Papa Francesco: «non possiamo accogliere i migranti in modo irrazionale»

Francesco la croix«Non siamo in grado di aprire le porte in modo irrazionale. La domanda fondamentale da porsi è perché ci sono così tanti migranti oggi e il problema sono le guerre in Medio Oriente e Africa e il sottosviluppo del continente africano. Se c’è la guerra è perché ci sono produttori di armi -produzione giustificata in caso di difesa-, in particolare i trafficanti di armi». Queste le parole di Papa Francesco, apparse stamattina all’interno di una intervista rilasciata a La Croix.

Francesco ha parlato di diverse tematiche che abbiamo diviso, qui sotto, a seconda degli argomenti.

 

IMMIGRAZIONE.
Le parole del Papa arrivano in un delicato momento storico, come quello attuale, in cui il problema dell’immigrazione è sentito da chiunque, accompagnato da un enorme fenomeno di intolleranza e repulsione verso i migranti. E’ giusto opporsi ad una incontrollata apertura dei confini, temere per la sicurezza interna e la già scarsa mancanza di lavoro. Ma l’accoglienza è un dovere cristiano, a patto che sia razionale, equilibrata, proporzionata e regolamentata, come ha appunto detto Francesco: «Non siamo in grado di aprire le porte in modo irrazionale». E ha proseguito: «L’accoglienza peggiore è ghettizzare i migranti, invece di integrarli. A Bruxelles, i terroristi erano belgi, figli di migranti, ma erano in un ghetto. A Londra, il nuovo sindaco (musulmano, ndr) ha prestato giuramento in una cattedrale e probabilmente verrà ricevuto dalla regina. Questo dimostra l’importanza per l’Europa di ritrovare la sua capacità di integrare. Penso a Papa Gregorio Magno, che ha trattato con i cosiddetti barbari, che poi sono stati integrati. Integrazione ancora più necessaria oggi che l’Europa sta vivendo un grave problema del basso tasso di natalità a causa della ricerca egoistica del benessere».

ISLAM E CONVIVENZA CON I CRISTIANI.
Francesco viene spesso accusato di non voler condannare l’Islam come causa del terrorismo, ed invece, come ha spiegato Vittorio Messori, è un giusto approccio di distinzione tra musulmani e terroristi. Se è vero che tutti i terroristi sono musulmani, è altrettanto giusto ricordare che non tutti i musulmani sono terroristi. Il Pontefice sa benissimo che l’origine del terrorismo è sia politica che religiosa, lo ha dimostrato in questa intervista, affermando: «Io non credo che vi sia una paura dell’Islam in quanto tale, ma paura de Daech e della sua guerra di conquista, guidata in parte dall’Islam. E’ vero, l’idea di conquista è inerente l’anima dell’Islam, ma potrebbe essere interpretato allo stesso modo anche il finale del vangelo di Matteo, dove Gesù manda i suoi discepoli in tutte le nazioni». Il paragone del Papa si capisce meglio se si paragona il Corano alle frasi di Gesù in cui invoca la spada e la divisione (ne abbiamo parlato di recente), o i diversi inni di conquista armata presenti nell’Antico Testamento. In ogni caso, ha perfettamente ragione: il problema è l’interpretazione del Corano (del Nuovo e dell’Antico Testamento), che non è necessariamente fondamentalista.

«Di fronte all’attuale terrorismo islamico», ha proseguito Francesco, «dovremmo mettere in discussione il modo in cui un modello di democrazia troppo occidentale è stato esportato nei paesi in cui vi era un potere forte, come in Iraq. O in Libia, dove la struttura è tribale. Non possiamo andare avanti senza considerare la cultura di quei luoghi. La convivenza tra cristiani e musulmani è possibile, i musulmani venerano la Vergine Maria e San Giorgio. Mi è stato segnalato che in un paese africano, in occasione del Giubileo della misericordia, c’è una lunga coda di musulmani che desiderano passare dalla porta santa della Cattedrale per pregare la Vergine Maria. Nella Repubblica Centrafricana, prima della guerra, cristiani e musulmani vivevano insieme e dobbiamo imparare a farlo nuovamente, anche l’esperienza del Libano mostra che è possibile».

RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA.
Ha fatto discutere il mancato riferimento del Papa alle radici cristiane durante il recente conferimento del Premio Carlo Magno, Francesco ha spiegato il motivo: «Dobbiamo parlare di radici al plurale perché ce ne sono diverse. In questo senso, quando sento parlare di radici cristiane dell’Europa, a volte temo il tono, che potrebbe essere trionfalistico o vendicativo, diventando colonialismo. Giovanni Paolo II ne ha parlato, ma con un tono tranquillo. L’Europa, sì, ha radici cristiane. Ma il cristianesimo ha il dovere di irrigare in uno spirito di servizio, il dovere del Cristianesimo per l’Europa è il servizio. Erich Przywara, gran maestro di Romano Guardini, e Hans Urs von Balthasar, ci insegnano che il contributo del cristianesimo alla cultura è quella di Cristo con la lavanda dei piedi, vale a dire il servizio e il dono della vita. Non un apporto coloniale».

LAICITA’ E LAICISMO.
Francesco ha mostrato più volte di avere a cuore, come Benedetto XVI, una sana laicità, che «garantisca la libertà di religione. Tutti dovrebbero avere la libertà di esternare la propria fede, se una donna musulmana vuole indossare l’hijab, lei dovrebbe essere in grado di farlo. Allo stesso modo, se un cattolico vuole indossare una croce. La piccola critica che rivolgo alla Francia a di aver esagerato con la laicità. Questo deriva da un modo di considerare le religioni come una subcultura e non una cultura intera, questo approccio, che deriva dal patrimonio dei Lumi, è ancora oggi presente. La Francia dovrebbe fare un passo avanti su questo tema ed accettare che l’apertura alla trascendenza sia un diritto di tutti». La Francia, ha aggiunto, è oggi «una periferia da evangelizzare».

OBIEZIONE DI COSCIENZA.
Anche in Italia, a seguito della legge sulle unioni civili, è esploso il tema dell’obiezione di coscienza. «E’ il Parlamento che dobbiamo discutere, argomentare, spiegare, ragionare. Così cresce una società, una volta che la legge è passata lo Stato deve rispettare le coscienze. In ogni struttura giuridica, l’obiezione di coscienza deve essere presente perché è un diritto umano. Compresa quella di un funzionario del governo, che è una persona umana. Questa è vera laicità. Non possiamo spazzare via gli argomenti dei cattolici, dicendo: “Tu parli come un prete”. No, egli si basa sul pensiero cristiano che la Francia ha così notevolmente sviluppato».

 

Altre sono le tematiche toccate dal Papa, come la necessità di evangelizzare i popoli, il cui compito non è soltanto affidato ai preti, ma anche ai laici. «E’ il battesimo che dà la forza per evangelizzare!». Ha anche difeso il card. Barbarin, indagato per non essere intervenuto nei casi di pedofilia a Lione, il Papa ha però replicato: «Sulla base delle informazioni che ho, ha invece adottato le misure necessarie, ha preso le cose in mano. Attendiamo il risultato del procedimento civile».

