«Asia Bibi sente il sostegno di Papa Francesco», ha detto padre Cervellera (Pime)

Asia BibiQuesta sera a partire dalle ore 20, la fontana di Trevi, nel pieno centro storico di Roma, si tingerà di rosso per ricordare il colore del sangue dei martiri cristiani perseguitati. L’iniziativa è promossa dalla fondazione pontificia Aiuto alla chiesa che soffre (verso essa invitiamo a destinare il 5×1000) per richiamare l’attenzione su quanto sta accadendo nel mondo.

Domenica scorsa, ancora una volta, Papa Francesco è tornato a riportare l’attenzione sui cristiani perseguitati, in particolare «i fratelli vescovi, sacerdoti e religiosi, cattolici e ortodossi, sequestrati da molto tempo in Siria». Innumerevoli sono i suoi interventi sui cristiani perseguitati, li abbiamo raccolti nel nostro apposito dossier.

Viene subito alla mente Asia Bibi, la donna cattolica icona delle minoranze cristiane perseguitate, incarcerata da 2.500 giorni a causa dell’assurda condanna di blasfemia piovutale addosso l’11 novembre 2010. Diversi polemisti mediatici di Papa Francesco, lo accusano di fregarsene della vita di questa donna, preoccupandosi di incontrare vip e personalità famose ma di non trovare il tempo per promuovere appelli pubblici di liberazione nei suoi confronti. Ad essi ha indirettamente risposto padre Bernardo Cervellera, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) e direttore di Asianews, portale dedicato all’informazione religiosa soprattutto del continente asiatico. «Sappiamo della grande sofferenza che sta vivendo, ma sappiamo anche che tutte le volte che abbiamo fatto una campagna per chiedere la sua liberazione, ci sono stati gruppi di fondamentalisti che hanno protestato, chiedendo la sua immediata esecuzione. Per questo motivo, la chiesa locale invita ad essere cauti nel tenere manifestazioni a sostegno di Asia Bibi, così come raccolte firme o campagne per la sua liberazione, perché si rischia di creare reazioni negative dei fondamentalisti, impossibili poi da controllare».

E’ la stessa cosa che abbiamo già sottolineato in passato, spiegando che la prudenza di Papa Francesco è la stessa utilizzata da Pio XII nei confronti degli ebrei, per non provocare mali peggiori, magari per vendetta. Gli stalker del Papa gli rimproverano di non tuonare contro l’Islam, ed invece l’arcivescovo Jacques Behnan Hindo, capo dell’arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi -a fianco dei cristiani perseguitati-, ha spiegato che «il momento è delicato e ogni iniziativa o parola non calibrata e presa senza ponderazione può aumentare i rischi per tutti». E’ la stessa prudenza di Benedetto XVI, che ha sempre condannato gli attentati e la persecuzione dei cristiani senza mai parlare di colpe dell’Islam o generalizzare sulla fede musulmana, piuttosto accusando la strumentalizzazione della religione (tanto che nel 2009 la Chiesa di Benedetto XVI fu accusata dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, di avere “reazioni ammiccanti all’islam”). Vittorio Messori ha scritto: «in certi settori ecclesiali c’è malcontento verso papa Francesco, sospettato di reagire in modo tiepido, timido, a questa mattanza di figli della Chiesa di cui pure è pastore. Verità imporrebbe di riconoscere che il rimprovero non sembra giustificato: proprio coloro che lodano (e giustamente) la prudenza di Pio XII verso coloro che seguivano il Mein Kampf, si lagnano della prudenza del suo attuale successore soprattutto verso coloro che seguono, fino alle estreme conseguenze, un altro libro, il Corano».

Asia Bibi, due anni fa, ha scritto proprio a Papa Francesco (non certo a chi lo critica), chiedendogli semplicemente di pregare per lei (e non di esprimersi pubblicamente), aggiungendo: «ti esprimo tutto il mio ringraziamento per la tua vicinanza». Evidentemente si tratta di una vicinanza che arriva alla donna tramite vie nascoste ai media, come ha spiegato l’esperto vaticanista John L. Allen: «papi e funzionari del Vaticano hanno sempre pesato le parole con attenzione, per paura che dire qualcosa di provocatorio possa peggiorare le cose. In questo contesto si apprezza il fatto che il Vaticano possa preferire operare dietro le quinte».

Infatti, padre Cervellera, ha precisato: «Asia Bibi sa che tutti i cristiani del mondo, il Papa in prima persona, la sostengono. Ma ora dobbiamo solo attendere, per evitare che ci siano nuove manifestazioni e minacce verso i giudici. Finché il governo non metterà a tacere gli estremisti e i fondamentalisti, il processo non vedrà mai luce. È la terza volta che è stato rimandato. Ma quando si terrà, verrà finalmente liberata». Speriamo presto.

La redazione

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Gli studi di genere smentiti dalla scienza: si nasce e si rimane uomini o donne

uomini-e-donneSecondo gli “studi di genere”, l’identità di genere sarebbe una componente distinta dall’identità sessuale e potrebbe anche non coincidere con essa (producendo maschi-donne e femmine-uomini), poiché le differenze tra uomo e donna sarebbero soltanto una costruzione sociale, dovuta a stereotipi di genere, per l’appunto. Su questa base teorica, nata negli anni ’70, viene legittimato il “cambio di sesso” di chi vive una incoerenza tra il “sentirsi” uomo (o donna) -cioè il “genere”-, e l’essere nata biologicamente come donna (o uomo), cioè il “sesso”.

Tutto falso, lo dimostra oggi la scienza moderna. Le differenze tra uomo e donna sono biologiche e genetiche, non certo dovute all’influsso sociale o dall’educazione ricevuta. Chi afferma di aver “cambiato sesso” ha semplicemente amputato parti anatomiche del corpo o ne ha aggiunte altre con la chirurgia estetica, dopo essersi bombardato di ormoni. A livello neuro-fisiologico rimane come è nato, nella sua originale identità sessuale.

«I dati scientifici», ha spiegato Antonio Federico, ordinario di Neurologia presso l’Università di Siena, «evidenziano chiare e nette differenze tra il cervello femminile e quello maschile, differenze che sono genetiche, ormonali e strutturali anatomo-fisiologiche, con importanti conseguenze sulle funzioni cerebrali e anche su alcune malattie». Oltre all’aspetto anatomico, «in situazioni complesse è avvantaggiata la donna, perché il cervello femminile è meno “rigido” e portato, quindi, ad analizzare uno spettro più ampio di dati e possibilità; al contrario, il cervello maschile è favorito in situazioni semplici e collaudate».

Lo ha confermato pochi giorni fa il neurochirurgo Giulio Maira: «L’uomo possiede un cervello che segue schemi basati di più sulla razionalità, mentre nella donna sono più di tipo intuitivo. Ciò fa sì che le donne siano più brave nel multitasking, più empatiche e con migliori abilità sociali. Gli uomini, invece, eccellono nelle attività motorie e sono più capaci ad analizzare lo spazio». Esistono dunque comportamenti e qualità tipiche degli uomini e della donna perché vi sono differenti ed immodificabili impostazioni a livello cerebrale, i quali «influiscono sulle diversità di comportamento e di percezione del mondo», hanno spiegato i ricercatori dell’Università di Cambridge.

