Caro Obama, hai fallito: l’America è peggiore di prima

«Sono un democratico dichiarato, so che in America abbiamo le risorse per riprenderci. Mi spiace che siamo stati un esempio negativo per l’Europa e il mondo». Così si è espresso pochi giorni fa il celebre regista statunitense Martin Scorsese, rappresentante del mondo hollywoodiano che più di tutti ha sostenuto il mandato del presidente uscente Barack Obama.

Dopo otto anni di presidenza, due giorni fa ha tenuto il suo ultimo discorso, concentrandosi sui valori che dice di aver difeso: democrazia, libertà e uguaglianza. La nostra non vuole essere una approfondita disamina socio-politica, non è il nostro compito e lavoro, ma comunque mostriamo alcuni motivi e piccoli esempi per cui non siamo d’accordo con la lettura che l’ex presidente ha fatto del suo stesso mandato. Il quale é stato fallimentare sotto tanti punti di vista, tra i quali la violazione politica di molti principi morali in cui crediamo in quanto cristiani.

 

DEMOCRAZIA. Il presidente uscente si è speso molto contro il possesso di armi nel Paese americano, eppure la US Federal Election Commission ha rivelato che Obama è stato il più finanziato proprio dai costruttori di armamenti convenzionali e nucleari (carri armati, aerei da guerra, sommergibili, portaerei, radar, missili e bombe): la cifra è di 347.975 dollari, provenienti da 1.543 boss delle industrie di sistemi d’arma. Il Conflict Armament Research ha scoperto inoltre che le munizioni che lo Stato islamico ha impiegato in Siria e in Iraq provenivano proprio degli USA, l’amministrazione Obama infatti ha venduto ai Paesi del Medio Oriente, soprattutto ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, più del doppio delle armi che furono vendute all’epoca della presidenza Bush.

A livello estero la sua politica è stata pessima, accusato di aver «compromesso il futuro dell’Egitto». «Iraq, Siria, Egitto, Palestina, Libia: un fallimento tira l’altro», il commento di Umberto De Giovannangeli, esperto di Medio Oriente. Bisognerebbe aprire un lungo capitolo sulle varie guerre intraprese da Obama, alcune totalmente ingiustificate, altre giustificate con probabili menzogne (o comunque dubbia verità, si veda il caso delle armi chimiche siriane) e mosse esclusivamente da interessi politici-economici. Forse la sua colpa principale è aver sposato le primavere arabe che, se da un lato hanno destituito dittatori come Mubarak, Ben Alì e Gheddafi, dall’altro hanno portato prevedibili e disastrose conseguenze: conflitti tra le diverse fazioni e tribù, tracollo dei Paesi, ondate incontrollate di migranti verso l’Europa e regimi islamisti pressoché ovunque. Laddove regnava l’anarchia facilmente ha attecchito lo Stato Islamico. D’altra parte lui stesso ha riconosciuto come suo “peggior errore” l’attacco alla Libia. Si è alleato con chi, come in Arabia Saudita, ha soffocato nel sangue la democrazia, ignorando che, è stato osservato, «non v’è politico o studioso serio che non sappia quanto da decenni» i suoi alleati «fanno per promuovere il radicalismo islamico e il terrorismo sunnita».

Come é stato osservato «non c’è parte del mondo che stia meglio di otto anni fa». E’ significativo ad esempio che per la prima volta sia stato silurato il presidente del comitato per il Nobel per la pace che, nel 2009, aveva premiato proprio Obama. Una scelta dichiarata “imbarazzante”. Come ha sintetizzato il sociologo Giuliano Guzzo, Obama ha «bombardato la Libia, supportato in giro per il mondo “ribelli buoni” poi rivelatisi tagliagole, autorizzato 541 attacchi di droni contro presunti obiettivi terroristici (10 volte di più di quanto fece Bush) e, dulcis in fundo, concluso il mandato alzando la tensione con la potenza russa».

Un altro ente che lo ha ben finanziato (con 1.400.000 dollari) è stata Planned Parenthood, la più grande catena di cliniche abortiste degli USA. Questo spiega perché si è sempre opposto a sottoporre a giudizio tale ente: anche di fronte a prove schiaccianti le ha messe pubblicamente in dubbio, riaffermando la sua personale vicinanza e stima per l’ente abortista. Eppure, proprio in questi giorni -in cui è venuto meno il suo peso politico- il Congresso si sta finalmente accingendo a emettere diversi procedimenti penali per i crimini commessi su migliaia di bambini. E, come molti prevedono, verranno cancellati tutti i finanziamenti statali.

