Eduscopio 2016, le scuole paritarie tra i migliori licei

Sempre più la scelta della scuola superiore si basa sul livello di preparazione per gli studi universitari, per questo i licei italiani vengono annualmente valutati secondo questo criterio da Eduscopio, portale della Fondazione Agnelli.

Come già avvenuto nel 2015, da noi puntualmente documentato, anche nel 2016 le scuole paritarie hanno raggiunto spesso la vetta della classifica, superando prestigiose e finanziatissime scuole statali, in numero oltretutto infinitamente superiore.

A Milano, ad esempio, il liceo classico Sacro Cuore -legato al movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione– si è confermato il primo come livello di preparazione, superando ancora una volta il Carducci, il Berchet e il Beccaria. La novità rispetto al 2015 è la conquista dell’ottavo posto da parte del liceo classico paritario Alexis Carrel (anch’esso legato al movimento fondato da don Luigi Giussani). Al settimo posto l’Istituto Zaccaria dei Padri Barnabiti, al nono il San Raffaele e al decimo posto si è confermato il liceo classico paritario Faes Monforte. Per quanto riguarda gli scientifici, troviamo ancora una volta il Sacro Cuore (2° posto), l’Istituto paritario Ernesto Breda (5°) e il Collegio San Carlo (8°). Grande affluenza di paritarie anche tra i migliori licei linguistici e artistici (tra essi, al primo e secondo posto le Orsoline di San Carlo e l’Istituto Sacro Cuore). Se la classifica include anche le scuole della provincia entrano in classifica anche il don Carlo Gnocchi di Carate Brianza (il miglior istituto lombardo), il collegio Castelli di Saronno e il Pier Giorgio Frassati di Seveso.

Anche a Torino e provincia i licei paritari ottengono buoni risultati, tra i migliori classici e scientifici si notano: la scuola paritaria salesiana Valsalice (5° il classico e 3° lo scientifico), l’istituto sociale dei gesuiti (6° il classico e 6° lo scientifico) e la Sacra Famiglia (9° il classico), il liceo dei giuseppini “Maurilio Fossati” di Rivoli (10° il classico) e l’istituto Don Bosco di Lombriasco (20° lo scientifico).

A Venezia si confermano tra i migliori licei il Giovanni Paolo I (4° il classico), il Cavanis della Congregazione delle Scuole di Carità (5° il classico e 5° lo scientifico) e il Giuseppe Parini (6° lo scientifico). A Verona tra i primi posti troviamo il Don Nicola Mazza (2° il classico e 6° lo scientifico), il Don Bosco (3° il classico e 8° lo scientifico), il liceo Alle Stimmate (4° il classico e 5° lo scientifico) e l’Aleandro Aleandri (9° lo scientifico).

Lo stesso dicasi tra i migliori licei di Genova, che vedono in classifica il collegio dei padri somaschi (5° il classico), il San Giuseppe Calasanzio (6° il classico), l’istituto Paritario Vittorino-Bernini (7° il classico), la scuola paritaria Sancta Maria ad Nives (6° lo scientifico), il Santa Maria Immacolata delle suore immacolatine (8° lo scientifico) e il Marcellino Champagnat dei fratelli Maristi (10° lo scientifico). Nella città di Bologna ottima posizione per l’istituto paritario Alessandro Manzoni (3° il classico), per il Vittorio Alfieri (4° il classico), per il liceo Malpighi (7° lo scientifico) e per l’istituto Sant’Alberto Magno (10° lo scientifico).

A Firenze buona posizione per altre tre scuole paritarie, l’Istituto del Sacro Cuore (6° il classico), le Scuole Pie Fiorentine (7° il classico) e l’Istituto Don Bosco (10° lo scientifico). Nella classifica dei migliori licei di Bari spuntano invece l’Istituto paritario Margherita (3° il classico) e l’Alessandro Volta (7° lo scientifico), mentre a Palermo si osservano il Centro Educativo Ignaziano (5° il classico e 10° lo scientifico), la scuola Thomas More (8° il classico), l’Istituto Platone (9° il classico), il S.M. Mazzarello (2° lo scientifico) e l’Istituto Don Bosco (3° lo scientifico).

Le uniche città carenti di paritarie di livello sono Roma, dove compare in classifica il solo liceo scientifico San Giovanni Battista (3° migliore della Capitale) e Napoli, in cui troviamo solo l’istituto Sacro Cuore Salesiano compare tra i migliori licei classici della città (8° posto).

Risultati incoraggianti e significativi che suggeriscono l’emergere di una qualità d’eccellenza nelle scuole paritarie nonostante lo scarso finanziamento statale. A proposito di esso, ricordiamo che nel bilancio annuale dei fondi statali destinati all’istruzione, quelli per le scuole paritarie rappresentano l’1% del totale (mentre alle statali vengono versati ogni anno 54 miliardi di euro). Eppure c’è un fattore umano che evidentemente riesce a colmare il disinteresse dello Stato, garantendo l’alto livello di formazione delle scuole paritarie certificato anche quest’anno da Eduscopio.

La redazione

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Il dittatore Kim Jong-un vieta il Natale: «celebrerete mia nonna»

In Corea del Nord censurato il cristianesimoIl tiranno nordcoreano Kim Jong-un ha vietato il Natale, al posto della nascita di Gesù Cristo ha infatti imposto la celebrazione di sua nonna Kim Jong-suk.

Sul New York Post si legge infatti che la parente del leader supremo della Corea del Nord nacque nella vigilia di Natale del 1919, era una guerrigliera e un’attivista comunista, moglie del primo dittatore Kim Il Sung.

Nonostante il suo odio per tutto ciò che riguarda la religione, è possibile comunque trovare alcuni alberi di Natale a Pyongyang, ma privi di simboli cristiani. Un po’ come avviene in alcune scuole occidentali, in nome di un ambiguo “rispetto”. Sempre quotidiano americano riferisce che i gruppi per i diritti umani ritengono che 50.000-70.000 cristiani siano «rinchiusi in prigione e confinati nei campi di concentramento solo a causa della loro fede».

Attenzione: stiamo parlando di oggi, del mese scorso. Non del medioevo, del rinascimento, dei secoli pagani o delle dittature atee che nel ‘900 hanno distrutto interi popoli, perseguitato centinaia di credenti, distrutto le chiese, incarcerato i cristiani e decapitato i sacerdoti: da Tito a Stalin, da Hoxa a Ceaușescu, da Castro a Lenin, da Mao a Pol Pot. Parliamo di quanto accade in questi giorni, dall’altra parte del mondo.

Per l’organizzazione umanitaria americana Open Doors, la situazione in Corea del Nord può essere paragonata solo alla persecuzione cristiana promossa dai dittatori atei Enver Hoxha e il cambogiano Pol Pot. E’ chiaro che, come loro, anche Kim Jong-un sia inspirato dal socialismo di Karl Marx, per il quale -citando Robert Owen- «il comunismo comincia subito con l’ateismo» (K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi 1970, p. 112). Marx, a sua volta influenzato da Feuerbach in particolare, vedeva nell’ateismo una fonte di liberazione dalle catene religiose: «poiché il contenuto della religione è il contenuto di un difetto, la fonte di questo difetto si può cercare soltanto nella natura dello Stato» (K. Marx, La questione ebraica, in Opere, Newton Compton 2011, p. 34). Così, assieme a Friedrich Engels, riteneva che «l’eliminazione della religione come illusoria felicità del popolo è la condizione della sua felicità reale» (K. Marx, Per la critica della filosofia hegeliana del diritto», in Opere, Newton Compton 2011, p. 19).

I dittatori comunisti hanno semplicemente messo in pratica il materialismo dei teorici del marxismo, i quali si ispirarono a loro volta a Hegel. E non bisogna dimenticare, come ha giustamente ricordato il sociologo Zygmunt Baumann, che «il comunismo non è un’utopia romantica, ma è figlio del secolo dei Lumi, di Voltaire e Diderot. E ha qualcosa di messianico. Trotzky si considerava forse come un messia degli ebrei, forse come una specie di Cristo, forse pensava al secondo Avvento».