Non può dunque esistere alcuna “identità di genere” separata e/o in contraddizione con “l’identità sessuale”, chi sostiene di avere un’identità differente da quella indicata dalla sua struttura neuro-anatomo-fisiologica ha semplicemente un disturbo di percezione di sé, che la medicina moderna chiama “disforia di genere” o “disturbo dell’identità di genere” (DIG), ovvero «il forte e persistente desiderio di identificarsi con il sesso opposto, piuttosto che con il dato biologico o anatomico». I cosiddetti “studi di genere”, dunque, sono confutati fin dalla partenza: «La genetica e la biologia neoevoluzionista contemporanee hanno concorso a rimettere in gioco il corpo», si legge sul Dizionario di filosofia dell’Enciclopedia Treccani. «Per tali vie il sesso sembra riacquistare incidenza sul genere, attutendo la spinta propulsiva degli studi di genere».

La redazione

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Metodi naturali, la bellezza della sessualità cristiana

fertilità 

di Alessandra*

*dal sito web Amici Domenicani, 10/03/16

 

Caro Padre Angelo,
leggo sempre le sue risposte sul sito di Amici Domenicani e le trovo sempre piene di sapienza e di carità. La ringrazio per il suo prezioso lavoro. Non ho per adesso domande da porle, ma vorrei offrire la mia testimonianza di donna, sposa e madre cristiana perché ho notato che ci sono sempre tantissime domande sulla liceità della contraccezione nel matrimonio e sui metodi naturali.

Lei spiega sempre in maniera completa tutti gli aspetti morali della questione, molte volte le sue risposte mi hanno aiutata a capire e apprezzare ancora di più la bellezza della sessualità matrimoniale vissuta secondo la volontà di Dio. Dalle domande che tanti le rivolgono, mi sembra di capire che ci sono tanti pregiudizi e cattiva informazione sui metodi naturali. E’ per questo che le scrivo, per confermare che è possibile vivere cristianamente la sessualità matrimoniale e che i metodi naturali sono anche un percorso di conoscenza del proprio corpo, che regalano serenità e padronanza di sé. Da donna, posso dire che questa consapevolezza del corpo e della fecondità è un dono meraviglioso da portare a se stesse e al proprio marito.

Molti si affannano ad imparare tante cose e sviluppare molte conoscenze in tante aree del sapere, ma si scoraggiano davanti alla necessità di applicarsi per capire e studiare i ritmi del proprio corpo. Ad esempio, avere cicli irregolari non impedisce assolutamente l’uso dei metodi naturali. Anzi, monitorare i propri cicli può essere d’aiuto a capire se ci sono dei problemi ormonali che causano l’irregolarità e a risolverli (anche attraverso semplici accorgimenti nella dieta o nello stile di vita). Altre volte imparare i metodi naturali aiuta a capire che in realtà quello che sembra un ciclo irregolare non lo è poi tanto, perché ci sono delle “fasi” del ciclo che ricompaiono stabilmente ogni mese. Inoltre i cicli cambiano nel corso della vita: dopo la prima gravidanza e passato il periodo dell’allattamento, molte donne scoprono una nuova regolarità.

Un’altra cosa che vorrei testimoniare è che è possibile usare i metodi naturali anche durante l’allattamento. Tra l’altro, allattare in maniera naturale (cioè tutte le volte che il bimbo lo chiede, senza alternare biberon e latte materno) di solito ritarda il ritorno della fertilità femminile: secondo i disegni meravigliosi del Creatore, quando il corpo della mamma è dedicato a nutrire un neonato, un’altra gravidanza è naturalmente posticipata, per permetterle di dedicare tutte le energie all’allattamento. Ma anche quando i cicli tornassero (a me è capitato con l’ultima figlia, perché da subito dormiva tanto durante la notte e c’erano lunghi intervalli tra una poppata e l’altra), è sempre possibile usare i metodi naturali, anche se con maggior accortezza (ad esempio può accadere di doversi astenere in due periodi del mese, anziché in uno, perché i segni dell’ovulazione sembrano ripetersi). Tutto questo è normale e, se vissuto con serenità, non fa che accrescere l’amore dei coniugi e la consapevolezza del miracolo della loro paternità e maternità. Questo “allenamento” inoltre aiuta a prepararsi per i periodi più difficili, quando accade di doversi astenere per periodi lunghi (noi avevamo fatto la scelta di astenerci per diversi mesi dopo la nascita della prima figlia, per motivi di salute e complicazioni sorte dopo il parto).

La gioia che si sperimenta vivendo il matrimonio secondo la volontà del Creatore è talmente grande che la fatica umana che si fa nei periodi in cui bisogna astenersi sembra davvero poca cosa. E questo non è solo il mio pensiero, ma anche quello di mio marito e altre coppie di sposi che conosco e che hanno deciso di vivere così il loro matrimonio. Alle donne vorrei dire anche che la conoscenza e l’accettazione profonda della propria fertilità aiuta anche a conoscersi meglio psicologicamente e a vivere con molta più gioia e consapevolezza le esperienze meravigliose della gravidanza e del parto, che non sono una malattia ma una parte bellissima ed essenziale della nostra femminilità.

Padre, non so se troverà utile questa mia testimonianza, ma la prego di continuare nella sua opera di diffusione della verità. Purtroppo – e non dico questo per giudicare, ma lo constato con tristezza – a volte anche i pastori della Chiesa non insistono adeguatamente su questo punto, forse perché pensano di imporre alle coppie un giogo troppo grande. Ma non è così: vivere così il matrimonio è un giogo leggero ed è giusto aiutare le coppie di sposi cristiani a maturare nella fede e spingerle ad informarsi, a capire, ad applicare tutta la loro intelligenza nel discernimento della verità. Io e mio marito non abbiamo mai usato contraccettivi, e i metodi naturali ci hanno sempre aiutati efficacemente nei periodi in cui – pregando – avevamo preso la decisione di cercare di aspettare un po’ prima di accogliere un altro bambino. Spero che la mia testimonianza sia utile a qualcuno e spero di non averla disturbata con questa lunga lettera. La prenda come un’ulteriore conferma e ringraziamento.

Un saluto,
Alessandra.

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Silvio Viale, chi è l’impresentabile candidato del PD a Torino

13029423_1535202050120644_5736643559690857369_o405 voti, ovvero lo 0,75%. Queste le persone che nel 2011 avevano votato per il medico abortista Silvio Viale durante le primarie del centrosinistra torinese, condannandolo all’ultimo posto tra i candidati. Contemporaneamente, si è scoperto che il medico era candidato anche nella lista radicale “Legalizziamo Milano” a sostegno di Giuliano Pisapia, attirando le ire dei colleghi: «Il PD non è un partito di pagliacci!».

