Teoria del gender: ridicolizzarla in 3 minuti, prendendola sul serio

gender videoIl deputato tedesco Steffen Königer ha preso sul serio i contenuti dei gender studies e si è rivolto al parlamento citando tutti i presunti generi sessuali inventati dalla comunità Lgbt, così da non rischiare di discriminare nessuno. A volte l’ironia ha più forza per smascherare la follia.

 
 
 

Forse non c’è modo migliore di usare l’ironia per smascherare il contenuto degli studi gender.

Ognuno può essere “quel che si sente”, indipendentemente dal suo sesso biologico, afferma infatti la teoria di genere.

Non solo uomo e donna, quindi, ma spazio aperto alla fantasia.

 

Quanti generi sessuali? 23 secondo la comunità Lgbt

Secondo la Australian human rights commission esisterebbero ben 23 generi sessuali: omosessuali, bisessuali, transgender, trans, transessuali, intersex, androgini, agender, crossdresser, drag king, drag queen, genderfluid, genderqueer, intergender, neutrois, pansessuali, pan gender, third gender, third sex, sistergirl e brotherboy.

Anche se in realtà c’è chi non si riconosce nemmeno in essi ed è una forma di discriminazione non considerare chi si “sente” qualcos’altro oltre alla stretta catalogazione della commissione australiana.

Chi volesse davvero non discriminare nessuno, inoltre, dovrebbe citare tutte le migliaia di generi inclusivi possibili quando si rivolge ad un platea, non limitandosi a “signori e signore”.

 

L’ironia del deputato: salutare tutti i generi sessuali

Una società davvero inclusiva deve aprirsi al diverso e alla diversità!

Steffen Königer, deputato del parlamento regionale di Brandeburgo (Germania) ha voluto prendere sul serio la comunità Lgbt e il 9 giugno scorso è intervenuto a nome del suo partito, l’Alternative für Deutschland (AFD), in risposta ad una proposta dei Verdi per “l’accettazione della diversità, dei generi sessuali e dell’autodeterminazione contro l’omofobia a Brandeburgo”, utilizzando un linguaggio “inclusivo” e “non discriminatorio”.

Dopo aver cortesemente salutato il presidente del parlamento, ha voluto introdurre il suo discorso salutando tutti i più noti (e presunti) generi sessuali: «gentili signore e signori, gentili omosessuali, gentili lesbiche, gentili androgini, gentili bi-genders, gentili transessuali…». I saluti sono durati circa tre minuti, al termine dei quali ha espresso, in due secondi, la posizione contraria del suo partito alla proposta.

Il video, qui sotto, è diventato ben presto virale, aprendo gli occhi di molti sull’omo-follia dell’esistenza di un genere separato dal sesso biologico.

 

La teoria gender respinta perfino da Michela Marzano.

Una tesi respinta perfino da una delle più attive militanti arcobaleno d’Italia, la filosofa Michela Marzano.

In un suo recente articolo, l’attivista ha affermato: «il corpo non è solo qualcosa che si “ha”, ma anche e soprattutto qualcosa che si “è”, prima della certezza che è la vita che impone il corpo a ognuno di noi e che non possiamo sbarazzarcene senza sbarazzarci al tempo stesso della nostra esistenza. Il nuovo mito, oggi, è proprio questo: cancellare ogni dipendenza. Non solo le dipendenze affettive, ma anche quelle biologiche. Il corpo fa resistenza. La realtà non si piega, altrimenti si rischia di pervertire la volontà di potenza e, credendosi onnipotenti, ci si dimentica che l’immutabile che è nell’anima lo si raggiunge solo contemplando l’immutabile che è nel corpo». Nessuno nasce nel “corpo sbagliato”, perché il corpo è ciò che si è.

 

Qui sotto il divertente intervento di Steffen Königer

 
La redazione

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Vedi quel segno sulla fronte? L’ho subito in nome del “diritto della donna”

hopeEsiste un diritto all’aborto? No, il magistrato laico Vladimiro Zagrebelsky, ex giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha spiegato che «la Corte europea non ha mai affermato che esista un diritto all’aborto”, anzi ha negato che possa pretendersi una pura e semplice libertà di scelta da parte della donna».

Solitamente la replica più comune a questo, è che non sarebbe accettabile che lo Stato obbligasse la donna a partorire. Eppure, già avviene abitualmente, infatti tutte le leggi sulla regolamentazione dell’interruzione di gravidanza hanno determinate restrizioni ed impongono già alla donna di partorire dopo una certa data. Ad esempio in Italia, la Legge 194 vieta l’interruzione di gravidanza (quindi obbliga il parto) dopo «i primi novanta giorni», a meno di circostanze precise, questo perché oltre quella data non si può più negare l’esistenza della vita del bambino e, se venisse permesso l’aborto fino al parto, tale legge contrasterebbe il divieto di omicidio e il diritto alla vita. Sappiamo bene, tuttavia, che la vita del feto umano non inizia tra l’89° e il 90° giorno, essa è un continuum senza soluzione di continuità, dal momento del concepimento a quello della morte naturale.

Tutto questo lo sa bene Hope, la ragazza nella fotografia. I medici, in nome del “diritto della donna”, hanno cercato di abortirla, senza riuscirvi. Hope porta ancora una cicatrice sulla fronte dove il medico non obiettore di coscienza l’ha violentemente colpita con uno strumento, tentando di sopprimere la sua vita quando era nell’utero materno. Oggi, oltre a questo, il tentativo di aborto l’ha lasciata con una paralisi cerebrale. A dispetto di quello che ha sofferto, Hope ha pubblicato un commovente video (in inglese) raccontando la sua storia e perdonando sua madre.

Una storia simile a quella già raccontata di Gianna Jessen, anche lei vittima di un tentato aborto perché generata ma non voluta. Gira il mondo, zoppicando vistosamente a causa della paralisi cerebrale, raccontando la sua storia, una volta ha incontrato anche la madre (da cui è stata abbandonata dopo il fallito aborto) mentre assisteva al suo intervento. «Sono felice di essere viva, ero quasi morta», dice Gianna. «Non mi considero un sottoprodotto del concepimento, un pezzo di tessuto, o un altro dei titoli dati ad un bambino nell’utero. Se l’aborto riguarda i diritti della donna, come la mettiamo con i miei? Nessuna femminista manifestava per i miei diritti quel giorno. Ogni giorno ringrazio Dio per la vita. Lo slogan oggi è: “libertà di scelta, la donna ha il diritto di scegliere”, e intanto la mia vita veniva soppressa nel nome dei diritti della donna. Ma la morte non ha prevalso su di me, ed io sono così grata».

