«Benedetto XVI ha dato una risposta chiara e serena a tutte le elucubrazioni immotivate sulle ragioni della sua rinuncia al pontificato, come se fosse stata causata dalle difficoltà incontrate a seguito di scandali o complotti», ha dichiarato il suo fidato collaboratore e portavoce, padre Federico Lombardi, oggi non a caso presidente della Fondazione Ratzinger. «Di tutto ciò ora, sollecitato dalle domande di Seewald, Benedetto in prima persona fa piazza pulita con decisione, in modo ci auguriamo definitivo, parlando del cammino di discernimento con cui è giunto davanti a Dio alla decisione e della serenità con cui, una volta presa, la ha comunicata e attuata senza alcuna incertezza e non se ne è mai pentito».
Padre Lombardi si sta riferendo, come molti già sapranno, al lascito spirituale che il Papa emerito ha affidato ad un dialogo -l’ultimo risalente al maggio 2016- con il giornalista tedesco Peter Seewald, che poi è divenuto un libro: Ultime conversazioni (Garzanti 2016), uscito nel settembre scorso. A scanso di equivoci, il giornalista fin dall’introduzione ha voluto precisare che «il testo è stato approvato e autorizzato dal papa emerito» (p. 16). Se n’è parlato a lungo negli ultimi mesi, noi arriviamo soltanto ora dopo aver raccolto le varie reazioni, positive e negative, intervenendo per fornire alcuni chiarimenti a causa di una certa disinformazione che si è, anche questa volta, venuta a creare. L’articolo è suddiviso rispetto alle tematiche affrontate da Papa Benedetto XVI nel libro.
MOTIVI DELLA RINUNCIA DI BENEDETTO XVI.
Chi ha letto il libro ha intuito l’esplicita volontà del Papa emerito di chiarire, una volta per tutte, i motivi della rinuncia al papato, respingendo i complotti emersi in questi anni. «Attacco occulto», scriveva ad esempio nel 2014 lo scrittore Antonio Socci. «Fortissime pressioni», ripeteva nel 2015, aggiungendo: «del resto se aveva subito pressioni non poteva certo dirlo in maniera esplicita visto che così avrebbe invalidato l’atto a cui era costretto. Fin dal suo insediamento Benedetto aveva affermato: “Pregate per me perché io non fugga per paura davanti ai lupi”. È lecito chiederci chi fossero i “lupi” e cosa volessero». La reazione di Ratzinger è stata decisa: «Sono tutte assurdità. Nessuno ha cercato di ricattarmi. Non l’avrei nemmeno permesso. Se avessero provato a farlo non me ne sarei andato perché non bisogna lasciare quando si è sotto pressione. E non è nemmeno vero che ero deluso o cose simili. Anzi, grazie a Dio, ero nello stato d’animo pacifico di chi ha superato la difficoltà. Lo stato d’animo in cui si può passare tranquillamente il timone a chi viene dopo» (p. 34, 35).
Il Papa emerito ci ritorna molte volte nel libro, forse consapevole di essere divenuto oggetto di strumentalizzazione: «una decisione simile non risulta facile e la si deve ponderare a lungo. Per me, tuttavia, è apparsa talmente evidente che non c’è stato un doloroso conflitto interiore […]. Era chiaro che dovevo farlo e che quello era il momento giusto» (p. 27). La decisione avvenne nell’estate 2012, dopo i faticosi viaggi in Messico e a Cuba e con in programma la Giornata mondiale della gioventù: «era chiaro che avrei dovuto dimettermi in tempo perché il nuovo papa andasse a Rio. Sapevo che non ce l’avrei fatta» (p. 28). Pentimenti? «No. No, no. Vedo ogni giorno che era la cosa giusta da fare. Era una cosa su cui avevo riflettuto a lungo, e di cui avevo anche a lungo parlato con il Signore» (p. 36). «Sono convinto», ha voluto ripetere, «che non si sia trattato di una fuga, e sicuramente non di una rinuncia dovuta a pressioni esterne, che non esistevano» (p. 45).
