«I medici non hanno il diritto di aiutare a morire», lo dice una sentenza americana

I malati terminali hanno il diritto di rifiutare le cure mediche, ma i medici non hanno il diritto di aiutarli a morire. Questa è stata la recente decisione della Corte d’Appello di Manhattan, che ha confermato la sentenza della Corte Suprema di New York. Le leggi statali che vietano il suicidio assistito, hanno asserito i giudici, non sono una violazione dei diritti civili.

Certamente la decisione verrà impugnata e il dibattito andrà avanti, tuttavia la sentenza è utile per ribadire una delle argomentazioni in opposizione ai sostenitori del suicidio assistito: anche ammettendo che l’essere umano possa disporre liberamente della sua vita (una falsità, come ha spiegato Ste­lio Mangiameli, docente di Dirit­to costituzionale all’Università di Teramo), egli non ha tuttavia il diritto di chiedere allo Stato e ad altri esseri umani (i medici) di essere complice e complici di un omicidio verso se stessi. E’ un argomento che richiama quello contro l’interruzione di gravidanza: la donna ha certamente diritti sul proprio corpo, ma non sul corpo e sulla vita del bambino che porta in grembo.

Questo non significa ignorare la sofferenza dei malati in fase terminale, proprio la Chiesa cattolica infatti indica come moralmente lecita l’interruzione delle terapie quando si reputano sproporzionate rispetto ai risultati attesi, evitando quindi l’accanimento terapeutico. Questo non equivale a procurare la morte, ma accettare di non poterla impedire, rinunciando ad interventi medici che non gioverebbero affatto alla salute del paziente. La sentenza americana è anche utile per ricordare che la cooperazione dei medici al suicidio di un paziente non è configurabile come mera “assistenza medica”, ma essi con il loro intervento sono concause della morte. Anche per questo motivo tutte le principali associazioni mediche internazionali sono contrarie alla legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito.

Bisogna anche ricordare l’errore di chi sostiene queste pratiche come una sorta di “male minore” rispetto ad un suicidio violento, «è senza dubbio una manovra seduttiva» ha commentato Alexander Schimpf, filosofo presso l’Università San Tommaso di Houston. Spesso si fa riferimento al suicida Mario Monicelli che si è dovuto gettare da una finestra, morendo violentemente, mentre avrebbe potuto suicidarsi “dignitosamente” in una stanza di ospedale, se la legge lo avesse permesso. E’ lo stesso argomento che venne utilizzato per legalizzare l’aborto, presentandolo come “male minore” rispetto a quello clandestino. Il problema concettuale di fondo è che lo Stato deve legiferare per evitare il “male” (e che il suicidio sia un male lo riconosce l’OMS quando cerca di prevenirlo), non per renderlo “minore”. Tutti sono d’accordo che una rapina senza morti e feriti è un “male minore” rispetto ad un furto in cui muoiono il rapinato o il rapinatore, ma nessuno si sognerebbe di legalizzare le rapine per evitare la violenza. Allo stesso modo, lo Stato non si preoccupa di fornire ai drogati dell’eroina certificata, siringhe sterilizzate e luoghi sicuri dove potersi bucare, ma si batte semmai per combattere il traffico di sostanze illecite e finanzia centri medici per togliere a queste persone il male della dipendenza.

Senza contare inoltre, che un suicidio legalizzato e pubblico, quindi approvato dallo Stato, non è affatto un “male minore” rispetto al sucidio violento e isolato. Da una parte, una legge del genere crea una indebita pressione morale e ricattatoria sugli stessi malati, convincendoli di essere un peso sociale e indicando loro una strada facile e legale per “togliersi di mezzo” e alleggerire la vita di amici e familiari. Dall’altra, come è stato verificato, il suicidio assistito porta ad un contagio sociale (“suicide contagion effect è stato definito sul Canadian Medical Association Journal). Nei Paesi in cui è legalizzato è stato dimostrato che la legge sul suicidio non è per nulla una forma di prevenzione al suicidio nella popolazione, ma aumenta il tasso globale di suicidio.

Senza contare che tale legge apre inevitabilmente le porte all’eutanasia, cioè la morte causata direttamente dal medico, ed essa, come si sta verificando nei Paesi Bassi, porta all’eutanasia senza consenso dei pazienti. «Il suicidio non è un male “solitario”», ha commentato il prof. Schimpf. «Altri verranno sempre influenzati dall’azione, per questo Aristotele classifica il suicidio come un reato contro la società, non contro se stessi. Il suicidio assistito, inoltre, genera ancora più male perché oltre alla persona uccisa, ci sarà anche un medico cooperante formalmente nell’azione omicida, egli sarà il responsabile morale».

Il 15 novembre 2014, nel suo discorso all’Associazione Medici Cattolici, Papa Francesco ha sfidato apertamente il mondo (altro che ricerca dell’applauso!), accusando «il pensiero dominante» di proporre «una “falsa compassione”. Quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono». Al contrario, ha detto al Parlamento europeo, «affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio».

La redazione

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I migliori libri che consigliamo di leggere (febbraio – maggio 2016)

letturaLa formazione personale è la prima necessità per poter rendere adeguatamente ragione della speranza e della posizione che noi cristiani e cattolici portiamo nel mondo.

Per questo, ogni tre-quattro mesi, segnaliamo di volta in volta i nuovi libri che riteniamo più interessanti e che, seppur non tutti, andranno ad integrare la nostra biblioteca virtuale. Qui sotto le migliori pubblicazioni uscite tra febbraio e maggio 2016.

 
 

La risurrezione di Gesù di Gérard Rossé (Edizioni Dehoniane Bologna 2016)
Rossé, ordinario di Teologia biblica, inquadra l’evento della resurrezione di Cristo da un punto di vista teologico, antropologico e storico. Sullo stesso tema: Risurrezione. Un viaggio tra fede e scienza di Armando Savini (Paoline 2016)

In cerca di salvezza. Wittgenstein e la religione di Valerio Merlo (Lindau 2016)
Approfondimento del rapporto del filosofo austriaco con il cristianesimo, alla luce soprattutto degli scritti autobiografici.

Le spie del Vaticano. La guerra segreta di Pio XII contro Hitler di Mark Riebling (Mondadori 2016)
Lo storico americano ha raccolto dieci documenti inediti che dimostrano come Pio XII appoggiò tre tentativi per liberare la Germania dalla tirannia nazista, qui la nostra recensione più dettagliata.

L’Io insoddisfatto. Tra Prometeo e Dio di Adriano Pessina (Vita e Pensiero 2016)
Docente di Filosofia all’Università Cattolica di Milano, Pessina apre la domanda sull’insoddisfazione della società, le cui risposte -tecnologiche, scientifiche, etiche- non sono mai all’altezza del desiderio sperimentato dall’uomo. Cosa placa l’inquietudine umana? Sullo stesso tema: Finitezza e antropologica teologica, di Jan-Olav Henrikse (Queriniana Edizioni 2016)

Quando eravamo femmine. Lo straordinario potere delle donne di Costanza Miriano (Sonzogno 2016)
Una divertente e puntuale risposta al femminismo e una vera valorizzazione dell’essere donna.