 

Qui sotto il video della testimonianza di Gianna Jessen (pubblicato anche sul nostro canale Youtube)

 

La redazione

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Caro Vendola, anche tu sai di aver reso ingiustamente orfano quel bambino

vendola«La nostra portatrice sente di avere un legame con Tobia. E anche la donatrice. Ma nessuna delle due pensa o sente di esserne la madre. Tutto è chiaro e pulito e noi vogliamo che Tobia, crescendo, possa conoscere e capire la sua storia biologica». Queste le parole di Nichi Vendola che, nel febbraio scorso, ha comprato e tolto un bambino dalle braccia della madre, e oggi ha rilasciato l’intervista esclusiva a Repubblica.

Aspettavamo l’intervistaFrancesco Merlo, editorialista di Repubblica, non si è fatto sfuggire lo scoop. Il ritratto che fa di Vendola, del “marito” Ed Testa e del “figlio” Tobia è da rivista glamour, secondo copione, il sentimentalismo zuccheroso la fa da padrone: «moine, baci, carezze con mani di padre», descrive Merlo, perdendosi sapientemente nei dettagli. C’è anche il giuramento: «Il bimbo ha gli occhi blu, sorride spesso, l’ho sentito piangere poco». Ci mancherebbe altro, i “figli” delle coppie gay non piangono mai! Solo gioia e sorrisi! E’ talmente furbo, Merlo, da infilarci dentro pure una citazione estrapolata di Papa Francesco, creando così pure un endorsement del Pontefice.

Stupisce solo che Repubblica pubblichi una sola fotografia della coppia, ben selezionata tra le altre come quella che porta maggiormente a dire: “massì, in fondo basta l’amore”. Invece no, c’è qualcuno che non riuscite ad ingannare. Il racconto, seppur addolcito il più possibile, è comunque agghiacciante: «Il marito della gestante, ci ha mandato un messaggio: “the baby is coming”», racconta Vendola descrivendo il momento della nascita di Tobia. «E, poco prima dei venti minuti: “the baby has arrived”. Parto naturale, velocissimo». “Quando vi hanno dato il bambino?“, chiede l’editorialista di Repubblica. «L’indomani». “È stato allattato al seno?”, chiede Merlo. «No. Ma per un po’ Thelma [la gestante, ndr] ci ha mandato il latte».

Tutto normale. O no? Ma pensiamoci: il piccolo Tobia esce dal ventre materno che lo ha coccolato, illudendolo, per nove mesi. Piange, cerca di nuovo quel corpo, quell’odore, quella voce, quel legame che ha imparato a conoscere e ad amare. Ha fame, ma per lui niente seno materno. Si ritrova improvvisamente nelle braccia estranee di due uomini arrivati l’indomani a prelevare il “pacco” che avevano ordinato e acquistato, lo portano via dal calore materno e lo sostituiscono con un biberon.

«La gestazione per altri è la risposta della scienza al bisogno di famiglia, è una difesa della famiglia». Ma di quale famiglia parli, Vendola? E di quale scienza? Un mese fa si è espresso anche Guido Crocetti -non un Francesco Merlo qualunque-, docente di Psicologia clinica alla Sapienza di Roma, nonché direttore della Scuola di specializzazione del Centro italiano di psicoterapia psicanalitica per l’infanzia e l’adolescenza (Cipspia), che ha duramente criticato la “normalità” arcobaleno: «i nuovi contesti di normalità sono una fonte di grande angoscia per chi, come noi, da trent’anni si occupa di infanzia dal punto di vista clinico. Certa politica pretenderebbe di considerare l’utero un ambiente neutro, intercambiabile, mentre il bambino che cresce nella ‘pancia della mamma’ stabilisce con lei una relazione profonda e insostituibile. Affittare l’utero è un’aberrazione assoluta della nostra cultura che si vorrebbe far passare per normalità. Esistono studi scientifici inoppugnabili che dimostrano tutti i rischi psicologici connessi a questa pratica. Rischi che si ripercuotono sull’equilibrio cognitivo del bambino. Purtroppo la politica non sembra tenerne conto, ancora».

Queste sono le parole della “scienza”, confermate sempre recentemente dallo psicoanalista Luciano Casolari addirittura su Il Fatto Quotidiano, ma che non trovano luce su Repubblica. Perché si vuole «convincere dell’inutilità della partecipazione maschile e femminile allo straordinario evento della nascita e della crescita di un bambino. Ma si tratta di un gigantesco equivoco», afferma ancora il dott. Crocetti. «In ogni momento della loro vita, dal concepimento all’adolescenza, i bambini hanno la necessità di avere accanto a sé una mamma-donna e un papà-uomo. Certo, si può crescere anche senza, lo sappiamo. Ma a che prezzo? A che prezzo per il bambino stesso e per la società che sarà poi chiamata a sopportarne le conseguenze? Il bambino ha bisogno di far riferimento a un padre e a una madre. Non c’è discussione possibile su questo».

«Dimmi se queste non sono immagini benedette dalla grazia», dice Nichi Vendola, mostrando le loro foto al giornalista. Benedizione? E’ una maledizione per Tobia crescere senza madre, essere stato reso orfano della grazia materna in nome del progresso e dell’egoismo. E’ una maledizione dire che la madre, dunque la donna, è una figura inutile, intercambiabile con un uomo, a patto che -afferma Vendola-, si «costruisce» come tale. Non servirà a Ed e Nichi nascondersi in Canada, ne sono sicuramente ben consapevoli anche loro.

Il giornalista Francesco Merlo, ad un certo punto, si tradisce: «Mi mostrano foto e video della loro strana famiglia», scrive. Anche lui, evidentemente, capisce che c’è qualcosa che non torna. Manca una presenza che gli impedisce di chiamarla “vera” famiglia, optando per “strana”. D’altra parte lo ha già iniziato a capire anche Elton John, parlando del bambino che anche lui e il “marito” hanno acquistato allo stesso modo: «Gli si spezzerà il cuore quando si renderà conto di crescere senza una madre», ha dichiarato sorprendentemente qualche anno fa. Auguri Tobia, che tu possa perdonare il male che ti è stato fatto.