E’ stato infine fatto notare che il numero di procedimenti contro le frodi finanziarie è ai minimi da 20 anni sotto Obama, meno processi ora che sotto Bush; le diseguaglianze di reddito sono peggiori sotto Obama che sotto Bush; il programma di aiuti per le abitazioni promosso dal governo è stato un fallimento; i redditi si sono abbassati di più durante la ripresa obamiana (la recessione è finita nel giugno 2009) che durante la recessione. Un flop anche la politica interna, quindi.

 

LIBERTA’. La sua riforma sanitaria, Obamacare, è forse il miglior esempio di quanto poco abbia rispettato la libertà altrui.  Essa impone ai lavoratori del settore sanitario a fornire servizi che provocano l’aborto, vietando l’obiezione di coscienza. Costringe inoltre le istituzioni, qualunque esse siano, cristiane e religiose comprese, a distribuire e fornire contraccettivi gratuiti ai dipendenti. Questa riforma è stata possibile in quanto Obama ha raccomandato di introdurre al potere soltanto persone con un pensiero etico di stampo iper-progressista, «assumendo praticamente solo chi proviene da questo mondo. Così è passato anche il mandato del dipartimento della salute sull’obbligo di tutti gli istituti a pagare per la contraccezione e l’aborto dei propri dipendenti». Non è un caso se subito dopo l’Obamacare la sua popolarità è crollata al minimo storico.

Sempre a proposito di “libertà”, si è scoperto che sotto l’amministrazione Obama sono stati raccolti indiscriminatamente e in massa i tabulati delle comunicazioni di milioni di americani, indipendentemente dal fatto che essi fossero sospettati di qualche illecito. Si è giustificato con la lotta al terrorismo, ma di fatto ha raddoppiato l’invasione della privacy a danno cittadini rispetto al suo predecessore George Bush.

Di fede cristiana (spiritualmente islamico, come molti ritengono), ha coltivato a livello individuale la sua fede, mentre pubblicamente ha fatto ben poco per i cristiani discriminati, anzi. Un esempio su tutti: nel 2010 ha elogiato il regime indonesiano definendolo «un modello» e «la più grande democrazia in una nazione a maggioranza islamica», evitando di citare le lunga scia di attentati contro la popolazione cristiana tra il 2002 al 2005. Nel 2008 l’Indonesia è stata tra i Paesi che più hanno violato i diritti umani e, proprio mentre l’ex presidente era in visita le autorità avevano vietato le celebrazioni natalizie ai cristiani e il governo aveva appena ammesso le torture dell’esercito verso gli abitanti di Papua. Il suo piano educativo “Common Core”, infine, è stato pesantemente criticato da oltre 130 docenti universitari in quanto lesivo dell’educazione cattolica.

 

UGUAGLIANZA. Si è scoperto nel 2012 che, dopo quattro anni di amministrazione Obama, il tasso di razzismo statunitense era maggiore del 2008 (il 56% dei cittadini aveva atteggiamenti razzisti rispetto al 49% di quattro anni prima). La questione razziale infatti non è mai stata così esplosiva in America come sotto al mandato Obama, ed è paradossale se si pensa che questo avviene dopo otto anni con un afroamericano alla Casa Bianca. In particolare, esprime sentimenti razzisti il 64% dei repubblicani e il 55% dei democratici. Dopo l’elezione di Donald Trump molti si sono giustamente preoccupati per la sua politica d’immigrazione, forse però scordandosi che Obama ha espulso oltre due 2,5 milioni di immigrati. Cifra che va ben oltre quella del suo predecessore repubblicano.

E’ stato osservato nel 2014 che la disuguaglianza negli Stati Uniti era vicina ai suoi massimi storici poiché le politiche di Obama hanno eroso drasticamente la classe media. Inoltre, c’è chi ha notato che l’aumento della povertà (che colpisce un cittadino americano su sette), e la sempre più grande disparità nella distribuzione del reddito, in un Paese che in queste classifiche è storicamente lontano anni luce dagli standard occidentali, «gettano più di un’ombra sull’operato di un presidente che era stato presentato come il paladino dei ceti più poveri della popolazione. Cioè di una fetta rilevante del suo elettorato». A proposito di uguaglianza, Marco Respinti ha fatto notare che lui stesso ha ammesso di «lasciare un mondo più povero e insicuro caratterizzato da “scontento diffuso”, “scetticismo verso le istituzioni internazionali”, “produttività in calo”, insofferenza verso immigrati e musulmani».