Si è parlato del tradimento da parte del suo aiutante di camera, Paolo Gabriele o dello scandalo Vatileaks: «No, non è assolutamente vero», ha ribadito il Papa emerito. «Al contrario, le cose erano state del tutto chiarite. Uno non può dimettersi quando le cose non sono a posto, ma può farlo solo quando tutto è tranquillo. Io ho potuto dimettermi proprio perché riguardo a quella vicenda era ritornata la serenità. Non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte» (p. 34). Lo ribadisce nuovamente, con piena consapevolezza: «Alle richieste non ci si deve piegare, naturalmente. È per questo che nel mio discorso ho sottolineato che io agivo liberamente. Non si può andar via se si tratta di una fuga. Non bisogna cedere alle pressioni. Si può andar via solo se nessuno lo pretende, e nessuno nel mio caso lo ha preteso. Nessuno. Fu una assoluta sorpresa per tutti» (p. 37).
E’ palpabile la lucidità di Benedetto XVI di smarcarsi dall’accusa di essere stato un facile burattino nelle mani di qualche potente ricattatore, non ci sta a veder calpestata la sua dignità in questo modo. Eppure, spiace dirlo, il giornalista di Libero ha commentato queste dichiarazioni riproponendo le sue tesi: le affermazioni di Ratzinger sono «assurde» e si è trattata della «fuga precipitosa» di un Papa di fronte ai lupi. Secondo Socci, ancora oggi Ratzinger non potrebbe parlare di tali pressioni ma come Pollicino avrebbe scelto di «disseminare il libro di segnali che aumentano il mistero», perché non potrebbe «rivelare come stanno veramente le cose». Sulla stessa linea anche Maurizio Blondet (giornalista tradizionalista, noto anche per alcune frasi inconcepibili sui neri e sugli ebrei), anche lui convinto che il Papa emerito abbia indecorosamente ceduto a fantomatici poteri forti (per lui le “potenze mondialiste finanziarie” e il Nuovo ordine mondiale): «L’Emerito nega di essersi dimesso sotto pressione», ha scritto. «Non ho letto il libro, ma mi aspettavo il contenuto. So, da voci interne, che Ratzinger stava subendo da mesi fortissime pressioni. Alcune voci mi hanno detto che questa ritrattazione è stata richiesta all’ex Papa con forti pressioni. Ma erano voci. Adesso invece ho la prova: la prova che Benedetto mente. Perché dichiara che non è sotto ricatto? Non è una Excusatio non petita? Per far capire che sotto ricatto effettivamente fu, ed è ancora?». Benedetto XVI mente, fa come Pollicino, le voci hanno detto…lasciamo il giudizio al lettore e al suo buon senso.
Segnaliamo anche l’intervento, decisamente più condivisibile, del vaticanista Aldo Maria Valli (celebrato recentemente da diversi tradizionalisti in quanto autore di alcune perplessità, contenute anche in un libro appena pubblicato, su dichiarazioni pubbliche di Francesco): «la sola idea che Ratzinger, il teologo Ratzinger, l’uomo che ha speso tutta la vita al servizio della Chiesa, abbia deciso, con una scelta di portata storica, di rinunciare al soglio per una questione di banche e di bancomat, mi sembra francamente inverosimile. Un papa come Ratzinger, non prende l’epocale decisione di ritirarsi solo perché il sistema bancario mondiale taglia fuori momentaneamente il Vaticano. Ratzinger, come ha sempre detto, ha rinunciato perché ha avvertito di non avere più le forze per governare adeguatamente». Valli si riferisce in particolare alla originale tesi di Blondet, secondo cui Ratzinger si sarebbe dimesso poiché «le potenze mondialiste avevano tagliato fuori la banca vaticana da SWIFT, il sistema di transizioni finanziarie globali. Difatti appena le telecamere ripresero l’elicottero con cui Benedetto XVI si ritirava a Castelgandolfo, il Vaticano fu ricollegato a SWIFT e i bancomat ripresero a funzionare». Blondet non cita alcuna fonte a sostegno di tali notizie, anche perché non c’è traccia di esse su internet (nemmeno sui motori di ricerca indipendenti, anche in lingua straniera): una cosa talmente grave non sarebbe mai passata sottotraccia. Eppure, a parte Blondet -conosciuto per l’alta sensibilità verso le cospirazioni giudaico-finanziarie- nessuno sembra essersene accorto.
CREDE DI ESSERE L’ULTIMO PAPA?