 

AGGIORNAMENTO 17/06/16
Condivisibile la riflessione di Mario Giordano, rivolgendosi a Vendola scrive: «Nelle prime righe affermi: “Non vogliamo fare di nostro figlio Tobia una bandiera per i diritti civili”. Perfetto, saggio proposito. Ma allora perché lo esponi lì, in prima pagina, foto formato gigante, tu che lo abbracci con le tue manone grandi, e il tuo compagno Ed che sorride felice lì accanto? Se non volevi farne una bandiera per i diritti civili non lo potevi lasciare nella culla come tutti i bambini del mondo anziché metterlo davanti all’obiettivo? La verità è che volevi mostrare a tutti il bimbo con due papà. Il fenomeno dei diritti civili, il campione del trionfo gay. “Io e Ed non vogliamo fare i testimonial di una battaglia di civiltà. Vogliamo solo vivere in pace”. D’ accordo. Ma se vuoi vivere in pace perché ti metti in posa per la prima pagina di Repubblica? Perché metti in scena il presepe dell’orgoglio Lgbt? Come al solito stai raccontando balle, e lo sai bene».

La redazione

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Non la religione, ma il comunismo marxista fu il vero “oppio dei popoli”

Marx, Engels & Lenin«La base filosofica del marxismo, come Marx ed Engels hanno più volte affermato, è il materialismo dialettico, incondizionatamente ateo, risolutamente ostile a ogni religione». Così si esprimeva Nikolaj Lenin, uno dei più feroci e sanguinari terroristi della storia umana (in L’atteggiamento del partito operaio verso la religione, Opere complete, Editori Riuniti 1967, vol. XV, p.381).

Lenin non era un folle, un delirante, ma un fine e colto intellettuale russo. Mise semplicemente in pratica la filosofia socio-politica di Karl Marx e Friedrich Engels. Per loro, la religione altro non era che uno strumento di dominio della classe al potere, un mezzo coercitivo e narcotizzante del popolo. Ma, specularmente, era anche la proiezione di se stessi in un dio immaginario, nel quale l’uomo cercherebbe consolazione sotto le mentite spoglie dell’aspirazione a una salvezza eterna. Da una parte l’espressione di un potere coercitivo e dall’altra la via di fuga contro esso, concludendo così che la religione «è l’oppio dei popoli» (K. Marx, Per la critica della filosofia hegeliana del diritto, in Opere, Newton Compton 2011, p.19).

Una teoria che riscosse grandissimo successo e convinse innumerevoli intellettuali, nonché ampie parti del popolo. E’ la teorizzazione filosofica più riuscita dell‘ateismo socio-politico, come l’ha ben definito e descritto il filosofo Roberto Timossi nel suo Nel segno del nulla. Critica dell’ateismo moderno (Lindau 2016). Marx teorizzò una gigantesca allucinazione collettiva, Dio e la religione, proclamando l’ateismo come strumento di liberazione dell’uomo dalle catene dello sfruttamento sociale, la logica conseguenza della necessaria lotta di classe degli oppressi contro gli oppressori. E, come soltanto la società senza classi consente la piena realizzazione della libera natura umana, allo stesso modo «l’eliminazione della religione come illusoria felicità del popolo è la condizione della sua felicità reale» (K. Marx, Per la critica della filosofia hegeliana del diritto, in Opere, Newton Compton 2011, p.19).

Ironia della sorte, la realtà storica concreta dei paradisi comunisti che vennero creati, imponendo l’ateismo come forma di liberazione sociale e dottrina dello Stato socialista (da Lenin in poi), è stata tragicamente rivelatrice dell’allucinazione di massa che Marx produsse nei suoi contemporanei e successori. Nelle università sovietiche, raccontano oggi i superstiti, come la poetessa Ol’ga Aleksandrovna Sedakova, «ottenere un diploma, senza dare gli esami delle materie ideologiche, tra cui l’ateismo scientifico era impossibile». Lenin, trasferì l’ateismo socio-politico dal piano teorico a quello della prassi politica, convincendosi della necessità di un «ateismo militante», come ebbe a definirlo (V.I. Lenin, Sul significato del materialismo militante, in Opere scelte, Editori Riuniti 1973, p.381), usato dal partito del proletariato per dichiarare la religione un fatto privato, senza tuttavia «per questo ritenere un affare privato la lotta contro l’oppio del popolo, la lotta contro le superstizioni religiose». Le chiese e le organizzazioni religiose vennero considerate strumenti della reazione borghese per «difendere lo sfruttamento e stordire la classe operaia», per questo andavano fisicamente sradicate, impedendo che i proletari continuassero ad essere ingannati e sfruttati dai ceti dominanti.

«L’ateismo antropologico di Feuerbach, passato attraverso quello socio-politico del materialismo dialettico marxista, sfocia così inesorabilmente nell’ateismo giacobino-leninista», ha commentato Roberto Timossi. Dal marzo 1922, in perfetta coerenza, diventato capo della rivoluzione russa, Lenin ordinò un’offensiva generale contro la religione cristiana, distruggendo chiese e campanili e provocando oltre 8000 morti tra i religiosi (R. Pipes, Il regime bolscevico. Dal terrore rosso alla morte di Lenin, Mondadori 1999, p.390). Lo stesso accadde ovunque si affermò il potere comunista, instaurando l’ateismo di Stato: dall’Albania di Hoxa alla Jugoslavia di Tito, dalla Cambogia di Pol Pot alla Romania di Ceausescu.

Al di là del tragico fallimento del comunismo marxista, a dimostrazione della falsità dei suoi assunti, come replicare a chi ancora oggi si rifà teoricamente a Marx e indica la religione come “oppio dei popoli”? Il primo a confutare tale tesi fu proprio un marxista “eretico”, Ernst Bloch, che trovò assai riduttivo ricondurre tutto il fenomeno religioso ad uno strumento di alienazione delle masse da parte del potere, replicando che le religioni sono state anche opposizione alla classe dominante, divenendo adversa regni. Inoltre, ha sottolineato Timossi, «l’idea del divino e del sentimento religioso, sussistono a prescindere dall’uso strumentale che ne possono fare un ceto dominante o un’istituzione di potere: una verità resta infatti sempre tale, anche qualora venga strumentalizzata da qualcuno» (p. 231). Senza contare che le prime tracce di culto risalgono ai Paleantropi (come l’uomo di Neanderthal), dimostrazione che la religiosità emerse spontaneamente tra i primi individui della nostra specie, ben prima dell’ideazione e pianificazione di un potere organizzato attraverso la religione.