L’uomo che elimina Dio perché crede di esserlo lui stesso è la tentazione umana ben descritta nel peccato biblico di Adamo ed Eva. Così si è arrivati a censurare la celebrazione del Natale: oggi, pochi giorni fa. Non nel secolo scorso.

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Nessun crollo di fedeli alle udienze di Francesco, ecco i dati veri

Nessun crollo di fedeli alle udienzeQualche giorno fa le agenzie di stampa hanno riportato i nuovi dati emessi dalla Prefettura della Casa Pontificia sulla partecipazione dei fedeli ai vari incontri con il Papa avvenuti in Vaticano nel corso del 2016 (udienze, celebrazioni e angelus/regina coeli). Rispetto all’anno precedente hanno partecipato circa 800mila fedeli in più.

La notizia, di per sé già poco interessante, potrebbe finire qui, se non fosse che sulla partecipazione alle udienze c’è stata parecchia (e volontaria) disinformazione in questi anni. Cogliamo questa occasione per chiarire le cose.

Il fronte antibergogliano ha spesso diffuso l’informazione che Papa Francesco non sarebbe amato dai cattolici: un anno fa il giornalista Antonio Socci, ad esempio, scriveva dei «dati disastrosi sul crollo dell’afflusso dei fedeli agli incontri di Bergoglio […]. Il Vaticano in effetti è sempre più allarmato perché da due anni è in corso una vera fuga da Bergoglio […]. Numeri terribili […] All’entusiasimo iniziale dei primi mesi ha fatto seguito una cocente delusione con la conseguente fuga dagli incontri papali […]. I dati che ho citato segnano un totale fallimento. Dunque l’effetto Bergoglio c’è, ma al contrario: non attrae i lontani, ma fa fuggire i vicini. Perché? Cosa c’è che non va nel messaggio di Bergoglio? Il popolo cristiano si allontana da Bergoglio, il 2016 sarà l’anno della verità». Meno apocalittici i toni del suo collega Sandro Magister dell’Espresso, anche lui comunque soddisfatto per la “fuga” di fedeli dal successore di Pietro: «Quindi ogni nuovo anno con la metà di presenze dell’anno precedente».

Entrambi però non hanno mai mostrato il confronto diretto tra i dati dei partecipanti agli incontri di Francesco, di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II. Avrebbero altrimenti dovuto dire che la media dei fedeli che negli ultimi quattro anni hanno partecipato agli incontri pubblici del Pontefice argentino è nettamente più alta di quella relativa ai suoi predecessori: 4.925.925 presenze medie per Papa Francesco contro le 2.524.11 presenze medie per Benedetto XVI e le 3.748.758 presenze medie per Giovanni Paolo II (per lui abbiamo considerato solo la media degli ultimi cinque anni, dal 2000 al 2004). Come si evince dalla tabella riassuntiva qui sotto, è vero che tra il 2014 e il 2015, in particolare, c’è stata un’inflessione delle partecipazioni agli incontri pubblici di Francesco, ma i numeri sono sempre rimasti decisamente più alti rispetto a quelli dei suoi predecessori. E, in ogni caso, flussi altalenanti sono osservabili sia per Wojtyla che per Ratzinger. Nel 2016, infine, quello che doveva essere “l’anno della verità” secondo il giornalista di Libero, si è verificato un netto aumento dei già numerosi partecipanti. Ecco, la verità, appunto.

Se davvero i numeri dei fedeli presenti alle udienze fossero segno della “verità” di un Pontificato, sempre secondo Socci, allora che dire di quelli di Giovanni Paolo II? Se davvero “pochi” partecipanti equivale a “qualcosa che non va nel messaggio” del Papa, che dire dei numeri nettamente inferiori di Papa Ratzinger (che venne deriso per questo dal suo più attivo persecutore mediatico)? Se davvero i dati di Francesco rappresenterebbero una “fuga”, un “fallimento totale”, prendendo ancora in prestito le valutazioni dei critici di Francesco, con quali parole descrivere gli ancora meno elevati tassi di affluenza ottenuti dai suoi due predecessori? Precisiamo comunque che i numeri appena citati, sintetizzati qui sotto, non significano nulla e men che meno andrebbero usati per valutare positivamente o negativamente la cifra di un pontificato: la verità non si gioca sui numeri e sull’adesione. Altrimenti Cristo non sarebbe stato crocifisso dai suoi contemporanei. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI -così come Francesco- sono stati due enormi e preziosi doni alla Chiesa, indipendentemente da quanti hanno partecipato fisicamente ai loro eventi pubblici. Il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha giustamente criticato chi «mette uno contro l’altro e guarda chi è meglio, chi ha più visitatori nei momenti pubblici in piazza San Pietro: questo è l’approccio sbagliato».

Qui sotto la nostra tabella con i dati annuali pubblicati dal Vaticano (manca il 2005 poiché anno di transizione di due Papi, mentre il 2013 è stato considerato in quanto il pontificato di Papa Francesco è iniziato nei primi mesi dell’anno), per chi volesse verificarli personalmente ecco le fonti: Giovanni Paolo II, anno 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004.
Benedetto XVI, anno 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011 2012.
Papa Francesco, anno 2013, 2014, 2015 e 2016.

 

 

Post Scriptum
Ci è stato segnalato che il giornalista Antonio Socci ha incolpato Francesco per il crollo del numero di cattolici in Brasile dal 2014 al 2016: provenendo dall’America Latina, la colpa è sua. Eppure, oltre al fatto che la crisi della Chiesa brasiliana è iniziata da ben prima di Francesco (nel 2013 il capo dei vescovi brasiliani ha ammesso che negli anni precedenti hanno trascurato le periferie), lo stesso ragionamento non è stato fatto nei confronti del tedesco Benedetto XVI quando nel 2009 la Chiesa tedesca ha toccato il record per la fuga di fedeli. Infine, se Francesco è colpevole dell’allontanamento dei brasiliani allora, per proporzione inversa, dovrebbe essere meritevole per la crescita delle conversioni adulte in Francia (un aumento del 50% tra 2013 e 2014) o per la crescita delle presenze alla messa in Polonia (dal 39,1% del 2014 al 39,8% del 2015). Ma non è così, buon senso dice che questi fenomeni dipendono da incontrollabili flussi personali-culturali-sociali e, solo in parte, anche dal governo della Chiesa locale. Per il bene dell’informazione andrebbero evitate grossolane correlazioni e presunte causalità.

La redazione

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Il cammino di Albert Camus verso il Senso della vita, proprio come fecero i Magi

La conversione di Camus come i re MagiL’analogia del cammino dei Magi verso la capanna come un simbolo dell’uomo moderno che si mette in cammino per una risposta, per andare ad accogliere Colui che offre senso alla vita, è davvero azzeccata.

L’ha proposta oggi Papa Francesco nell’omelia dedicata alla festa dell’Epifania. «Questi uomini hanno visto una stella che li ha messi in movimento», ha detto. «Avevano il cuore aperto all’orizzonte e poterono vedere quello che il cielo mostrava perché c’era in loro un desiderio che li spingeva: erano aperti a una novità. I magi riflettono l’immagine di tutti gli uomini che nella loro vita non si sono lasciati anestetizzare il cuore. In tal modo, esprimono il ritratto dell’uomo che ha nostalgia di Dio».

Viene in mente il percorso esistenziale del filosofo Albert Camus, proprio due giorni fa è stato il suo anniversario di morte. Un esponente di quel profondo esistenzialismo ateo, lontano anni luce dal bambinesco laicismo di oggi, che si autogiustifica con gli scandalucci dei preti o sulle percentuali di scienziati atei. Per lui il problema era l’assoluta indifferenza del cosmo alla sua radicale domanda di senso, di significato della vita, al problema del male, ben descritto nel suo Il Mito di Sisifo. Non c’è giustizia, non c’è di che cercare e tutto è irragionevolezza: la natura umana chiede un significato che la realtà nasconde. Una visione tragica che però non lo portò mai nelle grossolane reti del materialismo storicista. Anzi, evidentemente non si chiuse nemmeno al pregiudizio, al “non c’è” risposta.