L’amministrazione Obama ha reso infine molto “più uguali” alcuni rispetto ad altri. Ha trasformato gli USA in una potente lobby arcobaleno anche perché la sua campagna elettorale è stata lautamente finanziata dalla comunità Lgbt (uno dei suoi amici e sostenitori, l’attivista Lgbt Terrence Bean, è stato incriminato per abusi sessuali su minori: la notizia è apparsa sottotraccia in America). L’amministrazione Obama ha fatto indebite pressioni verso altri Stati (come Giamaica e Kenia), offrendo loro aiuti in cambio di una politica favorevole alle unioni gay, ha preferito far celebrare il Transgender Day of Remembrance piuttosto che la Giornata mondiale dell’infanzia, probabilmente perché lui stesso è stato accudito da piccolo da un trans. Ha portato al potere omosessuali e militanti Lgbt, come rivelato da Wally Brewster, ambasciatore gay nella Repubblica Dominicana. Il 2013 è stato celebrato come “l’anno più gay della storia gay”, riconoscendo centrale l’apporto del presidente Barack Obama che ha di fatto imposto tramite suoi giudici la legalizzazione del matrimonio Lgbt. Questo ha portato e sta portando numerose violazioni alla libertà di coscienza degli americani: l’incarcerazione dell’impiegata comunale Kim Davies è forse il caso più famoso. Significativo che l’89% degli americani oggi ritenga una priorità la tutela della libertà religiosa (il 65% anche quando essa è in conflitto con le leggi dello Stato) e l’80% ritiene “priorità immediata” nominare giudici della Corte Suprema che interpretino correttamente la Costituzione.

 

Dalla politica interna a quella estera, l’operato di otto anni di Barack Obama alla Casa Bianca è stato a quanto pare a dir poco fallimentare. I sondaggi degli ultimi tempi sono stati terribili: quando si è iniziato a pensare alla scadenza del suo mandato ci si è accorti che la sua popolarità era al 44%, il 40% era contro la sua politica economica e il 65% degli elettori voleva che il suo successore portasse il paese in una direzione diversa (dopo l’elezione di Trump si è generata una forma di allarmante paura e i sondaggi nei suoi confronti sono migliorati). Riteniamo anche ridicola la sua uscita di scena, facendo di tutto per disturbare il successore e vendicandosi puerilmente con Vladimir Putin: scontro nel quale, certamente, quest’ultimo ne è uscito di gran lunga meglio. D’altra parte la disastrosa sconfitta della “sua” Hillary Clinton contro l’oggettivamente controverso Donald Trump ha segnato in modo definitivo quanto l’agenda Obama sia stata disastrosa. Precisazione d’obbligo: se si può dire che è stata una benedizione la sconfitta della Clinton, dalle premesse non si può dire lo stesso della vittoria di Trump. Staremo a vedere: i politici si giudicano dalla politica, non dal gossip.

«Insomma, caro Barack, grazie di tutto. Della simpatia, delle battute nei talk show, delle gag coi giornalisti, delle playlist da hipster, del sorriso da attore, dei discorsi da pelle d’oca. Hai reso le nostre bacheche su Facebook un posto migliore. Ora levati, però. Che di danni, là fuori, nel mondo reale, ne hai combinati abbastanza», è il commento più azzeccato. A nostro avviso il primo presidente nero degli Stati Uniti ha brillato per sovraesposizione mediatica e inconsistenza etico-politica. Yes, we can! é stato il suo cavallo di battaglia per conquistare l’America otto anni fa. Si, ha potuto renderla peggiore di prima.

La redazione

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Il nostro elenco dei libri più interessanti (giugno – dicembre 2016)

Oltre all’informazione-formazione quotidiana, obiettivo primario di questo sito web, un ottimo supporto ad una religiosità seriamente impegnata, che permetta alla fede di prendere il sopravvento sul dubbio, è la lettura di validi libri.

Occorre una cultura personale per poter oggi rendere ancor meglio ragione delle proprie posizioni. Per questo periodicamente abbiamo preso l’impegno di segnalare quelle che riteniamo essere le migliori novità editoriali, che integrano la nostra biblioteca virtuale. Qui sotto le migliori pubblicazioni uscite tra giugno e dicembre 2016.

