell’Uomo della Sindone con Gesù Cristo (venendo per questo screditato dalla società illuminista-razionalista di allora). Nicolotti scrive: «Lo scienziato non è soltanto un ininfluente spettatore degli eventi e dei risultati dei propri esperimenti, ma ne è talvolta l’autore, è colui che deve correttamente eseguirli e interpretarli. Egli può sbagliare, e talvolta s’inganna» (p. 227). «Questo, ovviamente, vale per Delage», commenta la Marinelli, «ma non per gli scienziati che hanno eseguito la prova radiocarbonica sulla Sindone con esito medievale…». Per il ricercatore piemontese, chi sostiene l’autenticità è sempre qualcuno di «scarsa cultura generale», come dice del card. Maurilio Fossati, arcivescovo di Torino dal 1930 al 1965, mentre chi la nega è «un uomo che della cultura aveva fatto una ragione di vita», come dice del card. Michele Pellegrino (pp. 246-247), successore di Fossati alla guida della diocesi di Torino. Buoni da una parte, cattivi dall’altra.

Apprezzabile invece l’approccio della Marinelli, divergente da quello di Nicolotti ma comunque rispettoso. Seppure sottolineando che «il grande limite di questo volume è la faziosità dell’autore», ha infatti riconosciuto che il suo libro contiene «pochissime sviste, d’altronde inevitabili». Le note apportate sono tantissime e questo certamente è sintomo di un approfondito lavoro di ricerca, tuttavia «il problema di Nicolotti è la sua interpretazione forzatamente negazionista delle fonti che cita e lo strano silenzio sulle fonti che non cita. Il suo intento è chiaro già dalla premessa (pp. IX-X)»: smentire la “sindonologia”, la propaganda e la falsificazione storico-scientifica, «capaci di incidere pesantemente sull’opinione comune». Peccato sia proprio lui a promuovere falsi storici elogiando l’esperto tessile Gabriel Vial, del Centre International d’Étude des Textiles Anciens di Lione, sostenendo che secondo lui la Sindone è medievale (p. 326). Una clamorosa svista, Vian (che la Marinelli conosce personalmente) non solo non lo ha mai detto ma in uno suo studio pubblico ha concluso scrivendo: «Se si tiene conto dei tre elementi costitutivi di un tessuto – la struttura, la materia prima, e le riduzioni di trama e ordito – si deve riconoscere che la Sindone di Torino è veramente “incomparabile”». «Se un giorno Nicolotti scoprirà che in realtà Vial non ha mai detto che la Sindone è medievale, lo precipiterà all’inferno dei ciarlatani sindonologi», ha commentato ironica l’esperta.

 

Sintetizziamo gli argomenti di Nicolotti con relative risposte (sintetizzate).

1) Silenzio nei primi secoli?
La Sindone non sarebbe autentica perché di essa si parlerebbe soltanto in tempi recenti, eppure quando un oggetto appare senza documenti sulla sua storia precedente non per questo è certamente falso, basti pensare ai Bronzi di Riace. Senza considerare, sopratutto, che la presenza della Sindone è invece rintracciabile ben prima di quanto comunemente si pensi (le monete di Giustiniano II del VII secolo, l’omelia di Gregorio il Referendario di Costantinopoli del 16 agosto 944, il documento di Nicola Mesarite, custode del palazzo imperiale di Bucoleone, del 1201 ecc.). E non si può certo liquidarle in fretta, come invece fa Nicolotti, dicendo che non si tratta della Sindone di Torino o elencando le reliquie false di cui siamo in possesso oggi o le stoffe erroneamente attribuite alla sepoltura di Gesù. «Come se l’esistenza di falsi Rolex», commenta la Marinelli, «fosse una prova che non possano esistere veri Rolex». Nemmeno si può togliere di mezzo definendolo «racconto miracolistico deformato» il testo di Robert de Clari in La conquête de Constantinople, in cui descrive la Sindone prima della caduta di Costantinopoli (12 aprile 1204) nelle mani dei Crociati Latini.

 

2) La scienza ignora la Sindone?
Un’altra tesi di Nicolotti è che la scienza ignorerebbe la Sindone, basterebbe recarsi a questo elenco per apprezzare almeno trecento articoli sulla Sindone pubblicati su riviste scientifiche e riviste specializzate-divulgative, oltretutto con argomentazioni opposte a quelle di cui si è convinto lo studioso piemontese. Anche la sua nota e ripetuta accusa alla “sindonologia” come pseudoscienza riceve adeguata risposta: «La sindonologia non raduna tutti gli appassionati della Sindone ma tutte le discipline che hanno condotto studi sulla reliquia e questi studi sono stati effettuati nei vari campi delle scienze, almeno trenta: anatomia, antropologia, archeologia, biologia, chimica, diritto romano, eidomatica, esegesi biblica, fisica, fotografia, genetica, giudaismo, iconografia, informatica, matematica, medicina legale, microbiologia, microscopia, mineralogia, numismatica, palinologia, paleografia, patologia, radiologia, scienza dei tessuti, storia, storia dell’arte, tanatologia, teologia, traumatologia. Dire che la sindonologia è una pseudoscienza è come dire che la laurea in Scienze Naturali, formata da tante discipline, è una pseudolaurea».

 

3) Storia della tessitura
Nicolotti scrive di aver «dedicato alcuni mesi alla ricognizione di tutta la letteratura scientifica sull’argomento, consultato diversi esperti di storia della tessitura e controllato uno a uno tutti gli esemplari di stoffa antica che si pretende siano accostabili a quella sindonica». Eppure gli è sfuggito quanto ha scritto John Tyrer, esperto tessile degli AMTAC Laboratories di Altrincham (GB): «È noto che prima del 120 a.C. in Cina si sono sviluppati telai a quattro licci che erano in grado di produrre complesse tessiture ad armatura saia […]. Tenendo conto dell’alta tecnologia nel mondo antico circostante, sarebbe ragionevole concludere che tessili di lino con filati di torcitura Z e tessitura saia inversa 3/1, simile alla Sindone di Torino, potrebbero essere stati realizzati nella Siria o nella Palestina del primo secolo». Esistono inoltre scoperte archeologiche che confermano l’esistenza nel mondo antico di telai in grado di produrre manufatti delle dimensioni sindoniche, così come è precedente all’era cristiana la tessitura “a spina di pesce”.

 

4) Il Memoriale di Pierre d’Arcis, il vescovo di Troyes.
Questo è il vero cavallo di battaglia di Andrea Nicolotti: il vescovo d’Arcis sostenne attraverso un Memoriale (che non esiste in forma originale, il primo a parlarne fu il presbitero razionalista ed illuminista Ulysse Chevalier) che il suo predecessore, il vescovo Herny de Poitiers, avrebbe svolto un’indagine sul sacro lino scoprendo la sua non autenticità poiché aveva identificato un pittore (anonimo) che ammise di averla dipinta. La questione sul Memoriale di d’Arcis è stata affrontata in un precedente articolo al quale rimandiamo.

 

5) Assenza di sangue, Garlaschelli e Pesce Delfino.
L’approccio non scientifico di Nicolotti emerge sopratutto nell’ultimo capitolo, quando avvalora l’indagine del microscopista Walter McCrone, che ritiene la Sindone realizzata con ocra e vermiglione e nega la presenza di sangue, senza citare il fatto che le sue affermazioni vennero completamente smentite da due scienziati americani non cattolici, John H. Heller e Alan D. Adler, tramite una pubblicazione sul Canadian Society of Forensic Sciences Journal (confermato in un secondo studio). Nicolotti si limita a riportare genericamente: «I sindonologi hanno prodotto altri studi orientati a neutralizzare le conclusioni di McCrone, ma non è questo il luogo per discutere di chimica e microscopia». Replica della Marinelli: «Ah, adesso non è questo il luogo? Comodo, eh? Anche perché sono proprio la chimica e l’analisi microscopica a rivelare i dettagli a tutt’oggi irriproducibili che rendono unica l’immagine sindonica».

Uscendo ancora una volta dal suo campo di competenza, l’assegnista di ricerca tesse le lodi ai “buoni”, in questo caso Vittorio Pesce Delfino e Joe Nickell (studioso del paranormale) -artefici delle riproduzioni con bassorilievo, scaldato il primo e strofinato il secondo- e di Luigi Garlaschelli, citando un suo articolo scientifico ma guardandosi bene dal menzionare le critiche ricevute sullo stesso giornale da altri scienziati. Nemmeno un accenno alla risposta data a Garlaschelli e agli autori delle seconde sindoni da parte dei fisici dell’ENEA di Frascati (autori di un importante studio sulla formazione dell’immagine): «la mal riuscita copia di Garlaschelli, al contrario di quanto dichiarato dal Professore, è una ulteriore dimostrazione di quanto sia improbabile che un falsario del Medioevo abbia potuto realizzare la Sindone senza microscopio, senza conoscenze medico-legali, senza un laboratorio chimico attrezzato come quello del Prof. Garlaschelli».

 

6) Esame al radiocarbonio.
Il controverso test radiocarbonico del 1988 ha collocato l’origine della Sindone fra il 1260 e il 1390 d.C., su di esso persiste un decennale dibattito dovuto agli evidenti errori e stranezze che accaddero quel giorno (con tanto di documentario) e durante l’esame dei laboratori. Per Nicolotti però non esiste alcun dibattito, soltanto reazioni «scomposte e dilettantesche» (p. 315). Arriva anche a sostenere che «il pezzo tagliato per la datazione non era su un margine» (p. 347, nota 143), quando basterebbe aver osservato le foto del prelievo. Come negare che vennero estromessi all’improvviso tutti gli esperti della Sindone, che il programma delle operazioni di prelievo dei campioni venne inspiegabilmente rivoluzionato a poche ore dall’inizio dei lavori, e che fu prelevato un campione nella zona più contaminata di tutta la Sindone, come ha mostrato il fisico Harry Gove, il padre della moderna datazione radiocarbonica, autore in merito di un articolo scientifico, scritto con Garza Valdés (microbiologo che ha individuato un rivestimento bioplastico sulla stessa zona del prelievo)?

 

La conclusione di Emanuela Marinelli sul lavoro di Andrea Nicolotti è ironica e intelligente: «Per lo storico piemontese, sulla Sindone non ci sono documenti storici antichi; quelli che parlano di una Sindone prima della metà del XIV secolo o sono falsi o parlano di altre stoffe, tutte false; i lavori scientifici che affermano che è autentica non valgono niente; i documenti storici autentici sono solo quelli che dicono che è falsa; i lavori scientifici attendibili sono solo quelli che sostengono che non è autentica. Con un quadro così deprimente e desolante. Non si capisce perché, allora, Nicolotti vada avanti a scrivere libri su questo argomento».

La redazione

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Il Paradiso sarà noioso? No, è la realizzazione piena ed eterna dell’uomo

paradisoDiciamo solitamente che il Paradiso è un piacere enorme, una felicità grandissima. Ma, in fondo, usiamo sempre una nostra misura. Per altre religioni (l’Islam, per esempio) il Paradiso è realmente così: fiumi di latte e miele, datteri, cibo, donne… Un’abbondanza straripante di cose che ci piacciono, che vorremmo avere sempre con noi e che qui non abbiamo.

Invece, è proprio un’altra cosa. Non tanto: tutto. E per sempre. Qual è la differenza? Ti ricordi quando hai visto per la prima volta il mare? Quando è capitato a me, prima di arrivarci pensavo: beh, sarà come un lago più grande. Due o tre laghi messi assieme. Poi sono arrivato in spiaggia, ho visto l’acqua. Ma ho visto anche che davanti non c’era un confine, altro che “un grande lago”: era proprio un’altra cosa. Lo so, è un esempio banale. Forse troppo.

Meglio partire da quello che dice la Chiesa: «Il “cielo” è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva. Quelli che muoiono nella grazia di Dio e non hanno bisogno di ulteriore purificazione sono riuniti attorno a Gesù e a Maria, agli angeli e ai santi. Formano così la Chiesa del cielo, dove essi vedono Dio a “faccia a faccia” (1 Cor, 13,12), vivono in comunione con la Santissima Trinità e intercedono per noi» (Compendio, 209).

Ecco il Paradiso è quello: vedere Dio “faccia a faccia”. Stare con lui. Per sempre. Domanda: ma che cosa vuol dire vedere Dio “faccia a faccia”? E dopo che l’ho visto? Vedi, che cosa significa “un’altra cosa” rispetto a quello che pensiamo noi? Noi abbiamo in mente certe immagini, spesso rese ancora più banali da un certo modo di raffigurarle: le nuvolette, le tuniche bianche, San Pietro con le chiavi. E un signore seduto più in alto di tutti, con la barba bianca e la faccia un po’ severa. Roba che ormai ci sembra buona solo per le barzellette o per gli spot televisivi. Beh, se si trattasse di stare per sempre a guardare in faccia un tipo così…

Invece, se Dio è colui che colma per sempre il tuo cuore, il tuo desiderio di felicità, di compimento, allora stare “faccia a faccia” con lui è una felicità assoluta, sempre. Come avere sete e bere sempre. Attento: non “aver la pancia sempre piena”. Ma bere sempre, cioè una soddisfazione continua, eterna. Perché quando hai sete la soddisfazione non è dopo, quando hai riempito la pancia di acqua, ma sta nel bere, no?

Insomma, immagina la felicità che hai provato nel momento più felice della tua vita. Immagina che quella felicità duri per sempre, proprio come desiderava il tuo cuore in quel momento. Stare “faccia a faccia” con Dio è molto di più di questo. Però, vedi, alla fine usiamo sempre delle immagini. Magari ci fanno intuire qualcosa, ma è davvero torppo poco. La cosa importante è che teniamo a mente questo: è proprio un’altra cosa, infinitamente più bella e buona del bello che riusciamo ad immaginarci.

Perché ha dentro l’eterno e l’infinito. Attento bene, però: c’è un luogo dove l’eterno e l’infinito sono già entrati nella storia. Abbiamo già iniziato ad “assaggiarli”, a sperimentarli. Possiamo già vivere qui un anticipo di paradiso.Come? Stando con Cristo, sperimentando il centuplo quaggiù di cui abbiamo già parlato.

 

di Davide Perillo, tratto da La fede spiegata a mio figlio (Piemme 2007, p. 76-78)

 

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Umberto Eco: «Gesù Cristo è un miracolo anche per i laici inquieti come me»

Umberto EcoE’ morto ieri a 84 anni Umberto Eco, famoso semiologo e scrittore. Come sempre, quando muore un personaggio famoso il web viene inondato di articoli, citazioni, hashtag. Poi, dal giorno dopo, si tornerà ad ignorarlo.

Lui stesso, in un suo celebre intervento, ricordò che internet ha «diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel».

Di certo, per quanto ci riguarda, non lo abbiamo mai ignorato e mai gli abbiamo risparmiato critiche, soprattutto quando fu autore di una infelice uscita contro la grandezza intellettuale Benedetto XVI. Si alzò un grosso polverone e diversi intellettuali presero le difese del Papa emerito, come il filosofo laico Costanzo Preveintervenne duramente contro Eco- e il filosofo Nikolaus Lobkowicz, rettore dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco, che rispose: «Ratzinger, come Hans Urs von Balthasar o Henri de Lubac mezzo secolo fa, è uno degli uomini più colti del nostro tempo e anche uno dei più colti della lunga storia dei vescovi di Roma»Siamo intervenuti anche per replicare alle sue avventate considerazioni sul monoteismo violento e politeismo pacifico, stupiti che un uomo di cultura come lui potesse aderire ad una leggenda del genere. Credeva ed elogiava i “valori marxisti”, dimenticando cosa terribilmente accadde nel ‘900 alle società (poi dittature) che li accolsero come guida morale.

Inutile negarlo, non abbiamo mai stimato Umberto Eco. E d’altra parte non è facile stimare una persona che non ha mai chiesto scusa per essere stato uno dei responsabili del violento appello contro Luigi Calabresi, il quale venne definito «commissario torturatore» e accusato, senza prove, della morte di Pinelli. Quella lettera scatenò una campagna diffamatoria che culminò con l’assassinio di Calabresi. Nessuna scusa da parte dei firmatari, tra i quali Eco, che sono poi tutti i moralisti laici di Repubblica: Furio Colombo, Roberto D’Agostino, Margherita Hack, Dario Fo, Dacia Maraini, Massimo Teodori, Eugenio Scalfari ecc.