La seconda accusa di Marx (ripresa da Feuerbach), quella che guarda al sentimento religioso come ad un “oppio” di consolazione davanti alla miseria esistenziale e alla morte, è più insidiosa e tradisce una enorme incomprensione di cosa sia il cristianesimo. Un messaggio tutt’altro che consolatorio anzi, decisamente scomodo: non esiste più la legge del taglione ma il porgere la guancia al nemico, non sussiste il “ciò che voglio” ma il “ciò che devo”, la fedeltà, la monogamia e la serietà sono la base della morale affettiva e sessuale, non la “mia” ma la “Tua” volontà sia fatta, a Te dovrò rendere conto di tutto questo. Come disse Georges Bernanos, «la verità non rassicura nessuno, la verità impegna!». Oltre che falso, almeno per quanto riguarda il cristianesimo, l’argomento feuerbachiano-marxista può essere legittimamente rigirato verso gli stessi accusatori: se la fede nasce dalla paura del buio, allora l’ateismo emerge dalla paura della luce e dell’impegno, è un rifugio, un palliativo psicologico per evitare di confrontarsi con richiami stringenti, riconducendo la coscienza ad un mero epifenomeno. La negazione di Dio può dunque legittimamente essere vista come l’illusione attraverso cui ci si convince di non dover rendere conto a nessuno.

Il comunismo-marxista è stato, lui per davvero, l’oppio delle masse. Una droga velenosa e mortifera, però, che intendeva portare libertà ed invece, nel suo nome, ha condotto alla morte milioni di persone, costringendo altrettante alla morte non fisica, ma spirituale. Il bisogno di Infinito che caratterizza l’animo umano non è un’illusione, è una sfida continua a chi non crede: o ricondurlo ad un’illusione della natura o ad un oppio calato nell’uomo dalla classe dominante, oppure riconoscerlo come firma del Creatore perché l’uomo non si allontani troppo da lui. Ad ognuno la scelta.

La redazione

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Christina Grimmie, la giovane cantante è stata uccisa per la sua fede cristiana?

GrimmieNon conoscevamo Christina Grimmie, abbiamo saputo di lei soltanto il giorno della sua morte. E’ stata uccisa pochi giorni fa da un suo fan, Kevin James Lobi, mentre firmava autografi fuori da un teatro di Orlando (Florida), dove si era appena esibita. Lo stesso giorno e la stessa città in cui è avvenuto il massacro alla discoteca gay Pulse. 

Grimmie era una giovanissima cantante, di talento, uscita dal programma televisivo The Voice of America. L’uomo le ha sparato davanti alla sua famiglia e poi si è ucciso a sua volta. Un gesto folle, che in tanti stanno riconducendo alla fede cristiana di Christina. La polizia avrebbe infatti trovato nel computer del killer diverse email di odio verso i cristiani. Breve parentesi: stesso odio che ha motivato il bullismo verso uno studente cattolico in Inghilterra, legato ad una croce appesa al muro e umiliato con scritte blasfeme sul corpo. In Cile, invece, dei giovani manifestanti hanno preso e distrutto una grande crocifisso dalla chiesa della “Gratitud Nacional” di Santiago. In Spagna, infine, sempre pochi giorni fa, degli studenti atei hanno fatto irruzione nella cappella dell’Università Autonoma di Madrid, vandalizzando le pareti con scritte inneggianti all’aborto, al femminismo e all’educazione laica.

Tornando a Christina, il Santa Monica Observer scrive che la giovane cantante aveva una fede forte e convinta, testimoniata pubblicamente senza imbarazzi o vergogne, e che effettivamente fa capolino in molte sue canzoni. Nel brano In Christ Alone (video qui sotto), Christina canta: «Solo in Cristo si trova la mia speranza. Lui è la mia luce, la mia forza, la mia canzone, questa pietra angolare, questa terra ferma. Il mio Consolatore, il mio Tutto in tutto, qui nell’amore di Cristo, io sto». T.J. Wilkins, un concorrente che aveva gareggiato con Christina a The Voice ha ricordato che «la cosa di cui amava parlare maggiormente era la sua fede e il suo amore per Gesù». Quando la Island Records ha offerto a Grimmie un contratto, lei è stata irremovibile nel rimanere attaccata alle sue radici, si legge.

Il giornalista musicale Paolo Vites ha riportato alcune frasi scritte dalla 22enne Christina sul suo sito: «Credo che difficilmente le persone che ci sono vicine riescano a percepire che siamo cristiani, in America abbiamo dimenticato del tutto cosa significa essere “seguaci di Cristo». E ancora: «C’è da ricordare che la fede cristiana è l’unica religione al mondo incentrata non su una serie di regole, ma su una relazione personale. Mentre le altre religioni dicono ‘fa’ questo’, ‘obbedisci a quello’, ‘sacrifica quello’ in modo da trovare la verità e la luce, Gesù dice soltanto: io sono la via, la verità e la luce. Il cristianesimo si basa una persona. Il cristianesimo è una relazione, non una lista di cose da fare».

Il suo scritto pubblicato nel suo sito web conclude in modo profetico: «Anche se dovessimo perdere la nostra vita, non c’è nulla di più importante che seguire Gesù come siamo capaci». Nonostante la giovane età e il grande successo ottenuto, Christina aveva colto la radicalità della fede cristiana. Con la sua morte, tale testimonianza, ha fatto il giro del mondo, arrivando a milioni di persone.

 

Qui sotto Christina canta il brano “In Christ Alone”

La redazione

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«Come Dio ha incasinato la mia tranquilla vita da atea»

Nicole Cliff 

di Nicole Cliffe*
*scrittrice canadese-americana e giornalista del quotidiano “The Guardian”

da Christian Today, 20/05/16

 

Sono diventata cristiana il 7 luglio 2015, dopo una piacevole vita adulta di risoluto ateismo. In realtà avevo già ammorbidito un po’ la mia posizione negli ultimi due o tre anni, nel corso dei quali scrivevo per un popolare sito web femminista.

Come molti atei ero irriverente nei confronti della religione, anche se pensavo che probabilmente era bello per le persone di fede avere la fede. Ma ritenevo una ovvia sciocchezza l’idea di una divinità benigna che ci ha creato e ci ha amati, ho incontrato più volte persone di fede ed era affascinante la loro dolce illusione. Ma io non credevo, non avevo aneliti senza risposta, tutto andava bene nello stato della Danimarca.