La redazione

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Michael Hopkins, l’astronauta che ha portato il Santissimo Sacramento nello spazio

Mike-Hopkins«Quando si vede la Terra da questa posizione e si osservano dall’alto tutte le bellezze naturali esistenti, è davvero difficile concludere non è esistita una una Forza intelligente che ha creato tutto questo». Sono le parole Michael S. Hopkins, colonnello della U.S. Air Force e astronauta della Nasa, partito nel settembre 2013 a bordo della navicella Soyuz TMA-10M per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale.

Poche settimane prima di partire, l’astronauta americano ha completato il percorso di catechesi per adulti che la Chiesa cattolica propone a chi chiede di battezzarsi come cattolico. Una conversione, ha spiegato, nata non solo perché la moglie e le due figlie adolescenti sono a loro volta cattoliche, ma perché «sentivo che mancava qualcosa nella mia vita».

Grazie ad uno speciale accordo con l’Arcidiocesi di Galveston-Houston e con l’aiuto di padre James H. Kuczynski, parroco della chiesa di Santa Maria Reina di Friendswood, Hopkins ha portato con sé nello spazio una pisside con sei ostie consacrate, divise ciascuna in quattro pezzi. Abbastanza da poter ricevere la Comunione una volta alla settimana per le 24 settimane che è rimasto a bordo della Stazione spaziale. «Sapendo che Gesù era con me, ho affrontato con maggior sicurezza il momento in cui sono uscito dalla stazione spaziale, camminando nel vuoto dell’universo», ha detto.

D’accordo con un funzionario della Nasa, Hopkins per tutte le 24 settimane della missione ha persino ricevuto via e-mail l’omelia del suo parroco. Le foto in cui l’astronauta pregava all’interno della “cappella” spaziale, un atrio a vetrate detto la “Cupola” che offre un panorama cosmico, hanno ricordato a molti la notte di Natale del 1968, quando l’americano Frank Borman, a bordo dell’Apollo 8 in orbita intorno alla Luna, lesse il libro della Genesi in diretta televisiva, uno dei momenti più memorabili che si ricordano. Nel 1994, Sid Gutierrez, Thomas Jones e Kevin Chilton pregarono assieme sullo space shuttle in volo a 125 miglia sopra l’Oceano Pacifico, mentre l’astronauta Mike Massimino volle confessarsi prima della partenza, nel 2000, portando con sé una bandiera del Vaticano che – una volta atterrato sulla Terra – regalò a papa Giovanni Paolo II.

Hanno fatto il giro del mondo le fotografie della “nostra” Samantha Cristoforetti sulla navicella che, nel 2014, l’ha portata nello spazio, alle cui spalle compaiono alcune icone cristiane e un crocifisso. «Dicono che non ci sono atei in trincea, ma probabilmente non ve ne sono nemmeno nelle navicelle spaziali», ha ironizzato l’astronauta statunitense Michael Timothy Good.

La redazione

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E’ ora che Arcigay prenda le distanze dai pedofili di Nambla e da Mario Mieli

Arcigay bambiniIl presidente di Arcigay, Flavio Romani, ha fatto sapere di aver querelato per diffamazione Massimo Gandolfini, portavoce del comitato Difendiamo i nostri figli e organizzatore del Family Day del 30 gennaio 2016. L’accusa sarebbe quella di aver sostenuto che l’associazione di omosessuali approverebbe, tra le varie identità di genere, anche la pedofilia. Tutto da dimostrare, ovviamente.

«Accostare la nostra associazione alla pedofilia», ha affermato Romani, «offende nel profondo tutti i nostri iscritti e mette in cattiva luce il senso del lavoro che quotidianamente, da più di trent’anni, portiamo avanti in questo Paese per abbattere il pregiudizio e la discriminazione nei confronti delle persone gay, lesbiche e trans». Certamente ha ragione, sarebbe sbagliato accostare l’Arcigay alla pedofilia, reato -come afferma Romani-, «che giustamente prevede punizioni pesanti, ma è prima di tutto una pratica aberrante che si accanisce su chi è più indifeso, provocando spesso traumi irreparabili».

Appare quindi ancora di più sorprendente che il presidente dell’Arcigay bolognese, Vincenzo Branà, abbia scritto un intero articolo elogiando Mario Mieli, l’indiscusso fondatore del movimento Lgbt italiano -a cui è dedicato il più antico e importante circolo omosessuale italiano-, addirittura citando il suo libro “Elementi di critica omosessuale”. Senza però prendere le distanze dalle terribili affermazioni pedofile in esso contenute. Qualche esempio: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l’Edipo, o il futuro Edipo, bensì l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una «vita» latente. La pederastia, invece, “è una freccia di libidine scagliata verso il feto”. Per pederastia intendo il desiderio erotico degli adulti per i bambini (di entrambi i sessi) e i rapporti sessuali tra adulti e bambini» (M. Mieli, Elementi di critica omosessuale, Einaudi 1977, p. 55).

Nel suo delirio pedofilo, il fondatore del movimento omosessuale italiano, a pagina 201 arriva a scrivere: «se la lotta per la liberazione dell’omosessualità si oppone decisamente alla Norma eterosessuale, uno dei suoi obiettivi è la realizzazione di nuovi rapporti gay tra donne e uomini, rapporti totalmente alternativi rispetto alla coppia tradizionale, rapporti atti, fra l’altro, a un nuovo modo di generare gaio e di vivere pederasticamente con i bambini». Mieli condanna la «repressione dell’omosessualità», che porta a «reprimere i rapporti sessuali in particolare tra omosessuali e bambini» (p.21). Per questo, invoca, «non per nulla siamo gay, siamo folles; e, per un mondo migliore, penso davvero che l’”educazione” dei piccoli dovrebbe essere affidata alle checche e alle lesbiche: lasciate che i pargoli vengano a noi!» (p. 48).

Ora, davanti a tutto questo e davanti alla comprensibile richiesta di Flavio Romani di non accostare Arcigay alla pedofilia, stupisce decisamente che nel 2013, Arcigay Milano, abbia organizzato un incontro intitolato “Mario Mieli: trent’anni dopo”, presentandolo come «una delle menti più acute che il Movimento abbia mai avuto». Possibile che Arcigay ritenga “acuta” una mente che promuove apertamente la pedofilia? Non stupisce se è già stata avviata una campagna firme (1700 per ora), in cui si chiede al presidente dell’Arcigay di prendere le distanze dalle affermazioni di Mario Mieli.

C’è anche da sottolineare quanto Arcigay collabori strettamente con l’International Lesbian & Gay Association (ILGA), senza però essersi fatta remore del fatto che soltanto nel 2011 è riuscita a riottenere dall’ONU lo status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC), di cui era stata privata a causa dell’affiliazione a loro di NAMBLA, associazione di omosessuali apertamente pedofili. Associazione a cui era, oltretutto, attivo support anche il “Mario Mieli americano”, ovvero Harry Hay, marxista e tra i più importanti attivisti omosessuali degli Stati Uniti (il quale si oppose all’esclusione di Nambla parlando di tradimento nei confronti della comunità gay stessa, affermando: «Se i genitori e gli amici dei gay sono veramente amici dei gay, saprebbero dai loro figli gay che il rapporto con un uomo più anziano è precisamente ciò che i bambini di tredici, quattordici, quindici anni hanno bisogno più di qualsiasi altra cosa al mondo»).