Oggi però vorremmo ricordare quello che abbiamo apprezzato di lui, onorare la sua memoria cercando di trarre ciò che di positivo riteniamo ci abbia lasciato. Innanzitutto la sua realistica visione sul Medioevo, niente secoli bui ma un’«epoca gloriosa», ha scritto recentemente, il cui risultato è «quella che chiamiamo oggi Europa, con le sue nazioni, le lingue che ancora parliamo, e le istituzioni che, sia pure attraverso cambiamenti e rivoluzioni, sono ancora le nostre». Perché «che il Medioevo non è quello che il lettore comune pensa, che molti affrettati manuali scolastici gli hanno fatto credere, che cinema e televisione gli hanno presentato»

Il suo funerale si svolgerà, secondo le sue volontà, in forma laica al Castello Sforzesco di Milano, una scelta coerente perché Eco si convertì dal cattolicesimo all’illuminismo e al postmodernismo, optando per un approccio debole alla verità. Una apostasia meditata, che lo portò ad una “fede nel dubbio”. Scrisse: «La psicologia dell’ateo mi sfugge perché kantianamente non vedo come si possa non credere in Dio, e ritenere che non se ne possa provare l’esistenza, e poi credere fermamente all’inesistenza di Dio, ritenendo di poterla provare» (U. Eco, “In cosa crede chi non crede”, Liberal 1996, p.23). Raccontando la sua parabola esistenziale, disse: «La prospettiva laica non è stata per me una eredità assorbita passivamente ma il frutto, molto sofferto, di una lunga e lenta mutazione, e sono sempre incerto se certe mie convinzioni morali non dipendano ancora da una impronta religiosa che mi ha segnato alle origini. Tuttavia credo di poter dire su quali fondamenti si basa oggi la mia “religiosità” laica; perché fermamente ritengo che ci siano forme di religiosità, e dunque senso del sacro, del limite, dell’interrogazione e dell’attesa, della comunione con qualcosa che ci supera, anche in assenza della fede in una divinità personale e provvidente» (In cosa crede chi non crede,  Liberal Libri 1996, p. 22).

Un laico turbato, non certo un ateo, proclamava il diritto della Chiesa ad intervenire pubblicamente nella società: «Quando una qualsiasi autorità religiosa di qualsiasi confessione si pronuncia su problemi che concernono i princìpi dell’etica naturale, i laici debbono riconoscerle questo diritto: possono consentire o non consentire sulla sua posizione, ma non hanno nessuna ragione per contestarle il diritto di esprimerla, anche se si esprime come critica al modo di vivere del non credente. Non ritengo esista il diritto inverso. I laici non hanno diritto di criticare il modo di vivere di un credente. Non vedo perché debbano scandalizzarsi perché la Chiesa cattolica condanna il divorzio: se vuoi essere cattolico non divorzi, se vuoi divorziare fatti protestante. Io confesso che sono persino irritato di fronte agli omosessuali che vogliono essere riconosciuti dalla Chiesa, o ai preti che vogliono sposarsi.  Ci sono ricevimenti (laicissimi) in cui è richiesto lo smoking, e sta a me decidere se voglio piegarmi a un costume che mi irrita, perché ho una ragione impellente per partecipare a quell’evento, o se voglio affermare la mia libertà standomene a casa» (In cosa crede chi non crede,  Liberal Libri 1996, p. 13).

Nelle lettere che scrisse al card. Carlo Maria Martini, il celebre semiologo toccò una profondità che mai abbiamo più ritrovato nei suoi libri. Bellissime le sue parole, da non credente, verso la figura di Gesù Cristo: «se Cristo fosse pur solo il soggetto di un grande racconto, il fatto che questo racconto abbia potuto essere immaginato e voluto da bipedi implumi che sanno solo di non sapere, sarebbe altrettanto miracoloso (miracolosamente misterioso) del fatto che il figlio di un Dio reale si sia veramente incarnato. Questo mistero naturale e terreno non cesserebbe di turbare e ingentilire il cuore di chi non crede». Così, «io ritengo che un’etica naturale – rispettata nella profonda religiosità che la anima – possa incontrarsi coi princìpi di un’erica fondata sulla fede nella trascendenza, la quale non può non riconoscere che i princìpi naturali siano stati scolpiti nel nostro cuore in base a un programma di salvezza» (In cosa crede chi non crede,  Liberal Libri 1996, p. 25).

Oggi che Umberto è tornato alla casa del Padre possiamo solamente augurargli che quel “programma di salvezza” che riconobbe dentro di sé si sia realmente attuato, per lui. Un laico inquieto, dal cuore turbato e gentile.

La redazione

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Il Papa scrive ad Antonio Socci: l’abbraccio di Francesco ad un fratello in difficoltà

lettera a socciNessuno ha ripreso la notizia, eppure la riteniamo importante. Un segno del grande spessore umano di questo Pontefice, capace di testimoniare l’essenza del cristianesimo con i suoi gesti, le sue azioni. Più che con le parole.

L’ultima grande testimonianza di Papa Francesco è stata rispondere al giornalista di Libero, Antonio Socci, suo noto denigratore. Socci gli ha inviato una copia del suo ultimo libro con lettera allegata e il Papa ha risposto, di suo pugno, con parole d’affetto, benedicendolo, addirittura ringraziandolo per le sue critiche.

Un’iniziativa che riempie di ammirazione se pensiamo che ogni giorno, da due anni a questa parte, Antonio Socci riserva a lui le più demenziali critiche anticlericali. Ecco solo le più recenti: «Bergoglio è un “sinistrino” che vuole trasformare la Chiesa in succursale di “Repubblica” e di Greenpeace e rottamare la dottrina e la tradizione» (Libero, 07/02/16); «Bergoglio rosica di brutto per il successo del Family Day perché detesta questo popolo immenso che si è radunato in difesa della famiglia» (Libero, 31/01/16); «Bergoglio prova ostilità per noi cattolici, fedeli al Magistero di sempre della Chiesa» (Lo Straniero, 31/01/16); «Una forte incidenza dei cattolici nella vita pubblica di fatto sarebbe una sconfessione della linea “argentina” di Bergoglio, che punta a ridurre i cattolici all’insignificanza e a renderli subalterni alle correnti del “politically correct”» (Libero, 29/01/16); «Bergoglio disprezza i cristiani, specie i più eroici» (Libero, 12/11/15); «Bergoglio quando sente parlare di Eucarestia si rabbuia, preferisce sempre altri impegni quando si tratta di star lontani dall’Eucarestia» (Facebook, 12/02/16);

E ancora: «Bergoglio preferisce gli orrori del comunismo al consumismo» (Facebook, 06/02/16); «Bergoglio imperversa dentro e fuori del Sinodo cercando di influenzarlo, condizionarlo e teleguidarlo in tutti i modi, interviene a gamba tesa per bastonare i cattolici e spingere il Sinodo verso i dissolutori. Lo fa dall’esterno con gli aggressivi comizi di santa Marta» (Facebook, 07/10/15); «Da quando è arrivato in Vaticano Bergoglio ha trasformato la Santa Sede: non più la roccia di difesa della fede cattolica ma una macchina di esaltazione e di propaganda del mito planetario Giorgio Mario Bergoglio» (Libero, 10/01/16); «Bergoglio si comporta come il sovrano di uno stato teocratico che non riconosce né il diritto della libera stampa, né le garanzie processuali tipiche del diritto internazionale» (Libero, 26/11/15); «Bergoglio preferisce lo sputtanamento pubblico e generalizzato di tutti perché vuole vendicarsi di essere stato messo in minoranza in ben due Sinodi e non aver potuto imporre – per ora – le sue riforme eterodosse. Così adesso la fa pagare al mondo ecclesiastico» (Lo straniero, 20/11/15).

Ecco, di fronte a tutto questo il Santo Padre cosa fa? Si arrabbia? Lo liquida come un mitomane, un personaggio delirante? Nient’affatto, prende carta e penna e gli scrive: «Ho ricevuto il suo libro e la lettera che lo accompagnava. Grazie tante per questo gesto. Il Signore la ricompensi. Ho cominciato a leggerlo e sono sicuro che tante delle cose riportate mi faranno molto bene. In realtà, anche le critiche ci aiutano a camminare sulla retta via del Signore. La ringrazio davvero tanto per le sue preghiere e quelle della sua famiglia. Le prometto che pregherò per tutti voi chiedendo al Signore di benedirvi e alla Madonna di custodirvi. Suo fratello e servitore nel Signore, Francesco». Una grande testimonianza.

Papa Francesco non è comunque nuovo a queste iniziative, nel novembre 2013 aveva telefonato anche al compianto Mario Palmaro, anche lui critico verso il suo pontificato. Antonio Socci, ai tempi, difendeva Francesco, scrivendo: «mi spiace per Gnocchi e Palmaro, ma un cattolico non può irridere il Papa o accusarlo di eresia con la leggerezza di un articoletto di giornale» (quello che inizierà a fare lui stesso su Libero poco tempo dopo, irridendo come bergoglionate i suoi discorsi). Anche in quel caso, invece, il Papa scelse di chiamare Palmaro, facendogli sentire la sua vicinanza: «aveva compreso che quelle critiche erano state fatte con amore e come fosse importante, per lui, riceverle», spiegò commosso il noto bioeticista, deceduto nel marzo 2014.

E’ un Pontefice che, quando può, va lui incontro a chi è lontano, a chi si sta allontanando, gli tende una mano, anzi lo abbraccia, gli scalda il cuore. Ed è fuori di dubbio che Antonio Socci si trovi oggi in un periodo difficile della sua vita, un lungo momento di crisi personale. Lo scrive lui stesso: «Ho buttato alle ortiche quello che il mondo definisce “prestigio”, costruito in decenni di lavoro, per diventare un reietto nel mondo cattolico, che è la mia casa. Diventato di colpo un “appestato”, in questi due anni ho fatto indigestione di insulti. Quelli più frequenti sono stati i seguenti: “sei un indemoniato” e “sei impazzito”».

Ma è Socci ad essersi isolato, a rimanere incastrato nelle sue profezie apocalittiche, nel suo catastrofismo, nel suo personaggio ideologicamente anti-bergogliano. I suoi articoli sono un continuo ammonimento all’«ombra apocalittica», alla «minaccia atomica planetaria», all’«autodistruzione dell’umanità», all’«esplosione globale», agli «scenari apocalittici» (già detto?). E’ difficile per molti cattolici (definiti da lui “papolatri” perché seguono il Papa senza trovare motivi di critica) accettare di veder strumentalizzati i santi e i beati, dei quali Socci estrapola citazioni per contrapporli a Francesco. Una grave ingiustizia verso la loro memoria e di certo non sono contenti nel vedersi usati come bastone contro il successore di Pietro e come strumento per scandalizzare la fede dei lettori. Sul Foglio Maurizio Crippa, dopo aver definito “fantasy allucinogeno” e “panzana sedevacantista” il suo libro sul Papa, ha criticato Socci proprio per l’uso strumentale perfino di don Luigi Giussani, che dice essere suo padre spirituale, «soprattutto per scagliarlo come un’arma contro il Papa. Giussani non l’avrebbe mai fatto né permesso, e questa è una porcata inaccettabile». Lo stesso comportamento il giornalista di Libero lo attua con i predecessori del Papa, soprattutto Benedetto XVI, senza mai aver avuto il coraggio di pubblicare le parole di pieno e spontaneo sostegno che più volte il Papa emerito ha rivolto a Francesco.

Anzi, prima di entrare in crisi, fu lo stesso Socci a scrivere: «Questi sedicenti ratzingeriani dimenticano che papa Benedetto ha proclamato fin dall’inizio la sua affettuosa sequela al nuovo papa. Se non si crede questo, come ci si può dire cattolici?». Era lui stesso, quindi, a voler isolare i “sedicenti ratzingeriani” che contrapponevano Francesco al suo predecessore, dubitando addirittura della loro fede cattolica. Lo stesso che è capitato anche a lui quando, poco tempo dopo, ha iniziato a comportarsi nello stesso modo che prima veementemente criticava. Addirittura definì “fondamentalisti” coloro che denigravano il Pontefice credendo alle parole che Eugenio Scalfari gli ha attribuito nei suoi articoli su Repubblica: «Il fondamentalista non riflette su come quella frase sia stata veramente detta dal Papa e magari su com’è stata capita e riportata da Scalfari, non coglie la circostanza colloquiale, né il fatto che Bergoglio parla in una lingua che non è la sua e che non padroneggia alla perfezione. Infine tutto andrebbe valutato alla luce del vero e costante magistero ufficiale di papa Francesco». Oggi il suo cavallo di battaglia sono proprio le parole che Scalfari ha messo in bocca a Francesco, quindi nel 2013 si è dato del “fondamentalista” da solo.

Tornando alla lettera ricevuta, purtroppo è stata già usata dal giornalista di Libero come vanto personale: «Oggi però le parole che Francesco mi ha scritto fanno giustizia di mesi e mesi di insulti». Il Papa ha ringraziato Socci, così come l’amato Papa emerito, Benedetto XVI, ringraziò Piergiorgio Odifreddi nella lettera che inviò di suo pugno al matematico ateo. Queste lettere non fanno giustizia né a Socci, né a Odifreddi, i due Pontefici non riconoscono come vere le accuse che vengono loro rivolte. Al contrario, fanno giustizia alla grande umanità cristiana di questi due Papi, che dimostrano la loro libertà e non hanno remore nel porgere l’altra guancia ai loro frenetici accusatori. Un grande esempio «di umiltà e di paternità», come infatti scrive giustamente Socci.

Una lezione a tanti cattolici, noi compresi, che guardano ormai indifferenti verso Antonio Socci, relegandolo ad una “scheggia impazzita”. Invece no, sbagliano e sbagliamo! Papa Francesco ci ha insegnato che un fratello ferito, in difficoltà, confuso, va comunque abbracciato, va rincuorato e da lui bisogna trarre anche quel poco di utile che certamente c’è, ringraziandolo per questo. Una lezione di umiltà. La stessa che servirà tanto anche a Socci, quelle del Papa «sono parole che non lasciano indifferenti», ha infatti scritto. Speriamo davvero che servano a frenare il suo imponente orgoglio che lo ha portato a convincersi davvero di essere il custode della Santa dottrina contro il “partito di Bergoglio”, quello che vorrebbe far affondare la Chiesa. Combattendo il suo stesso popolo pur di affermare se stesso stesso, i suoi libri e le sue idee su come dovrebbero comportarsi vescovi, cardinali, il Vaticano e il Santo Padre. Ed invece, come ci ha detto il card. Camillo Ruini, «bisogna essere ciechi per non vedere l’enorme bene che papa Francesco sta facendo alla Chiesa».

Questa lettera, inviata a Socci, è uno dei tanti esempi.

La redazione

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I nuovi libri che bisogna assolutamente leggere (novembre 2015 – gennaio 2016)

LibriCome essere presenza efficace nel mondo senza formarci una cultura sul mondo? Un grande aiuto a questo è senz’altro leggere e documentarsi continuamente in modo da fortificare i nostri giudizi sui grandi temi, per questo ogni tre mesi segnaliamo, di volta in volta, i nuovi libri che riteniamo più interessanti e che, seppur non tutti, andranno ad integrare la nostra biblioteca virtuale. Qui sotto le migliori pubblicazioni uscite tra novembre 2015 e gennaio 2016.

 
 

Ipotesi su Maria (nuova edizione) di Vittorio Messori (Ares 2015)
Best e long seller mondiale, con all’attivo diverse ristampe, è stato ristampato in una nuova edizione con l’aggiunta di 13 nuovi capitoli (qui ne abbiamo pubblicato uno).