Su alcune frasi di Benedetto XVI è nata purtroppo una strumentalizzazione. A pag. 203 il giornalista Seewald ha infatti domandato al Pontefice emerito se si vede «l’ultimo papa del vecchio mondo o come il primo del nuovo?». Benedetto ha risposto: «entrambi. Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo in realtà non è ancora incominciato» . Ha quindi respinto l’idea che con Francesco la Chiesa sia ad una svolta epocale: «ora non azzarderei una simile affermazione. Tuttavia, è evidente che la Chiesa sta abbandonando sempre più le vecchie strutture tradizionali della vita europea e quindi muta aspetto e in lei vivono nuove forme. Di conseguenza la Chiesa deve trovare una nuova forma di presenza, deve cambiare il suo modo di presentarsi». A questo punto Seewald introduce la profezia di Malachia, molto amata da qualche complottista, secondo la quale il papato terminerebbe con il pontificato di Ratzinger: «e se lei fosse effettivamente l’ultimo a rappresentare la figura del papa come l’abbiamo conosciuto finora?», domanda. Risposta di Ratzinger: «Tutto può essere. Probabilmente questa profezia è nata nei circoli intorno a Filippo Neri. A quell’epoca i protestanti sostenevano che il papato fosse finito, e lui voleva solo dimostrare, con una lista lunghissima di papi, che invece non era così. Non per questo, però, si deve dedurre che finirà davvero. Piuttosto che la sua lista non era ancora abbastanza lunga!» (p. 205).
La strumentalizzazione è arrivata dal giornalista di Libero, Antonio Socci, che -dopo aver tagliato l’ultima parte della risposta di Benedetto XVI dicendo di ritenerla una «battuta di alleggerimento»-, ha fatto sostenere al Papa emerito che lui sarebbe “l’ultimo Papa”. Leggendo il testo integrale si capisce che non è chiaramente così: si sta parlando di una forma, di un modo di essere Papa «come lo abbiamo sempre conosciuto», se si ritenesse davvero “l’ultimo Papa” come Socci gli ha fatto dire, allora non potrebbe riconoscere Francesco come suo successore. Inoltre si capisce chiaramente dall’atteggiamento ironico quanto poco peso Benedetto XVI dia alla “profezia” di Malachia, spiegando che era solo un modo inventato da qualcuno vicino a Filippo Neri per convincere i protestanti che il papato sarebbe continuato a lungo. Sarebbe sciocco prenderla alla lettera, ovviamente. Eppure…
STIMA PER PAPA FRANCESCO.
Molto belle le parole che Benedetto XVI riserva al suo successore, fin dal giorno dell’elezione: «Il modo in cui ha pregato per me, il momento di raccoglimento, poi la cordialità con cui ha salutato le persone tanto che la scintilla è, per così dire, scoccata immediatamente» (p. 39). E ancora: «È certo anche un papa che riflette, uno che medita sulle questioni attuali. Che non viva nel palazzo apostolico bensì a Santa Marta, dipende dal fatto che vuole sempre essere circondato dalla gente. Direi che questo si può ottenere anche su [nel palazzo apostolico, n.d.r.], ma è una scelta che mostra un nuovo stile. Forse io non sono stato abbastanza in mezzo agli altri, effettivamente. Ognuno deve avere il proprio temperamento. Ma trovo positivo che sia così diretto con gli altri. Mi chiedo naturalmente quanto potrà andare avanti. Per stringere ogni mercoledì duecento mani o più e via dicendo ci vuole molta forza. Ma questo lasciamolo al buon Dio» (p. 42).
Sempre restando sul diverso temperamento, «ognuno ha il proprio carisma. Francesco è l’uomo della riforma pratica. È stato a lungo arcivescovo, conosce il mestiere, è stato superiore dei gesuiti e ha anche l’animo per mettere mano ad azioni di carattere organizzativo. Io sapevo che questo non è il mio punto di forza. La verità è che non potevo intraprendere nessun tipo di operazione di carattere organizzativo a lungo termine. Ma ero anche del parere che non fosse il momento di farlo […]. Quando un papa inizia il suo pontificato a settantotto anni, non dovrebbe aspirare a grandi cambiamenti in una prospettiva a lungo termine, che egli stesso non sarebbe in grado di sostenere.» (p. 172, 173, 195).
Ha anche condiviso l’intento di Francesco di decentralizzare la Chiesa: «anch’io ho sempre desiderato che le Chiese locali siano il più possibile autonome e vitali, senza bisogno di assistenza da parte di Roma» (p. 43). Sbaglia anche chi parla di “rottura” tra i due pontificati: «Naturalmente si possono fraintendere alcuni punti per poi dire che adesso le cose vanno in modo del tutto diverso. Se si prendono singoli episodi e li si isolano, si possono costruire contrapposizioni, ma ciò non accade quando si considera tutto l’insieme. Forse si pone l’accento su altri aspetti, ma non c’è alcuna contrapposizione» (p. 44). La soddisfazione per Francesco è piena, con lui «c’è una nuova freschezza in seno alla Chiesa, una nuova allegria, un nuovo carisma che si rivolge agli uomini, è già una bella cosa» (p. 44).