Nel 2016, non contento, lo ritroviamo nuovamente candidato nelle liste del PD alle elezioni comunali di Torino. Per meglio sottolineare i propri “meriti”, il dott. Viale ha voluto comparire nelle immagini pubblicitarie della campagna elettorale con in mano le confezioni di RU486, ovvero la pillola abortiva che manda in pronto soccorso il 3,3% di donne che la utilizzano, secondo l’Australian Family Physicians, che nel 5% dei casi provoca un’’interruzione incompleta della gravidanza per cui è necessario effettuare un’’aspirazione o un raschiamento dell’’utero, secondo la Société suisse de gynécologie & obstétrique e che uccide 10 volte di più dell’aborto chirurgico, come sottolineato in un famoso editoriale del New England Journal of Medicine. «Basta con questa ipocrisia», ha commentato Severino Antinori, ginecologo e presidente dell’Associazione mondiale di medicina riproduttiva. «Basta con le informazioni false. Smettiamola di dire che la pillola Ru486 aumenta la libertà della donna. Aumenta soltanto la sua libertà a farsi del male. Gli effetti della pillola sono devastanti per la donna e raccapriccianti per quel che succede al feto».

Su Libertà e Persona si leggono alcune frasi attribuite a Silvio Viale da un testimone oculare: «Io i bambini li frullo, sì, li frullo, non ho paura a dirlo», avrebbe detto il ginecologo radicale nel 2008 ad un convegno del Movimento per la Vita a Trento. Nel 2013, come abbiamo riportato, si è tradito affermando: «Non sono un fanatico che fa le crociate contro la Chiesa, anzi quest’anno ho mandato un paio di pazienti al consultorio del Movimento per la vita perché mi sembrava evidente che il bambino volevano tenerlo». Si, ha proprio detto “il bambino”, evidentemente ben consapevole di chi siano i destinatari degli aborti che pratica con orgoglio.

Nel 2010, si legge, Silvio Viale è stato sospeso per 25 giorni dall’ospedale Sant’Anna di Torino dopo uno scontro fisico avuto con la caposala Tiziana Adamo, litigio costato alla donna la rottura di un dito e una prognosi di venti giorni. Tre anni dopo, Viale è nuovamente alla (sfiorata) rissa, questa volta con un consigliere comunale del Pdl. Non stupisce se si considera che, dopo la laurea all’Università di Torino, il radicale diventò uno dei leader di Lotta continua, violentissima formazione della sinistra extraparlamentare italiana guidata da Adriano Sofri, mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Viale, secondo la ricostruzione de Il Giornale, venne arrestato per sei mesi prima di scappare all’estero, latitante dal settembre ’81 al gennaio ’83, denunciato dal terrorista pentito Roberto Sandalo per il rogo del bar Angelo Azzurro (venne assolto per insufficienza di prove), in seguito nuovamente arrestato mentre fumava spinelli davanti alla prefettura. Nel 1997, eletto in Consiglio comunale, invoca la sperimentazione di somministrazioni controllate di eroina e dal 1999 organizza aperitivi a base di cannabis, droga che distribuisce gratuitamente (senza spiegare da dove arrivi) durante le campagne elettorali.

Altre sue “meritorie” attività sono la proposta dei Giochi olimpici gay («avevo la delega per i matrimoni ma non ho mai trovato una coppia omosessuale disposta a farsi sposare da me», ha dichiarato) l’attivismo per la rimozione del crocifisso dall’’aula comunale («una volta per tutte!»), l’’intitolazione di una strada a Che Guevara. Nel libro Medici di Riccardo Ferracini si auto-definisce “un frustrato”, l’8 marzo festeggia la Festa delle donne distribuendo ricette della pillola abortiva alle studentesse, è militante perfino di Exit Italia, l’associazione pro eutanasia che Viale vorrebbe applicare a comatosi e malati terminali, come specificato in un ordine del giorno fatto approvare dal Consiglio comunale.

Domanda: davvero la città di Torino merita di essere rappresentata da un personaggio del genere? Per noi no, Viale è completamente impresentabile (esattamente come lo era fino al 2011 per lo stesso Partito Democratico). Vedremo se lo sarà anche per i torinesi.

La redazione

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Maria Gaetana Agnesi, la più celebre matematica voleva diventare monaca

Maria gaetana agnesiL’errata percezione che molti hanno della condizione della donna nella Chiesa cattolica è negata dall’esistenza di tante illustri pensatrici, protagoniste della storia e testimoni della fede cattolica, come Ildegarda di Bingen, Giovanna d’Arco, Caterina da Siena, Teresa d’Avila ecc. Una di queste è la protagonista dell’articolo che segue.

Maria Gaetana Agnesi, nata a Milano il 16 maggio 1718 come terza dei ventuno figli di Pietro Agnesi Mariani e Anna Fortunata Brivio, era destinata a lasciare un segno. Sin da piccola mostrò di possedere straordinaria intelligenza e particolare propensione per le lingue straniere. Il padre Pietro, professore di Matematica all’Università di Bologna, aveva deciso, come da tradizione, di far istruire il primo figlio maschio, e allo stesso modo riconobbe e incoraggiò le doti della terzogenita, provvedendo alla sua istruzione con illustri precettori. Questa saggia decisione plasmò la mente di Maria Gaetana, che divenne una delle menti più illustri del suo tempo.

Passata dagli studi di lingue ed eloquenza a quelli, ancor più difficili, di filosofia e matematica, l’Agnesi divenne una dei matematici più grandi mai vissuti sino ad allora, tanto da ricevere benedizioni da Papa Benedetto XIV (pontefice magnanimo e lungimirante stimato persino dagli Illuministi, Voltaire in particolare), doni da Maria Teresa d’Austria e un sonetto da Goldoni. La Curva Agnesi che i matematici conoscono? Nasce da lei. Già studiata da Pierre de Fermat nel 1666 e Guido Grandi nel 1703, Maria Gaetana la perfezionò nel 1748. Non le diede il proprio nome, ma la chiamò “versiera”, venendo letta dall’inglese John Colson come Adversiera e tradotta con Witch, “strega”. Così, per questa errata interpretazione, la Curva Agnesi, altresì chiamata Versiera, è conosciuta dagli anglosassoni come Witch of Agnesi, la Strega di Agnesi.

L’Agnesi seguì la carriera che le indicava il padre, e che in effetti dava e avrebbe dato frutti abbondanti, eppure, in cuor suo, faceva tutto ciò solo per obbedire al genitore. Il suo reale desiderio era farsi monaca. Acconsentì alla visione del genitore solo dopo aver ottenuto, in cambio, di non dover partecipare a tutta quella vita mondana che la reclamava (Casa Agnesi era un salotto culturale prestigiosissimo di quel tempo) e di poter andare in Chiesa tutte le volte che voleva (altra Casa che la reclamava, ma questa sì gradita al suo cuore). Nel 1750 il padre si ammalò e lei lo sostituì alla cattedra bolognese.