Il destino ultimo di Angelo Pizzetti (If Press 2015)
Come il destino ultimo è pensato al di fuori del cristianesimo, nelle diverse filosofie e religioni? Come esso si concepisce a seguito dell’incontro con Cristo? Un bel libro del teologo Angelo Pizzetti, “di sana ed intelligente apologetica della fede” secondo il commento di S.E. Mons. Luigi Negri nella sua prefazione.

Lo sguardo e la speranza – La vita è bella, non solo nei filmMario Melazzini (San Paolo 2015)
Mario Melazzini è un medico e un malato di SLA, nel libro ripercorre la sua esperienza a contatto con il dolore e la disabilità, dimostrando quanto si possa sperimentare la dignità e la gioia della vita anche in queste difficili condizioni. Una bellissima testimonianza di fronte alla cultura dello scarto.

Essere conservatore di Roger Scruton (D’Ettoris 2015).
Il filosofo Roger Scruton è la voce della cultura conservatrice europea, alla quale ormai è legata la definizione di cultura reazionaria, oscurantista. Il libro vuole essere una spiegazione di cosa significhi “conservare” ciò che ci è stato tramandato ma non per uno sterile legame a ciò che non c’è più. Essere conservatori non significa restare legati a ciò che è passato, ma vivere in ciò che è sempre. Per questo il conservatore non è un reazionario, ma un uomo inquieto che combatte per difendere ciò che ama.

L’umano tra natura e cultura – Umanesimo in questione di Andrea Aguti e Luigi Alic (Ave 2015)
Formato da contributi di diversi intellettuali e filosofi ( M. De Caro, L. Alici, E. Berti ecc.), il libro riflette sulel questioni più significative che ruotano attorno al binomio concettuale natura/cultura, sul tema del naturalismo e la sfida che esso pone alla fede cristiana.

Libertà dalla droga – Diritto, scienza, sociologia di Alfredo Mantovano, Giovanni, Serpelloni e Massimo Introvigne (Sugarco 2015)
Il sociologo Introvigne, l’ex magistrato Mantovano e il dott. Serpelloni, per anni a capo del dipartimento delle Politiche Antidroga, dell’Osservatorio e del Sistema di allerta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dimostrato -dati alla mano- l’efficacia della legge italiana contro la droga, a partire dalla riduzione del consumo di stupefacenti, dalla contrazione del numero di tossicodipendenti in carcere, dall’abbattimento dei decessi causati dalla droga, dall’aumento delle persone avviate a percorsi di recupero. Ampia attenzione viene data alla cannabis, presentando gli esiti della letteratura scientifica ed evidenziando come in essa non vi sia nulla di “leggero”.

Contro l’umanismo e il cristianismo di Rémi Brague e Elisa Grimi (Cantagalli 2015)
Di fronte alla perdita dei legami sociali e del fallimento delle ideologie ateiste e socialiste, i due autori -il celebre filosofo francese e la giovane filosofa italiana- propongono una rinascita dell’umanesimo, innervato dalla cultura cristiana.

Diciamoci la verità: non è tutto una favola di Sergio Belardinelli e Robert Spaemann (Cantagalli 2015)
La verità è un discorso dogmatico, ostile alla libertà individuale? No, i due celebri autori, un sociologo e un filosofo, toccando i temi più scottanti del nostro tempo, conducono a riscoprire la possibilità della verità, alla faccia del relativismo di cui è imbevuta la società.

Hegel ovvero l’esistenza di Dio di Giuseppe Rensi (Castelvecchi 2016)
Una riscoperta del pensatore tedesco e la sua chiara e rigorosa dimostrazione dell’esistenza di un Essere Supremo.

Dizionario elementare di apologetica di Gianpaolo Barra, Mario A. Iannaccone e Marco Respinti (Il Timone 2016)
Oltre 140 “voci” compilate da 36 esperti: storici e archeologi, esperti di bioetica, teologi, medici, psicologi, scienziati ed economisti. L’obiettivo è sfatare, ancora una volta, le leggende nere contro il cristianesimo, dal caso Galilei all’accusa ai secoli bui, dalla morte di Ipazia a Giordano Bruno. Definizione, obiezioni, risposte e suggerimenti bibliografici per un primo approfondimento.

Ai margini dell’universo, al centro del creato di Francesco Brancaccio (San Paolo 2016)
È possibile uno sguardo globale sull’uomo che integri le prospettive della scienza e della fede, senza concordismi forzati e nel rispetto delle specificità metodologiche di ciascuna? Quest’opera risponde in modo fiducioso, percorrendo con lucidità i più delicati nodi tematici del dialogo tra scienza e fede. Evoluzione e creazione, contingenza e finalismo, il problema del male, il rapporto tra mente e anima: temi affrontati con chiarezza e rigore, che conducono a illuminare l’apporto prezioso di scienza e fede nello spazio condiviso della ragione.

Il male: perché? di Giuseppe Summa (Editrice Domenicana Italiana 2016)
Dio e l’esistenza del male, il problema della cosiddetta teodicea. Un’esposizione del problema in modo preciso e semplice portando il lettore ad una conoscenza più profonda dell’essere umano e del problema del male.

La redazione

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Anche il Movimento 5 Stelle ora sperimenta la violenza Lgbt

ilmessaggero«Non è Sanremo, ma è la società che è ossessionata dai gay», scrive Piero Chiambretti. Non è vero, l’ossessione è solamente mediatica, infatti hanno vinto gli unici (o quasi) artisti senza nastrini arcobaleno e molto consenso hanno avuto le parole di Renato Zero sull’importanza della famiglia che ha un «significato e quel valore che i nostri genitori, perlomeno i miei, mi avevano così felicemente inculcato».

Certo, un discorso un po’ confuso, probabilmente impaurito dagli insulti che avrebbe ricevuto e che, comunque, sono puntualmente arrivati.  Qualcuno ha commentato ironicamente: «doveva essere tutto previsto: straccio arcobaleno in fronte o al polso, discorso empatico sui diritti e sull’amore che vince ogni ostacolo. E invece niente, l’ingranaggio si inceppa sul più bello. Non sia mai che il bombardamento mediatico a meno di una settimana dal voto in aula proprio sul ddl Cirinnà venga vanificato da chi, nel progetto degli organizzatori, avrebbe dovuto dare il colpo di grazia alle coscienze degli italiani a casa. E allora via con le invettive sui social, le accuse su blog e giornali, e nessuno che prenda in considerazione l’ipotesi più ovvia cioè che Renato Zero forse non è d’accordo con voi. Unanime lo stracciamento di vesti delle comunità LGBT e della stampa allineata: l’icona gayfriendly (poco conta il fatto che lui abbia sempre smentito questa presunta omosessualità) ha consumato il suo “tradimento” proprio lì, su quel palco, nell’anno dei nastrini arcobaleno e di Elton John».

E’ così, chi non si allinea viene massacrato, non solo verbalmente. Lo sanno bene le Sentinelle in Piedi, ad ogni loro manifestazione silenziosa almeno un paio finiscono in ospedale grazie al sodalizio tra associazioni Lgbt e gli spacca-vetrine dei centri sociali. Ad invitare al pestaggio sono persone come Beatrice Dondi, giornalista de L’Espresso e di Huffington Post (scuola Repubblica, ovviamente), autrice di un tweet in cui ha celebrato la manifestazione Lgbt “Sveglia Italia” paragonando chi si oppone alle unioni civili ai “fascisti”, «verso di loro nessun rispetto né tolleranza, vanno menati».  Menati in nome dei diritti, è chiaro.

sentinelle

Lo sa bene Mario Adinolfi, quotidianamente minacciato e insultato (lui e la sua famiglia) su Facebook ad ogni post che pubblica, volgarmente deriso per essere in sovrappeso da persone che dicono di contrapporsi alle discriminazioni verso le minoranze. Per loro e per l’on. Scalfarotto, che ha tentato di introdurre il reato d’opinione, l’unica minoranza è quella omosessuali, nessuna. Oggi Adinolfi può parlare ai convegni soltanto in presenza delle forze dell’ordine, come è accaduto pochi giorni fa a Bari, perché i “militanti per i diritti” non ritengono un diritto far parlare qualcuno che non è d’accordo con loro. Lo ha ammesso il già citato Ivan Scalfarotto, rifiutando l’invito ad un dibattito pubblico: «non intendo dibattere davanti a voi con un’associazione che difende la famiglia naturale, questo perché (giustamente) non mi è stata concessa l’opportunità di organizzare un dibattito a senso unico».

gazzettamezzogiorno

Verso chi non si allinea, si può dire di tutto. Ad esempio Guido Vitale, ex dirigente del violento movimento extraparlamentare di Lotta Continua -più volte arrestato negli anni ’70-, ha accusato il popolo del Family Day, in particolare il portavoce Massimo Gandolfini, di essere alleato con chi «brandisce il cristianesimo come una clava contro i migranti musulmani», paragonandolo a coloro che «danno la caccia ai ragazzini di colore» e ai movimenti «razzisti che stanno prendendo il sopravvento in tutti i paesi d’Europa»Paola Concia, dopo essere sparita dalla politica quando i suoi concittadini abruzzesi, pur di non votarla, le avevano preferito addirittura l’impresentabile Antonio Razzi, è tornata in Parlamento in questi giorni assoldando parlamentari per «combattere gli oscurantisti». Così definisce i politici contrari al ddl Cirinnà. Certo, sempre meglio dell’eurodeputato omosessuale del Partito Democratico, Daniele Viotti che, parlando dei cattolici del suo partito, ha scritto molto elegantemente: «Hanno rotto il cazzo!».

viotti

Tutto questo lo stanno imparando sulla propria pelle anche i parlamentari del Movimento 5 Stelle, rei di difendere il ddl Cirinnà ma di volerlo fare in modo onesto, senza canguri incostituzionali ma all’interno di un democratico dibattito parlamentare. Non hanno ceduto alle preghiere di Scalfarotto, che si è inginocchiato davanti al grillino Alberto Airola, dicendo: «Siamo nelle tue mani». Risposta: «Eh no, bello, tu sei un sottosegretario, prenditi le tue responsabilità». Per questo, si legge, i parlamentari M5S sono stati accerchiati e minacciati per strada da gruppi di omosessuali militanti.

In queste ultime ore il conduttore televisivo Costantino della Gherardesca, che si definisce «omosessuale freak, non gay appena usciti dalla manicure, quelli mi fanno orrore quanto gli omosessuali con tanto di professione di fede religiosa», ha scritto su Twitter: «Sono disposto ad ingrassare un chilo per ogni parlamentare grillino morto. Imponete ai grillini di mettere una spilla con un quarzo citrino sul baver. Voglio poterli riconoscere per strada e prenderli a calci». Lo stesso invitava poche ore prima a segnalare la pagina Facebook di Notizie Pro Vita per farla chiudere, perché proclamerebbe odio. Un po’ come hanno fatto gli hackers di Anonymous, autori dell’oscuramento di tutti i siti web degli organizzatori del Family Day.

gherardesca

Questi sono i difensori dei diritti civili, quelli che vorrebbero far progredire l’Italia per “toglierla dal medioevo”, quelli contro l’odio e a favore delle libertà, di pensiero e di parola. Ma appena qualcuno non si adegua all’egemonia arcobaleno saltano tutte le mascherine, contro di loro viene legittimato tutto: botte, censure, minacce di morte, impossibilità d’espressione, insulti. Un clima irrespirabile, non solo in Italia: l’attivista gay Peter Tatchell, infatti, ha annunciato di aver cambiato dopo la campagna diffamatoria contro la pasticceria cristiana di Belfast, che si era rifiutata di realizzare una torta con uno slogan a favore del matrimonio gay. «Si tratta di una violazione della libertà richiedere alle aziende di aiutare la promozione di idee a cui si oppongono con coscienza», ha scritto l’attivista inglese. «Voglio difendere la comunità gay ma anche la libertà di coscienza, di espressione e di religione».  E sempre più spesso, come abbiamo visto, comunità gay e libertà di pensiero e di espressione sono due cose profondamente contrapposte.

La redazione

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L’intervista a Marco Accetti: «Il caso Orlandi? Risolvibile, ma i magistrati…»

Marco AccettiIl 14 gennaio 2016, in seguito alla pubblicazione del nostro secondo dossier sul caso di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana scomparsa il 22 giugno 1983, abbiamo avuto una lunga conversazione telefonica con Marco Fassoni Accetti e qui di seguito riporteremo la trascrizione della telefonata (rivista e confermata dall’intervistato).

Fassoni Accetti si è presentato in Procura nel marzo 2013 autoaccusandosi di essere stato uno dei responsabili e dei principali telefonisti (il cosiddetto Amerikano) della sparizione di Emanuela e di Mirella Gregori, un’altra ragazza scomparsa un mese prima della Orlandi, raccontando un complesso e articolato scenario, evitando di fare chiamate di correità verso (presunti) sodali, divulgando un appello per invitarli a presentarsi spontaneamente. Gli inquirenti hanno svolto degli approfondimenti sugli elementi prodotti da Fassoni Accetti ma, poco prima della sentenza, il caso è stato tolto dalla responsabilità del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, autore fino ad allora delle indagini. Nell’ottobre 2015 il gip Giovanni Giorgianni ha deciso l’archiviazione del procedimento su richiesta del procuratore Giuseppe Pignatore, scrivendo: «la vicenda descritta da Marco Fassoni Accetti deve ritenersi non credibile e “frutto di un lavoro di sceneggiatura scaturito dallo studio attento di atti e informazioni acquisite negli anni” da parte di un soggetto con spiccate smanie di protagonismo».

Sentenza da rispettare ma che, valutando le motivazioni fornite dai magistrati, abbiamo ritenuto per nulla convincente, argomentando i nostri dubbi nella sezione del nostro dossier dedicata a Fassoni Accetti. Richiesta di archiviazione, oltretutto, che non è stata firmata dal dott. Capaldo, in forma di aperto dissenso. Marco Fassoni Accetti è stato conseguentemente accusato di calunnia e autocalunnia e subirà un processo, pochi giorni fa è iniziata la perizia psichiatria nei suoi confronti, chiesta dai pm per stabilire la capacità di intendere e di volere dell’indagato e la sua capacità di stare in processo. 

Abbiamo studiato il caso della scomparsa di Emanuela, al quale Marco Fassoni Accetti ha legato altri casi misteriosi (oltre a Mirella Gregori): quello di Catherine (Kathy) Skerl, di José Garramon e di Alessia Rosati. Chi vuole approfondire ha a disposizione il già citato dossier, nel quale abbiamo valutato punti forti e deboli per ognuna delle principali piste emerse fino ad oggi. Abbiamo chiesto a Marco Fassoni Accetti di commentare le nostre conclusioni, in particolare chiarire i punti deboli che abbiamo rilevato nel suo racconto (alla luce delle sue risposte è stato modificato anche il dossier). Alcune persone ci hanno chiesto di non riportare i loro nomi per intero, per gli altri abbiamo voluto noi evitare di scrivere il cognome, Fassoni Accetti si è comunque assunto la totale responsabilità delle accuse proferite. Per qualunque comunicazione è possibile scrivere a redazione@uccronline.it.