Anche in questo urge un chiarimento dovuto, ancora una volta, alla reazione di Antonio Socci. Non potendo accettare la stima del Papa emerito al suo successore, ha sottolineato che si tratta di «interviste realizzate nei primi mesi di pontificato di Bergoglio (luglio e dicembre 2013, e febbraio 2014)», quando anche lui stesso guardava «positivamente a papa Bergoglio». Non è proprio così: come riferito dall’intervistatore, Peter Seewald, l’ultimo colloquio con Ratzinger è avvenuto il 23 maggio 2016 (p. 8), tanto che il libro è stato pubblicato quattro mesi dopo. L’approvazione di Benedetto XVI al lavoro finito è dunque necessariamente arrivata tra maggio e settembre 2016, se avesse cambiato idea rispetto al giudizio positivo di Francesco certamente, per l’amore alla verità che ha sempre dimostrato, avrebbe apportato correzioni, smussato gli elogi o precisato le sue dichiarazioni, o comunque tolto le espressioni di stima e unità di vedute. Così non è stato. Giustamente il vaticanista Aldo Maria Valli ha scritto: «quanto al giudizio di Benedetto sulla linea Bergoglio, sono certo che Ratzinger la pensa esattamente così. Quando afferma di apprezzare l’apertura e la disponibilità di Francesco verso le persone, è del tutto sincero». E ancora: «A un certo punto, con la solita schiettezza, Benedetto non rinuncia a mettere in guardia Francesco (quando dice che se un papa riceve troppi applausi c’è qualcosa che non funziona), ma ciò non toglie che veda davvero in Bergoglio il pontefice giusto per questa fase storica della Chiesa». Facciamo comunque notare che la pesante critica mediatica riservata quotidianamente a Francesco da parte di alcuni giornalisti, lo mette al sicuro dal ricevere solo applausi e dalla giusta raccomandazione del suo predecessore.
COMUNIONE RICEVUTA SULLA MANO E MESSA TRIDENTINA.
Molti cattolici di area tradizionalista dedicano spesso articoli e interi libri a spiegare perché sarebbe un sacrilegio ed un abominio ricevere l’Eucarestia con le mani invece che con la bocca. Anche su questo il Papa emerito ha avuto qualcosa da dire: «a San Pietro abbiamo cercato di mantenere inalterata la liturgia. La comunione in bocca non è un’imposizione, io ho sempre praticato entrambe le forme. Siccome però sulla piazza ci sono così tante persone che potrebbero fraintendere, che per esempio s’infilavano l’ostia in tasca, mi sembrava che questo fosse un segnale giusto» (p. 175). Entrambi i modi di ricevere l’Eucarestia, con la bocca o con le mani, sono accettati e praticati da Ratzinger.
Per quanto riguarda invece la concessione data di poter continuare a celebrare la messa tridentina: «era importante che ciò che prima per le persone era la cosa più sacra nella Chiesa non fosse di colpo del tutto proibita», ma comunque «il rito si deve evolvere. Per questo è stata annunciata la riforma. Ma l’identità non deve spezzarsi» (p. 180). Benedetto XVI non concesse il rito antico per una nostalgia personale, anzi, il rinnovamento (non fine a se stesso, ovviamente, come qualche progressista crede) è un tema costante nella parole del Papa emerito: «Bisogna rinnovare, e io ho cercato di portare avanti la Chiesa sulla base di una interpretazione moderna della fede. Nello stesso tempo c’è bisogno di continuità, bisogna garantire che la fede non subisca strappi, non lasciare che si frantumi» (p. 209).
ALTRE RELIGIONI E SINCRETISMO?
Una delle critiche ricevute da Francesco è di essere troppo conciliante con le altre religioni, tanto da essere ritenuto da alcuni sincretista e relativista. Eppure il giornalista Seewald ricorda nel libro le innovazioni di Ratzinger durante il suo pontificato: «Dopo Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, è il secondo papa a parlare in una moschea; è il primo a partecipare a una funzione religiosa protestante. Un gesto storico unico è la visita, la prima di un capo della Chiesa, alla città in cui operò Martin Lutero. Nomina un protestante presidente della Pontificia accademia delle scienze, anche questa una novità; porta un musulmano a insegnare alla Gregoriana» (p. 12).