Nambla è stata membro di ILGA per 10 anni, contribuendo alla stesura del suo statuto, tanto che nel 1985 l’ILGA ha approvato una risoluzione dichiarando che «i giovani hanno il diritto di autodeterminazione sessuale e sociale e le leggi sull’età del consenso operano per opprimere e non per proteggere». Ancora nel 2002 il Consiglio economico e sociale ha respinto l’ILGA poiché dimostratasi reticente a rendicontare la definitiva espulsione di NAMBLA e degli altri gruppi pedofili dal novero dei propri membri. Eppure, il presidente Arcigay di Napoli ha affermato: «L’appartenenza ad un organismo internazionale come l’ILGA è grande motivo di orgoglio, ci permette di portare ora le voci dei nostri territori in un contesto internazionale». C’è ben poco da essere orgogliosi della storia dell’ILGA.

La redazione

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Leggende anticattoliche, in arrivo il nuovo libro del sociologo Rodney Stark

bearing false witnessNe sentivamo la mancanza. Parliamo dei libri del celebre sociologo americano Rodney Stark, che dal 2006 ha sfornato anche in lingua italiana nove volumi -molti diventati best seller- che dovrebbero essere presenti nella biblioteca di ogni occidentale appassionato alla storia della sua cultura.

Portati puntualmente in Italia dalla casa editrice Lindau -a cui vanno la nostra stima e i nostri ringraziamenti-, i lavori di Stark sono l’antidoto più riuscito, documentato ed efficace delle leggende nere anticristiane che circolano in Occidente da almeno due secoli. Docente di Sociologia e Religione comparata presso l’Università di Washington fino al 2004, già presidente della Society for the Scientific Study of Religion e della Association for the Sociology of Religion, dal 2004 è professore di Scienze Sociali presso la Baylor University. Si definisce un agnostico culturalmente cristiano e ha portato da pochi giorni in libreria la sua ultima fatica: Bearing False Witness: Debunking Centuries of Anti-Catholic History (Templeton Press 2016).

Si tratta della approfondita confutazione di dieci miti sulla storia della Chiesa, ha parlato del suo libro in una intervista al Catholic World Report, nella quale ha toccato alcuni di questi miti.

 

1) MITO DELLA CHIESA ANTISEMITA.
«Quando ho cominciato a lavorare come studioso», ha spiegato Stark, «tutti, tra cui i leader cattolici, ritenevano la Chiesa una fonte primaria di antisemitismo». Oggi non è più così, lui lo ha capito «quando ho lavorato sui materiali dei cronisti ebrei medievali che ho scoperto il ruolo effettivo della Chiesa nel contrastare e reprimere tali attacchi. Eppure ancora oggi tanti intellettuali continuano ad accettare l’idea, ad esempio, che Papa Pio XII sia stato il “Papa di Hitler”. Ovviamente è una menzogna e può sostenersi soltanto a causa dell’odio verso la Chiesa. Si tenga a mente che a difendere Pacelli sono innanzitutto rabbini ebrei di primo piano».

2) MITO DEI SECOLI BUI MEDIOEVALI.
«Voltaire ed i suoi soci», ha commentato il noto sociologo americano, «hanno creato tale finzione sul Medioevo in modo da poter esaltare l’Illuminismo. Eppure, come sa ogni storico competente (comprese le enciclopedie), non sono mai esistiti i secoli bui. Al contrario, è stato proprio nel corso di questi secoli che l’Europa ha avuto il grande salto in avanti, culturale e tecnologico, che l’ha messa in prima linea rispetto al resto del mondo». Su questo argomento specifico, consigliamo i sui libri La Vittoria della ragione. Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza (Lindau 2006), A gloria di Dio. Come il cristianesimo ha prodotto le eresie, la scienza, la caccia alle streghe e la fine della schiavitù (Lindau 2010) e Il trionfo del Cristianesimo (Lindau 2012).

3) e 4) MITO DELLE CROCIATE E DELL’INQUISIZIONE.
«Sono competente a spiegare che le Crociate furono legittime guerre difensive e che l’Inquisizione non fu affatto sanguinolenta come viene descritta. Non sono tuttavia competente a spiegare perché la marea di ricerche storiche che sostengono tutto questo non abbiamo avuto alcun impatto sugli opinionsti occidentali. Ho il sospetto che questi miti siano troppo preziosi per l’anti-religiosità».

5) MITO DELLA MODERNITA’ NATA DAL PROTESTANTESIMO.
«Il problema di questa tesi è semplicemente che il capitalismo si è è stato sviluppato ed è fiorito in Europa molti secoli prima della Riforma protestante», ha osservato Stark.

 

Il sociologo tiene a precisare di aver scritto non “una difesa della Chiesa”, ma “una difesa della storia”. Purtroppo, lo sappiamo già in partenza, nemmeno quest’ultimo suo lavoro influenzerà le masse, lui stesso riconosce che «la maggior parte degli americani non potrà mai sapere che questo libro è stato scritto. Posso solo sperare che influenzerà intellettuali e scrittori, forse anche libri di testo». Nel frattempo aspettiamo che arrivi anche in Italia, auguriamo per questo buon lavoro e buona traduzione alla casa editrice Lindau!

La redazione
(articolo inserito nell’archivio tematico dedicato alle bufale anticlericali)

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Gesù voleva portare spada e divisione? I passi “violenti” del Nuovo Testamento

mercantitempio«Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada» (Mt 10,34). «Pensate voi che sia venuto a mettere pace sulla terra? No, vi dico, ma piuttosto divisione» (Lc 12,51). Queste sono le due frasi più gettonate dai sostenitori del cristianesimo come religione violenta, addirittura fin dalle sue fondamenta.

Proprio in questi giorni si è svolto all’Institutum Patristicum Augustinianum di Roma il convegno Cristianesimo e violenza, tra i relatori anche Romano Penna, noto biblista italiano, professore emerito di Nuovo Testamento e origini cristiane alla Pontificia Università Lateranense, certamente uno dei principali biblisti italiani. Proprio affrontando una delle due frasi neotestamentarie citate, Penna ha spiegato: «Per Matteo la spada portata da Cristo è da intendersi in senso metaforico e per di più in un contesto ben preciso. Gesù sta parlando delle divisioni che possono sorgere all’interno delle famiglie rispetto a quella che il biblista spagnolo Santiago Guijarro Oporto ha definito “fedeltà in conflitto”. Come dobbiamo comportarci quando il richiamo del Vangelo è contrastato dai nostri stessi parenti? Che cosa fare quando il padre o la madre, il marito o la moglie non condividono o addirittura ostacolano la nostra fede?».

