«Desidero poter dire nuovamente tutta la mia stima per i musulmani», disse nel novembre 2006 Benedetto XVI, soltanto due mesi dopo la crudele esecuzione di tre cattolici indonesiani e dopo solo tre mesi di distanza dallo sventato attacco terroristico alla città di Londra. Scandaloso? Eppure, nessuno lo criticò.
In quell’occasione, Papa Ratzinger aggiunse anche che i musulmani «appartengono alla famiglia di quanti credono nell’unico Dio e che, secondo le rispettive tradizioni, fanno riferimento ad Abramo». Stima per i musulmani, che credono nell’unico Dio e appartengono alla nostra stessa famiglia. Questo il pensiero di Benedetto XVI, immutato anche dopo le persecuzioni dei cristiani ad opera dell’Islam fondamentalista.
E’ davvero un magistero da riscoprire il suo, volutamente dimenticato -e quindi tradito- dai sedicenti ratzingeriani che oggi condannano Papa Francesco per la sua volontà di rispetto e incessante dialogo con il mondo islamico. Ridotto soltanto al celebre discorso di Ratisbona, il rapporto tra Ratzinger e l’Islam è ben più ampio e, anche in questo caso, c’è perfetta continuità con quello di Francesco e con il magistero della Chiesa cattolica. Nell’esortazione Ecclesia in Medio Oriente del 2012, Papa Ratzinger ribadiva infatti che «fedele all’insegnamento del Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica guarda i musulmani con stima, essi che rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, l’elemosina e il digiuno, che venerano Gesù come profeta senza riconoscerne tuttavia la divinità, e che onorano Maria, la sua madre verginale».
Nel 2007, fu proprio Benedetto XVI, il primo nella storia, ad accogliere con tutti gli onori in Vaticano il monarca dell’Arabia Saudita, Abdullah II, il quale non permise mai alcuna libertà religiosa ai cristiani, contro i quali scatenava la polizia religiosa anche solo per un crocifisso al collo. E’ stato nel pontificato di Benedetto XVI che l’Osservatore Romano pubblicò per la prima volta un articolo di un musulmano, Fouad Allam, senza alcuna critica di “deriva sincretista della Chiesa cattolica” da parte degli attuali antibergoliani. E’ stato sempre Benedetto XVI a dire ad Abu Mazen che «la Santa Sede appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana patria Palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti», Francesco, nel ribadirlo, non ha rotto alcun tabù. Nel 2009, anno di frequenti attentati terroristici, Papa Ratzinger espresse il suo «profondo rispetto per la comunità Musulmana». Parole che Francesco non ha mai pronunciato in termini così espliciti.
Eppure, solo Bergoglio, è stato criticato da Magdi Allam poiché «dimentica che il Dio Padre […] non ha nulla a che fare con Allah. Quando il Papa all’interno della Moschea Blu si è messo a pregare in direzione della Mecca congiuntamente con il Gran Mufti, ha legittimato la moschea come luogo di culto dove si condividerebbe lo stesso Dio e ha legittimato l’islam come religione di pari valenza del cristianesimo». In realtà, è proprio Allam a dimenticare che Papa Gregorio VII –citato da Benedetto XVI- invocò l’amicizia tra cristiani e musulmani proprio perché «noi crediamo e confessiamo un solo Dio, anche se in modo diverso». Ed è Allam ad aver scordato che il primo a pregare nella Moschea Blu in direzione della Mecca, dopo essersi tolto le scarpe in segno di rispetto (rimanendo con i calzini bianchi: “desacralizzazione del papato”, direbbero i tradizionalisti), è stato proprio il precedessore di Francesco: «Due minuti in silenzio, una preghiera intuita dal raccoglimento e dal movimento delle labbra di Benedetto XVI e dell’imam della Moschea blu», riporta Asianews. Addirittura, come si legge, è stato proprio Benedetto XVI a chiedere all’imam di Instanbul di pregare «per la fratellanza e per il bene dell’umanità», davanti al mirhab. «Ratzinger aveva socchiuso gli occhi, e unendo le braccia e si era raccolto in preghiera rimanendovi ben più dei trenta secondi richiesti, costringendo il mufti e tutti gli altri presenti ad attendere, in un irreale silenzio, che avesse terminato. Infine, in segno di rispetto, aveva chinato leggermente il capo in direzione della nicchia, e aveva detto al mufti: “Grazie per questo momento di preghiera”», riportano i testimoni oculari. Lo stesso, Benedetto XVI ha fatto alla Moschea di Gerusalemme, accolto dal muftì Mohammed Hussein.
Sempre Magdi Allam ha criticato Francesco perché ha rilevato elementi di comunanza con l’Islam, così facendo avrebbe «reiterato la tesi del tutto ideologica e infondata delle tre grandi religioni monoteiste, finendo per delegittimare il cristianesimo dato che l’islam si concepisce come l’unica vera religione. E lo stesso dicasi quando il pontefice argentino ha invocato il dialogo interreligioso». Ancora una volta, invece, il comportamento di Francesco è nel solco del suo predecessore: nel suo discorso del maggio 2009, infatti, nella Spianata delle Moschee di Gerusalemme, Benedetto XVI volle proprio riflettere «sul mistero della creazione e sulla fede di Abramo. Qui le vie delle tre grandi religioni monoteiste mondiali si incontrano, ricordandoci quello che esse hanno in comune. Mentre Musulmani e Cristiani continuano il dialogo rispettoso che già hanno iniziato, prego affinché essi possano esplorare come l’Unicità di Dio sia inestricabilmente legata all’unità della famiglia umana».