A domanda diretta sulle altre confessioni, il Papa emerito ha risposto: «I protestanti stanno vivendo una grave crisi, com’è risaputo. La delusione naturalmente è lecita, ma chi conosce la realtà non dovrebbe aspettarsi che un’unificazione delle Chiese nel senso autentico della parola sia realizzabile. Dovrebbe impegnarsi perché ci si ascolti a vicenda e si impari gli uni dagli altri, perché non vada perduto proprio l’essenziale, la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio; e che da qui si parta per stabilire le direttive di fondo in funzione di un’intesa in ambito pratico» (p. 182). Non ci sembra vi sia molta differenza tra la posizione di Benedetto XVI e quella del suo successore.
ALLONTANAMENTO DI ETTORE GOTTI TEDESCHI.
Nel libro si affrontano anche le vicissitudini dello IOR: «è stato fin dall’inizio un grosso punto di domanda, e ho tentato di riformarlo», ha detto Ratzinger. «È stato importante aver allontanato la precedente dirigenza. Bisognava rinnovare i vertici e mi è sembrato giusto, per molte ragioni, non mettere più un italiano alla guida della banca. Posso dire che la scelta del barone Freyberg si è rivelata un’ottima soluzione» (p. 197). E’ stata una sua idea, quest’ultima? «Si», la risposta.
Anche su queste parole c’è stata polemica. Maurizio Blondet (assieme a Riccardo Cascioli e Giuseppe Rusconi) ha usato queste parole di Ratzinger come “prova” regina del fatto che il Papa emerito stesse mentendo (o sia costretto a mentire), in quanto il suo segretario personale, monsignor George Gaenswein, ha sostenuto in passato che Ratzinger «restò sorpreso, molto sorpreso per l’atto di sfiducia» a Ettore Gotti Tedeschi, capo dello IOR. A Blondet tuttavia ha replicato il vaticanista Aldo Maria Valli, facendo giustamente notare che la risposta di mons. Gaenswein fu ben più articolata e spiegò che, seppur Benedetto XVI fosse sorpreso dalla sfiducia verso Gotti Tedeschi, non volle volontariamente intervenire in suo sostegno. Dunque non si oppose all’allontanamento. Inoltre, la domanda di Seewald se fosse stata una sua idea era relativa alla nomina di Freyberg e non alla sfiducia dell’ex capo dello Ior. «Dunque sì, Benedetto fu sorpreso, e anche dispiaciuto, per la dura decisione del board dello Ior contro Gotti Tedeschi», ha concluso Valli, «ma, per rispettare la libertà e la competenza di quell’organismo, scelse di non intervenire, e in quel modo di fatto avallò la decisione di licenziare il banchiere piacentino». Nessun mistero o enigma, neppure qui.
CONCLUSIONE
«Un teologo e un Papa che si smarca dai cliché dei sedicenti “ratzingeriani”, fino a quelli che oggi, con caratteristiche patologiche e parossistiche, lo strumentalizzano quotidianamente per screditare il suo successore Francesco», è stato il giudizio del vaticanista Andrea Tornielli.
Purtroppo non sembra essere bastato: la reazione sui siti web tradizionalisti è stata dura nei confronti della dignità di Benedetto XVI: «Il libro mi sembra scritto dalla propaganda del successore. Non so più che pensare»; «Solo degli “sprovveduti” possono pensare che quello che si legge in quel libro sia parola di Papa BXVI, è evidente che non lo è per il semplice motivo che non è assolutamente un linguaggio che usa il Pontefice. I “carcerieri” di BXVI vogliono rattoppare un buco ma hanno prodotto uno squarcio ancora più ampio»; «È un libro che esce dopo un pressing contro Benedetto proprio nei giorni del suo 65 anniversario. Libro bufala, costruito o estorto». Altri lo hanno invece direttamente insultato. Ci sembra davvero fuori luogo considerare il Papa emerito un giocattolo nelle mani di altri, così come è inspiegabile come dei cattolici possano arrivare a dipingere la loro Chiesa peggio di qualunque libro anticlericale.
Eppure, ha concluso il vaticanista Aldo Maria Valli (citato ampiamente poiché, come già detto, è il nuovo riferimento del movimento antipapista), «a mio giudizio nel libro “Ultime conversazioni” c’è un Benedetto autentico, non falso o edulcorato. Un Benedetto che parla, come ha sempre fatto, per amore della verità e della Chiesa, e non perché costretto. E che chi vuol bene davvero a Benedetto XVI non deve strumentalizzarlo».
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