Allo stesso tempo ha definito «generalizzazione, dalla quale occorre diffidare», la tesi sulla violenza dei monoteismi, di cui abbiamo già parlato a lungo in altri nostri articoli, in particolare Ultimissima 05/10/14 e Ultimissima 26/04/16.

Anche Mauro Pesce, biblista e già ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Bologna, ha commentato questi brani: «I vangeli di Matteo e di Luca trasmettono frasi che esprimono il centro del suo messaggio, richiamano il conflitto che egli vuole portare nel mondo. Gesù vede che la realtà sociale del suo tempo contrasta con la volontà di Dio». La citazione della spada fatta da Matteo, è «una metafora forte […]. Il suo obiettivo era di riportare la vita degli uomini all’obbedienza della volontà divina. Un fine che si poteva raggiungere solo con una denuncia violenta, creando cioè un conflitto con la realtà. La sua predicazione poteva avere successo solo in seguito a uno sconvolgimento che egli voleva a ogni costo, senza compromessi. Nonostante questo, gli è totalmente estranea l’idea di affermare la sua predicazione con la forza. Egli s’indirizza in prevalenza ai singoli, a piccoli gruppi che volontariamente lo seguono, disposti a cambiare la propria vita entrando, se occorre, in un conflitto insanabile con i propri ambienti di provenienza» (C. Augias, M. Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, pp. 18,19).

Più complesso, ma ugualmente non problematico, risulta invece l’approccio ai passaggi violenti contenuti nell’Antico Testamento, ma anche di questo abbiamo già a lungo parlato e risposto, in particolare in Ultimissima 12/07/12, Ultimissima 16/11/12 e Ultimissima 21/11/13.

La redazione

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L’attentato a Giovanni Paolo II e la presenza di Antonov in piazza San Pietro

antonovIl 13 maggio 1981, ben 35 anni fa, il killer turco Ali Agca sparò contro Giovanni Paolo II, era un mercoledì pomeriggio e l’attentato avvenne durante la settimanale Udienza generale.

Dopo tutto questo tempo, ancora non esiste una versione definitiva e credibile su chi armò Agca, nonostante diversi processi ed indagini. Dietro a quella pistola c’era il KGB? La Stasi (servizi segreti tedeschi)? La massoneria? I servizi segreti bulgari? L’Ayatollah iraniano Khomeini o i Lupi grigi, gruppo turco di estrema destra di cui Agca faceva parte? Certamente l’Unione Sovietica aveva il movente più forte, ovvero il timore che il Papa polacco potesse rendere instabile -come infatti farà- il suo potere nei Paesi satelliti dell’Europa dell’Est.

Dal dicembre 1981 fino al 29 giugno 1983, l’idealista turco collaborò attivamente con il giudice istruttore Ilario Martella, incolpando per l’attentato i servizi segreti bulgari su ordini del KGB (ipotesi avvalorata anche dalla maggioranza dei componenti della commissione Mitrokhin). Accusò di corresponsabilità il bulgaro Sergei Antonov (che gli avrebbe fornito l’arma) ma, improvvisamente e inspiegabilmente, il 29 giugno 1983 il killer turco ritrattò tutto e iniziò appositamente a rendersi inattendibile con dichiarazioni farneticanti, comportamento che mantiene ancora oggi. Non si può evitare di sottolineare che sei giorni prima di questa ritrattazione, il 23 giugno 1983, sparì la cittadina vaticana Emanuela Orlandi. I pubblici ministeri Antonio Albano e Antonio Marini sospettarono che Agca fosse stato ricattato o condizionato dal rapimento della ragazza. Il 16 gennaio 1985 tornerà ad accusare i bulgari, ma la sua credibilità era ormai definitivamente naufragata.

Antonov è stato assolto delle accuse di Agca nel 1986 per insufficienza di prove. Nel 2013 un misterioso personaggio, Marco Fassoni Accetti, si è pubblicamente accusato di essere stato responsabile dell’allontanamento di Emanuela Orlandi e, sotto direttiva di una fazione interna al Vaticano nemica della visione politica di Giovanni Paolo II, ha raccontato di essere entrato in contatto con Agca nei giorni prima dell’attentato, addirittura prenotandogli l’albergo Archimede in via dei Mille e l’albergo Ymca di piazza Indipendenza, dopo il killer turco soggiornò. Inoltre, Fassoni Accetti lo avrebbe introdotto ad alcune udienze papali prima dell’attentato, in veste di studente universitario, e ha riferito di aver indotto il turco a operare semplici minacce o spari in aria, senza sparare al Pontefice (cosa che poi non avvenne). Da noi intervistato, l’uomo, oltre a difendere l’innocenza di Antonov, ha affermato: «Quello di Agca è un modo di rendersi non credibile anche perché se dovesse fare qualche nome nessuno gli crederebbe, infatti lo hanno assolto. Attenzione: i bulgari non c’entravano nulla con l’attentato, completamente estranei, c’erano gli idealisti turchi. Un’altra cosa che non hanno mai verificato: il leader degli idealisti turchi, Serdar Celebi, veniva a casa mia, quattro, cinque volte».

La Procura non ha creduto alle affermazioni di Fassoni Accetti rispetto al caso Orlandi (nonostante vi siano numerosi elementi probatori che lo inquadrano, con relativa certezza, perlomeno come persona informata dei fatti), tra poco subirà un processo per calunnia e autocalunnia. Due perizie realizzate dalla polizia scientifica su una fotografia scattata il giorno dell’attentato, hanno tuttavia accertato, nel 2006, che Serghei Ivanov Antonov era effettivamente presente in piazza San Pietro quando Agca sparò a Giovanni Paolo II. Nella prima si parla di “totale compatibilità”, nella seconda si emette un «giudizio di elevata probabilità» di identificazione, in quanto l’uomo in fotografia «presenta caratteristiche analoghe» ad Antonov. Il quale, è stato trovato senza vita nell’estate del 2007, un anno dopo, all’interno della sua casa a soli 58 anni. Non si vuole certo qui riaprire la famosa “pista bulgara” (e quindi sovietica), però non si può negare l’esito della perizia.

Tornando a Giovanni Paolo II, altre diatribe sono nate sulla sua figura. La più diffusa è sulla sua morte: l’ex anestesista e attivista Lina Pavanelli, ha sostenuto che si sia trattata di eutanasia quando, in realtà, Wojtyla rifiutò legittimamente l’accanimento terapeutico, in linea con il Catechismo cattolico («l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'”accanimento terapeutico”»). Un ampio approfondimento e confutazione delle affermazioni della Pavanelli è stato realizzato dal dott. Renzo Puccetti.

Un’altra critica fatta a Wojtyla è la fotografia in cui apparve sul balcone accanto a Pinochet nel 1987, episodio che il celebre vaticanista Gian Franco Svidercoschi, presente in quell’occasione, ha ben descritto come un inganno architettato dal dittatore cileno ai danni del Pontefice, così come ha confermato padre Roberto Tucci, organizzatore del viaggio di Wojtyla. Senza considerare che in quell’occasione il Papa polacco incontrò anche i rappresentanti dell’opposizione e intimò Pinochet che «era tempo di riconsegnare il potere alle autorità civili, di ritornare alla democrazia».