Nel 1752, dopo quasi tre anni, alla morte di Pietro, Benedetto XIV le offrì di ricoprire ufficialmente la cattedra, accettando la richiesta nata dall’Università stessa. L’Agnesi aveva 34 anni, ed era un’occasione unica per una carriera prestigiosa. Irripetibile, per una donna. Un’occasione così l’ebbe anche la fisica e filosofa Laura Bassi, sempre grazie a Papa Lambertini. Maria Gaetana però rifiutò: essendo morto il padre, non era più tenuta a obbedirgli. Si ritirò completamente dalla vita pubblica per dedicarsi a opere di carità come la cura dei poveri e dei malati, agli studi privati compreso quello delle Sacre Scritture, e all’istruzione di fratelli, sorelle e domestici di casa. Maria Gaetana rese Casa Agnesi un rifugio per le inferme, lei stessa divenne serva e infermiera: aprì un piccolo ospedale, andò a vivere con le malate e, per far fronte alle spese, dopo aver venduto tutti i suoi averi, si rivolse a conoscenti, autorità e Opere Pie.

Finché, grazie a una donazione del principe don Antonio Tolomeo Trivulzi, istituì a Milano il Pio Albergo Trivulzio, di cui divenne la direttrice. Ormai aveva abbandonato gli studi scientifici per dedicarsi, in questa sua seconda vita, a quelli religiosi. Pur senza titoli accademici, era una vera e propria teologa, e il cardinale Giuseppe Pozzobonelli addirittura si rivolse a lei per un consulto. Chi invece voleva da lei pareri scientifici data la sua preparazione eccelsa, incontrava un netto rifiuto: Maria Gaetana aveva le sue “serie occupazioni”. Morì il 9 gennaio 1799 in odore di santità, “giovinetta e ottuagenaria”, continuando a lavorare per povere e inferme al Trivulzio. A Montevecchia, nella Villa Agnesi Arbertoni dove visse, dal 1895 la ricorda una lapide commemorativa, che dà «lustro al nome di lei, all’Italia e gloria cristiana».

Una personalità straordinaria, un’esistenza trascorsa sul filo doppio della fede e della scienza, due vite in una, l’Agnesi matematica eccelsa e la Maria Gaetana santa donna dalle opere buone, segno dei tempi così incredibilmente attuale e così straordinariamente anticipatore, ponte tra epoche diverse, e porta aperta su una prospettiva, quella della fede cristiana, che non smette mai d’avere tanto da dirci.

La redazione
(il nome di Maria Gaetana Agnesi è inserito nel nostro elenco di scienziati cattolici)

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Il monoteismo ebraico e le errate critiche di Jan Assmann

disagio monoteismoIl processo al monoteismo è tornato alla ribalta a motivo della recente pubblicazione italiana del libro Il disagio dei monoteismi (Morcelliana 2016) di Jan Assmann, egittologo e principale accusatore del monoteismo come fenomeno di violenza.

In quest’ultimo libro, l’egittologo tedesco approfondisce una sua tesi, precedentemente esposta in Mosè l’egizio (Adelphi 2000) e La distinzione mosaica (Adelphi 2011), secondo cui il monoteismo ebraico ereditò la componente integralista del monoteismo imposto dal faraone egiziano Amenofi IV, introducendo come novità la convinzione che l’unico vero Dio sia soltanto il proprio («non avrai altro Dio all’infuori di me»), portando a considerare “falsi dèi” le altrui divinità, scatenando per questo sanguinosi conflitti di religione. La sua proposta, anche davanti al fenomeno dell’Islam fondamentalista, è quella di limitarsi  a valorizzare la tensione all’Assoluto espressa da ogni forma religiosa (“religione profonda”), lasciando perdere il “vero” e il “falso” e l’unica verità. Una tesi simile è stata proposta anche in Origine del monoteismo e sue conseguenze in Europa, scritto dall’italiano Gianantonio Valli, medico nazista e antisemita, morto suicida nel 2015.

Alla tesi -molto relativista- di Assmann, che di fatto non è altro che una palese riproposizione di quella di Sigmund Freud, esposta in L’uomo Mosè e la religione monoteistica, ha strizzato l’occhio -sorprendentemente sull’Osservatore Romano!- il controverso studioso “indipendente” Marco Vannini, autore di un libro -assieme a Corrado Augias-, nel quale ha tentato di accusare la natura “pagana” del culto mariano (lavoro confutato ottimamente da Mario Iannaccone, che lo ha definito “cospirazionismo teologico”). Curioso come nel 2006 l’ateologo Vito Mancuso abbia definito Vannini «il maggior studioso di mistica», mentre nel 2010 lo ha accusato di far trasparire nei suoi scritti un «un livore che contrasta con quel “distacco” da lui posto al cuore dell’esperienza mistica», arrivando a definirlo antisemita (o «sinistro antigiudaista») per «parole che non dovrebbero essere più scritte dopo la Shoah». Ovvero, l’accusa agli ebrei di deicidio nei confronti di Gesù.

Tornando ad Assmann, certamente è da apprezzare il riconoscimento di un “senso religioso” insito nell’uomo, tale da averlo portato fin dalla sua apparizione a tentare un aggancio con la divinità che presentiva sopra di sé (il primo uomo è l’homo religiosus, ha insegnato il compianto antropologo Julien Ries). In secondo luogo, bisogna tuttavia precisare che gli studiosi sono divisi sul considerare “monoteismo” il cambiamento religioso introdotto da Akhenaton (vero nome di Amenofi IV), il quale «in sé non aveva nulla di rivoluzionario, e siamo ben lontani dalla “religione rivelata” che alcuni hanno voluto vedervi», ha scritto ad esempio Nicolas Grimal, celebre egittologo francese. «Dagli inizi della XVIII dinastia si può seguire l’ascesa dei culti di Heliopolis, che in realtà sono poi la continuazione di una tendenza già iniziata nel Medio Regno: la “solarizzazione” dei principali dèi, come Amon, per mezzo della forma sincretistica Amon-Ra». Perciò, è «senz’altro esagerato parlare di monoteismo, dal momento che questa concentrazione non escludeva gli altri dèi».

Altri egittologi, invece, come il canadese Donald Redford, sostengono che si trattò proprio di un vero monoteismo, ma che in nessun modo è possibile paragonarlo a quello ebraico: «vi è poca o nessuna prova a sostegno dell’idea che Akhenaton era un progenitore del monoteismo conclamato che troviamo nella Bibbia», ha scritto il prof. Redford. «Il monoteismo della Bibbia ebraica e del Nuovo Testamento hanno avuto il loro proprio e separato sviluppo, che è cominciato più di mezzo millennio dopo la morte del faraone. Dopo la morte di Akhenaton, gli egiziani sono ritornati immediatamente alle loro vecchie norme religiose». Era un monoteismo «privo di contenuto etico», ha scritto ancora, citato in questo interessante articolo di approfondimento. Lo stesso ha spiegato Brian Fagan, noto egittologo inglese. Anche Freud, d’altra parte, riconobbe l’originalità del culto ebraico, in particolare per «l’idea che un dio tutt’a un tratto “scelga” un popolo, dichiarandolo suo popolo e dichiarando sé stesso suo dio. Io credo che sia l’unico caso del genere nella storia delle religioni umane» (S. Freud, “L’uomo Mosè e la religione monoteistica”, Boringhieri 1979, p.355).