Poco meno di un angelo. L’uomo, soltanto una particella della natura? di Ermanno Pavesi (D’Ettoris 2016)
Il noto psichiatra parte dall’enciclica Laudato sì di Papa Francesco per ricostruire il confronto tra l’antropologia cristiana e le interpretazioni naturalistiche

La scienza dice no. L’inganno del «matrimonio» gay di Gerard J.M. van den Aardweg (Solfanelli 2016)
Lo psicanalista olandese, fondandosi sui dati di una ineccepibile ricerca scientifica, affronta la tematica dell’omosessualità anche alla luce della sua pluriennale esperienza clinica

Come difendere la fede (senza alzare la voce) di Austen Ivereigh (Lindau 2016)
Saper argomentare in maniera convincente, rapida, chiara e pacata, senza aggressività né vittimismi, è essenziale per riuscire a smontare i pregiudizi, smorzare la conflittualità e quindi dialogare con tutti. Nato nel 2010 in Inghilterra, in occasione della storica visita di papa Benedetto XVI e rapidamente diffusosi in tutto il mondo, Catholic Voices è approdato anche nel nostro Paese, con l’obiettivo di trasformare tanti cattolici italiani timorosi e un po’ indecisi in capaci comunicatori della propria fede

La grande domanda. Perché non si può fare a meno di parlare di scienza, di fede e di Dio di Alister McGrath (Bollati Boringhieri 2016)
Il celebre teologo e biofisico irlandese argomenta il diritto di convivenza tra la fiducia nella scienza e l’incommensurabile forza della fede.

La vita nelle nostre mani. Manuale di bioetica teologica di Maurizio Faggioni (Edizioni Dehoniane Bologna 2016)
Ordinario di Bioetica all’Accademia Alfonsiana di Roma, Faggioni presenta l’approccio della bioetica cattolica ai principali problemi etici che appaiono sui mass media. Sullo stesso tema anche: Breve introduzione alla bioetica. Quando la vita comincia e quando finisce, di Xavier Thévenot (Queriniana Edizioni 2016)

La sparizione dei bambini down. Un sottile sentimento eugenetico percorre l’Europa di Roberto Volpi (Lindau 2016)
Una tragica riflessione sull’eugenetica moderna contro i nati con Trisomia 21, attuata attraverso la diagnosi prenatale e l’interruzione volontaria di gravidanza.

Le finanze del Papa di P. Virginio Aimone Braida (Urbaniana University Press 2016)
Grazie ad un approfondito esame della documentazione sulla struttura finanziaria e sull’amministrazione del patrimonio della Santa Sede, l’autore presenta un quadro autentico delle finanze pontificie, correggendo le stime imprecise e manipolate dall’informazione mediatica corrente.

Che cos’è la metafisica di David M. Armstrong (Carocci 2016)
Una bella sintesi del pensiero metafisico del celebre filosofo australiano David M. Armstrong, scomparso nel 2014.

Gender di Susy Zanardo (Città Nuova 2016)
Docente di Antropologia filosofica e Filosofia morale all’Università Europea di Roma, Suzy Zanardo affronta la tematica degli studi di gender, ripercorrendone la storia e valorizzando la dualità maschile e femminile che vorrebbe essere censurata. Sullo stesso tema: Sviluppo dell’affettività e cultura del “genere” di Fiorenzo Facchini (Edizioni Dehoniane Bologna 2016)

Pensare senza smettere di credere di Maria Antoietta Spinosa e Anna Pia Viola (Il Pozzo di Giacobbe 2016)
Le due filosofe affrontano la strada comune percorribile dalla filosofia e dalla teologia, al di là degli storici pregiudizi storici e reciproche chiusure, concentrandosi sulle domande fondamentali dell’uomo.

False accuse alla Chiesa. Quando la verità smaschera i pregiudizi di mons. Luigi Negri (Gribaudi 2016)
Nuova e aggiornata edizione del libro di mons. Negri, arcivescovo di Ferrara, che propone un approccio intelligente ad alcuni episodi che la storiografia ufficiale ha sempre ritenuto “vergognosi” per la reputazione della Chiesa cattolica. Sullo stesso tema: L’uso pubblico del cristianesimo antico nella manualistica e nei media, di Stanislaw Adamiak e Sergio Tanzarella (Il Pozzo di Giacobbe 2016)

Diritti distorti. La legalizzazione dei desideri di Pier Giorgio Liverani (Ares 2016)
Un approfondimento sul grande dramma del nostro secolo, inventare diritti per legittimare la dittatura del desiderio, è l’uomo che sostituisce alla realtà il suo pensiero su come dovrebbe essere la realtà.

L’origine della vita. Il “caso” non spiega la realtà di Giulio D. Guerra (D’Ettoris 2016)
Chimico dei biomateriali ed ex ricercatore del CNR, Guerra mostra le debolezze degli argomenti portati a sostegno della cosiddetta “abiogenesi”, la nascita, spontanea e casuale del vivente dal non vivente. Sullo stesso tema, L’atomo, la scimmia e il cannibale. Inchiesta teologica sulle origini di Jean-Michel Maldamé (Editrice Domenicana Italiana 2016)

Gli Ebrei di Lutero di Thomas Kaufmann (Claudiana 2016)
Lo storico tedesco Kaufmann, un’autorità sulla storia della Chiesa protestante, analizza l’antisemitismo di Lutero, trovando collegamenti con il nazionalsocialismo.

La leggenda nera di papa Borgia di Lorenzo Pingotti (Fede & Cultura 2016)
Il vero volto di Papa Alessandro VI dopo secoli di propaganda negativa che ne hanno infangato la memoria, una ricostruzione basata su studi storici e storiografi.

La Madonna di Civitavecchia di Flavio Ubodi (Ares 2016)
La raccolta dei fatti salienti delle lacrime di Civitavecchia, comprese le analisi scientifiche che hanno escluso truffe e manipolazioni, e quelle teologiche portate avanti dalla Chiesa.

Dio e l’ipercubo. Itinerario matematico nel cristianesimo di Francesco Malaspina (Effatà 2016)
Docente di Scienze Matematiche al Politecnico di Torino, l’autore si serve della astratta e limpida bellezza della matematica per parlare di Gesù Cristo.

La redazione

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Anche nella Svezia gay-friendly, il tasso di suicidi omosessuali è tre volte maggiore

omosessuali disturbi«Il disagio che viviamo non è causato solo dal mondo esterno, ma sopratutto dalla nostra pratica omosessuale e da ciò che viviamo». Con queste parole il giovane giornalista Philippe Ariño, omosessuale dichiarato, ha spiegato le numerose difficoltà di vita purtroppo sperimentate dalle persone con attrazione dello stesso sesso.

«Il rifiuto della differenza sessuale, che è la fonte della nostra esistenza e della nostra umanità, porta gravi conseguenze. Le persone appaiono divise, con una ferita», ha proseguito. Queste “gravi conseguenze” sono puntualmente certificate da decine di studi scientifici, tanto che addirittura l’agenzia di pianificazione familiare delle Nazioni Unite (UNFPA) ha riconosciuto la «significativa prevalenza di violenza domestica tra gli uomini che hanno rapporti sessuali con gli uomini», rilevando altissimo tasso di promiscuità e il fatto che «sono più propensi a utilizzare alcol e droghe rispetto alla media della popolazione generale», soprattutto per mantenere ad «alto livello» le compulsive prestazioni sessuali.