 

antonov

La redazione
(articolo inserito nell’archivio dedicato a Giovanni Paolo II)

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Diaconato femminile, per Sandro Magister è «conforme alla tradizione della Chiesa»

francesco donnESe leggiamo i titoli di giornale, Papa Francesco avrebbe “aperto al sacerdozio femminile”. In realtà, incontrando l’Unione internazionale Superiore generali (Uisg), oltre a ribadire l’importanza che le donne «entrino nel processo decisionale» della Chiesa, ha chiesto di approfondire il ruolo del diaconato femminile nella Chiesa primitiva: «chiederò alla Congregazione per la Dottrina della Fede che mi riferiscano circa gli studi su questo tema. E inoltre vorrei costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione: credo che farà bene alla Chiesa chiarire questo punto».

Nella stessa udienza, Francesco ha però spiegato che non è possibile “aprire” per quanto riguarda la «celebrazione della Liturgia Eucaristica», perché «il sacerdote o il vescovo che presiede lo fa nella persona di Gesù Cristo. E’ una realtà teologico-liturgica. In quella situazione, non essendoci l’ordinazione delle donne, non possono presiedere». Si può pensare che una religiosa faccia la predica in un Liturgia della Parola, «ma bisogna distinguere bene: una cosa è la predicazione in una Liturgia della Parola, e questo si può fare; altra cosa è la Celebrazione eucaristica, qui c’è un altro mistero. E’ il Mistero di Cristo presente e il sacerdote o il vescovo che celebrano in persona Christi».

Dunque nessuna “apertura” al sacerdozio femminile, ma una richiesta di approfondire il ruolo del diaconato femminile nella Chiesa primitiva. Ma, lo sappiamo bene, pochi coglieranno i distinguo del Papa e, fidandosi dei grandi quotidiani, ci sarà chi accuserà Bergoglio di aver introdotto, oltre al divorzio cattolico e al matrimonio omosessuale in Chiesa, anche le “donne prete”. Tuttavia, queste persone non potranno contare sull’appoggio del mentore dell’antibergoglionismo odierno, il vaticanista dell’Espresso Sandro Magister. Oggi lo conosciamo come un polemista senza freni nei confronti del pontificato di Francesco, accusato di proporre un «nuovo modello di Chiesa, liquida, multiculturale». Ma nel 1999 faceva la stessa cosa con Giovanni Paolo II, prendendolo in giro: «Il guaio, per lui, è che c’è chi lo prende in parola», scriveva ironico nei confronti del Papa polacco. Magister, che molti oggi vedono come l’araldo della Tradizione cattolica, criticò duramente la netta chiusura di Wojtyla al sacerdozio femminile, spiegando che «non si vede per quale ragione alle donne non possano essere conferiti gli altri due gradi del medesimo sacramento», cioè presbiterato ed episcopato, oltre al diaconato. Arrivando quindi a concludere: «La sicura esistenza di donne diacono per almeno un millennio mostra infatti che è del tutto conforme alla grande tradizione della Chiesa il conferimento alle donne dell’ordine sacro».

Il vaticanista dell’Espresso andò quindi ben oltre alle intenzioni di Francesco, superando di gran lunga perfino le timide aperture del card. Martini. Su una cosa aveva ragione: l’esistenza delle diaconesse nella Chiesa primitiva è storicamente certa. Lo ha stabilito la Commissione teologica internazionale nel 2003, concludendo: «è veramente esistito un ministero di diaconesse che si è sviluppato in maniera diseguale nelle diverse parti della Chiesa, esso non era inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile. Si tratta per lo meno di una funzione ecclesiale, esercitata da donne». Se tale ministero era conferito con un’imposizione delle mani paragonabile a quella con cui erano conferiti l’episcopato, il presbiterato e il diaconato maschile, non è ancora chiaro. Riprendendo citazioni di vescovi del I secolo, come Epifanio di Salamina, si attesta che «l’ordine delle diaconesse, non serve per esercitare le funzioni sacerdotali, non benedicono e non compiono nulla di ciò che fanno i presbiteri e i diaconi». Secondo la Didascalia degli Apostoli, documento del 240 d.C., le diaconesse si occupavano del «servizio alle donne» (DA 3, 12, 1). In particolare, «la diaconessa deve procedere all’unzione corporale delle donne al momento del battesimo, istruire le donne neofite, andare a visitare a casa le donne credenti e soprattutto le ammalate. Le è vietato amministrare il battesimo o svolgere un ruolo nell’offerta eucaristica» (DA 3, 12, 1-4).

Lo stesso San Paolo scrive: «Vi raccomando Febe, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre: ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno; anch’essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso» (Rm 16,1-2). Si riferisce ad una donna che svolgeva funzioni di servizio all’interno della Chiesa. L’editorialista di Avvenire, Stefania Farlasca, ha giustamente spiegato che «nella Chiesa primitiva, fino al III-IV secolo, c’erano delle diaconesse e questo è documentato. Tra i cristiani dei primi secoli del resto le donne svolgevano un ruolo importante. Sono state collaboratrici degli apostoli, nonché attive nella costruzione delle comunità e dei servizi caritativi. Sono tutte attività non secondarie, anzi essenziali per la Chiesa. Però è stato anche chiaro che la loro ordinazione era assolutamente diversa da quella dei diaconi maschi».

Non c’è dunque nessuna contraddizione tra la proposta di studio del diaconato femminile di Francesco e la netta chiusura al sacerdozio femminile di Giovanni Paolo II. Per Sandro Magister, l’esistenza di diaconesse nei primi secolo «farebbe crollare tutta l’impalcatura del divieto di papa Wojtyla. Già, del resto, traballante di per sé». In realtà non crolla nulla, il ruolo delle diaconesse era già allora ben distinto da quello dei diaconi e chiaramente non si è mai parlato di ordinazione o sacerdozio femminile. Nel 2005, Joseph Ratzinger spiegò che la posizione assunta da Giovanni Paolo II, non è un «un atto di infallibilità, ma il suo carattere vincolante si basa sulla continuità della tradizione». Giovanni Paolo II scrisse che «il fatto che Maria Santissima, Madre di Dio e della Chiesa, non abbia ricevuto la missione propria degli apostoli né il sacerdozio ministeriale, mostra chiaramente che la non ammissione delle donne all’ordinazione non può significare una loro minore dignità o una discriminazione. Il ruolo femminile nella vita e nella missione della Chiesa, pur non essendo legato al sacerdozio ministeriale, resta assolutamente necessario e insostituibile. Nell’ammissione al servizio sacerdotale, la Chiesa ha riconosciuto come norma il modo di agire del suo Signore nella scelta di dodici uomini che ha posto a fondamento della sua Chiesa». Questa è la ragione del sacerdozio solamente maschile: obbedienza alla precisa scelta di Gesù.