Bisogna considerare anche la seconda tesi di Assmann, riproposta da tanti altri pensatori, ovvero l’accusa al monoteismo ebraico-cristiano di aver originato violenza ed intolleranza religiosa in nome dell’unico vero Dio (spingendo l’esempio fino alla crociate e al colonialismo). E’ una leggenda, come abbiamo già avuto modo di considerare. Infatti, ha spiegato il prestigioso storico francese Alain Besançon, comunista convertitosi al cattolicesimo, «se andiamo a vedere cosa è accaduto nell’India delle miriadi di dei, nella Cina di Tao o di Confucio, nel Messico precolombiano, nell’Africa degli spiriti della foresta, si scopre una storia il cui abominio non è affatto inferiore al nostro», per non parlare degli orrori prodotti dal marxismo ateo, ad esempio in Unione Sovietica.

La solfa del politeismo “pacifico” -in quanto relativista-, è stata smontata recentemente anche dal filologo Luciano Canfora, comunista di ferro e non certo simpatizzante per il cristianesimo: «la polarità politeismo/monoteismo può apparire, in casi storicamente molto significativi, come una semplificazione depistante. Una giuria popolare ateniese mandò a morte Socrate con l’accusa di “non credere agli dèi della città”. E analoga sorte sarebbe toccata al filosofo e scienziato Anassagora, se questi non si fosse sottratto per tempo a un assurdo processo. E un secolo più tardi Aristotele, nell’Atene dominata dai sempreverdi capi della democrazia, si sottrasse fuggendo a un processo per empietà. Ed è una tradizione greca di pensiero critico, che prende avvio dal sofista Crizia, che addita nella religione uno strumento di controllo etico e politico. Il che, secoli dopo, pensava lo storico Polibio, ammiratore dell’uso romano della religione come instrumentum regni». Ancora oggi nelle politeistiche società induiste è proibito il proselitismo di appartenenti ad altre religioni, tantissimi cristiani subiscono conversioni forzate, tanti altri vengono massacrati e la chiese cristiane date alle fiamme. E lo stesso è accaduto e accade nelle (tolleranti) società buddhiste. La cruda violenza presente nelle società politeiste e ateiste è la principale confutazione dell’accusa al monoteismo di essere causa di divisione e intolleranza.

Bisognerebbe infine aprire un capitolo sul progresso civile e morale apportato proprio dal monoteismo, al contrario delle società politeiste, oggetto di ricerca del prof. Rodney Stark, il più importante sociologo delle religioni vivente, nel suo libro Un unico vero Dio. Le conseguenze storiche del monoteismo (Lindau 2009). E’ consigliato anche il lavoro dello psicologo dell’University of British Columbia, Ara Norenzayan, intitolato Big Gods: How Religion Transformed Cooperation and Conflict, nel quale ha evidenziato come la religione monoteista ha risolto molto meglio i dilemmi della cooperazione e ha favorito il progresso civile.

La soluzione ai conflitti religiosi è riconoscere, come fa il cristianesimo, che la verità non la si possiede, ma la si incontra. Anzi, si viene incontrati da Essa, tramite un’esperienza umana, quella con il Risorto («io sono la via, la verità e la vita»). Tale verità si caratterizza sempre come una proposta agli uomini, mai un’imposizione, e quando non è stato così si è sempre trattato di un terribile abuso e tradimento della sua natura. Un tradimento da parte di uomini, non certo attribuibile al monoteismo o all’abbracciare la verità. Nella Lumen fidei, scritta da Francesco e da Benedetto XVI, si legge: «Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti».

La redazione
(articolo inserito nell’archivio tematico dedicato all’Antico Testamento)

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«Sono un ginecologo ateo e non pratico l’aborto. In nessun caso»

Feto 11 settimaneSecondo l’oncologo Umberto Veronesi, «in un mondo civile e moderno la fede dovrebbe essere lasciata fuori dalla sala operatoria», così da consentire liberamente l’interruzione di gravidanza.

Ma siamo davvero sicuri che è la fede cristiana nella sacralità della vita umana ciò che sprona quasi il 90% dei ginecologi italiani -e l’86% di quelli americani, a non praticare l’aborto? Certamente il cristianesimo è un grandissimo aiuto a livello morale, ma la questione è sopratutto medica.

Lo dimostra non solo l’associazione Secular pro-lifeattivisti atei contro l’aborto, ma anche Riccardo Cortelazzi, ginecologo e Dirigente Medico di I livello presso l’Ospedale Macedonio Melloni di Milano. «Sono obiettore», ha affermato, «ma non per questioni religiose. Sono stato cresciuto in una famiglia cattolica, ma non sono praticante. Sono per uno stato ateo, come in Francia». La fede è stata lasciata fuori dalla sala operatoria, eppure l’aborto non viene comunque praticato. Nemmeno in caso di feto malformato, «aiuto la paziente e non l’abbandono. In quel caso la legge prevede l’interruzione terapeutica della gravidanza, ma non la potrei mai praticare io, in nessun caso. Di fronte a situazioni che riguardano la salute della donna o del nascituro, do il mio sostegno psicologico, pur senza entrare nel merito di decisioni private, e indirizzo la paziente ad una mia collega ginecologa che non è obiettrice. Le spiego tutte le possibilità, analizzo dal punto di vista medico in che cosa consiste l’intervento e provo a spiegare che le ferite sono sempre anche psicologiche».

Ma, lo dicono i dati, questi casi sono una rarità, oltre il 90% degli aborti avviene per cause facilmente risolvibili, come quelle economiche o per mancanza di voglia di crescere un bambino. «Se si tratta, come purtroppo talvolta capita, di ragazzine che considerano l’interruzione di gravidanza un anticoncezionale», ha proseguito il ginecologo, «spiego che sono un obiettore alla legge 194/78 e le invito a rivolgersi altrove».

Come dicevamo, il problema dell’aborto è l’evidenza dell’uccisione di un essere umano, non di un grumo di cellule (nessuno si opporrebbe, altrimenti). Lo ha ripetuto tante volte anche Papa Francesco: «E’ un problema scientifico, perché lì c’è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema», e ancora: «L’aborto non è un “male minore”. E’ un crimine, non è un problema teologico: è un problema umano, è un problema medico». Per questo, ha dichiarato recentemente, «a coloro che operano nelle strutture sanitarie si rammenta l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza».

La redazione
(articolo inserito nell’archivio tematico dedicato all’aborto)

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Nelle poesie di Bertolt Brecht il bisogno di Dio, altrimenti «il Nulla è l’ultimo compagno»

bertolt-brechtIn un suo recente articolo, Alessandro Rivali, editor per le Edizioni Ares di Milano, ha compiuto una interessante “riscoperta” del noto poeta e drammaturgo tedesco Bertolt Brecht.