Quasi sempre le associazioni Lgbt giustificano questi dati accusando la società di omofobia: le generalizzate discriminazioni nei loro confronti porterebbero le persone omosessuali a soffrire di questi disturbi. Una spiegazione che tuttavia a nostro avviso è stata, ancora una volta, smentita da una ricerca pubblicata recentemente sull’European Journal of Epidemiology, in cui gli studiosi hanno valutato il tasso di suicidio in Svezia, confrontando coppie omosessuali sposate a coppie eterosessuali sposate. Va premesso che su WikiPink, la Svezia viene definita come «uno dei paesi più “gay-friendly” d’Europa. Il matrimonio e le adozioni gay sono completamente legali e le persone omosessuali sono protette da leggi anti-discriminazione sul campo del lavoro e dei servizi pubblici». Non solo l’omofobia non esiste, dunque, ma anche se esistesse verrebbe immediatamente punita da leggi anti-discriminazione.

Eppure, i risultati sui disagi vissuti dalle persone omosessuali sono gli stessi che vengono verificati in tutto il resto d’Europa (compresi i Paesi giudicati “omofobi” dall’associazionismo Lgbt), tanto che, si legge, «il rischio di suicidio è più elevato tra gli individui dello stesso sesso sposati rispetto agli individui sposati di sesso diverso». Sia per quanto riguarda le donne ma, ancor di più, gli uomini: «gli uomini omosessuali sposati hanno un rischio di suicidio quasi tre volte maggiore rispetto agli uomini coniugati con un partner del sesso opposto». Questo ha portato, quindi, a concludere che «anche in un Paese con un clima relativamente tollerante per quanto riguarda l’omosessualità, come la Svezia, gli individui sposati dello stesso sesso evidenziano un elevato rischio di suicidio rispetto agli altri individui sposati». Lo stesso accade in altri Paesi ampiamente gay-friendly, come l’Inghilterra, dove è stata trovata impiccata la prima donna che si è unita in matrimonio con un’altra donna, a causa della violenza domestica subita (non certo per l’omofobia della società).

«Inutile negare la realtà», ha commentato l’intellettuale omosessuale Philippe Ariño, «viviamo un malessere, ma spesso non ne parliamo direttamente. La vera libertà è quella di riconoscere l’attrazione omosessuale per quella che è, cioè il sintomo di profonde ferite dell’identità affettiva». Bisognerebbe abbracciare queste persone, far loro presente che è possibile una riscoperta della propria vera identità. Certamente, le ferite non si emargineranno mai credendo al mito dell’omofobia spacciato come tappabuchi dall’associazionismo Lgbt. Il quale non vuole affatto il loro bene.

 

AGGIORNAMENTO 01/06/16
Ci è stato segnalato che una delle autrici dello studio scientifico citato nell’articolo, la dott.ssa Charlotte Bjorkenstam, contattata da alcuni militanti arcobaleno in merito a questo articolo, ha risposto confermando sia il maggiore tasso di suicidio delle persone omosessuali, sia l’altissima accettazione sociale delle persone omosessuali: il 92% degli svedesi, ha scritto, ritiene che debbano “essere liberi di vivere la propria vita come vogliono” (cosa che sosteniamo anche noi, d’altra parte). Tuttavia, la ricercatrice ha anche aggiunto che «probabilmente il maggiore tasso di suicidi è dovuto allo stress che le persone LGBT devono ancora affrontare, anche in un paese tollerante come la Svezia». Questa conclusione, introdotta non a caso dal “probabilmente”, è un’opinione personale della Bjorkenstam, attivista Lgbt, che non può essere affatto ricavata dai risultati da lei ottenuti. Al di là dell’ipotetico e dei “probabilmente”, le uniche certezze sono che in un Paese massimamente tollerante verso l’omosessualità, i tassi di suicidio delle persone Lgbt sono identici ai Paesi in cui l’omosessualità è meno socialmente accettata. Se parliamo, quindi, di “probabilità”, se ne deduce che, con tutta ovvietà, non può esserci alcuna causalità tra la non accettazione sociale e il disagio omosessuale. Infatti, se questi altissimi tassi di suicidio in Svezia fossero causati dai minimi tassi di omofobia presenti, allora in Paesi ritenuti apertamente omofobi dai militanti arcobaleno (come l’Italia, la Polonia o la Russia), dovremmo conseguentemente trovarci di fronte ad una epidemia di suicidi delle persone omosessuali. Cosa che fortunatamente non avviene, dunque l’unica interpretazione ragionevole che può essere data è quella da noi presentata nell’articolo qui sopra.

 

La redazione
(articolo inserito nell’archivio dedicato alle tematiche Lgbt)

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La fede migliora anche la qualità di vita: effetto placebo? No, psicologia positiva

cattoliciMolti sono rimasti sorpresi dai risultati dell’ennesimo studio secondo il quale coloro che frequentano con regolarità i sacramenti cristiani hanno anche una maggiore aspettativa di vita. La ricerca, durata vent’anni, è stata pubblicata sulla rivista dell’American Medical Association (la JAMA Internal Medicine) ed è stata diffusa sui principali media internazionali, a partire dal Washington Post.

Perché stupirsi? Abbiamo realizzato un dossier in cui sono state elencate decine e decine di ricerche che hanno portato a risultati identici, rilevando più volte che i credenti praticanti hanno una miglior vita amorosa e sessuale e migliori rapporti matrimoniali, minori sintomi depressivi, minori dipendenze (alcool e droga), maggior auto-controllo, migliore salute mentale e fisica, miglior successo scolastico, tassi più alti di felicità e ottimismo, minori tassi di criminalità e delinquenza, guarigione più veloce dopo una malattia ecc. Tutto opportunamente documentato.

Come spiegare tutti questi benefici? Solitamente viene invocato “l’effetto placebo” come una sorta di dio tappabuchi, spiegazione banale e superficiale che fortunatamente non utilizzano gli psicologi autori di questi studi, dove ribadiscono invece l’esistenza di cause ben più articolate e complesse. Addirittura Tyler Vander Weele, ricercatore della Harvard’s School of Public Health e coautore dello studio appena pubblicato, ha parlato della religione e della spiritualità come «risorsa sottovalutata, che i medici potrebbero esaminare con i pazienti. I nostri risultati non suggeriscono che gli operatori sanitari debbano prescrivere la partecipazione a funzioni religiose, ma coloro che già credono potrebbero essere incoraggiati a farlo». Senza considerare che, come ha spiegato su questo sito web Maria Beatrice Toro, psicoterapeuta e docente presso l’Università “La Sapienza” di Roma, «i meccanismi neurofisiologici che sono attivi nei soggetti altamente suggestionabili non risultano sovrapponibili a fenomeni osservati nei credenti. Gli effetti, che oggi si sa essere benefici, della preghiera e della meditazione vanno distinti da quelli del rilassamento, delle pratiche suggestive e ipnotiche, dell’effetto placebo».

Quale correlazione, allora? Christopher Kaczor, professore di Filosofia alla Loyola Marymount University, ha provato a rispondere nel suo recente saggio The Gospel of Happiness. Rediscover Your Faith Through Spiritual Practice and Positive Psychology (Image 2015), parlando di “psicologia positiva”, approccio introdotto dal noto psicologo Martin Seligman. Anzi, a dire il vero il suo obiettivo è stato quello di far sposare «i più recenti lavori sulla “psicologia positiva” alle tradizionali pratiche morali, le virtù e gli insegnamenti del cristianesimo», secondo la recensione del libro realizzata da Christopher O. Tollefsen, docente di Filosofia presso la University of South Carolina.