Ci sono due diversi punti di partenza per la mia conversione, il primo è una storia semplice: stavo attraversando un momento difficile. Ero preoccupata per il mio bambino, una volta da sola in una stanza, ho detto: “Stai con me”. E’ stato imbarazzante, non so perché l’ho detto o a chi lo dicevo. Mi sono trasferita, la situazione difficile si è risolta e non ho più pensato di nuovo a questo. So come la gente ascolta questa storia: “Oh, certo, Nicole, eri affaticata e avevi bisogno di un quadro più ampio per la sua vita!”. Questa è una parte della verità, ma non è tutta la verità.

Il secondo punto di partenza è stato mentre navigando su Internet, ho trovato il necrologio che John CT Ortberg ha scritto al filosofo Dallas Willard. Le figlie di John sono care amiche e ho sempre avuto un rapporto meraviglioso con i loro genitori, anche se mi sono sempre sembrate illuse nella loro fede cristiana. Comunque, ho cliccato sull’articolo e ho letto: «Qualcuno una volta ha chiesto a Dallas se credeva nella totale depravazione. “Credo nella depravazione sufficiente”, ha risposto immediatamente. “Cosa significa?”. Risposta: “Credo che ogni essere umano è sufficientemente depravato che quando saremo accolti in paradiso, nessuno potrà dire: “Io l’ho meritato”». A pochi minuti dall’inizio della lettura dell’articolo, sono scoppiata in lacrime. Più tardi quel giorno, sono scoppiata nuovamente in lacrime. E il giorno dopo, mentre lavavo i denti, mentre mi addormentavo, mentre ero sotto la doccia, mentre davo da mangiare ai miei figli, sarei scoppiata ancora in lacrime.

E’ stato molto inquietante sentirsi improvvisamente come una barca che viene gettata sulle onde. Non ero triste, non avevo paura, avevo solo sperimentato troppi sentimenti. Ho deciso di comprare un libro di Dallas Willard, come lettura antropologica, naturalmente. Ho letto “Hearing God” e ho pianto. Ho comprato “My God and I” di Lewis Smedes. Ho pianto. Ho comprato “Take This Bread” di Sara Miles. Ho pianto. Qualcosa stava sfuggendo di mano, non si può andare avanti a piangere tutto il tempo.

A questo punto ho raggiunto un bivio. Mi sono seduta e ho detto: “va bene, Nicole, hai due scelte. Opzione uno: smetti di leggere i libri su Gesù. Opzione due: cominci a pensare perché sei sopraffatta dalle tue emozioni”. Ho pensato che se l’opzione due si dimostrava infruttuosa, potevo sempre tornare all’opzione uno. Così, ho scritto ad un amico cristiano e gli ho chiesto se potevamo parlare di Gesù. Mi sono subito pentita appena ho inviato l’e-mail, ma lui ha risposto che era felice di parlare con me di Gesù, probabilmente sapete già che i cristiani amano parlare di Gesù. Ho trascorso i giorni prima del nostro incontro sentendomi un’idiota, chiedendomi cosa avrei dovuto chiedergli. Circa un’ora prima del nostro incontro io credevo già in Dio. Peggio ancora, ero una cristiana.

E poi ho capito: piangevo continuamente pensando a Gesù perché avevo cominciato a credere che Gesù era davvero chi diceva di essere, e questa idea da inconsapevole è diventata cosciente, come se fosse sempre stato così. Così, quando il mio amico è arrivato, gli ho detto, goffamente, che volevo avere un rapporto con Dio. Abbiamo pregato, ridacchiato un po’, pianto un po’ e poi mi ha regalato una pila di libri di Henri Nouwen.

E siamo arrivati a oggi, vado in chiesa, prego. Le mie idee politiche non sono cambiate ma è aumentato il fervore con cui cerco di vivere. Mio marito è stupefatto di me, ma mi sostiene amorevolmente. Dio non mi ha parlato, piuttosto, come il protagonista di Memento mette il suo passato su una Polaroid, ho capito quello che già sapevo: quello che è successo durante quell’ora è stato il culmine naturale della mia venuta alla fede: mi sono aperta al divino. La mia conversione cristiana non mi ha concesso alcuna semplicità, anzi ha complicato tutte le mie relazioni, ha cambiato l’uso dei soldi, ha incasinato il mio personaggio pubblico. Ovviamente, è stato molto bello.

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Cala l’8 per mille ai valdesi, per loro «è “colpa” di Papa Francesco»

8x1000 2«Papa Francesco ha un’autorevolezza morale e una capacità di dialogo con settori anche ai margini della chiesa cattolica che probabilmente iniziano a dare i loro frutti anche sul piano dell’otto per mille». Con queste parole si è lamentato il pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola Valdese.

Rispetto ai 40 milioni di euro che i cittadini italiani hanno destinato l’anno precedente alla Chiesa Valdese tramite l’8×1000, quest’anno la cifra è calata a 37 milioni. Sono oltre 562 mila gli italiani che destinano parte delle loro tasse ai valdesi, tra di essi anche i girotondini di Micromega e alcuni cattolici antibergogliani per cercare, secondo i loro curiosi ragionamenti, di “punire” il Pontefice. Gli stessi che celebrano il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, il quale però, ancora una volta, li ha lasciati orfani: «Credo che Francesco sia profondamente unito a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI nel desiderio di valorizzare tutte le novità che lo Spirito suscita nella Chiesa. L’occhio del Papa è l’occhio vigile e affettuoso di un padre che non solo sorregge ma anche, quando occorre, corregge. E lo fa per il bene dei suoi figli e a loro vantaggio, anzitutto», ha detto in un’intervista apparsa oggi (e opportunamente censurata dai vari Socci, Cascioli e Magister).

Se la Chiesa cattolica perde le firme di alcuni ferventi tradizionalisti, trova però l’appoggio addirittura di Pablo Iglesias, fondatore e segretario di Podemos, attualmente secondo partito politico in Spagna. Il leader socialista, infatti, ha destinato lo 0,7% della sua dichiarazione dei redditi alle necessità della Chiesa spagnola.