 
 
Sig. Fassoni Accetti [d’ora in poi MFA, NDA], abbiamo pubblicato un dossier sul caso Orlandi studiando anche la sua ricostruzione dei fatti: abbiamo rilevato diversi punti forti e altrettanti punti deboli. Mi interessava un suo giudizio, sopratutto un chiarimento sui punti deboli…
Si, è uno lavoro equilibrato, quello che avrebbero dovuto fare i giudici nelle loro conclusioni istruttorie, quello che avrebbero dovuto fare tanti giornalisti…

Ogni giornalista forse ha la sua tesi da difendere?
Esatto, stessa cosa i giudici. Pensi a come il giudice Giorgianni ha liquidato l’intercettazione della mia ex convivente [MFA si riferisce ad una intercettazione del 04/04/1997 tra lui e Ornella C., nella quale la donna lo minacciò di parlare alla polizia di Emanuela Orlandi: “adesso io comincerò a raccontare per telefono tutte le cose di una certa ragazza…di tutte le cose che tu hai fatto con questa ragazza […], parliamo di Emanuela Orlandi e di quello che vuoi fare con lei?”, NDA]. Hanno liquidato questa intercettazione perché io nella telefonata la chiamavo “pazza”: è la firma o di una negligenza o di una volontà. C’era la volontà di chiudere le vicenda in un certo modo. La stessa donna, interrogata, non ricorda e depone a favore del fatto che non fosse una questione importante e saliente…non c’è la volontà di indagare. Lo stesso giudice Capaldo -che sicuramente si risolveva, nelle sue conclusioni finali, ad indicarmi comunque come un organizzatore o un partecipante storicamente chiaro-, ha condotto un’istruttoria oscena nel senso che, se lui avesse mietuto più materiale, facendo i confronti e le intercettazioni, ben più difficilmente il capo della Procura poteva togliergli la possibilità di rinviare a giudizio o meno, se l’è cercata. Ecco, prendiamo per esempio P.D.B. -che Capaldo più di una volta mi ha confermato avere l’idea che era chiaramente una partecipante (assieme a Eleonora C. ed altre)-: bastava semplicemente, come gli ho suggerito tante volte (ma Capaldo è così…non saprei neanche definire il suo comportamento), bastava chiederle come fossero andati i fatti quella notte in quella caserma [per chi non capisce il riferimento, l’episodio di cui sta parlando MFA si trova qui, NDA], se ci fosse stata la presenza di Sica e, ricevendo risposta negativa, avrebbe dovuto chiedere alla donna come mai allora ha inventato questa storia, che motivo aveva, possibilmente mettendola a confronto con me. E lì poi procedere ad una perizia grafica. Invece, non ha controllato i fatti della caserma, non ha contro-interrogato la P.D.B., non ha proceduto ad un perizia grafica, non l’ha messa a confronto con me… e allora! E’ chiaro che poi Pignatone ti toglie l’inchiesta! Io non indico alcun nome, ma è anche inutile che lo faccia a questo punto. Ma non c’è bisogno nemmeno di farlo perché li conoscono benissimo: ci sono 6-7 ragazze che hanno individuato come partecipanti, chiaramente devi convocarle, intercettarle…invece loro le chiamano, fanno qualche domanda di rito e quando le ragazze negano allora “buonasera, grazie e finito lì”. Ma è logico!

Ecco, tornando al nostro dossier…
Avete fatto anche tanti errori, alcuni anche un po’ gratuiti perché bastava scartabellare nei documenti. Poi qualche considerazione un po’ avventata: ad esempio, quando scrivete che poiché queste donne, oggi, poiché sono madri di famiglia non malavitose dovrebbero sentire ancor di più la voce della coscienza [MFA si riferisce al primo punto debole che abbiamo individuato del suo racconto, NDA]. E’ invece vero il contrario: la donna di cinquant’anni, madre di famiglia con figli, non va ad esporsi facendo sapere che quando aveva 18-20 anni partecipò alla scomparsa di due ragazze, mettendo a repentaglio i figli e il loro futuro. Il vostro è un parallogismo terribile. La chiave di Filippo P. avete fatto bene ad inserirla [MFA si riferisce al sedicesimo punto forte da noi rilevato: ritiene che P.D.B. si nasconda dietro questo profilo Facebook, NDA]: la P.D.B. anticipa a modo suo, infantile, una possibile chiamata di correità -questo fin dall’inizio, parlo di due anni e mezzo fa-, inventando cose, nella sua ingenuità, che erano verificabilissime, come ad esempio la presenza di Sica. Bastava chiedere a tutti i carabinieri presenti quella notte…

Ho intervistato il tenente dei carabinieri che firmò il primo rapporto dell’interrogatorio, Roberto P., purtroppo si ricorda solo vagamente l’episodio e non riesce a confermare l’assenza in quella notte del magistrato Domenico Sica (il nome di quest’ultimo non compare nel rapporto)…
Dovrebbero comunque farlo i giudici questo…Il caso Orlandi è un caso risolvibilissimo perché sono tante le tracce ormai scoperte, ma non le hanno percorse. Pensi solamente al fornetto della Skerl: è vuoto! Basterebbe appurarlo, ma non lo fanno [nel settembre 2015 MFA ha dichiarato che nel 2005 la bara di Catherine Skerl sarebbe stata prelevata dal fornetto del cimitero Verano, smurato e poi richiuso, NDA]. Se interrogata, una amica della Alessia Rosati può testimoniare che dopo la scomparsa io e la Rosati, su un motorino, la cercammo e trovammo però -ricordo vagamente- dei ragazzi a cui chiedemmo dove poter trovare questa Claudia. Ma nessuno indaga, c’è come una volontà allucinata di non voler risolvere, ma è tutto scoperto.

Ho letto che i genitori stessi di Alessia Rosati hanno maturato dei dubbi proprio su questa amica, sostenendo che abbia mentito…
Si, ma non le chiedono nulla! Questa testimonianza di Claudia c’è, nessuno la verifica, la tomba della Skerl sta lì e nessuno la verifica. Tornando al caso Orlandi, bastava interrogare per bene queste persone. Pensi a questa Eleonora, che stava a Boston: tenete conto che, esattamente un anno prima, mi diede l’arma del padre perché io la usassi come…ora, una persona che ti consegna un’arma -questo però rientra nell’autonomia del giudice che deve comprendere le cose-, se una ti dà un’arma nell’82 figurati se non ti imbuca delle lettere [MFA si riferisce a dei comunicati relativi al caso Orlandi che nel 1983 partirono proprio dalla città di Boston, NDA]. Io con quell’arma, con tanto di matricola risalente a suo padre, potevo compiere rapine, omicidi ecc. Il furgone che usai per recarmi nella pineta era quello di suo padre, è chiaro che poteva benissimo imbucare delle lettere!

Certo, la coincidenza che proprio in quel periodo Eleonora C. si recava proprio a Boston a trovare il fratello è sorprendente, tuttavia la donna ha smentito davanti ai giudici di aver imbucato le lettere….
E’ il segreto di Pulcinella. Purtroppo i familiari della Orlandi si perdono in maratone, cerimonie, fanno la maglietta ecc. Basterebbe pretendere che si muovano pochi passi ma giusti, mirati, ed è tutto lì, finisce lì. Ora però, al processo che subirò, si tratterà di condannare e io pretenderò che l’accusa provi ogni singolo passo. Ad esempio, io so che l’avv. Egidio disse e l’Amerikano rispose, o viceversa: mi si deve dire in quale documento scritto io possa averlo letto e appreso. Questo rinvio a giudizio e questa archiviazione sono frasi in libertà che non provano nulla, è come il processo della pineta di trentadue anni fa, dove mi rinviarono a giudizio e poi dopo un’ora di Camera di consiglio sono stato rimosso dall’accusa [MFA si riferisce all’imputazione di omicidio volontario dopo l’investimento di José Garramon del 20 dicembre 1983, poi trasformatasi in condanna per omicidio colposo e omissione di soccorso per la quale ha scontato 18 mesi di carcere, NDA]. Per condannare devi provare mentre per rinviare a giudizio no, stai demandando l’esame ad una Corte. Il fatto che io avrei cercato i giornalisti? E’ successo solo una volta con la redazione di Rai3, poi mi hanno sempre cercato loro. Ma anche se fosse, questo cosa prova? Come avete scritto anche voi, dopo trent’anni di silenzio…il mitomane ha una patologia impellente, incontrollabile.

Lei ha scritto sul suo blog di una certa Ligeia S.
Appena uscito dai domiciliari nell’86 mi recai alla scuola della Skerl e cercai una sua compagna di liceo, Ligeia S. Nessuno l’ha mai cercata per appurare. Dicono che avevo un’ossessione, ma se rimandiamo tutto alle ossessioni a questo punto…

I giudici parlano di sue ossessioni, lo dicono anche i suoi familiari…
Per quanto riguarda la testimonianza di mia sorella -lei non mi ha raccontato niente privatamente e l’ho letto nei verbali-, mi ha fatto ricordare che la Orlandi aveva anche un flauto dolce, l’ho ricordato dopo trent’anni, che io ricordo bianco, però, di legno o plastica…ma non posso ricordare tutto. Lo feci vedere a mia sorella perché volevo coinvolgerla, poi ho visto che non era il caso e tralasciai. Ancora una volta i giudici prendono la testimonianza di mia sorella e poi non ci mettono a confronto…questo è l’errore mortale di Capaldo. Non è affatto vero che io avevo un’ossessione per la Orlandi, che ne parlavo…questa è un’invenzione di mio padre a mo’ di difesa estrema e puerile. Lo dissi solo a mia sorella ed è successo che una volta lui trovò dei fogli su un tavolo, tutto qui. Ma figuriamoci se andavo a parlare a mio padre del caso Orlandi, a che scopo?

Questa lamentela del mancato confronto lei la fa anche nei confronti del poliziotto Bosco, che avrebbe assistito all’incontro davanti al Senato tra Emanuela e De Pedis. Lei però racconta due versioni, è una contraddizione e quindi un punto debole del suo racconto.
No, no, era un piccolo gioco di presenza-assenza. Lì, davanti al Senato, ci alternavamo: andata via la “persona” [De Pedis, NDA] mi presentai io a chiedere dove fosse la Sala Borromini per confondere le acque e la possibilità di un identikit. Secondo me quell’identikit che circola dell’esponente della criminalità [De Pedis, NDA], è una cosa posticcia fatta a posteriori, per incastrarlo. Loro [i testimoni oculari, Bosco e Sambuco, NDA], avevano assistito a questa scena dove c’era il cosiddetto “imprenditore”, andato via “l’imprenditore” mi sono sostituito io -chiaramente loro non è che avessero l’occhio fisso sulle nostre mosse- per incidere meglio nella memoria, mi sono presentato io e gli ho chiesto: “dov’è la Sala Borromini?”. Non ricordo se al vigile o al poliziotto, oltretutto c’erano anche altri impiegati, credo del Senato…Quando è uscito questo identikit ho sempre pensato ad un’azione posticcia, fasulla, per volerlo coinvolgere anche se non conosco i percorsi…non credo che loro, nell’immediatezza, abbiano fatto quell’identificazione ma è una cosa a posteriori, addirittura negli anni.

Pietro Orlandi ha sempre raccontato che carpì lui, per primo, la testimonianza del vigile Sambuco poche ore dopo la scomparsa di Emanuela…
Mah…non lo so, non lo so. Fatto sta che se io mi presento per un fatto il cui momento massimo è proprio lì davanti al Senato, mi avrebbero dovuto far fare il confronto con costui [con il poliziotto Bosco, NDA], anche perché lui mi descrive: viso lungo, leggermente stempiato…sono io, è chiaro! Perché proprio vado innanzi a loro! E poi i giudici non mi hanno nemmeno chiesto che macchina io usassi all’epoca: avevo una macchina verde metallizzato dello stesso colore di quella usata davanti al Senato. E’ una coincidenza ma non me l’hanno mai chiesto, questo è gravissimo, ci sono lacune spaventose che io racconterò al processo.

Emergerà qualcosa da questo processo?
Mah, lo aggiusteranno dicendo che è vero, non c’è l’autocalunnia ma resta misterioso…se lo aggiusteranno e diranno che non si può più riaprire il caso. Infatti io credo bisognerebbe fare, al di là della magistratura, un processo con tanto di telecamera…ci vorrebbe Pietro Orlandi, persone che non hanno interessi [da difendere, NDA]. Basterebbero pochi elementi. Ho ripetuto più di una volta una cosa che ritengo sia di una gravità enorme: la Minardi nomina due quartieri, Monteverde e la località marittima di Torvajanica. Questi luoghi sono citati nella prima telefonata in assoluto del cosiddetto “Mario” che, sotto forma di codice, ma non ricordo bene…-ecco, giocano tutti sul fatto che io non mi ricordo cosa si disse esattamente in quella telefonata…ma chi se ne frega, quelle telefonate alla famiglia erano semplicemente per attirare i giornalisti, a mo’ di cassa di risonanza. Le prime due telefonate erano per far finta che fosse una “scappatella”, ma non avevano quell’importanza tale che uno se ne possa ricordare dopo trent’anni-. Comunque sia, all’interno di questa telefonata di “Mario” è contenuto un riferimento a Monteverde e Torvajanica: ora, di tutte le località marittime e i quartieri romani, la Minardi cita proprio questi due nel…, non ricordo l’anno. Non ricordo perché non sono uno storico di questo caso, io l’ho vissuto ma non sono uno storico!

La Minardi lo dice nel 2008…
Comunque, o alla Minardi è stato fatto leggere il testo della telefonata e, allora, è comunque importante perché significa che vogliono mettere in mezzo la cosiddetta Banda della Magliana. Oppure la Minardi veramente ricorda e dice il vero. In tutte e due i casi emergono elementi di un’importanza enorme e questo nessuno lo ha mai rilevato, a cominciare da Capaldo, e di questo non c’è traccia nelle conclusioni. E’ incredibile.

Secondo lei la Minardi cosa c’entra in tutto questo?
La Minardi io non la conoscevo, non sapevo chi fosse, mai vista né conosciuta e non ha fatto parte assolutamente del caso Orlandi. Tre quarti delle cose che dice non sono vere (la storia che le è stata consegnata la Orlandi ecc.), però qualcuno glielo ha riferito, perché riporta cose vere trasformandole, per due motivi: perché manda un messaggio, vuole qualche cosa e allo stesso tempo protegge la stessa persona a cui ha mandato il messaggio e rende vane le verifiche giudiziarie. Ad esempio, lei parla di una una ragazzina nomade nella pineta di Castel Porziano, una “zingarella”: è una cosa vera, ma era uno zingarello di undici-dodici anni e, guarda caso, lei configura questa circostanza nell’83-84 e proprio nell’83 c’è la stessa pineta [dove poi il piccolo Garramon venne investito dal furgone di MFA, NDA]. Non può essere una coincidenza, no? Dice il vero anche riguardo a Monteverde e Torvajanica, soltanto che poi aggiunge tante cose per inficiare…

Perché si presenta la Minardi? A che scopo?
Qualcuno gliel’ha riferito, io all’epoca non ricordo nulla di questa donna. Certo, poteva benissimo co-esistere con gli altri, non è che dovevo necessariamente conoscere tutto. Questi sono i misteri del caso, perché la persona subentra…perché manda questi messaggi…non lo so. Forse qualcuno vuole chiudere sulla Banda della Magliana, anche Pignatone voleva chiudere sulla Magliana. Del resto fanno quello che noi volevamo fare fin dall’inizio: coinvolgere un membro della Banda della Magliana e alcune sue pertinenze, queste dimore, perché in caso di perquisizione si chiudeva il caso su di loro, tanto erano già esposti e in cambio li si dava qualche cosa… Per assurdo, anche la magistratura chiude su quella che per noi era una copertura…infatti credono alla Minardi, nonostante abbia detto cose incredibili, e non credono a me. Io non sono un complottista ma non posso neanche pensare che sia negligenza. Per me questo è un segreto di Pulcinella, l’unico che si è dato da fare -seppur malamente- è Peronaci, gli altri giornalisti sono completamente assenti e poi c’è stata questa trasmissione di Rai3 che ha fatto danni assurdi all’appello che io avevo fatto…

Questo appello è completamente rovinato?
Completamente. Figuriamoci se degli ecclesiastici si vanno a mettere dentro una situazione di caccia all’untore. Lo hanno fatto, io penso, perché sollecitati da alcuni funzionari del Sisde di allora, così da buttarla su una cosa greve come la pedofilia, che è una cosa risibile. Io sarei il pedofilo meno segnalato e denunciato d’Italia, neanche una segnalazione, neanche un bambino che si confida con la madre. Solamente quell’investimento nella pineta e un ragazzino fermato in corso Emanuele [Stefano Coccia, NDA], oltretutto quando con me c’era anche una ragazza.