I fondamenti della “psicologia positiva” affermano che un ottimale sviluppo umano si verifica quando è caratterizzato da emozioni positive, impegno, relazioni, significato e autorealizzazione. Sono criteri astratti, classici della psicologia, ma che possono diventare ricchi di esperienza concreta se abbinati all’esperienza cristiana: l’incontro personale con Dio dona un senso eterno alla percepita finitudine dell’uomo, da questo nasce la gioia per la vita, la gratitudine di riconoscersi amati, la dedizione per gli altri, la capacità di perdono, il legame fraterno con i compagni di strada e la piena autorealizzazione, indipendentemente dai reali successi mondani. Allo stesso tempo, tutto questo genera uno sviluppo umano adeguato poiché corrisponde ai criteri empirici delineati laicamente dalla psicologia positiva.

E’ una spiegazione interessante quella del filosofo americano, sufficientemente comprensiva di tutti i fattori dell’esperienza religiosa e dei benefici, spirituali ma anche in termini psico-fisici, che da essa ne conseguono. Ne potrebbe giovare Vittorio Feltri che, pochi giorni fa, con una disarmante onestà intellettuale, ha dichiarato: «Non ho mai creduto in Dio, non ce la faccio. Ho cercato di documentarmi anche se in modo un po’ raffazzonato, ma non riesco a credere. Questo mi ha sempre portato a trovare l’esistenza totalmente priva di senso e questo, non ti nascondo, mi dà tuttora un po’ di angoscia». La fede è un dono che arriva quando si inizia ad usare la ragione in autentica apertura alla possibilità del Mistero, a vivere come se Dio ci fosse. «Allo stesso tempo, Dio, con la sua grazia, illumina la ragione, le apre orizzonti nuovi, incommensurabili e infiniti», ci ha insegnato Benedetto XVI. E questa ragione illuminata non può che portare conseguenze anche sul benessere psico-fisico, come la letteratura scientifica segnala.

La redazione

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Il “divieto di giudicare” e la correzione fraterna

misericordia 
di Francesco Carensi*
*docente di Sacra Scrittura alla Facoltà teologica dell’Italia centrale

da Toscana Oggi, 14/05/16
 

La misericordia è «la sostanza stessa del vangelo» dice papa Francesco, se non sappiamo unire la compassione alla giustizia, finiamo per essere «inutilmente severi e profondamente ingiusti». Molti però possono pensare che la misericordia sia un permettere tutto, quasi disinteressandosi della vita dell’altro.

Ma questa non è la misericordia evangelica, che invece si confronta con la vita dell’altro, che ha a cuore la storia degli  uomini, soprattutto di quelli che fanno più fatica nel loro cammino, e che per la fragilità comune a tutti gli uomini possono sbagliare, vivere un esperienza di fallimento, essere anche causa di inciampo per molti fratelli.

La correzione fraterna invece è superamento dell’indifferenza, ed è uno degli atteggiamenti cristiani più decisivi per la salvezza del singolo e per la stessa comunità cristiana, la Chiesa. Se non ci si sente custodi, responsabili del fratello, dell’altro, (Gen.4,9), «sono forse io custode di mio fratello» allora si vive per se stessi, senza guardare agli altri, e di fatto si incoraggia la crescita del male, che  sarà sempre più dilagante, in quanto non viene mai giudicato così.

Papa Francesco ci ha ricordato che tra le opere di misericordia, che quest’anno siamo chiamati a riscoprire, vi è «ammonire i peccatori». Dunque la correzione fraterna è al cuore della vita ecclesiale, ed è addirittura indicata come necessaria dalle parole di Gesù, contenute nel vangelo. Ma come praticarla? Innanzitutto prestando attenzione gli uni agli altri, (Eb, 10,24), Ma soltanto se si guarda con attenzione il Signore si diventa capaci di accompagnare con cura i fratelli e vedere l’altro nella verità, cercando di discernere il male compiuto, che non coincide mai con la persona (il vecchio detto si deve distinguere il peccato dal peccatore). Correggere dunque è una dimensione della carità cristiana. Non si deve tacere mai di fronte al male. Nel vangelo di Matteo al capitolo 18,15-17 leggiamo alcune indicazioni concrete date da Gesù: la correzione deve avvenire in tre tappe: «fra te e il tuo fratello», affinché il fratello si ravveda e il male non sia conosciuto da altri; poi se necessario la correzione va fatta in due o tre, in modo che chi ha commesso la colpa sia aiutato da più persone a pentirsi, se ciò  non è sufficiente, si faccia ricorso alla correzione in mezzo all’assemblea.

Se no trattalo come un peccatore: cioè vallo a trovare, alloggia presso di lui, mangia con lui e convertilo con il tuo amore, come ha fatto Gesù con pubblicani e peccatori (Mc 2,13-17.). Nel Nuovo Testamento si chiede più volte di praticare la correzione fraterna (Rm.15,14; 2Cor.2,6-8; Tt.3,10-11;), ma si nota quanto sia difficile da attuare. Per correggere è necessaria l’umiltà e amore sincero, mai si deve giudicare, come si legge nel testo di Lc 6,37: questo significa non ritenersi mai superiori a colui che si corregge, in quanto siamo tutti fragili e bisognosi del perdono del Signore. Dunque la correzione fraterna è una declinazione della misericordia da vivere nella Chiesa e in mezzo a tutti gli uomini.

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Amoris laetitia, mons. Luigi Negri: «falsificazione dire che concede la Comunione ai risposati»

mons negri«Il Papa non ha bisogno di essere adulato e non ha bisogno di essere contestato. Io ho detto al mio clero in questi anni: il Papa non lo si adula e non lo si contesta, lo si segue. E seguire implica mettere i nostri passi nei suoi, tentando di immedesimarci nel suo cammino e di confrontarlo con la nostra vita».

Mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara, ci ha regalato una bella lezione di autentico cattolicesimo, prendendo le distanze dagli adulatori laicisti di Papa Francesco, e dai suoi contestatori di stampo tradizionalista. Lo ha fatto il 4 maggio 2016, presentando l’esortazione apostolica Amoris laetitia al teatro Rosetum di Milano. Mons. Negri ha toccato anche il tema critico della comunione ai divorziati risposati, smentendo chi parla di “apertura” dell’Eucarestia da parte del Papa. Nell’esortazione apostolica, ha commentato (video più in basso), «la chiarezza c’è, non c’è obiezione alla tradizione magisteriale precedente. Bisogna stare alle cose che sono scritte non all’enorme fenomeno di manipolazione nel quale siamo incorsi. L’ottavo capitolo della Amoris laetitia è una sfida ad essere realmente pastori».

Eppure, diversi giornalisti vorrebbero convincere del contrario, come Magister, Socci, De Mattei e Cascioli, confondendo non poco i loro lettori. Mons. Negri è stato chiaro: è deliberata manipolazione, ma anche il card. Raymond Leo Burke ha fin da subito affermato che l’esortazione apostolica è la «fedele applicazione della pastorale costante della Chiesa. L’unica chiave giusta per interpretare Amoris laetitia è la costante dottrina e disciplina della Chiesa per quanto riguarda il matrimonio». Lo stesso ha detto un altro pupillo (suo malgrado!) del tradizionalismo, il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: «il Papa non mette in dubbio, in nessun momento, gli argomenti presentati dai suoi predecessori», mentre la famosa nota 351 del documento, in cui si parla dell’eventualità dei Sacramenti, «fa riferimento a situazioni oggettive di peccato in generale, senza citare il caso specifico dei divorziati in nuova unione civile».