 

False testimonianze – Come smascherare alcuni secoli di storia anticattolica di Rodney Stark (Lindau 2016)
Certamente tra i migliori libri dell’anno, il celebre sociologo americano, avvalendosi di una sterminata bibliografia, sfata uno a uno i miti anticattolici prodotti dal pensiero protestante e illuminista.

Filosofia, religione, politica in Einstein di Francesco Agnoli (Edizioni Studio Domenicano 2016)
Il bellissimo libro di Agnoli, che abbiamo avuto l’onore di leggere in anteprima, rivela un profilo completamente inedito del più importante fisico della storia, le cui convinzioni filosofiche e religiose sono spesso terreno di scontro. Attraverso sue citazioni e dichiarazioni dei suoi biografi, l’autore mostra un ritorno alla fede biblica -e l’abbandono di Spinoza- di Einstein nell’ultima parte della sua vita. Qui una nostra approfondita recensione del consigliatissimo volume.

La Chiesa e gli schiavi – Testimonianze e documenti dalla Bibbia ai giorni nostri di Roberto Reggi (Edizioni Dehoniane Bologna 2016)
L’autore, collaboratore di questo sito web, ha mostrato tramite un oggettivo esame delle fonti – dall’Antico Testamento al Catechismo del 1994- come la Chiesa si è approcciata alla schiavitù.

Ci alzeremo in piedi – L’Italia dall’aborto alle unioni civili di Olimpia Tarzia (Lateran University Press 2016)
L’instancabile attivista, politica e docente cattolica Olimpia Tarzia si racconta ed espone il suo coraggioso ed appassionante pensiero, certamente controcorrente.

Martin Lutero – Il grande rivoluzionario di Angela Pellicciari (Cantagalli 2016).
A partire dai documenti, analizzando da vicino gli scritti di Lutero, sopratutto i meno conosciuti, la storica e insegnante Pellicciari porta a galla una verità scomoda e non raccontata dalla storiografia ufficiale, mettendo in risalto le incongruenze e gli aspetti meno conosciuti del pensiero di Lutero e della Riforma.

Il mondo letterario del Medioevo di Brinker Von Der Heyde Claudia (Jaca Book 2016)
Il vicepresidente dell’Università di Kassel, Brinker-von der Heyde, dimostra che solo a partire dal Medioevo si formò una vera e propria cultura del libro e i numerosi esempi di letteratura medioevale analizzati permettono di scoprire e apprezzare la cultura creata nel Medioevo.

Ragioni della scienza, ragioni della carità di Giovanni Doria e M. Chiara Malaguti (Libreria Editrice Vaticana 2016)
Un’opera poderosa (528 pagine) contenente scritti e riflessioni di diversi docenti universitari sul tema del rapporto tra scienza e fede.

LegGender metropolitane, di Renzo Puccetti (Edizioni Studio Domenicano 2016)
Sempre più competente nel ruolo di divulgatore scientifico, Puccetti affronta domande e risposte nell’ambito dell’omosessualità e del gender. Un ottimo manuale da tenere a portata di mano.

Benedetto & Francesco – Successori di Pietro al servizio della Chiesa del card. Gerhard L. Müller (Ares 2016)
Prendendo le distanze dai gruppi anti-bergoglio che lo proclamano a gran voce, il ratzingeriano card. Müller sceglie di tratteggiare la continuità tra Francesco e il suo predecessore, valorizzando le originalità di ognuno come preziosi strumenti al servizio della Chiesa.

Psicologia e cattolicesimo di Rudolf Allers (D’Ettoris 2016)
Il celebre psichiatra austriaco cattolico Allers è stato definitivo “l’anti-Freud”, proponendo la visione dell’uomo come un “intero”, una interrelazione di parti non separabili l’una dalle altre e strettamente interconnesse tra loro. Questo volume, edito nel 1932, è il suo lavoro più importante.

Scegliere un film 2016 di Armando Fumagalli e Raffaele Chiarulli (San Paolo 2016)
Un libro originale, una guida schematica che abbiamo trovato molto utile e che certamente sarà apprezzata dagli appassionati di cinema. I consigli degli autori sono validi ed elencano, commentandoli, i film più interessanti -da un punto di vista cristiano- usciti durante il 2016.