Dopo l’incidente nella pineta casa sua è stata perquisita…
Si, e trovarono il numero di Stefano Coccia nel mio cassetto e, guarda caso, non c’era nulla riferibile alla Orlandi o altri documenti, c’era solo quello che volevo che si potesse far trovare. Quello che io auspico è un processo dove si esaminano uno a uno questi fatti, si invitano i testimoni…perché io non penso che la magistratura procederà mai. Le coincidenze quante possono essere? Due, tre, quattro? Ma sono infinite qui..come il caso di Paola Diener: quando la fotografai portava al guinzaglio un cagnolino. Come faccio a sapere che aveva un cagnolino? Qualcuno dirà: “eh, ma tu lo hai letto”…eh, ma allora! E nella stessa strada hanno fatto trovare un teschio. Nel 2013 qualcuno ha lasciato un altro teschio sotto il colonnato di San Pietro, un mese prima che io mi presentassi, un luogo altamente monitorato dalle telecamere [in realtà è stato nella notte tra il 20 e il 21 dicembre 2012, probabile riferimento alla notte del 20 e 21 dicembre 1983, quando Fassoni Accetti venne arresato dopo aver investito Garramon, NDA]. Loro [gli inquirenti, NDA] hanno quindi l’immagine di chi ha deposto quel fardello e non se n’è mai saputo niente. Colui che ha posto il teschio certamente sa delle due lettere [gli stessi inquirenti hanno concluso che si tratta dello stesso autore, NDA]. C’è un’omissione, una copertura che mi ricorda molto quella che è stata fatta nei miei confronti nel 1997, quando mi hanno intercettato. Allora venni intercettato per la scomparsa di un minore e loro [gli inquirenti, NDA] sapevano che nell’83 ero stato indagato per l’omicidio di un altro minore. Quando sentono la mia convivente che parla della Orlandi, altra scomparsa sempre nell’83, chi sta ascoltando dovrebbe mettere in fila le cose…ed invece nessuno mi convoca o, meglio, non convocano la ragazza che era giovanissima…bastava metterla sotto uno stretto interrogatorio per 24 ore e avrebbe parlato. Non l’hanno chiamata.

Ecco, parliamo di questa intercettazione del 1997. La donna le dice anche “parliamo di Emanuela Orlandi e di quello che vuoi fare con lei”, cosa significa?
La Orlandi in quel momento era una persona di cui non era stata verificata né la morte né la vita, questo era sempre un elemento di ricatto, di pressione che noi usammo fino al 1999, mi sembra. In quegli anni continuavamo, con piccole pressioni, ad usare la figura della Orlandi, il cui destino poteva essere causa di qualche rinvio a giudizio, nessuno lo avrebbe fatto però, era un modo per disturbare. C’è un prelato in particolare, mons. Cheli, che compare anche nel caso di Calvi e che, guarda caso, era proprio preposto all’opera di assistenza ai migranti e ai nomadi. Noi usavamo metterli sotto pressione: “nella tua abitazione abbiamo nascosto un indumento della Orlandi, in un posto che tu non puoi rintracciare ma possiamo mandare gli inquirenti…”, erano piccole cose alle quali nemmeno credevano. Però era un fastidio e così chiedevamo un incarico curiale, una nomina, che loro in genere rifiutavano. Comunque la ragazza [Ornella C., NDA], che io avevo messo al corrente perché mi serviva per certi versi, chiaramente in quel momento, come spesso fanno le ragazze giovanissime, se n’è uscita con quella frase…io mi sono gelato e sentito perso, ero sotto copertura ed ero legato a certe azioni del….tenga conto che in quegli anni c’erano stati problemi gravissimi al Sisde, degli ammanchi, era il momento in cui abbiamo poi chiesto aiuto alla Rosati. Usavamo sempre ragazze, giovanissime, per fingere che avessero potuto avere rapporti peccaminosi con quel tale, li infastidivamo con piccole pressioni perché piccole erano le richieste. La Orlandi, se poi la ragazza non fosse veramente scomparsa, sarebbe tornata a casa risolvendosi che era una scappatella e tutto quello che ne era seguito erano stati mitomani, malintenzionati, balordi ecc. Purtroppo, con l’appello papale e il non ritorno a casa, questa situazione si è ingigantita a dismisura ed è degenerata.

A Emanuela cos’è successo?
Il fratello purtroppo non lo vuole comprendere ed infatti quello che facemmo è di difficile comprensione. La Orlandi era una ragazza buonissima e molto ingenua. Noi facemmo un sequestro psicologico, le dicemmo: “se tu esci [cioè, ritorni a casa, NDA] rovini i tuoi, tuo padre può perdere il lavoro”, ma nessuno la forzò fisicamente, assolutamente. Ci fu un modo per circuirla e non so come abbiamo fatto a resistere fino a dicembre. E’ una cosa eccezionale, tutta questa storia lo è: il comportamento della Orlandi, ma anche l’archiviazione attuale. Le conclusioni di Giorgianni non sono forse eccezionali? Cosa c’è di normale? Tenga poi conto che prima della Orlandi selezionammo più ragazze, alcune che abitavano nella stessa palazzina…ma nessuna andava bene, le avvicinavamo, le sondavamo per valutare il modo di reagire psicologico. La ragazza aveva un’innocenza, aveva queste grandi virtù, riuscimmo a fermarla tutti quei mesi ma non per mia personale volontà, ci fu chiesto e io non potevo più tirarmi indietro. Se lo avessi fatto e poi, senza il mio controllo e ausilio, le cose fossero degenerate poi comunque legalmente venivano a cercare anche me. Ho dovuto seguire la cosa fino all’ultimo, ci sono poi stati due morti: il Garramon, un mese esatto dopo che io fermai Stefano, e Catherine Skerl un mese esatto dopo che io fermai l’altra Catherine [Gillespie, NDA]. E non posso essere stato io ad ucciderla perché stavo in carcere. Fermai questa ragazza [la Gillespie, NDA] che stava nella stessa direttrice della Nomentana [direttrice che effettivamente collega in qualche modo le abitazioni di Emanuela, Mirella, Catherina Gillespie e il negozio del padre di Stefano Coccia, NDA]. Era qualcosa di studiato, di meticoloso ma pensato anche per poter sembrare inverosimile.

A proposito di ragazze, ho letto nell’istruttoria che una persona a lei vicina si è presentata in Procura dicendo di aver visto Emanuela a Parigi, quando venne da lei mandata alla moschea di Parigi dopo la morte di Scalfaro…
Ha creduto di ravvisare un viso…

Secondo lei non era Emanuela?
No, sono somiglianze, anche perché donne più grandi… L’ho detto anche a Capaldo, quello della Orlandi è un volto normolineo che può assomigliare a tantissime persone.

Ma come mai la moschea di Parigi? C’entra qualcosa?
Perché io avevo questi riferimenti, quanto poi fossero veri non lo so, l’ho voluto appurare…c’ho provato ma non c’è stata nessuna corrispondenza. Tutto qui.

Riferimenti…su persone che avrebbero potuto sapere?
Persone, i cui nomi non faccio e non ho fatto a nessuno, che all’epoca dei fatti avevano dato accoglienza e forse, dopo tanti anni, ancora poteva…chi lo sa, c’ho provato, senza esserne sicuro. E infatti non so nulla, non so assolutamente nulla di quello che possa essere successo. Io personalmente penso che sia morta.

Uccisa?
Io penso di si, anche se senza un grosso motivo se non quello di continuare il ricatto, di usare la sua possibile presenza come un ricatto continuo…

Ma gli autori sarebbero la controparte o la sua fazione?
No, non lo so. Ucciderla perché non parlasse direi di no, altrimenti uno avrebbe dovuto uccidere anche tante altre ragazze. Oltretutto c’è anche la Gregori. Non c’era motivo di ucciderle, però è anche vero che è difficile immaginare che una persona sia ancora viva, conduca una vita…

Si può ipotizzare magari che sia ancora sotto minaccia costante, ma effettivamente è difficile crederlo…
Ripeto comunque che anche queste altre ragazze sono state individuate dalla Procura [le presunte complici di MFA, NDA] e nessuno le stimola più di tanto, anche se la Orlandi fosse tornata le avrebbero potuto far recitare una formula di rito, nessuno della magistratura sarebbe andato a fondo. Però questo non lo potevano sapere, lo sappiamo ora. Qualcosa è successo, se però fossimo degli assassini, la P.D.B., la Eleonora e le amiche della Orlandi e della Gregori -c’è sempre un’amica, come con la Alessia Rosati- non avrebbero mai partecipato ad un fatto omicidiario. In cambio di che cosa? Di soldi? E’ ridicolo. Non può essere stato un atto di omicidio, non può essere stato un festino di sesso, ma che festino? Uno fa un festino e poi si mette a fare le telefonate? Ognuno in questa storia ha il suo miserabile interesse: Pino Nicotri si è legato alla famiglia De Pedis, non so a che titolo, P.D.B. difende se stessa (malamente), Pignatone mi è difficile configurare le sue intenzioni, “Chi l’ha visto” forse ha rapporti con il Side, voglia di non scomodare più di tanto la Santa Sede. Orlandi non è all’altezza, la Garramon non ha fatto nulla per trent’anni perché sapeva che il marito ha delle amicizie lecite -attenzione legittime e legali-, con delle persone che rientravano in questo scenario, e come io mi presento cerca di tagliarmi le ali, di rimandare alla solita stolta idea del pedofilo solitario che rincorre la gente a 70km/h con il furgone.

Ecco, a proposito di furgone, non riesco davvero a capire come il piccolo José sia finito sotto le sue ruote, i magistrati hanno dimostrato che il bambino stava come attraversando la strada…
Quella notte in quella pineta è accaduto di tutto: c’era il caravan della ragazza [con dentro Emanuela Orlandi, NDA] pronto ad essere portato via, e poi accadde l’incidente. Un’altra chiave di lettura è il fatto che io lasciai il ragazzino sulla strada: quando trovammo il ragazzino al centro della strada, perché l’impatto avvenne al centro di essa, io gli illuminai la pupilla ma non si dilatava, la ragazza che era con me ascoltò le pulsazioni: era morto. Il primo impulso fu nascondere il corpo nella vegetazione perché rintracciato lui rintracciavano noi, per poi magari andare a seppellirlo in un’altra zona, occultando il cadavere. Siccome l’autobus non è passato subito, abbiamo avuto tempo per pensare più lucidamente: eravamo convinti che questo ragazzino fosse un nomade, poiché scuro di carnagione e di capelli, della stessa età e della stessa origine del nomade che noi avevamo fotografato tre mesi prima, sempre nella pineta. Per cui pensammo che quel ragazzino poteva essere lì per una sorta di risposta e avemmo netta l’idea che potevamo essere osservati da chi aveva portato il ragazzino nella pineta, così, se noi avessimo quindi occultato il corpo, potevamo finire sotto ricatto perché questo avrebbe deposto a favore dell’omicidio volontario. Potevamo soltanto lasciarlo lì, lo spostammo sul ciglio perché altrimenti sarebbe stato schiacciato da altri mezzi, io non potevo farmi arrestare in quel momento. Dovevo tornare a casa a togliere le cose dai cassetti, fare certe telefonate, bisognava preparare tutto…una cosa lunga, per questo poi ritornai alle 4 di notte. E poi, a mo’ di messaggio, ci avvicinammo alla villa di Santiapichi per farmi fermare e arrestare. La cosa più importante, cinicamente lo facemmo, fu sfruttare questa morte per far credere ad Agca -tramite un agente di custodia corrotto dalla criminalità romana- che si poteva tentare un’azione omicidiaria verso di lui dallo stesso killer che, per entrare in carcere, aveva ammazzato il figlio di un diplomatico (la stessa cosa che gli dicemmo in precedenza: “ti libereremo sequestrando il figlio di un diplomatico”). Sopratutto dopo che Antonov era uscito dalla prigione, non era opportuno farlo finché era anche lui in carcere perché si poteva pensare che fosse stato lui l’ispiratore…cosa impossibile ovviamente, infatti Agca non ci cascò per nulla. L’unico modo per fargli rovinare il processo gli fu detto dal giudice bulgaro: agca dice di essere stato intimato dal giudice e cita le parole che gli vennero dette: “Se tu non ritratti noi faremo altri sequestri per liberarti e getteremo il cadavere della Orlandi in piazza San Pietro”. Ma non ha nessun senso, cosa gliene fregava ad Agca della Orlandi? Il giudice bulgaro gli parlò invece del cadavere di sua sorella Fatima, che stava in Turchia. La frase esatta fu: “Noi la ammazziamo in Turchia, gli stacchiamo un pezzo del corpo e lo buttiamo in piazza San Pietro”. Cosa che nessuno avrebbe fatto, per carità, ma lui evidentemente lo ha creduto tant’è che appena inizia il processo nomina la croce, Fatima e il terzo mistero. Fa il pazzo e rovina il processo. Perché Agca nomina Fatima? Chi c’era in quegli anni che nominava Fatima? Noi, con i codici, e lui lo sapeva anche perché gli raccontammo parte del Terzo mistero di Fatima: “c’è una croce…”. Perché uno che si è pentito e ha parlato dovrebbe rovinare il processo senza avere nulla in cambio? Poteva ottenere la grazia, concessioni, carceri migliori. Invece lui rovina il processo senza niente ottenere, tant’è che si è fatto diciassette anni. Perché? Per proteggere la sorella, gliel’ha detto il giudice bulgaro non una lettera anonima o un detenuto.

Perché, secondo lei, ancora oggi Agca continua a rendersi pazzo, a dire follie su Emanuela, chiama il fratello Pietro per raccontargli le solite assurdità…
Per mostrare che non racconterà mai niente, conferma a tutti che la verità non la dirà. Questo ha fatto anche, secondo me, la Minardi dicendo delle assurdità. E in parte anche io, perché una grossa bugia l’ho detta e mi risolvo a dirla nel processo, dovevo garantire una maggiore tranquillità alle persone che secondo me si sarebbero dovute presentare con l’appello. Quello di Agca è un modo di rendersi non credibile anche perché se dovesse fare qualche nome nessuno gli crederebbe, infatti lo hanno assolto. Attenzione: i bulgari non c’entravano nulla con l’attentato [a Giovanni Paolo II, NDA], completamente estranei, c’erano gli idealisti turchi. Un’altra cosa che non hanno mai verificato: il leader degli idealisti turchi, Serdar Celebi, veniva a casa mia, quattro, cinque volte. C’eravamo conosciuti in carcere, ma venne a trovare solo me e non tutti gli altri detenuti (chiesi io di essere trasferito nello stesso piano del braccio del carcere in cui era lui). Di questo non c’è nulla, un silenzio che sembra così strano.

C’è silenzio anche sul fornetto della Skerl che lei dice essere vuoto…
Con Capaldo mi sono incontrato diverse volte e gli ho raccontato tante altre cose, per esempio questa camicia del cadavere della Skerl con scritto “via Frattina”, come andarla a trovare…ma lui si rifiuta. Non vuole procedere, né con il fornetto, né con la camicia…mi ha confermato che lui crede alla mia partecipazione e anche a quella delle varie ragazze, però se lo tiene per sé…certo, domani lascerà una memoria immagino. A parte che la presa di distanza dall’archiviazione c’è stata, mentre gli altri sono convinti sulla Magliana…ecco, un’altra cosa sulla Banda della Magliana: ma non si vede che l’identikit dei due che entrarono nel bar della Gregori è lo stesso di quello di chi seguiva la Orlandi? Entrarono nel bar all’inaugurazione e c’ero anche io. Tanto che dico all’avv. Egidio: “la ragazza in quella circostanza ha litigato con il suo ragazzo”. Come faccio a saperlo? Stiamo parlando di quando è cominciato il fatto Gregori, durante la prima telefonata, perché lui mi chiede: “Come mai avete contattato la sig.ra Gregori?”, io gli rispondo descrivendo un fatto: “Avvocato, lei ricorda che durante l’inaugurazione Mirella ha litigato con il ragazzo…”, certamente lui non era presente però glielo avranno raccontato. Lui disse: “Bravissimi, è vero, è vero..”, attribuendoci autenticità. Chi lo chiamava sapeva. Nonostante questi identikit però hanno archiviato. Un’altra cosa che mi lascia perplesso: hanno aperto la tomba di De Pedis (ma cosa pensavano di trovare?), però non aprono quella della Skerl. Sono le intenzioni della Procura: orientare verso la Magliana. Quella della Skerl è una cosa grave, lì non c’è proprio più la cassa!