Nonostante ciò, ha commentato mons. Luigi Negri fin dall’inizio del suo intervento, i quotidiani laici hanno detto l’opposto e «non è che dall’altra parte i colpi siano stati risparmiati», facendo riferimento alle «osservazioni pesantissime» del filosofo cattolico Robert Spaemann contro l’Amoris laetitia, che ha chiesto alla Santa Sede di chiarire i punti che, «secondo lui» –ha precisato l’arcivescovo-, risultano in contraddizione con il magistero ecclesiale. Eppure, è il commento di mons. Negri, «Papa Francesco riprende puntualmente il magistero della Chiesa» (minuto 20:11). La novità inserita da Francesco «è una preoccupazione squisitamente pastorale, voler rendere meno difficile una pastorale della famiglia perché la verità diventi carità e quindi sia possibile quella pastorale di integrazione di tutti nella Chiesa, che è certamente un obiettivo pastorale del Papa, non consentendo a nessuno di sentirsi escluso perché la misericordia di Dio ha un campo d’azione che non accetta limitazioni».

Un’altra cosa molto chiara, ha proseguito l’arcivescovo di Ferrara, è che «l’attacco alla Chiesa è sempre stato anche contemporaneamente un attacco alla famiglia. Questo è un quadro che il magistero di papa Francesco, in connessione ai suoi predecessori, ci ripropone oggi con forza. E devo dire, per il linguaggio tipico che caratterizza il modo di porsi e di comunicarsi di Papa Francesco, è anche particolarmente concreto, particolarmente suggestivo, non difficoltoso» (minuto 28:04). C’è spazio per un aneddoto che riguarda il cantante Enrico Ruggeri, che si lamentò con mons. Negri per il non potersi risposare religiosamente, avendo divorziato da una donna con la quale si era unito senza troppa convinzione, “perché andava così”. «Non è Papa Francesco che scopre queste sfide», ha commentato l’arcivescovo, «lui ha una sensibilità a leggere queste sfide», ed intende «recuperare chi si trova in situazioni difficoltose, negative, ostative alla vita della Chiesa», che sono «l’80% delle coppie che frequenta i corsi prematrimoniali. Quella che il Papa chiama “pastorale dell’integrazione” è l’approfondimento del matrimonio cristiano che sa affrontare le difficoltà, le sfide, cercando aiuto nella fede, non altrove» (minuto 34:45).

Arrivando al discusso capitolo ottavo dell’esortazione apostolica, quello dedicato anche ai divorziati risposati, mons. Negri ha preso atto che «è stato ampiamente sezionato e vivisezionato nel tentativo di spingerlo nel senso che fosse una rottura con la tradizione precedente. Questa è una falsificazione inaccettabile, non c’è una parola che dica che è possibile mettere fra parentesi alcuni aspetti fondamentali dell’insegnamento tradizionale della Chiesa. La Chiesa deve farsi carico delle circostanze in cui trova gli uomini e le donne ed occorre iniziare quel cammino di discernimento delle situazioni, di accompagnamento a coloro che vivono in situazioni di maggiore o minore gravità perché possa accadere, alla fine di questo cammino, una integrazione positiva di questi nostri fratelli nella vita della Chiesa» (minuto 49:55). E certamente non basta «ribadire la dottrina davanti alle situazioni difficoltose, ma operare un accompagnamento che porti ad un incontro autentico», con queste persone, inducendo un «auspicabile ritorno pieno nella comunione ecclesiale». Per cui, «senza far riferimento alla Comunione, il Papa parla della possibilità di un’integrazione piena, alla fine di un cammino di accompagnamento e di discernimento, non vissuto in modo generico ma caso per caso» (minuto 54:45). Concludendo ha specificato che questa è «la mia reazione a questo documento letto, come il Papa ha inteso porlo, all’interno del magistero tradizionale della Chiesa e aperto a questo compito di discernimento di situazioni nuove» (minuto 56:50).

Nella risposta alle domande del pubblico si è entrati nel merito della già citata nota 351, posta da Francesco a piè di pagina nella Amoris laetitia, collegandola alle cosiddette “circostanze attenuanti”: «In certi casi», si legge, «potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti». Mons. Luigi Negri ha commentato: «Ci sono delle situazioni in cui la responsabilità subisce delle riduzioni, per cui possiamo assumere atteggiamenti di maggior comprensione e di maggior accoglienza. Ma guai a noi, e il Papa non lo può dire, se dicessimo che non c’è responsabilità». Rispetto alla nota 351, ha proseguito, «la pastorale ha una serie di strumenti, non escluso quello dell’Eucarestia, che possono rappresentare un aiuto fondamentale nel cammino della fede, ma nel cammino della fede non perché io ho il diritto all’Eucarestia! L’Eucarestia può essere un aiuto straordinario che in certe situazioni, lo dico io non il Papa, potrebbe essere anche dato con certe circostanze di discrezione, di riservatezza ecc. Ma sulla base di aiutare il ritorno alla fede, l’esperienza dell’incontro con Cristo» (dal minuto 1:11:07).

Quindi, «non so dove potrebbe essere l’equivoco, se prendono questa nota per dire che il Papa è d’accordo con la Comunione ai divorziati risposati, prendono una frase che non può essere certamente utilizzata in questo senso. Se poi lui personalmente la pensa così e non lo ha ancora detto, staremo a vedere quando la dirà, ma non diciamo che l’ha detto quando non l’ha detto!». Questa apertura «nel testo non c’è, e fa fede il testo che è il documento ufficiale. Se quelle citazioni lì le volete tirare» a favore dell’apertura del Papa alla comunione ai divorziati risposati, «non sono adeguate. Questa nota non è se non la conferma di questo atteggiamento di graduale e prudente apertura che favorisca il desiderio di ritornare alla fede». Attenzione quindi, «bisogna stare alle cose che sono scritte non all’enorme fenomeno di manipolazione nel quale siamo incorsi. Ma non possiamo metterci a giudicare un documento per le possibili manipolazioni più o meno interessate che fa l’uno e l’altro». Lo stesso vale per un altro documento, il motu proprio sulla nullità matrimoniale, che i soliti giornalisti d’assalto definiscono come apertura al “divorzio cattolico”, ma che «non lo hanno certamente letto se non le due righe citate da “Repubblica” o dal “Corriere della Sera”». Quindi, nell’esortazione apostolica Amoris laetitia, ha concluso l’arcivescovo di Ferrara, «la chiarezza c’è, non c’è obiezione alla tradizione magisteriale precedente e il cammino per l’integrazione è indicato come servizio a far si che si rinnovi l’esperienza del desiderio di conoscere la fede e di ritornare, come possono. Se ritornano e si mantengono nella posizione di totale irregolarità nei confronti di Cristo e della Chiesa credo che non gli potremo mai dare la Comunione, a meno di sostituirci al Papa. L’ottavo capitolo è una sfida ad essere realmente pastori, il Papa è molto chiaro: non pensate di avere delle indicazioni valevoli per sempre e per ogni situazione, bisogna invece farsi carico di situazione in situazione. E possono esserci soluzioni diversissime se le situazioni sono molto diverse».

Consigliamo la visione integrale dell’intervento di mons. Luigi Negri, come sempre apprezzabile nella sua chiarezza e profondità di giudizio, in questo contesto ci siamo limitati a riportare le sue parole sul capitolo più mediaticamente discusso. Parole, quelle dell’arcivescovo di Ferrara, che verranno fastidiosamente evitate e liquidate dagli anti-bergogliani, che pure vedono, giustamente, in mons. Luigi Negri un autentico riferimento pastorale. Ma, sia ben chiaro, sono loro a tradire la Chiesa e la tradizione magisteriale, non certo Papa Francesco, o i cardinali ratzingeriani Burke, Müller e Scola, che hanno ben dimostrato di essere uniti al Pontefice, il quale -ci ha insegnato mons. Luigi Negri-, non «va adulato o contestato. Ma va seguito, questo implica mettere i nostri passi nei suoi, tentando di immedesimarci nel suo cammino e di confrontarlo con la nostra vita».