In Italia, il meccanismo di redistribuzione dell’8×1000 subisce spesso numerose critiche. Eppure, Giulio Tremonti, ex ministro dell’Economia e docente di Diritto tributario all’Università di Pavia, ha replicato a chi lo considera una frode: «si dice che la Chiesa ci guadagna due volte: per i voti espressi a suo favore e poi anche per i voti non espressi, ma acquisiti per proiezione dall’espresso sul non espresso. E’ così scandaloso? Non so! Ad esempio, come la mettiamo con la nostra legge elettorale che è addirittura premiale, a favore del voto espresso, nonostante l’esistenza di un blocco strutturale e crescente di non-voto? In campo elettorale la proiezione del non votato a favore del votato c’è di sicuro. Ma non è considerata come frode elettorale. Anzi è considerata come espressione di una modernità democratica positiva!».

Un’altra lamentela, invece, colpisce spesso direttamente la Chiesa cattolica, accusata di destinare soltanto una piccola percentuale dell’8×1000 alle attività caritatevoli. Un’obiezione a cui più volte abbiamo risposto: le iniziative di carità sono possibili soltanto se i missionari ricevono uno stipendio e se gli edifici, le chiese e le strutture presenti nelle missioni sono costruite e mantenute. Quindi, i fondi destinati alle esigenze di carità non sono soltanto quelli rendicontanti sotto la specifica voce, ma anche parte di quelli rappresentati dalle voci “Esigenze di culto della popolazione” (edifici, chiese ecc.) e “Sostentamento del clero” (stipendi missionari, infermiere ecc.). Infatti, per fare un esempio, la recente Università di Erbil (nel Kurdistan) è stata costruita dalla Conferenza Episcopale Italiana grazie all’8×1000, ma nella rendicontazione i fondi per la struttura appaiono sotto alle “esigenze di culto della popolazione” e non sotto la voce degli “interventi caritativi”. Lo stesso dicasi, altro esempio, per la struttura predisposta per aiutare i padri separati, in Abruzzo. Per chi è interessato, la diocesi di Firenze ha iniziato a pubblicare sul suo profilo Instangram lo sviluppo delle realizzazioni costruite grazie all’8×1000.

Il card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha spiegato: «Sono stati fatti studi, illustrati in un volume che abbiamo distribuito, in cui si spiega che lo Stato dà un miliardo e la Chiesa con le sue iniziative ne dà undici alla società. Se arrivasse un gettito minore alla Chiesa, vi sarebbero meno opere di carità. Ripeto, il rapporto è di 11 a 1». Questa è la povertà evangelica più volte richiamata da Papa Francesco, che non equivale affatto al poverismo o al non possedere nulla, ma coincide quando denaro e potere «sono messi al servizio dei poveri e di tutti, con giustizia e carità». Anche le ricchezze, infatti, «possono essere buone e utili al bene comune. Ma quando, come troppo spesso avviene, vengono vissute come privilegio, con egoismo e prepotenza, si trasformano in strumenti di corruzione e morte»

La redazione

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Pio Laghi, crolla la leggenda nera: aiutò i desaparecidos argentini

pio laghiUno dei topos più comuni di chi attacca la Chiesa è quella di presentare i suoi membri come strettamente complici delle dittature e dei loro crimini. È stato il caso di papa Pacelli con il nazismo, di Stepinac con gli Ustacia e dello stesso papa Francesco con la dittatura argentina.

Non appena salito al soglio pontifico, si scatenò difatti una “campagna di fango” contro il nuovo pontefice, cercando di presentarlo come ossequiente e connivente alla dittatura di Jorge Rafael Videla. Accuse che si sono rivelate false e tendenziose come è stato spiegato in questo sito web.

Riguardo al regime dei militari argentini, la figura più discussa, almeno per un certo periodo di tempo, è stata però quella di Pio Laghi, nunzio apostolico a Buenos Aires dal 1974 al 1980. Il prelato è stato difatti accusato di aver preso parte attiva ai massacri operati dai generali, tanto che il 4 maggio 1997 la presidente delle Madri della Piazza di Maggio, Hebe de Bonafini -assieme a Marta Badillo e all’avvocato Sergio Schocklender-, annunciarono una richiesta di processo contro il diplomatico in quanto, a loro parere, all’epoca del regime dei militari «visitava assiduamente i centri di detenzione clandestini e permetteva le torture e le esecuzioni che vi avevano luogo». L’esposto fu consegnato ai Tribunale di Roma il 21 maggio 1997, giorno del settantacinquesimo compleanno del porporato, e si concluse con un non luogo a procedere in quanto Laghi risultava «cittadino vaticano».

A dire la verità, non mancarono da parte del prelato atteggiamenti controversi come le partite a tennis giocate con Emilio Massera, uno dei membri della Giunta militare, e la stessa Chiesa argentina non fu esente da colpe. L’episcopato si mostrò in quel periodo diviso e, sebbene non mancassero vescovi che si batterono apertamente contro la dittatura di Videla come monsignor Angelelli e monsignor Ponce de Leon (assassinati dal regime), la maggioranza del clero adottò una discutibile posizione di neutralità.

Tuttavia, la posizione del papa dell’epoca, Giovanni Paolo II, fu di chiara condanna al punto che nel discorso dell’Angelus pronunciato il 28 ottobre 1979, denunciò il dramma delle persone scomparse: «Chiediamo che sia affrettata l’annunciata definizione delle posizioni dei carcerati e sia mantenuto un impegno rigoroso a tutelare… il rispetto della persona fisica e morale dei colpevoli o indiziati di violazioni». Intervento che fu molto importante in quanto, non solo spinse i vescovi argentini a prendere (pur con difficoltà) le distanze dal potere militare, ma anche perché con esso avrebbe rischiato di compromettere la mediazione che la Santa Sede a quel tempo stava effettuando per evitare un conflitto tra il Cile e l’Argentina (cfr. A. Riccardi, Giovanni Paolo II. La biografia, Milano 2011 pp. 414-416).

Inoltre, i documenti a disposizione, dimostrano come Pio Laghi, lungi dall’appoggiare la repressione, fu, al contrario, molto attivo nel cercare di salvare i perseguitati: durante quel periodo, infatti, il nunzio intercedette a favore dei detenuti, si interessò della sorte dei desaparecidos, criticò pubblicamente la Giunta militare e si scontrò con vescovi e cappellani “collaborazionisti”. Nel solo 1979, Laghi si interessò della sorte di 2388 cittadini e gli interventi del nunzio riuscirono in qualche caso ad ottenere la scarcerazione di alcuni detenuti politici come accade, per esempio, con l’avvocato Horacio Moavro, residente a Mercedes, e con la signora Silvia Victoria Diaz, «comunista, detenuta il 23 marzo 1975, in Villa Constitución». Entrambi vennero liberati grazie al suo intervento (cfr. M.L. Napolitano, Il papa, il nunzio apostolico e la dittatura argentina, 20 marzo 2013). Lo “Schedario di Pio Laghi”, secondo Luis Badilla direttore de “Il Sismografo”, conterebbe 5000 nominativi divisi in due parti (“detenuti” e “scomparsi”) inviati al Vaticano e che dimostrano l’impegno che svolse il porporato a favore delle vittime del regime. Frequenti furono anche gli incontri con le autorità per protestare contro le condizioni dei detenuti politici, il sequestro e l’eliminazione della persone e la violazione di fondamentali diritti umani. Interventi che irritarono a tal punto la Giunta che l’«amico» Massera lo costrinse nel dicembre 1980 a lasciare il paese in quanto persona non grata.