Papa Francesco, infine, ha più volte affermato di essere d’accordo con Giovanni Paolo II, come abbiamo evidenziato nel nostro apposito dossier. «Con riferimento all’ordinazione delle donne, la Chiesa ha parlato e dice: “No”. L’ha detto Giovanni Paolo II, ma con una formulazione definitiva. Quella porta è chiusa», ha detto nel luglio 2013. Nel settembre 2015, ha ancora una volta ribadito: «le donne sacerdote: questo non può farlo. Il Papa san Giovanni Paolo II, in tempi di discussione, dopo lunga, lunga riflessione, lo ha detto chiaramente. Non perché le donne non hanno la capacità». E’ allora discriminazione? Nient’affatto, Francesco ha infatti spiegato: «Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere. La configurazione del sacerdote con Cristo Capo – vale a dire, come fonte principale della grazia – non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni “non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri».

 
AGGIORNAMENTO ORE 17:00
Il card. Walter Kasper, tra i teologi più “progressisti”, si è dimostrato molto più “conservatore” di Sandro Magister, ha infatti affermato oggi: «Non credo che il diaconato femminile possa essere un primo passo verso le donne prete. Il Papa ha detto che questa porta è chiusa, dopo le parole molto chiare di Giovanni Paolo II sul “no” al sacerdozio femminile. Non posso immaginare che Francesco cambi quella decisione».

La redazione

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Unioni civili, la legge sancisce l’incolmabile differenza con la famiglia naturale

FAMIGLIA diversaLe unioni civili purtroppo diventano legge. Si può cadere nel disfattismo totale, come molti stanno facendo, oppure provare a fare una riflessione diversa. Infatti, se fino a ieri -in assenza di regolamentazione- le coppie omosessuali venivano chiamate genericamente “famiglie”, da oggi possono essere definite solamente come “specifiche formazioni sociali”, come vuole la nuova legge.

Mentre “famiglia” è soltanto la società naturale fondata sul matrimonio (art. 29 della Costituzione), il premier Matteo Renzi -aiutato da Ivan Scalfarotto e da Monica Cirinnà-, ha chiaramente indicato che la coppia omosessuale non può essere affatto paragonata alla coppia di sesso opposto, per loro il matrimonio è talmente vietato che il governo attuale -senza mai essere stato eletto da nessuno- ha dovuto imporre con la forza (chiedendo la fiducia per ben due volte) una legge apposita per regolamentare la loro particolare “formazione sociale” (non famiglia).

Non vorremmo rovinare i festeggiamenti degli attivisti Lgbt, ma ci preme sottolineare che c’è ben poco da festeggiare. «Oggi i veri sconfitti sono gli omosessuali che con questa legge non vedono affatto superate le discriminazioni nei loro confronti», ha detto Imma Battaglia, storica attivista Lgbt ed esponente di primo piano del mondo arcobaleno. «Noi vogliamo il matrimonio egalitario e la possibilità di poter adottare figli», ha spiegato, riconoscendo che la legge sulle unioni civili amplifica la differenza con la famiglia naturale e costituzionalmente intesa: «Mi sento sconfitta perché questa è una legge che non rimuove ma riafferma le discriminazione, non mi fa sentire uguale». L’attivista omosessuale Dario Accolla ha ben capito la questione: «l’impianto della legge resta discriminatorio. Provo a spiegarlo con un esempio: se per farti prendere lo stesso caffè degli etero ti facessero passare dal retro di un bar, tu consumeresti in quel posto? E diresti “grazie” una volta servito? Saresti felice, in altre parole?». Ha ragione, la legge esplicita l’incolmabile diversità tra le due realtà, tanto che parla di«una legge che per “concedere” diritti di base ci discrimina relegandoci al rango di “non famiglie”». E’ così, la legge Renzi-Cirinnà mette nero su bianco che quelle omosessuali non sono famiglie e, al contrario di quel che dice Accolla però, non c’è nessuna discriminazione in questo. La ha stabilito la Corte Costituzionale nel 2010, affermando: «la normativa non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio» (e lo ha ribadito la Cassazione nel 2015: «Deve escludersi che la mancata estensione del modello matrimoniale alle unioni tra persone dello stesso sesso determini una lesione dei parametri integrati della dignità umana e dell’uguaglianza»).

Lo stesso sottosegretario Ivan Scalfarotto, che oggi finge di essere felice, poche mesi fa ridicolizzava coloro che esultavano per una legge sulle unioni civili priva di stepchild adoption, come quella italiana che oggi finge di festeggiare. Le Famiglie Arcobaleno sono deluse e amareggiate, nessuna vittoria per la presidente Marilena Grassadonia. Ben più esplicita è stata la filosofa Lgbt Michela Marzano, che per protesta lascerà il Partito Democratico: «Evitiamo i toni trionfalistici, si vuole negare lo stato di famiglia alle coppie omosessuali». Per quanto riguarda i bambini, il suo modello di crescita equilibrata è quello attuato dal senatore gay Sergio Lo Giudice, che «permette ai bambini di collegarsi via Skype con la donna che ha portato avanti la gravidanza», detta anche madre (o “concetto antrpologico”, secondo alcuni attivisti gay). Come no, è noto infatti che tutti i bambini desiderano una madre da guardare sul monitor del computer piuttosto che averla al proprio fianco, nella vita. Ricordiamo alla Marzano che per non vedersi negato lo stato di famiglia, bisognerà modificare l’articolo 29 della Costituzione, poiché –come ha sancito la Corte Costituzionale nel 2010-, «l’istituto del matrimonio civile, come previsto nel vigente ordinamento italiano, si riferisce soltanto all’unione stabile tra un uomo e una donna».

Una legge, quella sulle unioni civili che, sì esalta le differenze con la famiglia naturale, ma è scritta malissimo, «sembra scritta apposta per accontentare certe lobby», ha commentato l’avvocato matrimonialista Annamaria Bernardini De Pace, notoriamente favorevole alle unioni gay. «Apre il campo a un’infinità di ricorsi e darà molto lavoro in più agli avvocati. Temo che la legge Cirinnà possa aprire la strada a una serie di soprusi se non proprio di truffe. Il rischio è concreto». La De Pace fa notare che i membri di tale unione non hanno nomi, «non si possono chiamare coniugi visto che non è un matrimonio». Forse unionisti è il termine più corretto. Sul Corriere della Sera, invece, Luigi Ferrarella ha parlato di una «una montagna di effetti indiretti», che discriminano le coppie eterosessuali e, a volte, quelle omosessuali. Uno dei più curiosi è la «bigamia, che finirebbe per non avere rilevanza penale in relazione alle unioni civili tra lo stesso sesso, mentre la manterrebbe solo tra coniugi uomo e donna». Infine, il giovane marxista Diego Fusaro ha spiegato che «si è celebrata la morte dei diritti sociali. Si fa credere di aumentare i diritti nel momento in cui si andranno a restringere».