 

Qui sotto alcuni passaggi dell’intervento di mons. Luigi Negri (video pubblicato anche sul nostro canale Youtube)

 
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Caro Marco Pannella, ti sei battuto per diritti incivili che hanno imbruttito l’Italia

Pannella«Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la colf!», disse Amintore Fanfani, il 26 aprile 1974. Un profeta, che venne allora ridicolizzato da Marco Pannella, tra i principali artefici delle leggi che, di fatto, hanno rovinato il tessuto sociale italiano.

E’ morto oggi, Marco Pannella, senza dubbio un combattente. A lui va il nostro ringraziamento per l’onestà intellettuale di aver saputo schierarsi dalla parte della Chiesa laddove rilevava un cammino comune. Pensiamo alla campagna contro lo sterminio per la fame nel mondo che lo portò ad essere ricevuto nel 1986 da Giovanni Paolo II, a nome del Consiglio direttivo di “Food and Disarmament”. Ma anche alla lotta contro la pena di morte e per la dignità dei carcerati, che lo ha avvicinato molto a Papa Francesco (si capiscono così le parole di padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, che ha parlato di «eredità umana e spirituale importante, di rapporti franchi, di espressione libera e di impegno civile e politico generoso», ma anche di «posizioni discordanti», mentre l’Osservatore Romano ha accennato a «battaglie politiche, talvolta discutibili, in particolare a partire dagli anni Settanta, attraverso una mobilitazione senza precedenti della società civile»).

Eppure non si può negare quanto alcune sue battaglie abbiano anche imbruttito il volto dell’Italia. La sola esistenza della legge sul divorzio ha reso precari i rapporti coniugali fin dalla loro nascita, passando dal per sempre al vediamo se, quindi con una prospettiva già azzoppata in partenza, rendendo precaria e instabile la cellula della società, la famiglia. La sola possibilità di divorziare è stata un facile deterrente alla possibilità di rimboccarsi le maniche e recuperare i rapporti, l’attivismo dei Radicali ha permesso che lo Stato legalizzasse, quindi approvasse, ciò che è oggettivamente un male per la società: la divisione della famiglia con l’avvallo statale.

Contro non trovò soltanto la Chiesa, ma anche diversi laici come Salvatore Satta, Sergio Cotta, Augusto del Noce, Carlo Felice Manara, Enrico Medi, Giorgio La Pira, Alberto Trabucchi, Giambattista Migliori e Lina Merlin. Il giurista Gabrio Lombardi disse: «Se gli italiani approvano la legge sul divorzio, distruggono la famiglia tradizionale e la stessa società italiana, poiché la società si fonda sulla famiglia prima che sullo stato». Ma il fronte cattolico si presentò diviso alle urne per il referendum abrogativo e la profezia, oggi, si è avverata. Madri single, figli orfani e padri disperati, Pannella (e non solo lui, ovviamente) ha anche questo sulla coscienza. Della famiglia, d’altra parte, non si è mai interessato, aveva figli sparsi per il mondo di cui si vantava di non sapere e non voler sapere nulla, aveva troppo da fare.

Per non parlare della legge sull’interruzione di gravidanza. Pannella, fondatore nel 1955 del Partito Radicale assieme al maestro massone Paolo Ungari, al teorizzatore delle leggi razziali Leopoldo Piccardi e a Ernesto Rossi, collaboratore del “Popolo d’Italia” diretto da Benito Mussolini, è stato responsabile dell’opprimente e menzognera campagna mediatica che ha ingannevolmente convinto gli italiani ad accettare la legge sull’aborto, strumentalizzando l’evento della fuoriuscita di diossina nella cittadina di Seveso (MB), nel 1976. Pannella e altri militanti capirono l’opportunità e terrorizzarono le donne incinte, dicendo loro che avrebbero partorito dei mostri se la legge non avesse concesso l’aborto. Allarmismo che venne smentito dagli studi dell’Università di Lubecca e dalla Commissione bicamerale di inchiesta nominata dal Parlamento italiano, ma fu inutile e si fece leva sul caso estremo della malformazione dei feti per arrivare alla legalizzazione dell’interruzione di gravidanza nel 1978.

Sempre nello stesso anno, Pannella si rese protagonista di una campagna diffamatoria contro il presidente della Repubblica, il cattolico Giovanni Leone, che fu costretto a dimettersi, con il quale si scusò nel 1998, ammettendo che molte delle accuse che gli aveva rivolto erano false. Nel 1979 entrò in politica e portò in Parlamento diversi condannati, come Toni Negri, garantendo loro l’immunità parlamentare. Gli italiani che oggi ricordano il Pannella “eroe dei diritti civili” stanno pagando migliaia di euro in vitalizi a decine di persone diventate parlamentari radicali grazie a Pannella, come Cicciolina (5 presente in parlamento), Angelo Pezzana (7 giorni in parlamento), Luca Boneschi (una sola seduta in parlamento), Rino Piscitelli (7 giorni di parlamento).

Venne più volte arrestato perché consumava droga in pubblico, la lotta per la liberalizzazione fu un altro suo obiettivo, arrivando nel 1987 –lo riportano le cronache dell’epoca- a proporre la legalizzazione dell’eroina, di cui faceva ampio uso (distribuiva anche gratuitamente Hashish ai partecipanti di varie manifestazioni anti proibizioniste). Nell’agosto 1984, ospite a San Patrignano, auspicò che la droga «si potesse trovare al self-service» perché così «la cocaina sarebbe doc, l’eroina anche» (la Repubblica, 28/8/1984, p. 14). Sono anche emersi stretti rapporti tra lui e Licio Gelli, “Maestro Venerabile” della golpista loggia massonica P2 (“propaganda due”), che Pannella cercò più di una volta di portare in Parlamento. «La nostra idea – lo dicemmo pubblicamente – era di offrire l’immunità al fuggiasco, a colui che poteva essere ammazzato da un momento all’altro», ammise Pannella nel 1998.

Si richiamava a Gandhi quando esercitava i suoi digiuni, eppure è stato criticato duramente dallo storico laico Sergio Romano: «Il digiuno di Gandhi contro la Gran Bretagna è l’arma del debole in una guerra asimmetrica di liberazione. Al contrario, mi sorprende invece il digiuno dei radicali che protestano contro alcune particolari politiche dello Stato in cui vive a da cui riceve una somma considerevole di alti vantaggi, fra cui quello della rappresentanza politica. Sono certo che non vogliano trasformare la politica interna in un campo di battaglia, ma così accade, di fatto, quando un uomo politico minaccia di usare il proprio corpo come un’arma letale e si dichiara pronto a morire pur di raggiungere il suo scopo. Se la politica democratica è lotta senza spargimento di sangue, questa, spiace dirlo, non è più democrazia».