Solo chi cerca, trova. Come insegna il Papa, i Magi videro la stella perché cercavano, scrutavano il cielo, aspettavano una risposta più grande. Infatti tutta la tensione scientifica -lo ha ben spiegato l’astrofisico dell’Università di Milano, Marco Bersanelli-, altro non è, a suo modo, che «una manifestazione di quella inguaribile tendenza dell’essere umano a domandarsi il perché delle cose, mai sazio di risposte parziali. La ricerca scientifica mostra di avere il suo seme e le sue radici profonde proprio nel terreno dell’esigenza umana di soddisfazione e di senso» (M. Bersanelli e M. Gargantini, Solo lo stupore conosce, Rizzoli 2003, p. XII).

Proprio nel libro già citato, del 1942, Camus riconosce la tragicità di una vita ridotta al sopravvivere, vedendo il suicidio come l’unica risposta, nonché il problema fondamentale della filosofia. «La levata, il tram, le quattro ore di ufficio o di officina, la colazione, il tram, le quattro ore di lavoro, la cena, il sonno e lo svolgersi del lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì e sabato sullo stesso ritmo…Soltanto che, un giorno, sorge il “perché?”». Questo “perché” non è scontato, è già tanto se gli uomini moderni arrivano a percepire l’effemericità della vita che vivono. Proprio questa onestà intellettuale, l’ammettere che non siamo fatti per una risposta che non c’è, gli ha permesso di lasciare aperta la ragione: la natura non può esser un inganno! «O il mondo ha un senso più alto, o nulla è vero fuori di tali agitazioni».

Così Camus si mise in “cammino” e su di esso incontrò il pastore metodista Howard Mumma con cui strinse amicizia, diventando suo confidente. Nel 1956, un anno prima del Nobel, rivelò un suo cambiamento nel libro The fall, ringraziando infatti «numerose anime pie». Il critico francese Alain Costes fu il primo a parlare della sua conversione. Frequentava la messa a Parigi, lesse per la prima volta i Vangeli e interpretò il racconto della Genesi come una parabola dell’origine della coscienza umana: il tentativo dell’uomo di essere un dio, restando infelice perché non ha risposte da darsi. Arrivò così a chiedere il battesimo al reverendo Mumma: «Cosa significa nascere di nuovo? Cerco qualcosa che il mondo non mi sta dando», E, al termine della spiegazione: «Howard, io sono pronto». Camus era già battezzato come cattolico ed inoltre non desiderava appartenere ad una chiesa, così Mumma prese del tempo per rifletterci. Seppe però della morte improvvisa del filosofo in un incidente stradale, il 4 gennaio 1960. Ricordò le ultime parole che Camus gli disse, salutandolo: «Amico mio, io nel frattempo continuo a lottare per la fede». I dialoghi tra Mumma e Camus, citati in questo articolo, sono stati pubblicati da quest’ultimo in Albert Camus & the Minister (Paraclete Press 2000).

Ecco un esempio di uomo che, come i Magi, si è messo in cammino perché «sente la mancanza della propria casa, la patria celeste», come ha detto stamattina Francesco. «La santa nostalgia di Dio scaturisce nel cuore credente perché sa che il Vangelo non è un avvenimento del passato ma del presente. La santa nostalgia di Dio ci permette di tenere gli occhi aperti davanti a tutti i tentativi di ridurre e di impoverire la vita. La santa nostalgia di Dio è la memoria credente che si ribella di fronte a tanti profeti di sventura. Questa nostalgia è quella che mantiene viva la speranza della comunità credente che, di settimana in settimana, implora dicendo: “Vieni, Signore Gesù!”».

La redazione
(articolo inserito nell’archivio dedicato alle conversioni)

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2016, i venti articoli più letti su UCCR

Nonostante la lunga pausa dall’estate scorsa all’inizio di quest’anno, i nostri articoli hanno ricevuto moltissima attenzione e su gran parte dei temi che trattiamo ci posizioniamo stabilmente tra i primi risultati che emergono effettuando una ricerca tramite Google.

Come è ormai da tradizione, vorremmo elencare qui sotto gli articoli che i nostri lettori hanno più letto e, si spera, apprezzato durante il 2016.

Ricordiamo che UCCR è presente su Facebook con contenuti inediti (cioè con notizie che non trovate sul sito web) tramite la pagina ufficiale e il gruppo ufficiale. Siamo attivi su Twitter e su Youtube e, per chi lo volesse, è possibile effettuare una donazione di sostegno e di ringraziamento per il nostro lavoro tramite un’offerta libera (recandosi a questa pagina), un segno concreto di aiuto a chi ogni giorno è impegnato ad informare migliaia di lettori. Per chi se lo sentisse, inoltre, accogliamo nuovi articolisti (contattando uno dei nostri amministratori su Facebook), e volenterosi che desiderano aiutarci ad espanderci fuori dall’Italia tramite la traduzione dei nostri articoli in inglese. Chi fosse interessato può scrivere a: redazione@uccronline.it.

 

Qui sotto i venti articoli più letti durante il 2016, quelli più visitati e che statisticamente hanno interessato di più.

1) La vera trasgressione è la fedeltà, non il libertinismo (aprile 2016)
Abbiamo valorizzato le riflessioni dello psicoanalista laico Massimo Recalcati, scelta premiata anche dai lettori.

2) Unioni civili, Mario Adinolfi stravince contro un confuso Umberto Galimberti (febbraio 2016)
Il 2016 è stato anche l’anno delle unioni civili e delle voci eroiche contro la propaganda mediatica.

3) Le Iene smascherate da un video, nessuna aggressione a Radio Maria (febbraio 2016)
Un caso di cronaca che ha fatto discutere e che ha ingannato molti.

4) Caso Varani, «la comunità Lgbt ora teme che emerga lo stile di vita gay» (marzo 2016)
Una nostra inchiesta sul backstage culturale dell’omicidio Varani.

5) Christina Grimmie, la giovane cantante è stata uccisa per la sua fede cristiana? (giugno 2016)
La storia di una delle tante vittime degli attentati terroristici dello scorso anno.

6) Usare il “Medioevo” come insulto è segno di ignoranza storica e culturale (febbraio 2016)
Uno dei tanti approfondimenti sulle ingiuste colpe riservate alla storia del cristianesimo.

7) Le stigmate di Padre Pio: «sono scientificamente inspiegabili» (altro che acido fenico!) (febbraio 2016)
Il santo di Pietralcina è stato uno dei protagonisti del Giubileo 2016.

8) Teoria del gender: ridicolizzarla in tre minuti, prendendola sul serio (video) (giugno 2016)
Un articolo divertente che mostra il miglior modo per smascherare la follia di certe convinzioni.

9) La Resurrezione di Gesù è storicamente attendibile, non è un mito (marzo 2016)
Questo è l’articolo più letto nel 2016 avente come tema il Gesù storico.

10) Umberto Eco: «Gesù Cristo è un miracolo anche per i laici inquieti come me» (febbraio 2016)
La morte del celebre semiologo è stata uno degli eventi italiani più ricordati dello scorso anno.

11) Caro Marco Pannella, ti sei battuto per diritti incivili che hanno imbruttito l’Italia (maggio 2016)
Il nostro omaggio alla vita del leader radicale, rispetto per l’uomo e critica per le sue azioni.

12) Il senatore gay Lo Giudice: «vi spiego come ho tolto un bambino da sua madre» (febbraio 2016)
Una delle diverse dichiarazioni shock che hanno caratterizzato il dibattito sulle unioni civili.