Un cristiano davanti alle grandi religioni di Varillon François (Jaca Book 2016)
Il gesuita francese, autore del libro, non punta ad un’introduzione delle varie religioni ma valuta l’arricchimento che da esse deriva e, simultaneamente, la presa di coscienza di ciò che costituisce l’originalità e l’irriducibilità del mistero cristiano.

Si vive solo per morire? di Mauro Giuseppe Lepori (Cantagalli 2016)
L’autore, abate Generale dell’Ordine Cistercense, propone una bella riflessione sul senso della vita e, quindi, su quello della morte, legando il significato all’esperienza dell’incontro cristiano, l’unico capace di soddisfare realmente le attese del cuore umano, placando la sua naturale inquietudine.

La redazione

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Il dramma dell’uomo: senza Dio, si affida all’effimera speranza degli idoli

Gli idoli del mondo deludono semprePubblichiamo la bella riflessione che ieri il Papa ha pronunciato durante l’Udienza del mercoledì. Una significativa critica al modernismo e una politicamente scorretta presa di posizione contro gli idoli della società secolarizzata.

 

di Papa Francesco*
*dall’Udienza generale dell’11/01/17

 

Sperare è un bisogno primario dell’uomo: sperare nel futuro, credere nella vita, il cosiddetto “pensare positivo”. Ma è importante che tale speranza sia riposta in ciò che veramente può aiutare a vivere e a dare senso alla nostra esistenza. È per questo che la Sacra Scrittura ci mette in guardia contro le false speranze che il mondo ci presenta, smascherando la loro inutilità e mostrandone l’insensatezza. E lo fa in vari modi, ma soprattutto denunciando la falsità degli idoli in cui l’uomo è continuamente tentato di riporre la sua fiducia, facendone l’oggetto della sua speranza.

In particolare i profeti e sapienti insistono su questo, toccando un punto nevralgico del cammino di fede del credente. Perché fede è fidarsi di Dio – chi ha fede, si fida di Dio –, ma viene il momento in cui, scontrandosi con le difficoltà della vita, l’uomo sperimenta la fragilità di quella fiducia e sente il bisogno di certezze diverse, di sicurezze tangibili, concrete. Io mi affido a Dio, ma la situazione è un po’ brutta e io ho bisogno di una certezza un po’ più concreta. E lì è il pericolo! E allora siamo tentati di cercare consolazioni anche effimere, che sembrano riempire il vuoto della solitudine e lenire la fatica del credere. E pensiamo di poterle trovare nella sicurezza che può dare il denaro, nelle alleanze con i potenti, nella mondanità, nelle false ideologie. A volte le cerchiamo in un dio che possa piegarsi alle nostre richieste e magicamente intervenire per cambiare la realtà e renderla come noi la vogliamo; un idolo, appunto, che in quanto tale non può fare nulla, impotente e menzognero. Ma a noi piacciono gli idoli, ci piacciono tanto!

Una volta, a Buenos Aires, dovevo andare da una chiesa ad un’altra, mille metri, più o meno. E l’ho fatto, camminando. E c’è un parco in mezzo, e nel parco c’erano piccoli tavolini, ma tanti, tanti, dove erano seduti i veggenti. Era pieno di gente, che faceva anche la coda. Tu, gli davi la mano e lui incominciava, ma, il discorso era sempre lo stesso: c’è una donna nella tua vita, c’è un’ombra che viene, ma tutto andrà bene … E poi, pagavi. E questo ti dà sicurezza? E’ la sicurezza di una – permettetemi la parola – di una stupidaggine. Andare dal veggente o dalla veggente che leggono le carte: questo è un idolo! Questo è l’idolo, e quando noi vi siamo tanto attaccati: compriamo false speranze. Mentre di quella che è la speranza della gratuità, che ci ha portato Gesù Cristo, gratuitamente dando la vita per noi, di quella a volte non ci fidiamo tanto.