Lo stesso vale per la strumentalizzazione dei disabili, usati da Pannella come grimaldello per ottenere una legge sull’eutanasia: «Paradossalmente il Partito radicale è il più laico dei movimenti politici italiani», è stato il commento di Romano, «ma si è servito degli handicap fisici di alcuni fra i suoi più tenaci militanti per creare il “martire”, vale a dire un personaggio che appartiene alle guerre di religione piuttosto che alle battaglie civili. Nella grande maggioranza dei casi i digiunatori, naturalmente, non desiderano la morte. Vogliono vivere, combattere, e sperano di vincere costringendo l’avversario a deporre le armi. Ma questo, spiace dirlo, è un ricatto. Dovrebbero chiedersi quale sia stata, nei casi in cui hanno avuto successo, la ragione delle loro vittorie. Hanno vinto perché, come scrive Emma Bonino, hanno “saputo provocare un pensiero altro” rispetto a un tema di cui non si vuole neppure sentir parlare”? O hanno vinto perché il “nemico” era impaurito dalla possibilità di apparire responsabile del loro decadimento fisico e, in ultima analisi, della loro morte? Se la risposta giusta è la seconda, la parola ricatto mi sembra appropriata».

Tutto questo è stato Marco Giacinto Pannella, un leale combattente, ma dalla parte sbagliata. Voleva rendere l’uomo più libero e ci ha lasciati più schiavi di prima, più deboli e soli. Credeva di lottare per il bene ma spesso ha favorito il male. Forse proprio ora si sarà reso conto, per la prima volta, degli immensi errori che ha commesso e che hanno imbruttito il volto italiano.

 

AGGIORNAMENTO 21/05/16
Segnaliamo la testimonianza di mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e amico di Pannella dagli anni Novanta, il quale (oltre a rendere pubblica una lettera di Pannella scritta a Papa Francesco un mese fa), ha raccontato gli ultimi giorni di vita del leader radicale, l’affetto tra i due, il suo interesse per il Vangelo e un possibile avvicinamento spirituale al mistero cristiano.

La redazione

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Le multinazionali gay-friendly fanno affari dove si perseguitano i gay

appleNon è il morso del cane al postino a fare notizia, ma quello del postino al cane. Eppure, come abbiamo già documentato, in North Carolina a riempire la prima pagina di tutti i quotidiani è una legge che impone ai maschi di usare il bagno dei maschi e alle femmine quello delle femmine.

Un’ovvietà, viene da pensare. Ed invece è stata definita anti-Lgbt da chi vorrebbe concedere a chiunque si “senta” dell’altro sesso di frequentare il bagno pubblico che preferisce. A schierarsi dalla parte della lobby arcobaleno sono arrivate le solite subrette dello spettacolo, affiancate dalla principali multinazionali come PayPal, Facebook, Google ed Apple ecc. Interessate a dimostrarsi sensibili alla tematica e pronte a tutto per contrastare le discriminazioni, anche a costo di rimetterci, tanto che i responsabili di PayPal hanno rinunciato all’apertura di una sua sede in questo Stato sbandierando, con chiaro intento moralmente ricattatorio, la perdita di 3,6milioni di euro e oltre 400 posti di lavoro.

Peccato che, come è stato fatto notare dal Washington Times (notizia ripresa anche in Italia dagli amici di Zenit.it), queste multinazionali fanno volentieri del moralismo se fiutano la possibilità di sponsorizzare la loro immagine, ma non si pongono paletti etici quando invece c’è da generare profitti in Paesi che non sono propriamente “aperti a chiunque”. PayPal, ad esempio, ha aperto un centro di operazioni globali in Malesia, il cui codice penale prevede punizioni severe nei confronti di chiunque abbia una “condotta omosessuale”. Si va dalle 20 frustate alla detenzione fino a 20 anni. La sede internazionale di PayPal si trova a Singapore, dove i rapporti tra persone dello stesso sesso sono puniti con due anni di carcere. L’azienda ha poi un centro di sviluppo software a Chennai, in India, dove senz’altro ci sono tanti informatici preparati, ma dove al tempo stesso esiste l’articolo 377 del codice penale, che punisce i rapporti sessuali “contro natura”.

Apple, invece, possiede molti stabilimenti in Cina, dove gli omosessuali fino al 2001 erano considerati malati mentali a cui era necessario destinare una “terapia di guarigione” con scariche elettriche. Terapia che – come rivelato da alcune inchieste – è in uso ancora oggi in certe cliniche cinesi. Diversi negozi sono stati attivati recentemente in Arabia Saudita, dove le persone omosessuali vengono direttamente eliminate anche senza provare che l’omosessualità sia praticata. Anche Mark Zuckerberg, creatore di Facebook, non ha avuto grossi problemi morali ad aprire il suo ufficio in India e non lo ha chiuso quando, nel 2014, la Corte Suprema indiana, ha confermato il reato di omosessualità. Tanto meno lo hanno fatto Google e Microsoft, già presenti da anni sul territorio indiano.

La stessa ipocrisia del nostro Ivan Scalfarotto, sottosegretario italiano e attivista omosessuale, autore del famigerato ddl sull’omofobia che avrebbe introdotto in Italia il reato d’opinione. Mentre scriveva infuocati tweet contro gli omofobi italiani, contemporaneamente si trovava in Iran, dove è ancora oggi prevista la pena di morte, tramite impiccagione, per le persone omosessuali (come accaduto nel 2005). Ma c’erano affari da portare avanti con il governo iraniano e Scalfarotto non si è tirato indietro dal definire il presidente iraniano Hassan Rohani un “riformatore” (ricevendo dura reprimenda su gaypost.it).

Altro che diritti, è lo sfruttamento dell’omosessualità in quanto moda attuale che smuove un colossale giro d’affari, tra cui potenziali profitti derivanti dalle biotecnologie applicate alla riproduzione umana, alla vendita di ovociti, all’affitto di uteri e alla tecnoscienza. Infatti, nella parte del mondo dove l’arcobaleno non è proprio di tendenza, le stesse multinazionali non si fanno remore ad entrare in affari con chi sventola dollari con la mano destra e reprime gli omosessuali con la sinistra. In quei Paesi, come in Indonesia (o in Uganda, in Nigeria ecc.), lontano dal plauso mediatico, soltanto la voce della “omofoba” Chiesa cattolica si alza in difesa di queste persone. Come sempre è avvenuto, secondo l’interessante documentazione fornita da Lucetta Scaraffia, docente di Storia contemporanea presso l’Università La Sapienza di Roma.

La redazione

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Il dubbio di Cartesio è l’opposto dello scetticismo: affermava la verità di Dio

descartes«L’esistenza di Dio, infatti, è la prima e la più eterna di tutte le verità che possono essere e la sola da cui procedano tutte le altre». E’ una frase contenuta nelle lettere inedite da poco pubblicate del fondatore della filosofia moderna, René Descartes (ovvero Cartesio).

Formatosi dai gesuiti del collegio francese di La Flèche, ha dato contributi decisivi nel campo filosofico e matematico, divenendo noto per il cosiddetto “dubbio metodologico”. Qualche tempo fa segnalavamo la strumentalizzazione da parte del positivismo del filosofo britannico Ludwig Wittgenstein, anche con Cartesio è avvenuto qualcosa di simile.

Descartes viene citato per avvalorare l’effimera positività del dubitare ed invece il suo approccio differisce completamente dal dubbio degli scettici, di chi dubita per dubitare. Come ha ben spiegato il teologo e storico francese Jean-Robert Armogathe, specialista di Cartesio e direttore di ricerche all’Ecole pratique des hautes études di Parigi, «il dubbio radicale di Cartesio si distingue chiaramente dalla tradizione scettica. Almeno in due modi. Innanzitutto, è un dubbio metodologico, necessario per compiere un percorso. Cartesio non dubita per dubitare, ma per ricercare la verità. È un dubbio provvisorio. In secondo luogo, è molto più radicale del dubbio degli scettici. Solo il pensiero, trovandosi al di là del dubbio, può in tal modo fondare l’esistenza permettendo di uscire dallo stesso dubbio».