Molti attivisti in difesa della famiglia naturale sono giustamente arrabbiati contro la legge appena approvata, lo siamo anche noi, si stanno organizzando meritorie iniziative per chiedere l’intervento del presidente Sergio Mattarella, per indire un referendum abrogativo e per cacciare l’allegro ducetto Matteo Renzi al referendum costituzionale di Ottobre. Lo stesso attivismo vorremmo però indirizzarlo anche per iniziare finalmente una politica sociale a favore della famiglia, che preveda sgravi fiscali e sostegno alla maternità. Per quanto ci riguarda, tendiamo però come sempre a guardare il bicchiere mezzo pieno e ributtiamo il confronto a livello antropologico. La riflessione della Marzano dice tutto: «La norma è stata svuotata: di fronte a un piccolo passo giuridico in avanti, ne è stato fatto uno enorme indietro sul piano culturale». Ovvero: la famiglia naturale è tutta un’altra cosa, oggi lo stabilisce anche la legge sulle unioni civili.

La redazione

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L’Antico Testamento esprime una verità morale, indipendente da quella storica

 
 
di Giovanni Ibba*
*docente di Ebraistica alla Facoltà teologica dell’Italia centrale

da ToscanaOggi.it, 29/03/16

 

Alla fine dell’Ottocento ci fu una discussione piuttosto accesa in America: la Bibbia dice il vero, oppure, analogamente a quanto avviene in buona parte della letteratura antica, può presentare racconti di tipo mitico?

In sostanza, la discussione nacque nel  momento in cui si cominciarono a usare criteri scientifici nella lettura del testo sacro, creando così il timore di uno svilimento dei contenuti che esso presenta. In estrema sintesi, si trattava di uno scontro tra un movimento detto «fondamentalista» e uno «razionalista» (o del «modernismo»). Nota è per esempio la questione sul racconto della creazione che si trova nella Genesi: si tratta di mito o invece il cosmo, la terra e l’uomo si sono davvero formati così? Sorse così un movimento «creazionista» contrapposto a uno «evoluzionista». Ancora oggi, negli USA in particolare, molti studenti devono scegliere fra insegnamenti scolastici «creazionisti» ed «evoluzionisti».

Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha assunto totalmente il principio che è necessario usare tutti i criteri scientifici a disposizione per interpretare la Bibbia, considerando che essa, pur essendo ispirata da Dio, è comunque stata scritta da uomini vissuti in epoche diverse, con problematiche differenti e, soprattutto, con modalità e categorie culturali a volte molto lontane l’una dall’altra. La Parola di Dio non è espressa in un modo «fondamentalista», per così dire, ma deve essere interpretata correttamente anche a partire dai dati della storia, dell’archeologia, della paleografia, della filologia, della papirologia, della storia delle religioni, della critica testuale e di altre ancora.

Ad esempio, la storicità della narrazione di Mosè è stata messa in discussione già da molto tempo. In effetti, le componenti delle vicende narrate, soprattutto nel libro dell’Esodo, restano ancor oggi controverse. Per fare un esempio: se io leggo la versione ebraica dell’Esodo vedo, soprattutto nell’ultima parte del libro, un materiale diverso, o anche disposto diversamente, rispetto a quello della sua versione greca (la famosa traduzione dei Settanta), che era avvenuta a partire dal III secolo a.C. Il testo ebraico che usiamo di solito è quello detto Masoretico, che però è di un codice medievale. La versione greca, a quale originale ebraico faceva riferimento? Quindi, a quale testo devo rivolgermi per sapere come erano davvero andate le cose? E poi, anche se trovassimo l’originale del libro dell’Esodo, dobbiamo leggerlo come se fosse una fonte storica, ossia come un documento attestante un fatto sicuramente accaduto, e in quelle modalità? Il testo usato nella Chiesa cattolica oggi, tiene conto di tutte queste problematiche. Mosè probabilmente è esistito, ma è anche probabile che la sua storia si sia caricata di fatti e di simboli che oltrepassano il dato storico. Verosimile che sia mitica la narrazione del bambino lasciato nel Nilo e poi trovato dalla figlia del Faraone, o anche quella dell’episodio del mar Rosso.

Tuttavia, rimane fermo il contenuto religioso del testo. Che i fatti narrati corrispondano o meno perfettamente a quanto davvero accaduto – cosa che peraltro non sapremo mai, a meno di avere una macchina del tempo- sul piano dei contenuti religiosi non cambia niente. Per il credente non deve essere importante fare un’operazione del tipo «La Bibbia aveva ragione», tentativo estremo di usare l’archeologia per dimostrare «scientificamente» che tutto quello che vi si trova scritto è avvenuto sine glossa, ma piuttosto deve essere per lui importante capire come Dio, attraverso linguaggi e culture lontane da quelle di oggi, abbia espresso un pensiero che è oggi ancora valido.  Il sistema è quello, detto molto sinteticamente, di distinguere l’esegesi dall’ermeneutica, ossia di distinguere quello che doveva essere il significato del testo all’epoca in cui era stato composto, e dunque da persone con una cultura molto diversa dalla nostra, e quello, tenuto conto dell’esegesi, che il testo ci dice ancora oggi, con la nostra cultura e i nostri problemi.

L’importante è non contrapporre mai la scienza alla Bibbia. Si tratta di due linguaggi diversi che non vanno confusi. La scienza serve alla religione, e la religione alla scienza, ma sono due cose differenti. Il primo mi serve per spiegare come avvengono le cose, e anche eventualmente le cause di queste cose; la Bibbia, piuttosto, mi spiega il perché (ossia: riguarda la questione del senso del vivere e del cosmo). La Bibbia, in ultima analisi, è per il credente un insieme di testi ispirati da Dio, i quali pertanto contengono una verità importante per la vita. Gli uomini che l’hanno scritta, che sono stati ispirati da Dio, rimangono uomini. Per questo è necessario distinguere il mezzo culturale dalla fonte stessa dell’ispirazione; diversamente, ci troveremmo nella situazione di non sapere cosa rispondere alle eventuali contraddizioni storico-letterarie che talvolta i testi biblici possono presentare, e dunque mettere (o far mettere) in discussione la stessa fede in Dio.

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Il card. Müller: il Papa è ambiguo? No, «è un linguaggio positivo che abbiamo deciso assieme»

francesco muller«All’inizio del suo pontificato, abbiamo parlato con Papa Francesco, osservando che durante i pontificati precedenti la stampa ha accusato la Chiesa di parlare solo di sessualità, di aborto e di questi problemi. Per questo abbiamo deciso, con Francesco, di parlare sempre, sempre, sempre in positivo. Se si guardano i testi completi di Papa Francesco, compare l’ideologia di genere, l’aborto…sì, appaiono ancora questi problemi, ma ci concentriamo sul positivo». A dire questo è stato, pochi giorni fa, il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, durante un incontro tenutosi all’Universidad Francisco de Vitoria de Madrid.

Nessuno in Italia ne ha dato notizia, così come non sono arrivate (nemmeno da Sandro Magister, sempre così preciso quando c’è da bombardare Francesco) le parole del prefetto tedesco del febbraio scorso sul magistero di Papa Bergoglio, che non è affatto «rivoluzionario, ma si muove sulla linea dei suoi predecessori», ha affermato. «L’originalità è il suo carisma, grazie al quale riesce a rompere i blocchi delle persone e le posizioni indurite». Lo ha definito: «semplicemente geniale».