L’autore della celebre commedia Vita di Galileo, tra le più importanti del XX secolo, crebbe come protestante e la lirica religiosa evangelica e luterana lasciarono un’impronta decisiva in tutta la sua bibliografia. Dal 1926, tuttavia, a 28 anni, si avvicinò al pensiero di Hegel e Marx e abbracciò il materialismo marxista, fortemente influenzato da Karl Korsch. «Quando ho letto Il Capitale di Marx», scrive ad esempio Brecht, «ho capito le mie commedie». E ancora: Marx è stato «l’unico spettatore che ho mai trovato per le mie commedie». Più volte ha lodato il collettivismo bolscevico, tanto da ricevere il Premio Lenin per la pace nel 1954, una sorta di risposta dell’Unione Sovietica agli occidentali premi Nobel per la pace. Morì il 17 agosto 1956 e fu seppellito senza cerimonie religiose, come da sua volontà.

Eppure, grazie al recente suo inedito, pubblicato in La Bibbia (Edizioni Via del Vento 2016), si può apprezzare il pensiero del poeta tedesco nella giovinezza, quando esordisce come drammaturgo. E’ autore di un breve dramma, immagina un’Olanda protestante del XVI assediata dalle truppe cattoliche, in cui –spiega Rivali- emerge «la ricerca di un Dio “vicino”, che risponda alle preghiere dei supplici: “Raccontami altro, nonno! La tua Bibbia è fredda! Parla di un Dio buono e salvatore. La tua Bibbia conosce solo castighi!”». L’ultima scena ritrae il Nonno che chiede, come i discepoli di Emmaus: «Signore, resta con noi, perché si fa sera e il sole ormai tramonta». Se si prosegue il dramma, si scopre che «è un Giobbe senza risposta quello di Brecht». E la Bibbia rimarrà il suo punto di riferimento anche nella maturità, tanto che nel suo Diario (1938), scrive: «Certe parole della Bibbia sono indistruttibili. Esse vanno da parte a parte. Si pongono come brividi sotto pelle, che passano lungo la schiena, come nell’amore».

Ma un dio confinato in un Libro non cambia la vita, senza un’esperienza diretta e personale del protagonista del Libro, l la Bibbia non ha alcuna reale presa sul cuore umano. In un passo di Geschichten von Herrn Keuner, Brecht scrive: «Un giorno qualcuno chie­se al signor Keuner se Dio esistesse. Il Signor Keuner disse: “Ti consiglio di riflettere se il tuo atteggiamento si modificherebbe a seconda della risposta a questa do­manda. Se esso non cambiasse, allora puoi lasciare ca­dere la domanda. Se esso cambiasse, allora posso alme­no esserti d’aiuto fino al punto da dirti che tu ti sei già deciso: tu hai bisogno di un Dio“». Certo, rimane il bisogno di salvezza, di compimento, ma una domanda senza che trovi mai adeguata risposta, nel tempo inevitabilmente si corrompe, decade e diventa ininfluente. Nel 1938, in Der Nachgeborene, Brech riflette: «Lo ammetto: io non ho speranza. Il cieco parla di una via di uscita. Io ci vedo. Quando tutti gli errori sono esauriti l’ultimo compagno che ci sta di fronte è il Nulla».

E’ così, l’unica alternativa alla Luce è il buio del Nulla. «La speranza perduta nella resurrezione lascia dietro a sé un vuoto evidente», scrive Jürgen Habermas (Il futuro della natura umana, Einaudi 2002, p.108). A meno che, qualcosa accada. «Un imprevisto è la sola speranza», scrive Montale. E’ quanto accaduto, ad esempio, al capitano della Stasi, Gerd Wiesler, nel bellissimo film Le vite degli altri, scritto e diretto da Florian Henckel von Donnersmarck nel 2006. Incaricato di spiare giorno e notte il regista teatrale Georg Dreyman, l’inflessibile capitano della polizia segreta tedesca si immerge nella sua vita, lasciandosi invadere dall’amore per la libertà dell’altro, arrivando a mentire ai suoi superiori pur di salvare le “vite degli altri”. A generare questa “conversione” è anche un libro di poesie di Bertolt Brecht che il capitano Wiesler sottrae dalla stanza di Dreyman. L’imprevisto può essere la speranza e il Nulla non è più “l’ultimo compagno che ci sta di fronte”.

La redazione
(articolo inserito nell’archivio tematico dedicato ai famosi non credenti)

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Chi inventò il gender? Un pedofilo e un maniaco sessuale

Kinsey e Money 
 
di Enzo Pennetta*
*da Critica Scientifica, 11/11/15

 

Avevamo parlato sul mio blog, qualche giorno fa, dell’editoriale del direttore della rivista “Le Scienze” sul tema “gender” in un articolo intitolato “Gender: “Le Scienze” scende ancora in campo“. Analizziamo adesso un articolo del numero 131 di “Mente&Cervello”, la rivista di Le Scienze, al quale l’editoriale si riferiva.

L’articolo è a pag. 48, e sin dall’inizio è possibile notare una manipolazione linguistica: «Se per la biologia esistono solo due generi, il maschile e il femminile… per la psicologia e la sociologia la faccenda è più complessa, e il termine gender indica non tanto il genere biologico, quanto quello nel quale l’individuo si riconosce, indipendentemente da quello che dice il suo DNA». In biologia esistono i sessi, se il termine “genere” compare, si tratta di un’acquisizione recente e ingiustificata. Ma dal punto di vista della comunicazione introdurre il termine “genere” al posto di sesso è una premessa per l’accettazione del concetto di genere psicologico-sociologico. Successivamente poi si parla, correttamente, di “possibili” discrepanze tra biologia e vissuto individuale, discrepanze studiate dagli studi di genere (gender studies), una disciplina nata negli USA negli anni ’60.

Dopo aver passato in rassegna alcuni casi di opposizione al gender, l’articolo prende una piega chiaramente schierata: «Sono solo alcuni dei molti esempi di opposizione all’introduzione di una didattica che non sia afflitta da stereotipi sui ruoli che, nella società, donne e uomini si trovano a ricoprire e sul diritto al riconoscimento giuridico delle famiglie “atipiche”, in cui sono presenti due genitori dello stesso sesso o un genitore unico». Vien da domandarsi se l’autrice dell’articolo sappia cosa si insegna nelle scuole: dove la didattica sarebbe stata afflitta da stereotipi? Nella geografia o nella filosofia? Nella matematica o nella fisica o nella biologia? E la storia, si insegna con gli stereotipi? In quale disciplina esistano stereotipi di genere che “affliggono” l’insegnamento?