Nonostante questo, Laghi verrà paradossalmente accusato di essere stato complice della repressione di Videla, e a partire dal 1997 fu scatenata sui giornali argenti una “campagna di fango” contro il nunzio, che fu difeso da chi all’epoca si batté per la sorte dei desaparecidos: «Ti accompagno in questa dolorosa e ingiusta campagna sulla stampa e mi associo alla dichiarazione molto opportuna dei vescovi argentini. Ti conosco bene e so tutto quello che hai fatto nel nostro momento difficile» gli scrisse il cardinal Eduardo Pironio. Anche per lo storico Loris Zanatta, «la versione di un Pio Laghi attivo fiancheggiatore della giunta non trova corrispondenza nei documenti».

A contribuire alla “leggenda nera” sul prelato sono stati gli stessi militari argenti che, volendo presentarsi come i «difensori della civiltà cristiana occidentale» contro il «cancro marxista», cercarono di arruolare Laghi tra i loro ranghi, scatenando in tal senso una subdola quanto falsa campagna mediatica. Non è estraneo, però, anche il pregiudizio di certi ambienti anticlericali che, nel voler tratteggiare l’immagine di una Chiesa a tutti i costi oscurantista, arrivano (non si sa quanto consapevolmente) a diffondere vere e proprie falsità storiche.

Mattia Ferrari

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Strage di Orlando: cordoglio e preghiera, non strumentalizzazione

pulse2Il 15 agosto 2012, l’americano Floyd Lee Corkins, attivista Lgbt, entrò armato all’interno del Family Research Council, un think tank di Washington in difesa della famiglia naturale, con l’intenzione di fare una strage di “omofobi”, ovvero di oppositori al matrimonio gay. Venne miracolosamente fermato da una guardia all’ingresso della sede, a cui sparò ad un braccio, fu comunque immobilizzato e tratto in arresto.

Sarebbe stato assolutamente fuori luogo ricordare tale episodio se la tragedia, accaduta ieri ad Orlando (Florida), non fosse già stata strumentalizzata. Almeno 50 persone hanno perso la vita all’interno del Pulse, un club gay, in seguito ad un attacco terroristico da parte di un cittadino americano figlio di rifugiati afghani, Omar Seddique Mateen. La matrice della strage è quasi certamente jihadista. Non si può non esprimere totale solidarietà alle famiglie delle vittime e alla comunità Lgbt di Orlando, facendo nostre le parole di dolore di Papa Francesco per «questa nuova manifestazione di follia omicida e di odio insensato».

Piuttosto che commemorare le vittime, porre riflessioni sulla facilità con cui chiunque può entrare in possesso di armi sul suolo americano, preoccuparsi della disattenzione delle forze dell’ordine verso una persona già nota all’FBI per il legame con l’estremismo islamico, c’è chi ha voluto subito incolpare moralmente della strage chi “si oppone ai diritti gay”, ovvero gli attivisti in difesa della famiglia e contro l’omogenitorialità (tirando fuori il nome di Mario Adinolfi, Carlo Giovanardi ecc). Una strumentalizzazione offensiva. Il comico Carlo Giuseppe Gabardini, è arrivato, attraverso un contorto ragionamento, perfino ad accusare Papa Francesco perché sarebbe colpa sua se molti pensano che le persone omosessuali «vivono nel peccato, nell’errore che necessita misericordia, e potrebbero sentirsi tranquillamente giustificati a pensare anche che dunque meritano una punizione». Per lo scrittore Edmund White, invece, l’attentato è paragonabile a chi «ci vuole discriminare anche in bagno, negando per esempio i gabinetti “transgender”».

Laura Boldrini ha etichettato l’attentato come “odio omofobo che non sa tollerare la diversità”, parole che vennero espresse anche per condannare l’opinione dell’imprenditore Guido Barilla, contrario alle nozze gay. Si tratta invece di un atto terroristico vero e proprio, perché per il fondamentalismo islamico non c’è differenza tra cristiani, omosessuali, occidentali o islamici sciiti: sono tutti un unico Nemico da combattere e nessuna di queste categorie può ergersi come unica vittima della follia terrorista. «E’ un attacco a tutti gli americani», ha ricordato giustamente il presidente americano Barack Obama. «Era una persona piena di odio, questo lo sappiamo»,  ha aggiunto. «Dimostra come è facile per gli americani essere uccisi a scuola, in chiese, nei cinema o nei nightclub. Questa strage è un ulteriore richiamo a come sia facile per qualcuno entrare in possesso di un’arma. Dobbiamo decidere se questo è il tipo di Paese che vogliamo essere».  Obama non ha affatto cercato di paragonare il killer ad un attivista pro-family che non accetta il “diritto” al matrimonio omosessuale perché “odia la diversità”. 

Eppure, Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center, e Ivan Scalfarotto hanno approfittato subito (poche ore dopo) per chiedere una legge contro l’omofobia in Italia (ddl Scalfarotto), ovvero il reato d’opinione per mettere a tacere chi non la pensa come gli attivisti Lgbt, che riconducono ad “omofobia” qualunque cosa: dall’attentato terroristico di Orlando all’opinione contro l’omogenitorialità degli stilisti gay Dolce&Gabbana. Torniamo allora alla citata tentata strage al Family Research Council? Si trattò di familyfobia? Poco prima dell’attentato, l’istituto venne etichettato come “gruppo d’odio” da parte della comunità Lgbt americana a motivo dell’opposizione alle rivendicazioni gay: il mandante morale era dunque chiaro, ne parlò il Washington Post, e sarebbe stata una strage se il killer non fosse stato fermato. Eppure, nessuno strumentalizzò la vicenda paragonando il terrorista omosessuale a tutti coloro che sono a favore delle nozze tra persone dello stesso sesso o a chi si oppone al diritto di riservare il matrimonio soltanto a persone di sesso opposto. Il presidente del Family Research Council parlò giustamente di “attentato terroristico”, non di “odio omosessuale che non sa tollerare la famiglia”.