L’elogio del dubbio in quanto tale e lo scetticismo razionalista sono dunque esattamente l’opposto del pensiero cartesiano: «quando si qualifica Cartesio come padre della razionalità moderna», ha spiegato ancora Armogathe, «non bisogna pensare al razionalismo, come fanno molti, ma alla ragione come insieme complesso dove convergono nella ricerca della verità pure le passioni dell’anima, le circostanze e l’insieme della personalità umana». La realtà ha un senso e Cartesio indica la possibilità di un percorso in cui il dubbio è parte importante, ma sarà la verità a scaturire da esso, non viceversa. Il dubitare diventa così la condizione favorevole alla possibilità di dedurre la verità.

La lettera citata inizialmente, inviata al teologo e matematico Marin Mersenne il 6 maggio 1630, esprime proprio la certezza dell’esistenza di Dio di un cattolico osservante, come lo era Cartesio. Egli avanza ben tre dimostrazioni dell’esistenza del Creatore, due a posteriori e una a prioriIl sociologo americano Rodney Stark ha ben mostrato come la scienza nasce schiava della teologia durante il luminoso Medioevo, ma il processo prosegue anche nel XVI secolo quando Cartesio, per l’appunto, «giustificò la sua ricerca delle “leggi” naturali sul fatto che tali leggi dovessero esistere perché Dio era perfetto e agiva “nel modo più costante e immutabile possibile”, tranne che nelle rare eccezioni dei miracoli» (R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, p.40).

Il dubbio fine a se stesso atrofizza l’uomo, l’elogio del dubitare è l’antitesi del pensiero razionale. L’atto del coltivare dubbio non ha alcun valore in sé, diventa valore solo se produce ricerca e chiunque cerchi seriamente qualcosa è perché ammette la possibilità del trovare, riconosce quindi l’esistenza di una risposta alla domanda. «Che le cose che concepiamo molto chiaramente e distintamente sono tutte vere», ha scritto Cartesio, «non è cosa certa se non perché Dio è o esiste, perché è un essere perfetto e perché da Lui riceviamo tutto quello che è in noi» (R. Descartes, Discorso sul metodo, Laterza 2004).

La redazione

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Il cancro come possibilità di un bene più grande, la testimonianza degli oncologi

oncologoDue anni fa, uno degli amministratori di questo sito web si è innamorato (e poi sposato) di una ragazza non credente, lontana e indifferente alla Chiesa e a Dio. Pochi mesi dopo averla conosciuta, la madre della giovane è morta di cancro e, a distanza di un anno, è morto anche il padre, sempre di tumore. Oggi la ragazza -diventata moglie, nel frattempo- è attiva nella sua parrocchia e la sua conversione risale proprio a quel terribile periodo, quando nel giro di pochi mesi ha perso improvvisamente entrambi i giovani genitori.

Questa esperienza è la prima risposta all’affermazione del 2014 dell’oncologo italiano Umberto Veronesi, quando lanciò mediaticamente il suo nuovo libro, affermando che «il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio». In realtà, spesso, il cancro è paradossalmente fautore di un avvicinarsi a Dio, come è accaduto alla moglie del nostro amministratore, aiutata a guardare la terribile situazione con uno sguardo cristiano, l’unico capace di non scandalizzarsi di fronte al male nel mondo. Il cristiano sa che il dolore, la sofferenza e l’ingiustizia sono parte di questo mondo, il migliore che Dio avrebbe potuto creare salvaguardando la libertà della sua creatura di compiere il bene e il male, e della realtà naturale, libera di evolversi generando l’immensità delle montagne e dei fiori ma anche malattie e catastrofi. A questo proposito, è giusto ricordare che nell’80% dei tumori, la causa dipende da fattori ambientali provocati dall’uomo e dall’adozione di stili di vita errati.

Ma perché Dio non interviene per fermare il male? Perché è capace di far rientrare il male, commesso dagli uomini e dalla natura, in un disegno più grande di bene per l’uomo. Dal male sa trarre un bene maggiore, il progetto completo non è (ancora) a nostra disposizione, ma spesso possiamo carpirne dei segni. Gli oncologi Maura Massimino e Franca Fossati-Bellani, direttore ed ex direttore della Struttura Complessa di Pediatria dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, quotidianamente a contatto con bambini malati di cancro, hanno così risposto a Umberto Veronesi: «in tanti anni di vita, in condizioni professionali diverse, in quel reparto assistiamo al miracolo quotidiano di come in circostanze estreme si possano trovare risorse come amore, studio e buone cure in un ospedale pubblico. Non sappiamo dire se miracolo divino o semplice buona fortuna. Ma talvolta riusciamo a ricordare, comunque vada, che Dio non ci ha abbandonati».

Pochi giorni fa è stato presentato in Spagna il libro del dott. José Luis Guinot, fondatore della Asociación Española de Radioterapia y Oncología e direttore della Clinica di Radioterapia Oncologica dell’Instituto Valenciano de Oncología (IVO) di Valencia, intitolato De la angustia a la serenidad (Ciudad Nueva 2016). «Ci sono persone malate di cancro», ha affermato l’oncologo spagnolo, «che ci mostrano la possibilità di vivere la malattia in modo diverso. La ritengono addirittura un’opportunità per fare un viaggio interiore, aiutandole a trovare un vero senso della vita. Queste persone trasformano l’angoscia in serenità».

La malattia può diventare, così, paradossalmente, un’occasione di bene, come testimoniano gli oncologi. Di un bene più grande, perché comprendere il senso della vita val molto di più di una vita sana ma moralmente disperata. L’oncologo Rogério Brandão ha raccontato di una bambina di 11 anni, malata di cancro, alla quale ha chiesto dove fossero i genitori: «A volte la mia mamma esce dalla stanza per piangere di nascosto in corridoio», ha risposto la piccola. Aggiungendo: «Quando sarò morta, penso che la mia mamma avrà nostalgia, ma io non ho paura di morire. Non sono nata per questa vita. Quando siamo piccoli, a volte andiamo a dormire nel letto dei nostri genitori e il giorno dopo ci svegliamo nel nostro letto, vero? Un giorno dormirò e mio Padre verrà a prendermi. Mi risveglierò in casa Sua, nella mia vera vita!». Il dott. Brandão ha commentato: «Ero scioccato dalla maturità con cui la sofferenza aveva accelerato la spiritualità di quella bambina». La quale ha aperto gli occhi sulla vita alle persone che aveva attorno, ha offerto loro il Senso dell’esistenza e forse anche questa è stata la sua vocazione, il suo compito, che lei ha abbracciato con libertà.

E’ scandaloso, ma la croce è una circostanza attraverso cui l’uomo deve passare. Dio per primo lo ha sperimentato: è soltanto morendo in croce, come un assassino, che ha potuto risorgere, infrangendo il limite della morte e dando all’uomo la prospettiva della vita eterna. Il male e l’ingiustizia sono parte e condizione di un disegno di bene più grande. «Questo è il mistero della malattia. Si può avvicinare una malattia soltanto in spirito di fede», ci insegna Papa Francesco. «Possiamo avvicinarci bene a un uomo, a una donna, a un bambino, a una bambina, ammalati, soltanto se guardiamo a Colui che ha portato su di sé tutte le nostre malattie, se ci abituiamo a guardare il Cristo Crocifisso. Lì è l’unica spiegazione di questo “fallimento”, di questo fallimento umano, la malattia per tutta la vita. L’unica spiegazione è in Cristo Crocifisso».

La redazione

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