Nello stesso periodo si parla poi di “due genitori dello stesso sesso”: in biologia due genitori dello stesso sesso non possono esistere, e non si tratta di uno stereotipo ma di scienze sperimentali. Affermare il contrario significa fare disinformazione scientifica. L’affermazione sul genitore unico poi resta da comprendere, quando mai servono gli studi di genere per affrontare le situazioni di persone single che crescono un figlio? Che c’entra? Ovviamente nulla, a meno che quando si parla di genitore unico non si intendano dei casi in cui si è ricorso all’inseminazione eterologa o all’utero in affitto, allora si dovrebbe essere più chiari se no il sospetto che si vogliano confondere le situazioni è legittimo.

A pag. 51 si spiegano le origini degli gender studies, e così come era avvenuto nell’editoriale del direttore, il riferimento e lo screditatissimo e famigerato “Rapporto Kinsey”, e a dirlo è Demie Kurtz, condirettore del Dipartimento degli studi sul genere, la sessualità e le donne dell’Università della Pennsylvania a Philadelphia: «“A svelare la frequenza con cui si presentano le “incongruenze” di genere è stato Alfred Kinsey, con il suo studio sulla sessualità degli americani, pubblicato appunto nei primi anni cinquanta”». Alfred Kinsey viene ancora citato ai massimi livelli degli studiosi di gender studies come autore di riferimento. Ricordiamo a questo punto chi era Alfred Kinsey, ce lo ricorda lo psicologo, prof. Roberto Marchesini che scrive: «Kinsey ha manipolato il campione di individui intervistato per ottenere quei dati. Il celebre psicologo Abraham Maslow, saputo delle ricerche che Kinsey stava conducendo, volle incontrarlo per confrontarsi con lui. Una volta compreso il metodo d’indagine di Kinsey, Maslow mise in guardia l’entomologo dal “volunteer error”, ossia dalla non rappresentatività di un campione composto esclusivamente da volontari per una ricerca psicologica sulla sessualità. Kinsey decise di ignorare il suggerimento di Maslow e di proseguire nella raccolta delle storie sessuali di volontari. Oltre a questo, circa il 25% dei soggetti maschi intervistati nella sua ricerca erano detenuti per crimini sessuali; l’unica scuola superiore presa in considerazione per la ricerca fu un istituto particolare nel quale circa il 50% degli studenti avevano contatti omosessuali; tra i soggetti erano presenti anche un numero sproporzionato di “prostituti” maschi (almeno 200); tra gli omosessuali vennero contati anche soggetti che avevano avuto pensieri o contatti casuali, magari nella prima adolescenza; infine, nel calcolare la percentuale di omosessuali, Kinsey fece sparire – senza darne spiegazione – circa 1.000 soggetti».

Ma agli errori metodologici vanno aggiunti gli “orrori” materiali e teorici di cui Kinsey si rese responsabile. L’aspetto però più inquietante di questo personaggio riguarda gli esperimenti sessuali condotti su bambini: «Nel paragrafo intitolato “L’orgasmo nei soggetti impuberi” (pp. 105 – 112) del primo Rapporto Kinsey descrive i comportamenti di centinaia di bambini da quattro mesi a quattordici anni vittime di pedofili. In alcuni casi, Kinsey e i suoi osservarono (filmando, contando il numero di “orgasmi” e cronometrando gli intervalli tra un “orgasmo” e l’altro) gli abusi di bambini ad opera di pedofili: “In 5 casi di soggetti impuberi le osservazioni furono proseguite per periodi di mesi o di anni[…]” (p. 107); ci furono anche bambini sottoposti a queste torture per 24 ore di seguito: “Il massimo osservato fu di 26 parossismi in 24 ore, ed il rapporto indica che sarebbe stato possibile ottenere anche di più nello stesso periodo di tempo” (p. 110). Nel secondo Rapporto esiste un paragrafo intitolato “Contatti nell’età prepubere con maschi adulti”, nel quale vengono descritti rapporti sessuali tra bambine e uomini adulti, ovviamente alla presenza di Kinsey e colleghi. Le osservazioni condotte inducono Kinsey a sostenere che: “Se la bambina non fosse condizionata dall’educazione, non è certo che approcci sessuali del genere di quelli determinatisi in questi episodi [contatti sessuali con maschi adulti], la turberebbero. E’ difficile capire per quale ragione una bambina, a meno che non sia condizionata dall’educazione, dovrebbe turbarsi quando le vengono toccati i genitali, oppure turbarsi vedendo i genitali di altre persone, o nell’avere contatti sessuali ancora più specifici».

Kinsey attinse i dati sulla sessualità infantile effettuando attivamente pratiche pedofile per le quali avrebbe dovuto essere legalmente perseguito, fu anche un dichiarato sostenitore della pedofilia. Kinsey, pedofilo violentatore di bambini (nonché frequentatore di ambienti occultisti legati a tradizioni prescientifiche di ispirazione satanista), è l’autore riconosciuto, senza alcuna riserva, all’origine degli studi di genere dal condirettore del Dipartimento degli studi sul genere, la sessualità e le donne dell’Università della Pennsylvania a Philadelphia, e proposto acriticamente ai lettori di Le Scienze.

L’autrice dell’articolo su Mente e Cervello prosegue quindi cadendo nella stessa affermazione del direttore quando parla degli studi di genere come di “studi epidemiologici“, affermando quindi automaticamente che la disgiunzione del sesso biologico da quello comportamentale è una patologia: «Gli studi di genere, quindi, sostengono (oramai con dovizia di dati epidemiologici e comportamentali) che l’appartenenza può essere disgiunta dal sesso biologico e dall’orientamento sessuale». A quest’affermazione, più o meno consapevole, ne segue una di particolare rilevanza: «A dimostrarlo con un preciso modello teorico è stato, tra i primi, lo psicologo e sessuologo statunitense John Money, nel 1972. Secondo il suo approccio biosociale, natura e cultura interagiscono per determinare il sentimento di appartenenza ad un genere o all’altro. “Si nasce maschi o femmine -spiegava Money- ma l’etichetta sociale che ci viene attribuita e il diverso modello educativo che viene impartito ai bambini e alle bambine interagisce con i fattori biologici…”».

John Money è il secondo “campione” del gender che viene proposto, da notare che si cita il suo modello “teorico” e non i suoi risultati, e il motivo è chiaro: la sua teoria quando fu applicata fu all’origine di un dramma esistenziale per la malcapitata “cavia” umana, David Reimer, e sfociò in un tragico epilogo: nato Bruce Peter Reimer (Winnipeg, 22 agosto 1965 – Ottawa, 5 maggio 2004), è stato un cittadino canadese che, nato maschio, dopo la nascita fu sessualmente riassegnato al sesso femminile a causa della perdita del pene durante una maldestra operazione di circoncisione. Lo psicologo John Money (1921-2006) seguì clinicamente il suo caso, guidando Reimer verso l’accettazione della condizione sessuale femminile. Money dichiarò che la terapia ebbe esito positivo: Reimer apprese la nuova identità di genere. Tuttavia il sessuologo Milton Diamond scoprì che Reimer non si identificò mai con una donna e che dall’età di 15 prese a vivere come un uomo. Reimer stesso volle che la sua storia fosse resa pubblica affinché a nessun altro capitasse quello che era capitato a lui. Morì suicida nel 2004 (Fonte Wikipedia).