«Vorrei che si evitasse qualunque speculazione», ha detto mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI. Il problema è il terrorismo ideologico, di questo si trattò e questo è anche il caso della terribile strage di Orlando di ieri, rivendicata oltretutto dall’Isis e non certo provocata moralmente dagli organizzatori del Family Day. E’ il momento del lutto, della preghiera, della solidarietà, del cordoglio. Non della strumentalizzazione.

 

AGGIORNAMENTO 15/06/16
E’ stata confermata la notizia che il killer di Orlando, Omar Mateen, era un noto gay, frequentava il locale Pulse e le chat omosessuali. Si percepisce un prevedibile cortocircuito tra gli sciacalli e gli attivisti Lgbt che hanno voluto fin da subito dipingerlo come un militante pro-family, incolpando moralmente le Sentinelle in Piedi e gli organizzatori del Family Day. Il sottosegretario Ivan Scalfarotto chi accuserà, adesso? Interessante la riflessione di Mario Adinolfi: «Io vedo intolleranza e sciacallaggio compiuto su quei poveri morti da parte di chi, come alcuni politici espressione del mondo Lgbt, anziché racchiudersi in preghiera ed esprimere dolore e cordoglio hanno scelto la via della strumentalizzazione. Una via che non ripercorreremo certo noi dicendo che l’assassino era un gay. Il problema della strage di Orlando è dentro una serie di cause complesse. Se si usa la strage per un uso sciacallesco siamo davanti a un qualcosa di semplicemente inaccettabile».

La redazione

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Elezioni, il grande flop dei candidati Lgbt (dedicato a chi ironizza su Adinolfi)

trans elezioni2Non abbiamo preso posizione sul Partito della Famiglia (PDF), fondato da Mario Adinolfi, che si è presentato per la prima volta alle recenti elezioni amministrative in diverse città italiane. Non siamo ancora in grado di formulare un giudizio chiaro su questa iniziativa e ci siamo quindi astenuti dal parlarne, a favore o contro.

Certamente, pur condividendo i principi e le idee di fondo (che nessun altro partito esprime attualmente in modo tanto netto e chiaro), non è stata una mossa apprezzabile la scelta improvvisa di fondare tale partito senza una condivisione interna da parte del comitato Difendiamo i nostri figli, guidato da Massimo Gandolfini (tanto che uno dei fondatori del comitato, Filippo Savarese, non ha votato per il PDF). Si è persa l’unità, questo indebolisce la missione comune della difesa della famiglia, così come non può non pesare il fatto che l’amico Adinolfi, seppur animato da tanta ammirevole volontà, perseveranza, pazienza e un’ottima abilità argomentativa, non è il miglior rappresentante per un partito del genere, avendo nella sua biografia personale un divorzio e un secondo matrimonio, dunque una storia familiare frammentata, seppur si tratti di una vicenda molto pregressa, quando ancora non aveva maturato una sensibilità personale sull’importanza della famiglia. Il giudizio non è chiuso e ci auguriamo che possa comunque essere un’esperienza fruttifera nella promozione della famiglia naturale.

Era comunque inevitabile che i candidati del neonato PDF non potessero ambire a risultati strabilianti alle amministrative. Tuttavia, è curioso che il transessuale Vladimiro Guadagno (Luxuria) abbia colto l’occasione per ironizzare sulle “sole” 7.791 preferenze ottenute da Adinolfi, mentre sia stato zitto quando la sua amica e attivista Lgbt Paola Concia venne sonoramente sconfitta nel 2013 addirittura dall’impresentabile Antonio Razzi, oltretutto nella sua regione di nascita, l’Abruzzo.

Bisognerebbe anche osservare i risultati dei numerosi candidati Lgbt che si sono presentati alle recenti elezioni. Arcobaleni pieni e urne vuote, si potrebbe dire. Il verdetto è stato infatti impietoso per la lobby gay e i variegati, nonché imbarazzanti, aspiranti sindaci e consiglieri queer, intersex, agender, gender fluid, gender free ecc. A Napoli, ad esempio, il trans Vittoria/o Sarnacchiaro ha ottenuto ben 5 voti. Nunzia/o Lopreiato ha fatto ancora peggio, se possibile, vincendo 4 preferenze (di cui una, la sua) nella lista De Magistris sindaco. Lo stesso “ottimo” risultato lo ha ottenuto anche il transessuale Sabrina/o Cerasuolo.

L’Arcigay aveva schierato, a sua volta, un folto gruppo di personaggi, da Isabella Nelle a Claudio Finelli, da Giorgia Di Lorenzo a Luigi Carbone, dal trans Daniela/e Lourdes Falanga a Salvatore “Rosa” Rubino. Una manciata di voti per uno, dal massimo di 91 per Claudio Finelli, presidente del Coordinamento Campania di Arcigay, al minimo di 15 per tale Fabio Buondonno. Praticamente, in media, meno del numero di generi sessuali che hanno inventato a tavolino dagli anni ’90 in poi.

Da questo punto di vista, il risultato del presidente Arcigay di Napoli, Antonello Sannino, è stato un clamoroso successo: per lui ben 338 voti, numeri comunque inferiori ai carri dell’ultimo Gay Pride. Peggio di lui l’ex presidente del Mario Mieli, Andrea Maccarrone, il primo e più importante circolo omosessuale italiano, con 176 preferenze. E vogliamo parlare della onnipresente Giuseppina La Delfa, nientemeno che fondatrice ed ex presidente dell’associazione “Famiglie arcobaleno”, nonché presidente provinciale di “Campania Rainbow”? 230 voti, che sono fin troppi per una che sostiene che per i bambini «vanno bene anche diciotto genitori». A Salerno, Michele (auto-detto Martina) Castellana ha sfiorato a malapena i cento voti, magrissimo obiettivo riuscito invece per Emanuele Avagliano (131 preferenze), animatore Lgbt della città. Il trans Guglielmo “Laura” Sciaudone ha vinto 28 voti, mentre Adriano/a Simeone può gioire per i 8 voti ottenuti.

Se c’è qualcuno che può permettersi di ironizzare, caro Vladimiro, non sei certo tu.

La redazione

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