Ma i genitori, i parenti della Skerl? Cosa dicono di questo? Si saranno informati, no?
Si, continuano a portare fiori sulla tomba vuota.

E i segni sulla lapide?
Ci sono i segni sulla lapide perché, mi hanno riferito, si poteva soltanto rompere per togliere la cassa. E si vede che è stata rotta. E lì ci sta un altro personaggio losco, molto losco, che tiene una pagina sulla Skerl, che fa di tutto per rendermi non credibile e che si è affrettato a dire “no, no, c’è stato un restauro”. Non è vero assolutamente, quando morì Wojtyla e quando mi dissero che era stata trafugata andai subito ed era così com’è. Va periziato il materiale con cui è stata chiusa e si vedrà che è di dieci anni fa. Lì dentro c’è solo una maniglia. E’ sparita una cassa, per farlo non si può scavalcare il muro ed è un’azione che non può essere quella di un mitomane: aprire un fornetto, richiuderlo e portarsi via la cassa. Anche la camicia non vogliono andarla a rintracciare…

Ma questa camicia lei sa dov’è?
Si, dentro Cinecittà c’è una ricostruzione scenografica ed è messa là dentro. Sono le stesse persone che mandarono quelle lettere [nel 2013, NDA], che hanno fatto questo, persone con cui ho avuto anche contatti. Alcuni credono che io sia stato un personaggio del caso ma non credono alle fazioni vaticane, dicono che tutti i quartieri di Roma potrebbero rimandare a significati…ma non è vero: le Sorelle Fontana rimandano all’abitazione di mons. Celata, il quale ebbe un contatto con Pazienza per defenestrare Marcinkus. La Sala Borromini è nei pressi dell’abitazione di Pazienza. E sono codici abbinati. I codici, tutti 3-7-5 o 1-5-8…non può essere tutta casualità. A meno che io, io da solo, avrei costruito tutto…io sono affascinato da una persona del genere. Però chi comincia a rovinare il processo?

Effettivamente ci sono, come abbiamo scritto, delle coincidenze nella sua stessa biografia personale che non può essersi inventato. Ad esempio, il fatto che Garramon frequentasse il suo stesso istituto, la sua abitazione vicino alla Rosati e alla Gregori, l’intercettazione che la riguarda nel 1997, una persona a lei vicina che andava spesso a Boston ecc.
Ecco, un altro elemento grosso è il Sisde: Capaldo e la Procura non hanno mai fatto una domanda al Sisde, ai funzionari dell’epoca, se è vero o no che avessero costituito questo fantomatico Phoenix. Io lo sapevo, erano loro. Non ha fatto nulla, nemmeno interrogarli per poi ricevere magari risposta negativa. Stiamo parlando di due possibili morti, un terzo Garramon, un quarto la Skerl. Il flauto? Non c’erano tracce, ma davvero io ti porto un flauto con la matricola? Mi hai preso per scemo? E se si poteva comunque risalire al vero proprietario? Sull’incidente della pineta non c’era un indizio eppure mi hanno fatto il processo, quando c’è la volontà si va fino in fondo allora, ma qui non c’è la volontà. Nel mio caso non si vuole andare a fondo.

Nel nostro dossier abbiamo ricordato che l’Amerikano fece un errore affermando che Emanuela non sarebbe nata in Vaticano, circostanza smentita dai familiari. Ovviamente la ragazza non poteva sbagliarsi su questo…
No, non me lo ricordo. Molte volte noi volevamo passare per balordi davanti all’opinione pubblica, le telefonate dell’Amerikano servivano solo per i giornali, per fare cassa di risonanza, pressione. Per esempio, c’è un nastro registrato in cui c’è anche l’Amerikana, non solo l’Amerikano. Ho detto a Capaldo: “lei lo vuole il nome e cognome di questa ragazza? Lei la può chiamare e questa le conferma”. Mi ha risposto: “Ah no, non voglio sapere niente, per carità”. C’è una ragazza che ha fatto l’Amerikana: in questo nastro, in cui finge di essere americana, pronuncia male la parola “States” dicendo letteralmente states. Ma quando mai un’americana sbaglierebbe così? Io so chi è questa persona, una ragazza romana di estrema sinistra. Nessuno mi ha mai chiesto nulla.

Non c’è modo di forzare l’attenzione dei giudici? Lei dice che non fa chiamate di correità…
A che servono queste chiamate? Io faccio un nome: Mario Rossi. Loro non fanno nulla e Mario Rossi mi denuncia per calunnia…la chiamata di correità, che viene nascosta generalmente alla persona indicata, va a braccetto con un suo monitoraggio. Ma loro non lo fanno, Capaldo e la Maisto hanno avuto davanti alla loro scrivania molti responsabili, hanno mentito tutti a cominciare da mio padre. Vada a vedere le origini di mio padre, quanto mi sono servite le sue conoscenze in certi ambienti [il nome del padre di MFA è presente in un elenco degli affiliati dell’Accademia del Mediterraneo, fondata dal principe Giovanni Alliata di Montereale, massone e vicino alla P2, NDA]. Tutti hanno mentito perché chiaramente bisognava convocarli dopo averli monitorati. Anche se faccio la chiamata di correità, a che serve?

Nel dossier abbiamo però scritto che lei potrebbe produrre prove materiali, come fotografie delle ragazze, la presunta citofonata di Sonia De Vito alla Gregori che dice di aver registrato. Questa non è una chiamata di correità però dimostrerebbe l’autenticità del suo racconto.
Ho capito cosa intende. Io mi sono presentato dopo trent’anni ma, mi creda, mai prima avevo pensato minimamente di presentarmi…tutto è nato negli ultimi dieci anni, a ridosso o qualche anno prima della morte di Wojtyla. In quegli anni andava distrutto tutto, a parte il fatto che io non conservavo nulla ma consegnavo tutto in domicili che non erano controllabili dagli inquirenti italiani, ma comunque le cose si tenevano per l’uso che se ne doveva fare. Lei dubita che avevamo delle foto di Emanuela, però la tessera l’avevamo, no? E dov’è l’originale? Abbiamo prodotto le fotocopie per poterne poi fare delle altre, e c’era comunque il desiderio di passare allo stesso tempo per balordi, altrimenti avremmo inviato l’originale. I vestiti della Orlandi? Dove sono? La borsa, i monili, l’orologino, il flauto (dolce)…tutto distrutto. Si teneva finché serviva, anche se le avessi tenute perché avrei dovuto farlo per vent’anni? L’idea di presentarmi era peregrina. Ho avuto la borsa di Emanuela che poi ho dato ad una ragazza, avevo i monili che potevamo usare per fingere di nasconderli in casa di qualcuno…Ma quando tutto è finito non si poteva rischiare, tenerli poi per cosa? Oggetti di feticcio? I vestiti di Mirella li abbiamo usati per leggere le etichette…

Il Fronte Turkesh era la sua controparte?
Questa era una nostra ipotesi, però dialogavamo con loro…chiedevano della Gregori e noi, dopo due mesi, abbiamo risposto. Non abbiamo mai saputo chi fossero, quello che loro scrivevano a volte aveva un senso e noi ci comportavamo di conseguenza. Citavano luoghi attraverso i quali mostravano di conoscerci: per esempio S. Silvestro, dietro avevamo un appartamento che usavamo, o il comunicato con scritto “Via Frattina”: è dopo la morte della Skerl, che è stata sepolta con una camicia con questa etichetta. O era qualcuno dei servizi segreti, o l’altra parte o l’avv. Egidio, che poi è la stessa cosa.

Scusi, in che senso l’avv. Egidio?
Mah, l’avv. Egidio era un ruolo un po’ dell’altra parte, un ruolo un po’…faceva capo ai vertici dello IOR per cui sapevamo che era persona dell’altra parte. Tutte le telefonate a lui non significavano nulla, era solo affinché le riferisse poi ai giornalisti. Non avevamo niente da chiedere all’avv. Egidio e lui niente da darci. Noi chiedevamo la liberazione, che poi era la ritrattazione, di Agca in cambio di questo finto inganno…questo insistere sempre su Agca…il caso Orlandi non può avere altro senso, tuttalpiù si potrebbe dire che è morta per conto suo e poi noi abbiamo strumentalizzato: ma è la stessa cosa, in fondo. Fatto sta però che noi abbiamo registrato la sua voce…addirittura mettono in dubbio anche questa. Io la ragazza l’ho frequentata trentadue anni fa e l’ho vista per mesi, quella è proprio la sua voce, questa voce un po’ cantilenante che aveva, un po’ lagnosetta. Oggi anche la famiglia fatica a riconoscerla. Ma le pare che noi presentiamo la voce di un’altra, in modo che la famiglia ci smentisce da subito?

Dove venne registrato quel brano della Orlandi? Sembra quasi che risponda ad un’intervista…
Lei disse quella frase una sola volta, io avevo un registratore a due piste e ripetei più volte quella frase in modo che fosse chiaro a chi ascoltasse. Venne registrata in un appartamento al chiuso, infatti non ci sono rumori di fondo, le voci dei compagni della scuola ecc.

Qualcuno dice arrivasse dalla scuola, prima della sua sparizione…
Ma come? La Orlandi rilascia un’intervista e non dice nulla alla famiglia? E i compagni di classe non sanno nulla di questa intervista? Come la tessera, ci sarebbe un’altra copia nella scuola? Ma se così fosse l’avrebbero rintracciata nella scuola, no? E dove sono le tessere delle altre studentesse della scuola? Se fossero esistite bastava rintracciarle nella scuola, no? Nessuno all’epoca mise in dubbio che la tessera fosse autentica o non fosse la voce della Orlandi, queste cose sono uscite solo recentemente, con Nicotri.

Pino Nicotri è rimasto colpito da alcune telefonate con l’avv. Egidio, in cui si è parlato della zia Anna Orlandi, di Torano ecc.
Ma quale zia Anna, ma per favore! Non c’entra nulla, queste leggende sono uscite dopo. Mettiamo anche che il convivente della zia Anna ammazza Emanuela, e poi? Perché dovrebbero averlo fatto? Togli Agca, togli lo IOR…pressioni per cosa? Per giocare?

Qualcuno parla anche di pista sessuale…
La pista sessuale? Io violento una ragazza, la ammazzo, la sotterro, poi faccio una telefonata per mettermi in luce? A che scopo? Sono tesi che vengono scritte ma in un contraddittorio, possibilmente in una sede processuale, cadono subito. Nicotri dice di aver fatto fare due perizie sulla mia voce, perché non le pubblica? Chi sono i periti? E’ una storia piena di rivoli, ma il nucleo centrale è uno solo. Anche l’accusa di omicidio mi andrebbe bene, tanto non la possono provare, uno che uccide poi si mette in luce? E’ un pazzo, ma allora devi farmi una perizia psichiatrica…non se ne esce. Se loro facessero un gioco democratico non se ne esce perché qualunque accusa nei miei confronti va a vuoto, Mi dicono: “tu sei un mitomane”, ma dove sono stato in questi trent’anni allora? E allora perché io studio e so cose che voi inquirenti o giornalisti non sapete?

Quello che abbiamo scritto nel nostro dossier è che lei ha raccontato cose che effettivamente non erano mai uscite, dei collegamenti inediti che nessuno aveva mai fatto. Certo, possono essere sue ricostruzioni a posteriori ma allora lei dovrebbe essere un genio, ha fatto quello che non hanno mai fatto investigatori e giornalisti in tutti questi anni. Oppure qualcosa sa…
C’è stata una serie di negligenze che io penso, in un certo senso, sempre manovrate dal Sisde, gli inquirenti potevano già arrivare tanti anni fa a tante cose. Per esempio, Paola Diener: bastava guardare sui giornali chi morì quel giorno, era figlia di un archivista vaticano [MFA fa riferimento ad un comunicato spedito da Boston il 28/10/83 in cui c’era scritto: “Comunicheremo al Segretario di Stato cardinal Casaroli il nominativo della cittadina soppressa il 5-10-83 a causa della reprensibile condotta vaticana”, esattamente la data di morte di Paola Diener, NDA]. Per me c’è un blocco fin dall’inizio, arrivano a capire certe cose poi forse è imbarazzante mettere alcuni nomi di alcuni funzionari del Sisde dell’epoca. Per esempio la pineta: il Sisde lo sapeva che nella pineta c’era, non il caravan, ma la villa di Santiapichi. Voi avete scritto che quindi sapevano mesi prima del caravan, no sapevano che lì c’era Santiapichi. Che poi, tra l’altro, lui non stava nemmeno tanto in quella villa, non c’era mai, a noi interessava la figlia che mi sembra fosse minorenne, di nome Arianna, e allora cercavamo un po’ di coinvolgerla, di far sapere a qualcuno del Ministero di grazia e giustizia che la figlia era coinvolta, in modo da ottenere gli arresti domiciliari per Antonov. Per questo ci minacciarono parlando della pineta…era nel settembre 1983, lo ricordo perché erano i tempi della ripresa di questo ragazzino a Castel Porziano davanti alla villa del presidente della Repubblica [Cossiga, NDA]. Sapevano che noi avevamo messo sotto pressione persone vicine alla presidenza della Repubblica, mandarono questa lettera di cui noi ce ne fregammo altamente perché se avevano capito non facevano nulla, perché non potevano. Finché poi non apparve questo ragazzino…

Ecco, questo “apparve” non riesco a capirlo: come apparve Garramon? Fu un caso? Una coincidenza?
Eh non lo so, fu una coincidenza. Sapesse quante coincidenze accadevano e che poi erano utili…

Però quel bambino è stato portato da qualcuno in quella pineta…
Quello si, lo hanno portato lì. L’uso non lo so, chiaramente lo volevano portare lì per coinvolgerci in qualche cosa, doveva forse essere testimone di qualche cosa, frequentava la stessa scuola mia…

Mi stupisce che poi arrivi proprio sotto le ruote del suo furgone…
Il bambino era al centro e io stavo nella mia corsia di destra, se la stavo rincorrendo perché avrei dovuto investirlo con la parte sinistra del furgone e non al centro? Se uno insegue non sta nella sua corsia, lui avrebbe visto me in lontananza e si sarebbe spostato. Ma poi perché ammazzarlo in questo modo?

Su questo non ci sono dubbi, secondo me. Il problema è che non si riesce a capire come sia finito lì e poi sotto le sue ruote.
Questo è un caso, perché o lui è fuggito da costoro o costoro gli hanno detto che doveva scappare da me, anche se mi sembra un po’ strano voler obbligare un dodicenne a fare una testimonianza a posteriori, lucida, controllata. Può essere pure che lo volevano ammazzare e lui è scappato, magari volevano ucciderlo e buttarlo là dove noi eravamo stati [nella pineta, NDA].