13) Il sole pulsante di Medjugorje? Non è frode, né allucinazione collettiva (giugno 2016)
Una nostra inchiesta sui presunti fenomeni che accadono nel paesino della Bosnia ed Erzegovina.

14) Se Gesù è davvero morto in croce, il Corano dice il falso (e l’Islam vacilla) (aprile 2016)
Un confronto, dalle enormi conseguenze, tra il Gesù storico e ciò che proclama di lui il Libro islamico.

15) “Amoris Laetitia”, l’esortazione di Papa Francesco piace anche ai tradizionalisti (aprile 2016)
Le polemiche sul Pontefice hanno segnato anche l’anno appena terminato, sopratutto per l’esortazione apostolica.

16) Lo psichiatra Paolo Crepet: «la gestazione per altri? Nazismo puro» (gennaio 2016)
Proprio nel 2016 è divenuto di uso comune il termine “stepchild adoption”.

17) Il bellissimo saluto di fine corso universitario di questo docente di matematica (luglio 2016)
Una nostra inchiesta su un professore molto amato, un educatore nel vero senso della parola.

18) 400 soubrette firmano per le unioni civili, manca solo il Gabibbo (febbraio 2016)
La lobby mediatica vince sempre sui telespettatori imbambolati.

19) Filosofia vegana e vegetariana: i rischi per la salute e per l’etica (maggio 2016)
Approfondimento sulle nuove mode alimentari che rischiano di divenire ideologie filosofiche.

20) David Bowie: «nei momenti di disperazione avevo perso il filo diretto con Dio» (gennaio 2016)
La scoperta della fede anche in chi sembrerebbe troppo lontano.

 

La redazione

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L’editorialista del “Corriere”: terrorismo in Europa? La causa è la scristianizzazione

Il 2/01/17 è apparso un editoriale interessante sull’attuale scontro tra Medioriente ed Europa. L’autore, il prof. Angelo Panebianco, ha espresso di fatto una sintonia con la lettura offerta su questo sito web nel novembre 2015, dopo l’attentato terroristico a Parigi. Qui sotto un estratto della sua riflessione.

 

di Angelo Panebianco*
*docente di Scienze politiche presso l’Università di Bologna

da Il Corriere della Sera, 02/01/17

 

Dopo ogni attentato dei jihadisti in Europa (forse accadrà anche ora, dopo la strage di Capodanno a Istanbul), riappare sempre la stessa divisione: fra quelli che dicono che «la religione non c’entra», sono solo gli «interessi» (materiali) a spiegare tutto, e quelli che sostengono che la religione sia la vera causa. Semplificare va bene, serve per capire situazioni complesse, ma se si semplifica troppo si finisce per non capire niente. Quando è in gioco la vita di tante persone non capire niente è pericoloso, sbagliare diagnosi è il modo più sicuro per restare indifesi. Perché, a dispetto di ogni evidenza, a dispetto dei Santi (è il caso di dirlo), tante persone negano che quella dichiarata, non solo contro altri musulmani ma anche contro gli occidentali, sia una guerra religiosamente motivata?

Due sono le ragioni principali. La prima è che ammettere che l’Islam c’entri significa doversi porre — e porre anche ai musulmani (la maggioranza) che si tengono lontani dal jihad — domande scomode, fastidiose, sugli atteggiamenti del mondo islamico nei confronti della società aperta occidentale e sugli aspetti della loro tradizione che hanno generato la sfida jihadista. È più rassicurante prendere per buono quanto i rappresentanti delle comunità musulmane sostengono dopo ogni attentato, ossia che «l’Islam non c’entra», nulla ha a che spartire con quei quattro (solo quattro?) esaltati. Per esempio, si definisce «folle» l’attentato. Ma non c’è niente di folle: l’attentatore è un soldato, combatte una guerra dichiarata da qualche organizzazione (ieri Al Qaeda, oggi l’Isis, domani un’altra). Quel soldato è la versione contemporanea dei combattenti per la causa islamica dell’età medievale e della prima età moderna.

La seconda ragione per la quale in tanti rifiutano di riconoscere il carattere religioso della guerra dichiarata dall’islamismo radicale è forse più importante. Ed è anche il motivo per il quale i capi jihadisti, come risulta dalle loro dichiarazioni, pensano che l’Europa sia il ventre molle dell’Occidente, un insieme di Paesi che — non importa quanti anni o decenni di lotta saranno necessari per raggiungere lo scopo — dovrà prima o poi arrendersi, sottomettersi. La ragione ha a che fare con la scristianizzazione. Fra tutte le aree del mondo l’Europa è quella in cui il processo di secolarizzazione (la scomparsa del sacro dalla vita individuale e collettiva) ha raggiunto i massimi livelli: nella sua parte protestante come in quella cattolica (e il fatto non è contraddetto dalla popolarità di cui gode anche fra i non credenti, anche fra tanti atei dichiarati, l’attuale Pontefice).

Contrariamente a quanto immaginavano gli illuministi (quelli francesi, non quelli anglosassoni), la scristianizzazione non ha eliminato la «superstizione», non ha reso gli europei «più razionali». Ha invece aperto la strada a varie forme di regressione culturale. Per citare solo la più impressionante: sono ormai legioni coloro che pensano seriamente che non ci siano differenze fra uomini e animali (domestici e non). È arduo, per una società siffatta, accettare l’idea che ci sia gente disposta a uccidere e a farsi uccidere in nome di un credo religioso. La secolarizzazione/scristianizzazione porta con sé l’impossibilità di capire un fenomeno del genere.

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Michela Marzano contro cultura dello scarto, ma è paladina di aborto ed eutanasia

La filosofa Michela Marzano è un chiaro esempio dei falsi amici di Papa Francesco di cui abbiamo parlato nel nostro dossier a lui dedicato. Si dichiara cattolica ma utilizza lo spazio pubblico per contrastare tutte le posizioni etico-morali cattoliche.

Lo fanno in tanti, purtroppo. Ma la sua particolarità è voler passare non come dissidente, ma come obbediente alle indicazioni del Santo Padre. Un anno fa, ad esempio, ha sostenuto: «Se vogliamo una società pacifica che non sia fondata sullo scarto, come ha detto di recente Papa Francesco, dobbiamo promuovere l’uguaglianza». Peccato che aveva appena finito di sostenere “l’uguaglianza di genere”, ovvero l’eliminazione delle differenze tra uomo e donna, cosa ben diversa e notoriamente avversata dallo stesso Francesco.

Recentemente la Marzano ci è ricascata, schierandosi contro la cultura dello scarto, avvallando le parole del Pontefice: «La nostra è una società dello scarto, come ci ha recentemente ricordato papa Francesco. La soluzione non può quindi essere quella di farne l’elogio, spingendo alla rassegnazione gli “scartati”, ma pensare e costruire una vera cultura dell’inclusione».

Ma la filosofa di Repubblica ha capito cosa intende Francesco quando parla di “cultura dello scarto”? Glielo ricordiamo. Si rivolge non solo alla società consumistica indifferente alla povertà e agli ultimi, ma anche a chi vorrebbe equiparare altre unioni alla famiglia naturale, la quale –ha detto Bergoglio- è «oggetto di scarto a causa di una sempre più diffusa cultura individualista ed egoista che rescinde i legami e tende a favorire il drammatico fenomeno della denatalità, nonché di legislazioni che privilegiano diverse forme di convivenza piuttosto che sostenere adeguatamente la famiglia per il bene di tutta la società». Inoltre, Francesco ribadisce che la «cultura dello scarto porta a rifiutare i bambini anche con l’aborto», così -in un’altra occasione, «si scartano i bambini per mancanza di cibo o perché vengono uccisi prima di nascere». Al Parlamento europeo ha coraggiosamente ricordato invece che cultura dello scarto è anche «quando la vita non è funzionale e viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere».