Nel recente intervento pubblico, il card. Muller ha voluto smentire l’esistenza di un “linguaggio ambiguo” da parte del Pontefice, definendolo invece “linguaggio positivo”. E’ quello che annunciò lo stesso Francesco fin nella sua bella intervista a La Civiltà Cattolica, volendo attraverso esso eludere l’impermeabilità e l’anestesia del mondo rispetto alla voce della Chiesa. «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi», disse Francesco. «Il parere della Chiesa lo si conosce e io sono figlio della Chiesa, non è necessario parlarne in continuazione. Dobbiamo trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali. Il messaggio evangelico non può essere ridotto dunque ad alcuni suoi aspetti che, seppure importanti, da soli non manifestano il cuore dell’insegnamento di Gesù».

Oggi si scopre che questo cambiamento di linguaggio non è stato un pallino personale di Francesco ma, come appunto rivelato dal card. Müller, una decisione presa assieme, tra il Papa e i suoi collaboratori. Müller parla di “linguaggio positivo”, ed è stato il Papa a spiegare cosa significhi nella Evangelii Gaudium: «Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio. Se indica qualcosa di negativo, cerca sempre di mostrare anche un valore positivo che attragga, per non fermarsi alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso. Inoltre, una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività, è opportuno indicare sempre il bene desiderabile, la proposta di vita, di maturità, di realizzazione, di fecondità, alla cui luce si può comprendere la nostra denuncia dei mali che possono oscurarla. Più che come esperti in diagnosi apocalittiche o giudici oscuri che si compiacciono di individuare ogni pericolo o deviazione, è bene che possano vederci come gioiosi messaggeri di proposte alte, custodi del bene e della bellezza che risplendono in una vita fedele al Vangelo».

Il vescovo argentino Víctor Manuel Fernández, amico di Francesco, ha spiegato che tramite questo tipo di approccio, «se si riesce a far ardere i cuori, o per lo meno a mostrare ciò che vi è di attraente nel Vangelo, allora le persone saranno più predisposte a conversare e a riflettere anche in merito a una risposta inerente la morale»«E’ una strategia», ha spiegato il card. Muller, «per eludere l’accerchiamento dell’opinione pubblica che vorrebbe rinchiudere la Chiesa nell’immagine di qualcuno che parla solo di sessualità». Ed invece non è così e occorreva una metamorfosi nella comunicazione. «Papa Francesco ha il suo stile», ha proseguito il prefetto tedesco, «dice di sentirsi come un parroco, che la dottrina è già ben evidente nei testi di Benedetto XVI. Dice “avanti con la teologia”, ma mantiene il carisma che sa comunicare con le persone, che hanno bisogno di questo carisma».

Molti lamentano la mano tesa del Papa ai “nemici” della Chiesa, da Scalfari alla Bonino, ma è invece un segno di amicizia spontanea, senza soffermarsi a condannare ed elencare i loro errori, così come Gesù fece con Zaccheo. Ed infatti, guarda caso, Repubblica ha smesso da tempo di inventarsi scandali anticlericali, di fare propaganda anticattolica e, lo stesso, accade anche all’estero. Le uniche bordate ai cattolici e alla Chiesa arrivano da un manipolo di tradizionalisti di destra, sedevacantisti e lefebvriani. Lo stesso Muller, ha elogiato l’efficacia del “linguaggio positivo” di Francesco: «penso che possiamo tutti vedere, dalla reazione della stampa, che oggi ci sia meno aggressione contro la Chiesa. Non sono diventati tutti cattolici, chiaramente, ma almeno parlano di altre cose». «Papa Francesco ha il coraggio di parlare del demonio», ha aggiunto Müller. «Se Benedetto avesse detto quello che oggi dice Francesco sul Diavolo, avrebbero detto che era retrogrado e medievale. Ma il nostro Papa ha oggi il carisma di dire queste cose: il diavolo esiste, opera ed è molto cattivo, e chi accoglie i suoi suggerimenti è colpevole».

Mentre in Italia Antonio Socci ridicolizza la Laudato Sì, definendola una riflessione sulla «raccolta differenziata della spazzatura, sull’abuso dei bicchieri di plastica e dei condizionatori», come ha ben sottolineato recentemente Umberto Folena, il card. Muller l’ha invece valorizzata, spiegando che grazie a questa Enciclica, «possiamo introdurre il tema della Creazione, per esempio», anche in ambienti lontani dal cattolicesimo, come quelli ecologisti e animalisti. E’ possibile «quindi approfondire la dimensione di Dio», raggiungendo settori sociali solitamente indifferenti. Non sono mancate le critiche alla stampa, che tratta tutte le parole del Papa «come se parlasse ex cathedra. L’omelia di un sacerdote ha la stessa importanza delle omelie di Francesco a Santa Marta, sono un impulso spirituale ma non sono dichiarazioni del Magistero. Stiamo tutti addosso al Papa, povero Papa! Capita che il Papa dica qualcosa per scherzo a qualcuno ad un’udienza e poi appare sulla stampa come se fossero dichiarazioni ufficiali, è assurdo».

Come ha fatto anche il ratzingeriano Angelo Scola, arcivescovo di Milano, anche il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ha elogiato l’Amoris Laetitia, sopratutto quando in essa si accusa la colonizzazione ideologica. Per quanto riguarda il passaggio sui divorziati risposati, Muller ha smentito chi accusa il Papa di aver “cambiato al dottrina”: «se la “Amoris laetitia” avesse voluto cancellare una disciplina tanto radicata e di tanta rilevanza l’avrebbe detto con chiarezza, presentando ragioni a sostegno. Invece non vi è alcuna affermazione in questo senso; né il papa mette in dubbio, in nessun momento, gli argomenti presentati dai suoi predecessori, che non si basano sulla colpevolezza soggettiva di questi nostri fratelli, bensì sul loro modo visibile, oggettivo, di vita, contrario alla parole di Cristo». Nemmeno nella famosa nota 351, in cui si dice che, in alcuni casi, la Chiesa potrebbe offrire l’aiuto dei sacramenti a chi vive in situazione oggettiva di peccato: «basta dire», ha spiegato il prefetto tedesco, «che questa nota fa riferimento a situazioni oggettive di peccato in generale, senza citare il caso specifico dei divorziati in nuova unione civile. La situazione di questi ultimi, effettivamente, ha caratteristiche particolari che la distinguono da altre situazioni. Un argomento che non è presente nella nota né nel suo contesto».

In un’intervista dell’ottobre 2015 alla rivista tedesca Focus (ripresa anche da Kath.net e da Vatican Insider), il card. Muller ha comunque sostenuto la possibilità di concedere i Sacramenti a queste persone, «esaminando i singoli casi e in particolari situazioni». Nonostante la Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II dica che «la Chiesa ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati», il card. Muller precisò che «in questa direzione si può pensare al futuro», ossia «discernere le situazioni con responsabilità alla luce del pensiero teologico». Lo stesso che chiede oggi Francesco.

Al di là di ciò, rimane la grande comunanza di vedute anche tra il Papa argentino e il prefetto tedesco, esattamente la stessa «identità di vedute» che ha pubblicamente voluto ribadire tempo fa Benedetto XVI.

La redazione

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