Non c’è davvero modo di coinvolgere queste persone? 
No, nessuno si presenta. Se c’era una minima speranza è fallita. Comunque sono già state identificate e negano. P.D.B. è stata interrogata e nega, ma è talmente chiaro che lei ha scritto quei comunicati. Oppure Eleonora che ha mandato le lettere…negano e io non posso farci niente. E tutti gli altri hanno fatto cose del genere. Posso dire un monsignore? E il monsignore nega, e che facciamo? Non faccio chiamate di correità ma pensavo bastasse la mia persona, sono un responsabile e chiuso. Gli altri ve li andate a cercare da soli…

Monsignori non ne hanno individuati però, hanno interrogato delle donne…
E cosa ci fanno? La parte più facile era P.D.B. perché lei già si è compromessa con il racconto dell’interrogatorio e della presenza di Sica, perché è una cosa verificabile. Tra l’altro adesso ha creato anche un profilo falso, attenzione, ci sono più momenti della stessa intenzione. Questa è una responsabile della scomparsa di due ragazze, perché scriveva i comunicati, ha mentito davanti alla Procura e ha inventato una cosa verificabile. A Nicotri ha inventato anche una testimonianza di Santiapichi, che Sica chiamò Santiapichi. Io ho ottenuto il telefono di Santiapichi e l’ho chiamato, lui ha negato. Pietro Orlandi dovrebbe incatenarsi alla Procura e obbligare a verificare questa cosa di Sica. Bisogna verificare se il fornetto è davvero vuoto. P.D.B. era nella pineta quella notte, è lecito pensare che mesi prima poteva aver partecipato anche ad altre cose. Se questa oggi si inventa un interrogatorio, una cosa di una gravità enorme, nessuno la raccoglie? Questa è una prova importante della colpa di questa ragazza che, con il suo comportamento, mi colloca al centro della scena. Lei potrebbe starsi vendicando per la storia sentimentale, ma lei mi vuole rendere estraneo al caso Orlandi dicendo che avrei picchiato Appignani (c’è una sentenza che lo smentisce), dicendo che sono fascista e che non avrei potuto far parte di questa fazione, con l’interrogatorio di Sica dice che non è vero che io sapessi di Santiapichi ecc. Lei quindi crea una falsità che vuol dimostrare che io non sapessi nulla, non è una vendetta per amore. E nessuno raccoglie tutto questo. Basterebbe che il giudice controlli su Facebook: chi è questo Filippo P.? A parte il fatto che fu P.D.B., con il suo nome, a inventare la cosa di Sica a Nicotri, poi ha continuato a farlo con nome Filippo P. perché si è sentita esposta, si è pentita di averlo fatto con il suo nome. Si è detta sicura di essere stata interrogata per due ore da Sica, il quale sarebbe stato lui ad aver fatto il nome di Santiapichi, che in quel periodo era però sotto copertura. Una cosa folle. Nessuno la raccoglie…

Quindi non se ne esce?
No, io sarò assolto. Questo non significa che io non sia responsabile, non so che forma ridicola metteranno. E’ triste se questa storia finisse così, dando ragione a tanti….tanti colpevoli che con questa archiviazione sono ancora a spasso. Perché veramente quelle persone erano entrate al bar ecc., però non sta a me fare il cacciatore.

C’è una intercettazione a questo Sergio Virtù che ritengo interessante: come capitato con lei e Ornella C., quest’uomo ha parlato al telefono con la sua amante ammettendo che la Orlandi era parte del suo passato, che lo aveva fatto per soldi ecc.
Si, ma non era vero che fece salire la Orlandi sulla sua macchina, sono persone che facevano parte della storia. Io ho dato materiale per far capire ai giudici che la presenza della Banda era una specie di depistaggio, anche perché poi la Magliana non si comporta in questo modo: fa la fotografia dell’ostaggio sul giornale, fa vedere che è viva, non certo una cosa così sporca…mandando una fotocopia della tessera scolastica, parlando di Agca…ma quale Magliana? E’ una vicenda articolata che tocca più realtà, la Magliana era una finta esecutrice e la nostra intenzione era fare ritrattare sui bulgari perché c’era diplomaticamente un certo buon rapporto con i Paesi dell’Est. Fatto sta che io avevo mons. Celata come direttore spirituale, il quale abitava sopra le Sorelle Fontana, Agca poi effettivamente ritratta…è una cosa che si chiude qui. I codici erano tutte cose esagerate, trombonesche, non perché qualcuno doveva effettivamente capirli ma perché facevano parte del depistaggio, era tutto materiale che si metteva per fare fumo. Se io non mi fossi presentato loro avrebbero sempre pensato ad uno scenario del genere, nel momento in cui uno glielo conferma dicono “no, no, è un’invenzione”. Se avessero trovato un Memoriale nascosto sotto al mio letto, assieme al flauto, dietro una telefonata anonima…e io avessi poi negato tutto…ecco, lì mi avrebbero dato l’ergastolo. Il fatto che il responsabile si presenta dopo che lo stanno cercando per trent’anni, e mettono ogni anno la voce nei TG…sono io…e non gli credono, è una cosa unica, unica! Questo è un romanzo. Io sono il telefonista, so tutto di quella storia e loro mi dicono “no, no, hai sceneggiato”. Assistere a P.D.B. che, ultimamente in una pagina [Facebook, NDA], stava commentando la sua scrittura in un comunicato e la stava giudicando! Lei ha scritto le lettere da Boston, ne è stata pubblicata una giorni fa e lei la sta commentando e gli altri non sanno che lei è l’autrice di quella lettera. Cose da romanzo, allucinante…lei che commenta: “no, ma secondo me…”. Ma se sei tu!

Sempre che sia vero, perché si starebbe comportando così? Non certo vuole influenzare i giudici da una pagina Facebook…
Lei ha paura che io faccia la chiamata in correità ma è un comportamento stupido il suo. Infatti le altre ragazze non hanno fatto questo, sono state buone…guardi che sono tante, saranno tredici, quattordici ragazze che sanno, ma stanno tutte a casa loro, zitte. Sono andate dal giudice: “non so niente”. Punto, finita lì. A cominciare da Ornella: “Non ricordo, non so niente”. Ma no che ti metti a parlare con Nicotri, che ti inventi…

Queste ragazze di cui parla sembrano siano state minacciate dalle lettere nel 2013: “Non cantino le due belle more…”. Potrebbero avere anche paura…
P.D.B. non tanto, evidentemente.

C’è qualcuno che forse le sta minacciando?
Certo, certo. Anche perché quello ha fatto ritrovare un cranio e mi piacerebbe vedere il filmato di colui che depone questo cranio.

Un cranio sotto cui c’è scritto Eleonora De Bernardi…
Ecco quello che voi non avete scritto è che Eleonora C. abitava in via Giulia e quel cranio è stato fotografato in via Giulia, la Chiesa della Morte è in via Giulia. Colui che ha fatto la foto del teschio nell’ipogeo della chiesa della Morte in via Giulia, sapeva quindi che Eleonora abitava in via Giulia. Perché tra i tanti teschi ha fotografato proprio quello.

Una minaccia verso di lei?
Certo, certo. Poi su chi siano le due belle more per la precisione non lo so. Ho un’idea su quei capelli che hanno fatto ritrovare nella busta: Catherine Skerl, hanno ancora il cadavere. I giudici però hanno fatto la perizia pensando solamente alla Orlandi e alla Gregori e non alla Skerl, ma quelli sono i suoi capelli.

Ho letto che hanno provato ad analizzarli ma con le tinture il dna si è degradato e non si è riusciti a risalire…comunque effettivamente nelle lettere del 2013 citano la sua data di morte.
Era lei che aveva i capelli biondastri. Se lei guarda le foto, la Skerl ha le sopracciglia un po’ scure e i capelli biondastri, quindi probabilmente se li tingeva. Io dico che sono i suoi capelli, anche perché assieme c’erano delle schifezze mortuarie, brandelli di vestito…io la Skerl l’avevo nominata, perché non hanno indagato in quella direzione? Non fanno nulla. Siamo all’interno di una storia abdnorme, che non muore mai e sulla quale sta pendendo la pietra tombale dello Stato. Mi fa più effetto ciò che provo ora di non quello che provai nell’83, e sì che di cose tremende ne abbiamo fatte in quegli anni. Ma questa latitanza della democrazia, della legge, della ragione…è una cosa che fa paura, perché finché siamo noi in un certo senso “criminali” -perché io sono stato anche un criminale, non ho mai ammazzato ma sono stati gesti criminali- da noi è lecito aspettarsi, non costituiamo sorpresa. Ma lo Stato quando si fa criminale è veramente spaventoso e a questo punto c’è da aspettarsi di tutto. Questo finto servizio pubblico di Rai3 che ha inventato cose assurde…c’è da avere paura di questa gente.

Il Vaticano in tutto questo che ruolo ha avuto?
No, l’apice non c’entrava nulla, erano poche persone distribuite un po’ nel Consiglio per gli Affari pubblici, in qualche Congregazione…

Ma c’è qualcuno che ancora è a conoscenza?
Si, poi è chiaro che come sempre avranno saputo da altri…per esempio mons. Celata non sapeva più di tanto, l’ha saputo in seguito. Non è che i prelati si mettono a fare queste cose, loro non sono responsabili. Però è imbarazzante che questo sia accaduto con la presenza di alcuni ecclesiastici. Erano poche persone con ruoli molto minori, che però avevano la disponibilità di mezzi, sia finanziari che di contatti. Nell’83 era un altro mondo, non come adesso, adesso è tutto compartimentato…mi fa ridere chi dubita della presenza della Stasi…ma oggi si parla così, la Stasi allora era un ufficietto ubicato presso l’ambasciata della Ddr nella Repubblica Tedesca, bastava presentarsi, parlare con il consigliere, dare l’informazione e loro la accoglievano e la ascoltavano, certamente non ti arruolavano o pagavano ma intanto la recepivano e ti facevano parlare con un addetto. La Stasi era un servizio ministeriale che aveva anche qui [in Italia, NDA] una piccola rappresentanza. Io non conobbi assolutamente responsabili o dirigenti, soltanto qualche collaboratore, una ragazza [nel memoriale MFA dice: «una donna giovane, bionda, tra l’altro molto bella. Era della Germania dell’Est, parlava bene l’italiano. Si chiama Ulrike, ovviamente un alias», NDA] un altro. Non c’erano spie o robe del genere…certamente la vicenda era nei loro interessi…

Per Agca?
Certo, a parte il fatto che loro mandavano le lettere per conto loro e tutto quanto, per cui ci avvalemmo di loro e loro si avvalsero di noi. Non bisogna vedere in loro i mandanti, fu una minima partecipazione con qualche collaboratore. Ci sono persone che me li presentarono, in quegli anni la città di Roma era uno scenario di piena osmosi tra le varie realtà: la criminalità romana aveva rapporti con il terrorismo, il terrorismo con i servizi, i servizi con il movimento operaio. Non era molto difficile entrare in contatto se tu stavi facendo un’operazione che a loro interessava: noi avevamo una cittadina vaticana, la Orlandi, per cui potevamo fare pressione sulla presidenza della Repubblica Italiana, sulla diplomazia vaticana, molto importante questo per loro. Mi fanno ridere oggi i quattro giornalisti da strapazzo che dicono “no, no, sicuramente è una cosa più semplice…”. Quindi? Era un balletto erotico, per sesso e poi…ma è una cosa ridicola. Io trovo molto più inverosimile quello.

Lei nel 1999 si presenta a “Domenica In” con il nomignolo “Alì Estermann”. L’omicidio di Estermann ha qualcosa a che fare con questa vicenda?
Nelle Guardie Svizzere c’era una fondazione -che non era proprio delle Guardie Svizzere-, di ex militari, di ausiliari, che si raccontava fosse un po’ violenta, senza fare i nomi. Questo indipendentemente da quel triplice omicidio-suicidio. Avevo sentito che c’era questa fondazione che si adoperava…anche lì era tutto lo stesso ambiente e funzionava più o meno allo stesso modo, ma non è conoscessi tutto e tutti. Io quel che ho sentito dire è una storia….ma non ha nulla a che fare con il caso Orlandi, e non so quanto sia vera, non l’ho mai detta alla Procura, me l’ha riferita una persona che l’ha sentita dentro un ambiente…non saprei dire nulla di più. Ma non ha nessun rapporto perché non l’ho mai citata.

Con il nome “Alì Estermann” ha voluto però collegarla ad Agca?
No, no, Estermann era come messaggio per il fatto che è stato ammazzato: “Alì fai la fine di Estermann”. Ma non era neanche riferito a lui, perché poi andai a New York dove c’era un ambiente vicino a mons. Franco, un italo-americano dell’ambiente di Marcinkus, che stava allo Ior e apparteneva alla controparte. Viveva anche lui a Villa Stritch dove noi posizionammo anche il caravan con la Orlandi. Andai a New York…non ricordo bene però, io non sono uno studioso di queste cose…andai lì e poi a Il Cairo…dovevo rintracciare delle persone e feci questi due viaggi a distanza di poco tempo. Nel 2001, appena morto il card. Oddi (che anni prima era Nunzio apostolico a Il Cairo) andai a Il Cairo -dove lui aveva dei rapporti- con una ragazza che scelsi apposta dell’Est, tale Iva Skibovà di 18 anni, dove non trovai nessuno, fu un buco nell’acqua. Prima invece, appena morì un prelato italiano dello Ior, molto stretto a mons. Silvestrini…ma non ne ricordo il nome, andai a New York facendo questa farsa di Benigni per attirare la stampa. Erano cose che lasciavano il tempo che trovavano, non funzionavano affatto.

Ho letto che lei andò a New York perché era stato minacciato telefonicamente…
Si, c’erano state delle minacce da parte di uno che voleva sapere…, per cui andai lì e risposi con la stessa veemenza, minacciando di dire ai giornalisti…se andavo da solo non potevo attirare la stampa. Sono cose talmente sopra le righe che viste oggi sembrano autentiche buffonate che io mi invento, ma purtroppo andò così. Ma perché dovrei farmi chiamare “Alì Estermann”? Come artista sono molto eccentrico, particolare, ma un conto l’eccentricità un conto è la patologia. Uno che fa un concorso e si fa chiamare “Alì Estermann” solo perché gli piace il caso Orlandi, io a questo punto dovrei avere dei disturbi enormi, dovrei essere pericoloso. Ma esiste davvero un personaggio del genere? Così come può essere credibile che questo Filippo P. sia un professore di 68 anni, come dice lui, che si agita tanto solo perché è indignato…non sono cose credibili. Ma queste cose qua solo voi, e in un certo senso anche Peronaci, ci state ragionando. Ma è una cosa ridicola. Feci una cosa in grande a New York, tant’è che mi intervistò la Rai, il New York Post, pensi che in quell’occasione -non l’ho ancora detto a nessuno-, mi si presentò un agente e mi offrì dei soldi per spacciarmi come Benigni in una grossa pubblicità televisiva del 2000 in Sudafrica per un grosso Casinò di Johannesburg. E io accettai per i soldi e per farmi una vacanza, non so se Benigni questo lo ha mai saputo. A New York mi sentii di farlo in quel modo esasperato, d’altra parte lo stesso caso Orlandi per tre quarti erano mie idee: i codici legati a Fatima, le telefonate alla famiglia, il simulare la voce dell’Amerikano imitando il dott. Macioce che parlava più o meno così, ed era il dominus vero dello Ior. Inventai questa parodia, poi gli mandavano lettere anonime per spiegarglielo, era un modo di dar fastidio. Loro non è che ci cascavano o si facevano intimorire, hanno ceduto solo dopo Garramon e la Skerl. Quando si sono visti gli omicidi, cioè che la cosa degenerava, hanno accettato quelle pochissime cose che gli abbiamo chiesto. In un comunicato di ottobre 1983 scriviamo “la trattativa finirà nel maggio 1984”, così, senza motivo, perché sapevamo che dopo 7 mesi in Svizzera la Curia aveva accettato di firmare l’accordo per la restituzione dei debiti contratti dal Banco Ambrosiano. Nessuno lo sapeva nell’opinione pubblica e nel maggio 1984 accade [effettivamente avvenne il 25 maggio 1984, NDA]. Gli inquirenti, soliti grandi studiosi, non hanno messo le cose in rapporto. Tutti nel Vaticano erano contrari a questa restituzione perché significava indirettamente assumersi una parte di responsabilità, compresa la parte a noi confacente legata al card. Casaroli. Tutti tranne un’ultra minoranza, che ci aiutava. Noi, per mostrare che sapevamo, mettemmo questa data nel comunicato…a noi interessava perché così veniva meno la politica di Macioce, ed infatti dopo qualche anno lui e Marcinkus andarono via e nell’89 arrivò il prof. Caloia. Noi sapevamo in anticipo quella data, e guarda un po’ nel maggio ’83 c’è la restituzione dei soldi. Mettiamo che io sia uno sceneggiatore: sono anche davvero fortunato, posso inventare quanto voglio, posso ricamarci sopra, ma sono tutte cose che portano a quello…

Mi ha stupito molto che lei ha citato Alessia Rosati sul suo blog, ha chiamato i genitori lasciando un messaggio sulla segreteria telefonica, ma loro non l’hanno richiamata e sono andati a “Chi l’ha visto”…
Certo, l’unico interlocutore è la televisione. Io non ho nessun interlocutore, nessun riferimento. Comunque…lei stasera ha parlato con il telefonista.