Ed è superfluo ricordare che le battaglie della Marzano sono proprio a sostegno della cultura dello scarto che Francesco cerca di combattere: a favore del gender e dunque dello scarto delle differenze sessuali, è a favore dello scarto degli anziani e dei malati tramite eutanasia e ritiene lo scarto dei bambini, tramite l’interruzione di gravidanza, «l’unica possibilità che esiste, in uno stato civile, per garantire il rispetto delle donne». Nessuna parola per il rispetto dei bambini non nati.

La filosofa critica dunque la società dello scarto che lei stessa si sforza di sostenere, si è perfino dimessa dal Partito Democratico quando non è stata accetta la maternità surrogata di cui è paladina, la quale -è quasi inutile ricordarlo- prevede che i bambini vengano strappati dalle loro madri biologiche -che li hanno portati in grembo e partoriti-, per consegnarli ai loro compratori o distribuirli generosamente agli amici, come fossero pacchi natalizi. Questa è l’inclusione di cui la Marzano parla sempre? «Io ho allergia degli adulatori», ha detto anche Francesco. «Perché adulare un altro è usare una persona per uno scopo, nascosto o che si veda, ma per ottenere qualcosa per se stesso. A Buenos Aires li chiamiamo “lecca calze”, e la figura è proprio di quello che lecca le calze dell’altro. E’ brutto masticare le calze dell’altro».

La redazione

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Così muore una suora cattolica, le foto diventano testimonianza al mondo

Le immagini di una giovane suora argentina, sorridente e serena anche se in lotta contro un devastante cancro ai polmoni, sono diventate virali sui social media pochi mesi fa, con migliaia di condivisioni e articoli di giornale.

Ne parliamo solo oggi, un po’ in ritardo, ma di storie del genere bisognerebbe parlarne sempre. Suor Cecilia, del Carmelo di Santa Fe, in Argentina, è morta il 23 giugno 2016, all’età di 42, ma ciò che ha colpito il mondo intero è stata la serenità con cui ha vissuto le ultime ore di vita, attendendo la morte in pace con se stessa e con il mondo, in attesa di abbracciare il Suo amato a cui ha dedicato l’intera vita.

Il Carmelo di Santa Fe ha comunicato così l’annuncio della morte: «la nostra amatissima sorella si è addormentata dolcemente nel Signore dopo una malattia dolorosissima sopportata sempre con gioia e dedizione al suo Sposo Divino. Vi inviamo tutto il nostro affetto per il sostegno e la preghiera con cui ci avete accompagnate durante questo periodo così doloroso ma allo stesso tempo tanto meraviglioso».

Dopo la laurea come infermiera a 26 anni di età, suor Cecilia Maria ha fatto la sua prima professione come carmelitana scalza, mentre la professione finale è avvenuta nel 2003. All’inizio del 2016 le è stato diagnosticato il tumore e ha vissuto l’inizio della malattia nel monastero di Santa Fe, venendo poi ricoverata in ospedale dove non ha mai smesso di pregare e offrire le sue sofferenze per il bene del mondo, nella certezza dell’approssimarsi del suo incontro con Dio. «Sono molto contenta», ha scritto a maggio, «e stupita per l’opera di Dio anche attraverso la sofferenza, nonché dal fatto che tante persone stanno pregando per me».

«Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?», domandava San Paolo (1Cor 15,55). Parole che sembrano riflesse nel volto di suor Cecilia e che dicono molto sul potere della fede e sulla libertà che essa dona agli uomini che si affidano al Signore. «Perché la morte», per i cristiani, «non è nient’altro che un culmine di prova, il cui scopo non può essere che la testimonianza di accettazione del Mistero di Dio» (L. Giussani, Si può vivere così?, Rizzoli 2007, p. 209).

La redazione

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Benedetto XVI smonta il complotto: «mai subito pressioni. Francesco? Nuova freschezza»

«Benedetto XVI ha dato una risposta chiara e serena a tutte le elucubrazioni immotivate sulle ragioni della sua rinuncia al pontificato, come se fosse stata causata dalle difficoltà incontrate a seguito di scandali o complotti», ha dichiarato il suo fidato collaboratore e portavoce, padre Federico Lombardi, oggi non a caso presidente della Fondazione Ratzinger. «Di tutto ciò ora, sollecitato dalle domande di Seewald, Benedetto in prima persona fa piazza pulita con decisione, in modo ci auguriamo definitivo, parlando del cammino di discernimento con cui è giunto davanti a Dio alla decisione e della serenità con cui, una volta presa, la ha comunicata e attuata senza alcuna incertezza e non se ne è mai pentito».

Padre Lombardi si sta riferendo, come molti già sapranno, al lascito spirituale che il Papa emerito ha affidato ad un dialogo -l’ultimo risalente al maggio 2016- con il giornalista tedesco Peter Seewald, che poi è divenuto un libro: Ultime conversazioni (Garzanti 2016), uscito nel settembre scorso. A scanso di equivoci, il giornalista fin dall’introduzione ha voluto precisare che «il testo è stato approvato e autorizzato dal papa emerito» (p. 16). Se n’è parlato a lungo negli ultimi mesi, noi arriviamo soltanto ora dopo aver raccolto le varie reazioni, positive e negative, intervenendo per fornire alcuni chiarimenti a causa di una certa disinformazione che si è, anche questa volta, venuta a creare. L’articolo è suddiviso rispetto alle tematiche affrontate da Papa Benedetto XVI nel libro.

 

MOTIVI DELLA RINUNCIA DI BENEDETTO XVI.
Chi ha letto il libro ha intuito l’esplicita volontà del Papa emerito di chiarire, una volta per tutte, i motivi della rinuncia al papato, respingendo i complotti emersi in questi anni. «Attacco occulto», scriveva ad esempio nel 2014 lo scrittore Antonio Socci. «Fortissime pressioni», ripeteva nel 2015, aggiungendo: «del resto se aveva subito pressioni non poteva certo dirlo in maniera esplicita visto che così avrebbe invalidato l’atto a cui era costretto. Fin dal suo insediamento Benedetto aveva affermato: “Pregate per me perché io non fugga per paura davanti ai lupi”. È lecito chiederci chi fossero i “lupi” e cosa volessero». La reazione di Ratzinger è stata decisa: «Sono tutte assurdità. Nessuno ha cercato di ricattarmi. Non l’avrei nemmeno permesso. Se avessero provato a farlo non me ne sarei andato perché non bisogna lasciare quando si è sotto pressione. E non è nemmeno vero che ero deluso o cose simili. Anzi, grazie a Dio, ero nello stato d’animo pacifico di chi ha superato la difficoltà. Lo stato d’animo in cui si può passare tranquillamente il timone a chi viene dopo» (p. 34, 35).

Il Papa emerito ci ritorna molte volte nel libro, forse consapevole di essere divenuto oggetto di strumentalizzazione: «una decisione simile non risulta facile e la si deve ponderare a lungo. Per me, tuttavia, è apparsa talmente evidente che non c’è stato un doloroso conflitto interiore […]. Era chiaro che dovevo farlo e che quello era il momento giusto» (p. 27). La decisione avvenne nell’estate 2012, dopo i faticosi viaggi in Messico e a Cuba e con in programma la Giornata mondiale della gioventù: «era chiaro che avrei dovuto dimettermi in tempo perché il nuovo papa andasse a Rio. Sapevo che non ce l’avrei fatta» (p. 28). Pentimenti? «No. No, no. Vedo ogni giorno che era la cosa giusta da fare. Era una cosa su cui avevo riflettuto a lungo, e di cui avevo anche a lungo parlato con il Signore» (p. 36). «Sono convinto», ha voluto ripetere, «che non si sia trattato di una fuga, e sicuramente non di una rinuncia dovuta a pressioni esterne, che non esistevano» (p. 45).