Sia Francesco che Benedetto XVI, quindi, esprimono il magistero della Chiesa cattolica, il quale insegna che «il disegno della salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i musulmani, i quali, professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale». Eppure, solo al pontefice argentino viene imputato di essere troppo “tenero” con l’Islam, di aver rinnegato il discorso di Ratisbona del suo predecessore. E’ proprio vero il contrario, il senso di quel famoso discorso è stato spiegato da Antonio Socci con queste parole: «il significato profondo di Ratisbona è l’essere una mano tesa, un tentativo di dialogo, e una riflessione sul senso religioso. La purificazione dell’idea di Dio, il non contaminare il sentimento religioso con la violenza umana, la violenza della storia». Chi, dunque, invoca il pugno duro verso l’Islam e la condanna dell’ideologia islamista (come fa Socci), al posto di un sincero dialogo, sta rinnegando le parole di Benedetto XVI. Al contrario, Francesco, sulle orme di Ratisbona, ha scritto che «il dialogo interreligioso è tanto più necessario quanto più difficile è la situazione. Non c’è un’altra strada». «Pensando in particolare ai musulmani», ha scritto ancora, lo scopo di tale dialogo è arrivare a «rispettare il diritto altrui alla vita, all’integrità fisica, alle libertà fondamentali, cioè libertà di coscienza, di pensiero, di espressione e di religione».
Attenzione, però, «all’abbaglio ingannevole del relativismo», ha messo in guardia l’attuale Pontefice, «nell’intraprendere il cammino del dialogo con individui e culture, il nostro punto di partenza e il nostro punto di riferimento fondamentale è la nostra identità propria, la nostra identità di cristiani. Non possiamo impegnarci in un vero dialogo se non siamo consapevoli della nostra identità».
«Un sincretismo conciliante», ha precisato ancora Papa Francesco, «sarebbe in ultima analisi un totalitarismo di quanti pretendono di conciliare prescindendo da valori che li trascendono e di cui non sono padroni. La vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa, ma aperti “a comprendere quelle dell’altro” e “sapendo che il dialogo può arricchire ognuno”. L’evangelizzazione e il dialogo interreligioso, lungi dall’opporsi tra loro, si sostengono e si alimentano reciprocamente». In particolare, «per sostenere il dialogo con l’Islam è indispensabile la formazione adeguata degli interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro identità, ma perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare emergere le convinzioni comuni». Benedetto XVI precisava a sua volta che «il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi ad una scelta stagionale. Esso è infatti una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro».
Non è finita, chi accusa Francesco di ignorare la vera e pericolosa natura dell’Islam, facendo di tutta l’erba un fascio, ancora una volta rinnega gli insegnamenti di Benedetto XVI, il quale ricordava che «i musulmani condividono con i cristiani la convinzione che in materia religiosa nessuna costrizione è consentita, tanto meno con la forza. Tale costrizione, che può assumere forme molteplici e insidiose sul piano personale e sociale, culturale, amministrativo e politico, è contraria alla volontà di Dio». E lo stesso dice Papa Francesco, quando ricorda che «di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza». Mai, in nessun caso, Ratzinger condannò il “pericolo della natura dell’Islam”, ma semmai ribadì che la minaccia del fondamentalismo «tocca indistintamente e mortalmente i credenti di tutte le religioni».
Tutto questo non significa negare che l’Islam, più delle altre religioni, ha un problema con il fondamentalismo (proprio ieri un altro imam è stato arrestato per aver reclutato terroristi), per questo Francesco ha voluto implorare «i Paesi di tradizione islamica affinché assicurino libertà ai cristiani, affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali! Sarebbe bello che tutti i leader islamici – siano leader politici, leader religiosi o leader accademici – parlino chiaramente e condannino quegli atti, perché questo aiuterà la maggioranza del popolo islamico a dire “no”; ma davvero, dalla bocca dei suoi leader. Noi tutti abbiamo bisogno di una condanna mondiale, anche da parte degli islamici, che hanno quella identità e che dicano: “Noi non siamo quelli. Il Corano non è questo”».
Ci sarebbe, infine, da trattare la questione dell’immigrazione e dell‘accoglienza dei profughi, altro tema sui cui Francesco è continuamente bersagliato. Eppure, è stato proprio Benedetto XVI a ricordare che «molte sono le persone che cercano rifugio in altri Paesi fuggendo da situazioni di guerra, persecuzione e calamità, e la loro accoglienza pone non poche difficoltà, ma è tuttavia doverosa». Se Bergoglio viene deriso dai tradizionalisti quando, rivolgendosi ai migranti, dice loro «siete un dono, la testimonianza di come il nostro Dio clemente e misericordioso sa trasformare il male e l’ingiustizia di cui soffrite in un bene per tutti», nessuno criticò Benedetto XVI quando rilevò che «la Chiesa non trascura di evidenziare gli aspetti positivi, le buone potenzialità e le risorse di cui le migrazioni sono portatrici». Soltanto Francesco, però, ha precisato che «non siamo in grado di aprire le porte in modo irrazionale», ma nessun tradizionalista ha riportato le sue parole.
Proprio approfondendo tutto questo si capisce perché nel 2014, Benedetto XVI scrisse (e confermò di averlo scritto): «Io sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un’amicizia di cuore a Papa Francesco».
La redazione