Questo lo avevo intuito paragonando la sua voce a quella dell’Amerikano, la stessa voce, lo stesso modo di interrompere l’interlocutore, la stessa cadenza, le stesse pause…
E la voce di Mario?

No, quella non l’ho riconosciuta. Era sempre lei?
Si. L’ha capito anche Egidio che fece fare delle perizie assieme a Nicola Cavaliere, allora capo della Mobile, e hanno capito che era la stessa persona.

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La bigotteria degli anticlericali che oggi festeggiano il mago Giordano Bruno

Giordano BrunoParte del web è impegnato oggi nella celebrazione del mago rinascimentale Giordano Bruno, morto sul rogo il 17 febbraio 1600 in piazza Campo de’ Fiori. Non sono mossi da pietà verso quest’uomo, ma sfruttano la sua morte per convincersi e convincere che sia l’emblema della tirannia della Chiesa contro il libero pensiero, contro la scienza e contro la ragione.

Certo, Bruno rimase vittima di una intolleranza, un «triste episodio della storia cristiana moderna», come disse nel 2000 il segretario di Stato Vaticano, Angelo Sodano.  Tuttavia bisognerebbe ricordare alcune cose ai razionalisti che oggi lo esaltano.

Innanzitutto il pensiero di Giordano Bruno era tutto fuorché razionale. Si legge sull’enciclopedia Treccani: «Bruno si interessa di magia fin dai suoi primi scritti. Le opere magiche di Bruno sono state pubblicate per la prima volta nel 1891, non ebbero molto successo sul piano critico; anzi – come le opere mnemotecniche e lulliane – vennero considerate alla stregua di stravaganze, curiosità, superstizioni prive di valore e di effettiva sostanza filosofica». Giordano Bruno, a cui oggi è dedicato perfino un circolo dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti, 
«fa l’apologia dell’antichissima sapienza degli Egizi: i quali attraverso operazioni magiche erano stati in grado di entrare in comunicazione con gli dei e di colloquiare con loro, ponendo un nesso vitale e positivo fra uomo, natura e Dio, in altre parole ristabilendo quel circuito fra dimensione divina, dimensione naturale e dimensione umana che il cristianesimo aveva spezzato, inaugurando un’epoca di barbarie, di decadenza, di separazione, anzi di contrapposizione, tra gli uomini e gli dei».

Allo stesso tempo, i poco furbi razionalisti che in queste ore stanno onorando la statua di Bruno in Campo de’ Fiori, dovrebbero sapere che il monumento si trova li per volere del Grande Oriente d’Italia (Goi), la loggia massonica italiana, che ne decise l’installazione assieme al massone Francesco Crispi. Venne infatti inaugurata nel 1889 da Giovanni Bovio, deputato e massone di lungo corso, tra una selva di liberi muratori, anarchici repubblicani e anticlericali. Il mito di Giordano Bruno, infatti, è stato inventato nell’Ottocento illuminista e diffuso dalla massoneria, per unico intento anticlericale e non certo per compassione verso Bruno. Altrimenti avrebbero dovuto onorare anche lo scienziato (lui davvero) cattolico Antoine-Laurent de Lavoisier, massacrato e ghigliottinato dai razionalisti francesi, nel 1794 poiché non volle piegarsi all’ideologia della (massonica) Rivoluzione francese.

Entrando in merito al processo a Giordano Bruno, un anno fa abbiamo citato ampie parti dello studio del laicissimo storico Luigi Firpo, filosofo del diritto e della morale, intitolato: “Il processo di Giordano Bruno” (Edizioni Scientifiche Italiane, 1949). Bruno venne denunciato dal suo amico Giovanni Mocenigo, ma il processo si concluse nel 1593 con un sostanziale “non luogo a procedere”. Seguirono altre denunce, così come una seconda fase del processo, venne tenuto nel carcere dell’Inquisizione dove non subì alcuna tortura, ma un trattamento dignitoso (descritto dettagliatamente). Più volte si tentò di archiviare il processo invitando l’accusato a respingere semplicemente le accuse, tuttavia -continua lo storico laico- Bruno aggravò volontariamente la sua situazione giustificando l’irriverenza verso il Pontefice, «le orrende bestemmie, i gesti insultanti, le affermazioni perturbatrici del sentimento cristiano delle anime pie», gli insulti a Cristo («ingannatore e mago, e che a buon diritto fu impiccato», disse). Vi fu ancora un estremo ed inutile tentativo di salvargli la vita, ma «Giordano respinse ogni raccomandazione», convalidando così «la massa ingente delle testimonianze» che lo accusarono. Bruno venne consegnato al braccio secolare e al Governatore di Roma, accompagnato da «visite quotidiane di teologi e confortatori».

Lo storico laico Luigi Firpo conclude scrivendo che «il processo fu condotto secondo il rispetto della più stretta legalità, senza acredine preconcetta, semmai con accenni di tollerante comprensione per l’eccezionale personalità dell’inquisito. Fare del caso del Bruno un punto di partenza per mettere sotto inchiesta l’istituto complesso dell’Inquisizione implicherebbe un capovolgimento del problema talmente arbitrario da pregiudicare ogni ragionevole soluzione, basti riconoscere alla Chiesa facoltà di legiferare nel suo campo con sanzioni che rispondono alle concezioni ed agli usi dei tempi, constatare la situazione veramente drammatica della cattolicità nell’ultimo decennio del ‘500».

La Chiesa ha fatto da tempo una significativa “purificazione della memoria”, con un debito inquadramento storico in occasione del Giubileo del 2000. Purificazione della memoria che però dovrebbero farla anche atei, anticlericali e massoni che in queste ore inneggiano al mago rinascimentale senza conoscerlo, senza sapere nulla dei fatti storici che stanno celebrando. L’editore laico Roberto Calasso, visiting professor presso l’Università di Oxford, ha deriso la religiosità bruniana degli scettici razionalisti di oggi: «Che cosa c’è di più bigotto di quei fieri atei, tutti convinti che un mistico sovrano come Giordano Bruno fosse uno dei loro? La Chiesa, che lo ha bruciato, sapeva assai meglio con chi aveva a che fare. Loro invece gli hanno anche dedicato un monumento, come fosse il Milite Ignoto. E gli illuministi? Se davvero esistessero, dovrebbero evitare innanzitutto di credere nei Lumi. Ecco la nuova “gente pia”, neppur protetta nella sua bigotteria dalle mediazioni cerimoniali, dall’arcano pragmatismo di una Chiesa. Non sanno su quali presupposti agiscono e non amano che qualche irriverente sofista glielo chieda. Meglio che lo coprano con le loro pratiche superstiziose» (R. Calasso, La rovina di Kasch, p. 339).

La redazione

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Le Iene smascherate da un video, nessuna aggressione a Radio Maria

Iene radio mariaAlla fine si è scoperto: nessuna “aggressione delle Iene a Radio Maria”. Grazie ad un filmato originale (qui sotto), si vede chiaramente quanto è davvero accaduto, pochi giorni fa, nella sede della radio mariana.

La Iena Mauro Casciari, e il suo cameraman, ha infatti cercato di introdursi con irruenza -vestito, sembra, da pagliaccio o da Elton John, che poi è quasi lo stesso- all’interno della sede di Radio Maria, in provincia di Como, con l’intenzione di interrompere le trasmissioni radiofoniche per intervistare padre Livio Fanzaga. Il direttore della radio, infatti, nella sua quotidiana rassegna stampa radiofonica, si era duramente opposto al ddl Cirinnà e all’utero in affitto, scandalizzandosi del fatto che a farlo fossero parlamentari che si dichiarano cristiani e cattolici.

In quell’occasione aveva ricordato a Monica Cirinnà, madrina del disegno di legge, che un giorno, «spero per lei il più lontano possibile», avrebbe dovuto anche lei rendere conto a Dio delle sue azioni politiche. Nessun augurio di morte, tant’è che il sito Bufale.net ha contestato la mistificazione dei fatti: «si capisce chiaramente che il direttore di Radio Maria non ha affatto augurato la morte di Maria Cirinnà». Oltretutto è stato questo sito web a suggerire alla Cirinnà di rispondere ironicamente su Twitter con le parole di Massimo Troisi: «Si, si …no..mo’ me lo segno proprio» (non è stata un’idea della parlamentare Pd, quindi).

A seguito di queste parole si è comunque alzato un polverone mediatico: “Padre Livio augura la morte alla Cirinnà”, con il conseguente tentativo delle Iene di irrompere nell’area privata della radio. Come si legge sulla pagina Facebook di Radio Maria, le Iene «hanno cercato di penetrare in cappella evitando di usare l’entrata aperta al pubblico. Sono invece scese per le scale di sicurezza esterne e hanno cercato di forzare, dall’esterno, le porte di sicurezza. Resosi conto di quanto stava per accadere, il servizio d’ordine ha invitato cortesemente le Iene ad allontanarsi in quanto stavano disturbando la gente riunita in cappella». Nel filmato (qui sotto) «si vede il tentativo di abbassare una telecamera all’operatore delle iene, ma non c’è stato nessun trattenimento a terra e non è stato in alcun modo picchiato il Sig. Mauro Casciari, contrariamente a quanto è stato affermato prima, durante e dopo la trasmissione delle Iene».

Certo, il tentativo di abbassare la telecamera è stato un gesto sopra le righe, che si poteva evitare, ma nulla ha a che vedere con quanto hanno poi è stato mediaticamente denunciato. Il cameraman si è divincolato ed è caduto sull’erba, e ha cominciato ad urlare: «Siamo stati picchiati a Radio Maria, siete dei truffatori e ci avete anche picchiato, una radio che si dice cristiana, vergognatevi!». Nessuna aggressione e nessun pestaggio, tant’è che mentre Casciari minaccia di rendere pubblico il fantomatico pestaggio, il cameraman ride allegramente.

Il giorno seguente le Iene hanno trasmesso, come sempre, il video tagliato e incollato al punto giusto e la notizia è andata su tutti i quotidiani: «Troupe delle Iene aggredita a Radio Maria: “Ci hanno picchiato”». Addirittura è stato riportato che a picchiare le Iene è stato il direttore padre Livio. E’ intervenuto anche il prete rosso don Aldo Antonelli, scrivendo i suoi soliti insulti: «Mi chiedo se non sia il caso di denunciare questa radio per circonvenzione di incapaci, considerato che è seguita da persone sole, deboli e di età avanzata. Una radio che, se ci fosse la censura, andrebbe censurata». Radio Maria ha risposto pubblicando il vero filmato, che è stato già visionato da 44mila persone.

La Iena Mauro Casciari è tuttavia riuscito a raggiungere i suoi dieci minuti di popolarità, dopo la presentazione della seconda edizione di Umbria Trash e dopo essere stato indagato per diffamazione aggravata nei confronti di polizia e carabinieri nel caso di Giuseppe Uva. Poi assolto, anche se dal suo microfono si disse che Uva era stato violentato dalle forze dell’ordine nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2008, accusa mai comparsa negli atti e che non compare tra i capi di imputazione contestati. Ma a causa sua la notizia si è diffusa, un po’ come l’aggressione che avrebbe subito. Mai esistita.

Il metodo violento e mistificatorio delle Iene è ormai noto a tutti, nessuno crede più che i filmati che mandano in onda sono davvero quelli originali, i taglia e cuci sono continui nei loro servizi. Non è onesto giornalismo perché la notizia viene da loro inventata e montata una volta tornati in redazione, rendendo volutamente sensazionalistico quello che non è. Non a caso i loro dati auditel precipitano di anno in anno e il loro pubblico è rimasto quello degli adolescenti da social network. Non proprio da essere orgogliosi. Questa volta sono stati smascherati proprio dalle telecamere, la Iena anzi, lo sciacallo, non ride più.

 

Qui sotto il video originale (censurato dalle Iene)

La redazione

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Papa Francesco e Kirill: «in Russia rinasce la fede, spezzate le catene del regime ateo»

francesco e kirillIl 12 febbraio scorso l’incontro tra il Papa e il Patriarca ortodosso ha segnato un giorno storico, che attendavamo dallo scisma del 1054. Francesco e Kirill hanno firmato una dichiarazione congiunta, 30 punti di impegno comune, prendendo atto che «il metodo dell’“uniatismo” del passato, inteso come unione di una comunità all’altra, staccandola dalla sua Chiesa, non è un modo che permette di ristabilire l’unità».

Punto importante dell’agenda è la difesa dei cristiani perseguitati in Oriente (e non solo), tema a cui è molto sensibile sopratutto Papa Francesco, il tema della pace e l’impegno comune a difendere la famiglia, come «centro naturale della vita umana e della società. Ortodossi e cattolici condividono la stessa concezione della famiglia», quella fondata «sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna. Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica».

Parlando della libertà religiosa, Francesco e il Patriarca ortodosso hanno ringraziato Dio per il «rinnovamento senza precedenti della fede cristiana che sta accadendo ora in Russia e in molti paesi dell’Europa orientale, dove i regimi atei hanno dominato per decenni. Oggi le catene dell’ateismo militante sono spezzate e in tanti luoghi i cristiani possono liberamente professare la loro fede. In un quarto di secolo, vi sono state costruite decine di migliaia di nuove chiese, e aperti centinaia di monasteri e scuole teologiche. Le comunità cristiane portano avanti un’importante attività caritativa e sociale, fornendo un’assistenza diversificata ai bisognosi. Ortodossi e cattolici spesso lavorano fianco a fianco. Essi attestano l’esistenza dei fondamenti spirituali comuni della convivenza umana, testimoniando i valori del Vangelo».

Effettivamente le statistiche più aggiornate parlano chiaro: tra il 1991 e il 2008, la quota di adulti russi che si identificano come cristiani ortodossi è passato dal 31% al 72% mentre, nello stesso periodo, la quota di coloro che non si identificano con una religione è sceso dal 61% al 18%. Rispetto all’ateismo di Stato imposto durante il regime ateo di Lenin-Stalin, è significativo che oggi il 54% dei russi si dica “abbastanza” religioso (contro l’11% del 1991) e i credenti siano aumentati dal 38% al 56%. L’adesione religiosa è cresciuta in particolare tra i giovani (+43%) e i laureati (+50%). La situazione è ancora più rosea negli ex stati satelliti dell’Unione sovietica.

Buone notizie arrivano comunque da diverse parti: in Svizzera, ad esempio, secondo un recente sondaggio, il 53% degli intervistati si definisce religioso o molto religioso (cattolico o protestante), l’8% si dichiara non credente e il 5% è musulmano, comunità di fede ebraica o altro. In Corea del Sud, l’annuale sondaggio compiuto dall’Ordine buddista Jogye ha confermato che il cattolicesimo è la religione che conquista più fiducia, conquistando il 38,9% della fiducia complessiva (sopratutto grazie ai sacerdoti). Subito dopo vengono i buddisti con il 32,8% e le denominazioni protestanti con il 10,2%. In Francia, si parla di un risveglio inaspettato della vita spirituale tra i giovani di 18-24 anni, il 15% di loro ha a cuore il suo impegno religioso. La vita religiosa ha una “buona immagine” per il 65% dei francesi.

Negli Usa, invece, studiando le statistiche degli ordini religiosi femminili si chiede di dissipare l’eccessivo pessimismo, poiché il numero di religiose oggi è circa lo stesso di un secolo fa. In Bangladesh, in 20 anni sono raddoppiate le diocesi mentre in Italia, i dati che arrivano in questo periodo, sono quelli relativi al successo di Tv2000, l’emittente della Conferenza episcopale italiana, i cui programmi vincono gli ascolti sia dei canali digitali (Rai Movie, La5, Real Time ecc), sia quelli di Rai e Mediaset.

Piccole buone notizie che servono ad allontanare un certo pessimismo cosmico e guardare alla realtà con una lente differente, certamente senza dimenticare i forti residui della secolarizzazione, che hanno fatto preoccupare Papa Francesco sopratutto per quanto riguarda il calo delle vocazioni. Ma non è un fenomeno obbligatoriamente irreversibile, anzi! Lo dimostra la rinascita religiosa nella patria dell’ateismo di Stato, la Russia, e i diversi sondaggi che abbiamo citato.

La redazione

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