Si è parlato del tradimento da parte del suo aiutante di camera, Paolo Gabriele o dello scandalo Vatileaks: «No, non è assolutamente vero», ha ribadito il Papa emerito. «Al contrario, le cose erano state del tutto chiarite. Uno non può dimettersi quando le cose non sono a posto, ma può farlo solo quando tutto è tranquillo. Io ho potuto dimettermi proprio perché riguardo a quella vicenda era ritornata la serenità. Non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte» (p. 34). Lo ribadisce nuovamente, con piena consapevolezza: «Alle richieste non ci si deve piegare, naturalmente. È per questo che nel mio discorso ho sottolineato che io agivo liberamente. Non si può andar via se si tratta di una fuga. Non bisogna cedere alle pressioni. Si può andar via solo se nessuno lo pretende, e nessuno nel mio caso lo ha preteso. Nessuno. Fu una assoluta sorpresa per tutti» (p. 37).

E’ palpabile la lucidità di Benedetto XVI di smarcarsi dall’accusa di essere stato un facile burattino nelle mani di qualche potente ricattatore, non ci sta a veder calpestata la sua dignità in questo modo. Eppure, spiace dirlo, il giornalista di Libero ha commentato queste dichiarazioni riproponendo le sue tesi: le affermazioni di Ratzinger sono «assurde» e si è trattata della «fuga precipitosa» di un Papa di fronte ai lupi. Secondo Socci, ancora oggi Ratzinger non potrebbe parlare di tali pressioni ma come Pollicino avrebbe scelto di «disseminare il libro di segnali che aumentano il mistero», perché non potrebbe «rivelare come stanno veramente le cose». Sulla stessa linea anche Maurizio Blondet (giornalista tradizionalista, noto anche per alcune frasi inconcepibili sui neri e sugli ebrei), anche lui convinto che il Papa emerito abbia indecorosamente ceduto a fantomatici poteri forti (per lui le “potenze mondialiste finanziarie” e il Nuovo ordine mondiale): «L’Emerito nega di essersi dimesso sotto pressione», ha scritto. «Non ho letto il libro, ma mi aspettavo il contenuto. So, da voci interne, che Ratzinger stava subendo da mesi fortissime pressioni. Alcune voci mi hanno detto che questa ritrattazione è stata richiesta all’ex Papa con forti pressioni. Ma erano voci. Adesso invece ho la prova: la prova che Benedetto mente. Perché dichiara che non è sotto ricatto? Non è una Excusatio non petita? Per far capire che sotto ricatto effettivamente fu, ed è ancora?». Benedetto XVI mente, fa come Pollicino, le voci hanno detto…lasciamo il giudizio al lettore e al suo buon senso.

Segnaliamo anche l’intervento, decisamente più condivisibile, del vaticanista Aldo Maria Valli (celebrato recentemente da diversi tradizionalisti in quanto autore di alcune perplessità, contenute anche in un libro appena pubblicato, su dichiarazioni pubbliche di Francesco): «la sola idea che Ratzinger, il teologo Ratzinger, l’uomo che ha speso tutta la vita al servizio della Chiesa, abbia deciso, con una scelta di portata storica, di rinunciare al soglio per una questione di banche e di bancomat, mi sembra francamente inverosimile. Un papa come Ratzinger, non prende l’epocale decisione di ritirarsi solo perché il sistema bancario mondiale taglia fuori momentaneamente il Vaticano. Ratzinger, come ha sempre detto, ha rinunciato perché ha avvertito di non avere più le forze per governare adeguatamente». Valli si riferisce in particolare alla originale tesi di Blondet, secondo cui Ratzinger si sarebbe dimesso poiché «le potenze mondialiste avevano tagliato fuori la banca vaticana da SWIFT, il sistema di transizioni finanziarie globali. Difatti appena le telecamere ripresero l’elicottero con cui Benedetto XVI si ritirava a Castelgandolfo, il Vaticano fu ricollegato a SWIFT e i bancomat ripresero a funzionare». Blondet non cita alcuna fonte a sostegno di tali notizie, anche perché non c’è traccia di esse su internet (nemmeno sui motori di ricerca indipendenti, anche in lingua straniera): una cosa talmente grave non sarebbe mai passata sottotraccia. Eppure, a parte Blondet -conosciuto per l’alta sensibilità verso le cospirazioni giudaico-finanziarie- nessuno sembra essersene accorto.

 

CREDE DI ESSERE L’ULTIMO PAPA?
Su alcune frasi di Benedetto XVI è nata purtroppo una strumentalizzazione. A pag. 203 il giornalista Seewald ha infatti domandato al Pontefice emerito se si vede «l’ultimo papa del vecchio mondo o come il primo del nuovo?». Benedetto ha risposto: «entrambi. Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo in realtà non è ancora incominciato» . Ha quindi respinto l’idea che con Francesco la Chiesa sia ad una svolta epocale: «ora non azzarderei una simile affermazione. Tuttavia, è evidente che la Chiesa sta abbandonando sempre più le vecchie strutture tradizionali della vita europea e quindi muta aspetto e in lei vivono nuove forme. Di conseguenza la Chiesa deve trovare una nuova forma di presenza, deve cambiare il suo modo di presentarsi». A questo punto Seewald introduce la profezia di Malachia, molto amata da qualche complottista, secondo la quale il papato terminerebbe con il pontificato di Ratzinger: «e se lei fosse effettivamente l’ultimo a rappresentare la figura del papa come l’abbiamo conosciuto finora, domanda. Risposta di Ratzinger: «Tutto può essere. Probabilmente questa profezia è nata nei circoli intorno a Filippo Neri. A quell’epoca i protestanti sostenevano che il papato fosse finito, e lui voleva solo dimostrare, con una lista lunghissima di papi, che invece non era così. Non per questo, però, si deve dedurre che finirà davvero. Piuttosto che la sua lista non era ancora abbastanza lunga!» (p. 205).

La strumentalizzazione è arrivata dal giornalista di Libero, Antonio Socci, che -dopo aver tagliato l’ultima parte della risposta di Benedetto XVI dicendo di ritenerla una «battuta di alleggerimento»-, ha fatto sostenere al Papa emerito che lui sarebbe “l’ultimo Papa”. Leggendo il testo integrale si capisce che non è chiaramente così: si sta parlando di una forma, di un modo di essere Papa «come lo abbiamo sempre conosciuto», se si ritenesse davvero “l’ultimo Papa” come Socci gli ha fatto dire, allora non potrebbe riconoscere Francesco come suo successore. Inoltre si capisce chiaramente dall’atteggiamento ironico quanto poco peso Benedetto XVI dia alla “profezia” di Malachia, spiegando che era solo un modo inventato da qualcuno vicino a Filippo Neri per convincere i protestanti che il papato sarebbe continuato a lungo. Sarebbe sciocco prenderla alla lettera, ovviamente. Eppure…

 

STIMA PER PAPA FRANCESCO.
Molto belle le parole che Benedetto XVI riserva al suo successore, fin dal giorno dell’elezione: «Il modo in cui ha pregato per me, il momento di raccoglimento, poi la cordialità con cui ha salutato le persone tanto che la scintilla è, per così dire, scoccata immediatamente» (p. 39). E ancora: «È certo anche un papa che riflette, uno che medita sulle questioni attuali. Che non viva nel palazzo apostolico bensì a Santa Marta, dipende dal fatto che vuole sempre essere circondato dalla gente. Direi che questo si può ottenere anche su [nel palazzo apostolico, n.d.r.], ma è una scelta che mostra un nuovo stile. Forse io non sono stato abbastanza in mezzo agli altri, effettivamente. Ognuno deve avere il proprio temperamento. Ma trovo positivo che sia così diretto con gli altri. Mi chiedo naturalmente quanto potrà andare avanti. Per stringere ogni mercoledì duecento mani o più e via dicendo ci vuole molta forza. Ma questo lasciamolo al buon Dio» (p. 42).

Sempre restando sul diverso temperamento, «ognuno ha il proprio carisma. Francesco è l’uomo della riforma pratica. È stato a lungo arcivescovo, conosce il mestiere, è stato superiore dei gesuiti e ha anche l’animo per mettere mano ad azioni di carattere organizzativo. Io sapevo che questo non è il mio punto di forza. La verità è che non potevo intraprendere nessun tipo di operazione di carattere organizzativo a lungo termine. Ma ero anche del parere che non fosse il momento di farlo […]. Quando un papa inizia il suo pontificato a settantotto anni, non dovrebbe aspirare a grandi cambiamenti in una prospettiva a lungo termine, che egli stesso non sarebbe in grado di sostenere.» (p. 172, 173, 195).