L’esperimento di Money fu un drammatico insuccesso, eppure egli viene riportato come il fondatore della teoria del gender. L’articolo di Mente e cervello prosegue mostrando tutti i motivi che renderebbero raccomandabili le indicazioni degli esperti di gender, una teoria che ha come fondatori personaggi totalmente antiscientifici e screditati sui quali la stampa scientifica dovrebbe informare. Quello che è stato qui riportato avrebbe dovuto essere dichiarato su Le Scienze, ma purtroppo questo non è avvenuto, eppure bastava solo avere una connessione internet. Ciascuno tragga le proprie conclusioni.

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Con il fine-tuning la scienza moderna porta a Dio

fine tuningIl Messiah College si trova in Pennsylvania ed è stato riconosciuto dalla Princeton Review come la miglior università del nord-est degli Stati Uniti. A guidare il dipartimento di Filosofia c’è il prof. Robin Collins, formatosi sotto l’ala del celebre Alvin Plantinga.

Collins, forte anche di un dottorato in Fisica all’Università del Texas, è un esponente di rilievo dell’argomento filosofico del fine-tuning (detto anche “argomento teleologico”), secondo il quale le perfettamente ottimizzate e finalizzate leggi e costanti della fisica rivelano l’esistenza di una causa intelligente dell’universo.

Una tesi molto affascinante, che ha condotto al deismo uno dei principali fisici inglesi, Paul Davies, nonché l’ateo più famoso del mondo, il filosofo Antony Flew, che ha annunciato la conversione nel 2005. «Le scoperte della fisica moderna e della cosmologia negli ultimi 50 anni», ha infatti affermato Collins in un’intervista televisiva del 2008, «hanno dimostrato che la struttura dell’universo è impostata in modo straordinariamente preciso per l’esistenza della vita; se la sua struttura fosse leggermente diversa, anche per uno straordinariamente piccolo grado, la vita non sarebbe possibile».

La sintonizzazione fine è rilevabile nelle leggi di natura, nelle condizioni iniziali dell’universo, ma «anche le costanti fisiche che regolano la struttura dell’universo», ha proseguito il filosofo americano, «devono rientrare in una gamma estremamente ristretta perché la vita possa esistere. Ad esempio, se la costante cosmologica fosse stata leggermente superiore, l’universo si sarebbe espanso troppo velocemente per la formazione delle galassie e delle stelle, se invece fosse stata anche solo leggermente inferiore rispetto a quanto è, l’universo sarebbe collassato su se stesso». D’altra parte, lo ha riconosciuto anche Stephen Hawking nel suo bestseller Dal big bang ai buchi neri: «Il fatto notevole è che i valori di questi numeri [cioè le costanti fisiche] sembrano essere stati molto finemente regolati per rendere possibile lo sviluppo della vita». Infine, anche l’iniziale distribuzione dell’energia di massa al momento del Big Bang avrebbe dovuto avere una configurazione estremamente speciale per permettere l’esistenza della vita, una possibilità «che il matematico Roger Penrose, della Cambridge University, ha calcolato essere dell’ordine di 1 su 1010123. Un numero incredibilmente piccolo».

Certo, c’è chi ha teorizzato una spiegazione alternativa alla creazione divina e, come più volte abbiamo accennato su questo sito web, quella più sostenuta è la cosiddetta ipotesi del Multiverso, secondo la quale vi sarebbe un numero enorme di universi con diverse condizioni iniziali, costanti fisiche e leggi naturali. «Semplicemente per caso», ha spiegato Collins, «almeno un universo avrà certamente la “combinazione vincente” per la vita e gli esseri che lo abitano guarderanno indietro stupiti di quanto sono stati fortunati. Siamo dunque solo il prodotto di una “lotteria cosmica”». Il dio caso puntualmente ritorna come tappabuchi, dunque, usato come spiegazione omnicomprensiva. Ma come questi universi sono emersi? «In genere, la risposta è postulare un qualche tipo di processo fisico, che chiamerò “universe generator”. Il problema è che anche questo “universe generator” deve aver avuto la giusta serie di leggi (e condizioni iniziali) per poter produrre anche un solo universo adatto alla vita. Dopo tutto, anche un banale elemento come una macchina del pane, che sforna solo pagnotte invece di complicati universi, deve avere il giusto insieme di meccanismi e programmazione per funzionare, utilizzando gli ingredienti esatti (farina, lievito ecc.) in esatte proporzioni. Ciò significa che l’ipotesi del Multiverso sposta semplicemente il problema del fine-tuning a livello dell'”universe generator” stesso». Senza considerare, inoltre, che si tratta di una ipotesi puramente teorica, impossibile da verificare e perciò al di fuori del campo scientifico, come ha spiegato proprio su questo portale il matematico italiano Paolo Di Sia.

Una seconda risposta è che l’universo esiste come un fatto che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni, la nostra esistenza è semplicemente un “incidente fortunato”. E non c’è nient’altro da dire. Certo, commenta il filosofo americano, «non si può assolutamente escludere questa possibilità, cose straordinariamente improbabili possono accadere e il nostro universo potrebbe essere una di esse. Ma, credo che la messa a punto dell’universo fornisca prove più convincenti per quello che si definisce “principio di verosimiglianza”, ma che io chiamo “principio di sorpresa”. Ogni volta che un’ipotesi risulta essere molto più sorprendente rispetto ad un’altra, bisognerà tendere in favore dell’ipotesi meno sorprendente. Immaginate un processo per omicidio nel quale le impronte digitali dell’accusato corrispondano precisamente a quelle presenti sull’arma del delitto. In circostanze normali, per la giuria si tratta di una forte evidenza di colpevolezza perché la questione verrebbe giudicata non sorprendente per l’ipotesi di colpevolezza e molto sorprendente per l’ipotesi di innocenza. Pertanto, il principio di sorpresa dice che la non sorpresa vale come una forte evidenza».

Concludendo il paragone, «allo stesso modo si potrebbe sostenere che la sintonizzazione fine dell’universo, tale da produrre la vita intelligente, è molto sorprendente se rimanesse un bruto e ipotetico fatto di ipotesi, ma non lo è se porta ad ipotizzare il teismo. Pertanto, seguendo il principio di sorpresa, la messa a punto fornisce una prova significativa a favore del teismo rispetto ad un semplice bruto e ipotetico fatto, non prova che il teismo è certamente vero perciò la fede, intesa come un modo speciale di conoscenza, simile alle nostre intuizioni etiche, svolge ancora un ruolo essenziale verso Dio. La sintonizzazione fine offre significative prove a conferma di questa convinzione, nonché una significativa sfida per coloro che sostengono che le scoperte della scienza taglierebbero fuori la fede in Dio».

La redazione
(articolo inserito nell’archivio tematico dedicato agli indizi filosofici dell’esistenza di Dio)

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