Ha anche condiviso l’intento di Francesco di decentralizzare la Chiesa: «anch’io ho sempre desiderato che le Chiese locali siano il più possibile autonome e vitali, senza bisogno di assistenza da parte di Roma» (p. 43). Sbaglia anche chi parla di “rottura” tra i due pontificati: «Naturalmente si possono fraintendere alcuni punti per poi dire che adesso le cose vanno in modo del tutto diverso. Se si prendono singoli episodi e li si isolano, si possono costruire contrapposizioni, ma ciò non accade quando si considera tutto l’insieme. Forse si pone l’accento su altri aspetti, ma non c’è alcuna contrapposizione» (p. 44). La soddisfazione per Francesco è piena, con lui «c’è una nuova freschezza in seno alla Chiesa, una nuova allegria, un nuovo carisma che si rivolge agli uomini, è già una bella cosa» (p. 44).

Anche in questo urge un chiarimento dovuto, ancora una volta, alla reazione di Antonio Socci. Non potendo accettare la stima del Papa emerito al suo successore, ha sottolineato che si tratta di «interviste realizzate nei primi mesi di pontificato di Bergoglio (luglio e dicembre 2013, e febbraio 2014)», quando anche lui stesso guardava «positivamente a papa Bergoglio». Non è proprio così: come riferito dall’intervistatore, Peter Seewald, l’ultimo colloquio con Ratzinger è avvenuto il 23 maggio 2016 (p. 8), tanto che il libro è stato pubblicato quattro mesi dopo. L’approvazione di Benedetto XVI al lavoro finito è dunque necessariamente arrivata tra maggio e settembre 2016, se avesse cambiato idea rispetto al giudizio positivo di Francesco certamente, per l’amore alla verità che ha sempre dimostrato, avrebbe apportato correzioni, smussato gli elogi o precisato le sue dichiarazioni, o comunque tolto le espressioni di stima e unità di vedute. Così non è stato. Giustamente il vaticanista Aldo Maria Valli ha scritto: «quanto al giudizio di Benedetto sulla linea Bergoglio, sono certo che Ratzinger la pensa esattamente così. Quando afferma di apprezzare l’apertura e la disponibilità di Francesco verso le persone, è del tutto sincero». E ancora: «A un certo punto, con la solita schiettezza, Benedetto non rinuncia a mettere in guardia Francesco (quando dice che se un papa riceve troppi applausi c’è qualcosa che non funziona), ma ciò non toglie che veda davvero in Bergoglio il pontefice giusto per questa fase storica della Chiesa». Facciamo comunque notare che la pesante critica mediatica riservata quotidianamente a Francesco da parte di alcuni giornalisti, lo mette al sicuro dal ricevere solo applausi e dalla giusta raccomandazione del suo predecessore.

 

COMUNIONE RICEVUTA SULLA MANO E MESSA TRIDENTINA.
Molti cattolici di area tradizionalista dedicano spesso articoli e interi libri a spiegare perché sarebbe un sacrilegio ed un abominio ricevere l’Eucarestia con le mani invece che con la bocca. Anche su questo il Papa emerito ha avuto qualcosa da dire: «a San Pietro abbiamo cercato di mantenere inalterata la liturgia. La comunione in bocca non è un’imposizione, io ho sempre praticato entrambe le forme. Siccome però sulla piazza ci sono così tante persone che potrebbero fraintendere, che per esempio s’infilavano l’ostia in tasca, mi sembrava che questo fosse un segnale giusto» (p. 175). Entrambi i modi di ricevere l’Eucarestia, con la bocca o con le mani, sono accettati e praticati da Ratzinger.

Per quanto riguarda invece la concessione data di poter continuare a celebrare la messa tridentina: «era importante che ciò che prima per le persone era la cosa più sacra nella Chiesa non fosse di colpo del tutto proibita», ma comunque «il rito si deve evolvere. Per questo è stata annunciata la riforma. Ma l’identità non deve spezzarsi» (p. 180). Benedetto XVI non concesse il rito antico per una nostalgia personale, anzi, il rinnovamento (non fine a se stesso, ovviamente, come qualche progressista crede) è un tema costante nella parole del Papa emerito: «Bisogna rinnovare, e io ho cercato di portare avanti la Chiesa sulla base di una interpretazione moderna della fede. Nello stesso tempo c’è bisogno di continuità, bisogna garantire che la fede non subisca strappi, non lasciare che si frantumi» (p. 209).

 

ALTRE RELIGIONI E SINCRETISMO?
Una delle critiche ricevute da Francesco è di essere troppo conciliante con le altre religioni, tanto da essere ritenuto da alcuni sincretista e relativista. Eppure il giornalista Seewald ricorda nel libro le innovazioni di Ratzinger durante il suo pontificato: «Dopo Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, è il secondo papa a parlare in una moschea; è il primo a partecipare a una funzione religiosa protestante. Un gesto storico unico è la visita, la prima di un capo della Chiesa, alla città in cui operò Martin Lutero. Nomina un protestante presidente della Pontificia accademia delle scienze, anche questa una novità; porta un musulmano a insegnare alla Gregoriana» (p. 12).

A domanda diretta sulle altre confessioni, il Papa emerito ha risposto: «I protestanti stanno vivendo una grave crisi, com’è risaputo. La delusione naturalmente è lecita, ma chi conosce la realtà non dovrebbe aspettarsi che un’unificazione delle Chiese nel senso autentico della parola sia realizzabile. Dovrebbe impegnarsi perché ci si ascolti a vicenda e si impari gli uni dagli altri, perché non vada perduto proprio l’essenziale, la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio; e che da qui si parta per stabilire le direttive di fondo in funzione di un’intesa in ambito pratico» (p. 182). Non ci sembra vi sia molta differenza tra la posizione di Benedetto XVI e quella del suo successore.

 

ALLONTANAMENTO DI ETTORE GOTTI TEDESCHI.
Nel libro si affrontano anche le vicissitudini dello IOR: «è stato fin dall’inizio un grosso punto di domanda, e ho tentato di riformarlo», ha detto Ratzinger. «È stato importante aver allontanato la precedente dirigenza. Bisognava rinnovare i vertici e mi è sembrato giusto, per molte ragioni, non mettere più un italiano alla guida della banca. Posso dire che la scelta del barone Freyberg si è rivelata un’ottima soluzione» (p. 197). E’ stata una sua idea, quest’ultima? «Si», la risposta.

Anche su queste parole c’è stata polemica. Maurizio Blondet (assieme a Riccardo Cascioli e Giuseppe Rusconi) ha usato queste parole di Ratzinger come “prova” regina del fatto che il Papa emerito stesse mentendo (o sia costretto a mentire), in quanto il suo segretario personale, monsignor George Gaenswein, ha sostenuto in passato che Ratzinger «restò sorpreso, molto sorpreso per l’atto di sfiducia» a Ettore Gotti Tedeschi, capo dello IOR. A Blondet tuttavia ha replicato il vaticanista Aldo Maria Valli, facendo giustamente notare che la risposta di mons. Gaenswein fu ben più articolata e spiegò che, seppur Benedetto XVI fosse sorpreso dalla sfiducia verso Gotti Tedeschi, non volle volontariamente intervenire in suo sostegno. Dunque non si oppose all’allontanamento. Inoltre, la domanda di Seewald se fosse stata una sua idea era relativa alla nomina di Freyberg e non alla sfiducia dell’ex capo dello Ior. «Dunque sì, Benedetto fu sorpreso, e anche dispiaciuto, per la dura decisione del board dello Ior contro Gotti Tedeschi», ha concluso Valli, «ma, per rispettare la libertà e la competenza di quell’organismo, scelse di non intervenire, e in quel modo di fatto avallò la decisione di licenziare il banchiere piacentino». Nessun mistero o enigma, neppure qui.

 

CONCLUSIONE
«Un teologo e un Papa che si smarca dai cliché dei sedicenti “ratzingeriani”, fino a quelli che oggi, con caratteristiche patologiche e parossistiche, lo strumentalizzano quotidianamente per screditare il suo successore Francesco», è stato il giudizio del vaticanista Andrea Tornielli.

Purtroppo non sembra essere bastato: la reazione sui siti web tradizionalisti è stata dura nei confronti della dignità di Benedetto XVI: «Il libro mi sembra scritto dalla propaganda del successore. Non so più che pensare»; «Solo degli “sprovveduti” possono pensare che quello che si legge in quel libro sia parola di Papa BXVI, è evidente che non lo è per il semplice motivo che non è assolutamente un linguaggio che usa il Pontefice. I “carcerieri” di BXVI vogliono rattoppare un buco ma hanno prodotto uno squarcio ancora più ampio»; «È un libro che esce dopo un pressing contro Benedetto proprio nei giorni del suo 65 anniversario. Libro bufala, costruito o estorto». Altri lo hanno invece direttamente insultato. Ci sembra davvero fuori luogo considerare il Papa emerito un giocattolo nelle mani di altri, così come è inspiegabile come dei cattolici possano arrivare a dipingere la loro Chiesa peggio di qualunque libro anticlericale.

Eppure, ha concluso il vaticanista Aldo Maria Valli (citato ampiamente poiché, come già detto, è il nuovo riferimento del movimento antipapista), «a mio giudizio nel libro “Ultime conversazioni” c’è un Benedetto autentico, non falso o edulcorato. Un Benedetto che parla, come ha sempre fatto, per amore della verità e della Chiesa, e non perché costretto. E che chi vuol bene davvero a Benedetto XVI non deve strumentalizzarlo».

 

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Lo storico Holland: «mi sbagliavo, la nostra etica deriva solo dal cristianesimo»

tom-hollandIl 14/11/16 su New Statesman, settimanale della sinistra britannica, è comparso l’articolo che qui sotto abbiamo tradotto. L’autore è Tom Holland, apprezzato storico e scrittore, ha introdotto così la sua testimonianza: «Mi ci è voluto molto tempo per realizzare che i miei costumi non sono greci o romani, ma in fondo, e con orgoglio, cristiani».

 

di Tom Holland*
*storico e scrittore inglese

da NewStatesman, 14/09/16

 

Quando ero un ragazzo, la mia educazione come cristiano è stata sempre in balia dei miei entusiasmi. In primo luogo, ci sono stati i dinosauri. Ricordo vividamente il mio shock quando, durante il catechismo, ho aperto la Bibbia per bambini e ho trovato una illustrazione di Adamo ed Eva con vicino un brachiosauro. Avevo solo sei anni ma di una cosa era certo: nessun essere umano aveva mai visto un sauropode. Il fatto che l’insegnante sembrava non preoccuparsi di questo errore ha solo aggravato il mio senso di indignazione e sconcerto. Una debole ombra di dubbio, per la prima volta, era stata portata a scurire la mia fede cristiana.

Con il tempo, l’oscurità è aumentata. La mia ossessione verso i dinosauri si è evoluta senza soluzione di continuità in un’ossessione verso gli antichi imperi. Quando ho letto la Bibbia, il focus del mio fascino era attirato non dai figli d’Israele o da Gesù e dai suoi discepoli, ma dai loro avversari: gli egiziani, gli assiri, i romani. In modo simile, anche se vagamente ho continuato a credere in Dio, l’ho trovato infinitamente meno carismatico dei miei preferiti dèi dell’Olimpo: Apollo, Atena, Dioniso. Piuttosto che stabilire leggi hanno preferito divertirsi. E anche se risultavano vani, egoisti e crudeli, questo serviva solo per dotarli del fascino da rock star.

Con il tempo ho letto Edward Gibbon e altri grandi scrittori del secolo dei Lumi, ero più che pronto ad accettare la loro interpretazione della storia: il trionfo del cristianesimo aveva inaugurato un'”età della superstizione e della credulità”, e la modernità era stata fondata sul ripristino dei valori classici a lungo dimenticati. Il mio istinto infantile del pensare al Dio biblico come il nemico diretto della libertà e del divertimento venne finalmente razionalizzato. La sconfitta del paganesimo aveva inaugurato il regno di “nobodaddy” e di tutti i crociati, inquisitori e puritani prevaricatori. Il colore e l’eccitazione erano stati drenati dal mondo. «Tu hai conquistato, o pallido Galileo», ha scritto Swinburne, facendo eco al lamento apocrifa di Giuliano l’Apostata, l’ultimo imperatore pagano di Roma. «Il mondo è diventato grigio dal tuo respiro». Istintivamente, ho accettato tutto questo.

Non è una sorpresa il fatto che ho continuato a custodire l’antichità classica come il periodo che più mi ha spronato e ispirato. Gli anni che ho trascorso a scrivere libri storici sul mondo classico mi confermavano il fascino che provavo per Sparta e per Roma. Ho continuato a inseguire le miei fantasie come avevano sempre fatto, come un dinosauro. Eppure questi carnivori giganti, anche se meravigliosi, sono per loro natura terrificante. Più mi immergevo nello studio dell’antichità classica, tanto più la trovavo alienante ed inquietante. I valori di Leonida, che portarono le persone a praticare una forma particolarmente criminale di eugenetica e ad educare i loro piccoli ad uccidere di notte, non erano i miei valori. Né lo erano quelli di Cesare, conosciuto per aver ucciso un milione di Galli e soggiogato molte più persone. E’ stato scioccante non soltanto rilevare livelli estremi di insensibilità, ma anche la mancanza di valore intrinseco del povero o del debole nella civiltà classica. Così, la convinzione fondante dell’Illuminismo -cioè che non dobbiamo nulla alla fede in cui siamo nati- mi è sembrata sempre più insostenibile.

«Ogni uomo di buon senso», ha scritto Voltaire, «ogni uomo d’onore, deve guardare alla setta cristiana con orrore». Piuttosto che riconoscere che i suoi principi etici arrivavano dal cristianesimo, ha preferito derivare essi da una serie di altre fonti, non solo letteratura classica, ma anche la filosofia cinese e i poteri della ragione. Eppure Voltaire, nella sua sollecitudine verso i deboli e gli oppressi, è stato segnato più durevolmente dal timbro dell’etica biblica di quanto volesse ammettere.

«Noi predichiamo Cristo crocifisso», ha dichiarato San Paolo, «scandalo per i giudei, stoltezza per i gentili». Aveva ragione. Nulla avrebbe potuto essere più in contrasto con le convinzioni profonde dei suoi contemporanei -ebrei, greci o romani-, dell’idea che un dio avrebbe scelto di subire torture e la morte di croce. Era così sconvolgente da apparire ripugnante. La familiarità con la crocifissione biblica ha offuscato la nostra capacità di riflettere su quanto sia irrompente e unica la divinità di Cristo. Nel mondo antico, il ruolo che gli dèi hanno rivendicato era governare l’universo, mantenere l’ordine ed infliggere una punizione. Non soffrire loro stessi.

Oggi, mentre la fede in Dio svanisce in tutto l’Occidente, i paesi che un tempo erano cristiani continuano a portare il timbro dei due millenni di rivoluzione che il cristianesimo ha rappresentato. E’ la ragione principale per cui, in linea di massima, la maggior parte di noi abitanti delle società post-cristiane, ancora diamo per scontato che sia più nobile soffrire che infliggere sofferenza. E’ grazie al cristianesimo che diamo per scontato che ogni vita umana ha pari valore. Guardando la mia etica e la mia moralità, ho imparato ad accettare che io non sono greco o romano, ma profondamente e orgogliosamente cristiano.

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