Un Salmo pieno di sapienza ci dipinge in modo molto suggestivo la falsità di questi idoli che il mondo offre alla nostra speranza e a cui gli uomini di ogni tempo sono tentati di affidarsi. È il salmo 115, che così recita: «I loro idoli sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Le loro mani non palpano, i loro piedi non camminano; dalla loro gola non escono suoni! Diventi come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida!» (vv. 4-8). Il salmista ci presenta, in modo anche un po’ ironico, la realtà assolutamente effimera di questi idoli. E dobbiamo capire che non si tratta solo di raffigurazioni fatte di metallo o di altro materiale, ma anche di quelle costruite con la nostra mente, quando ci fidiamo di realtà limitate che trasformiamo in assolute, o quando riduciamo Dio ai nostri schemi e alle nostre idee di divinità; un dio che ci assomiglia, comprensibile, prevedibile, proprio come gli idoli di cui parla il Salmo.

L’uomo, immagine di Dio, si fabbrica un dio a sua propria immagine, ed è anche un’immagine mal riuscita: non sente, non agisce, e soprattutto non può parlare. Ma, noi siamo più contenti di andare dagli idoli che andare dal Signore. Siamo tante volte più contenti dell’effimera speranza che ti dà questo falso idolo, che la grande speranza sicura che ci dà il Signore. Alla speranza in un Signore della vita che con la sua Parola ha creato il mondo e conduce le nostre esistenze, si contrappone la fiducia in simulacri muti.

Le ideologie con la loro pretesa di assoluto, le ricchezze – e questo è un grande idolo – , il potere e il successo, la vanità, con la loro illusione di eternità e di onnipotenza, valori come la bellezza fisica e la salute, quando diventano idoli a cui sacrificare ogni cosa, sono tutte realtà che confondono la mente e il cuore, e invece di favorire la vita conducono alla morte. E’ brutto sentire e fa dolore all’anima quello che una volta, anni fa, ho sentito, nella diocesi di Buenos Aires : una donna brava, molto bella, si vantava della bellezza, commentava, come se fosse naturale: “Eh sì, ho dovuto abortire perché la mia figura è molto importante”. Questi sono gli idoli, e ti portano sulla strada sbagliata e non ti danno felicità.

Il messaggio del Salmo è molto chiaro: se si ripone la speranza negli idoli, si diventa come loro: immagini vuote con mani che non toccano, piedi che non camminano, bocche che non possono parlare. Non si ha più nulla da dire, si diventa incapaci di aiutare, cambiare le cose, incapaci di sorridere, di donarsi, incapaci di amare. E anche noi, uomini di Chiesa, corriamo questo rischio quando ci “mondanizziamo”. Bisogna rimanere nel mondo ma difendersi dalle illusioni del mondo, che sono questi idoli che ho menzionato. Come prosegue il Salmo, bisogna confidare e sperare in Dio, e Dio donerà benedizione: «Israele, confida nel Signore […] Casa di Aronne, confida nel Signore […] Voi che temete il Signore, confidate nel Signore […] Il Signore si ricorda di noi, ci benedice» (vv. 9.10.11.12). Sempre il Signore si ricorda. Anche nei momenti brutti lui si ricorda di noi. E questa è la nostra speranza. E la speranza non delude. Mai. Mai. Gli idoli deludono sempre: sono fantasie, non sono realtà.

Ecco la stupenda realtà della speranza: confidando nel Signore si diventa come Lui, il Dio vivo e vero, che per noi è nato da Maria, è morto sulla croce ed è risorto nella gloria. E in questo Dio noi abbiamo speranza, e questo Dio – che non è un idolo – non delude mai.

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Il ginecologo abortista ammette la crisi: «ho la nausea, vorrei diventare obiettore»

obiezione di coscienza e abortoOgni tanto compaiono articoli che lasciano letteralmente scioccati. Quello del Corriere della Sera del novembre scorso è uno di questi, si tratta dell’intervista al dott. Massimo Segato, vice primario di Ginecologia all’ospedale di Valdagno (Vi).

L’oggetto delle domande è l’aborto e l’obiezione di coscienza, ma sono le parole del ginecologo abortista a lasciare esterrefatti. Da radicale, socialista e ateo (ma rispettoso), il dott. Segato inizia con il ricordo di un’interruzione di gravidanza non riuscita: «Avevo aspirato qualcosa che non era l’embrione, avevo sbagliato. Una mattina ritrovai quella donna, aveva appena partorito. Mi fermò e mi disse: si ricorda di me dottore? Lo vede questo? Questo è il suo errore». «La madre sorrideva», ricorda il ginecologo, che al tempo procurava 300 aborti all’anno. «Fu lì che ho avuto la mia prima crisi di coscienza». E ripete: «L’errore più bello della mia vita. Il bambino cresceva intelligente e vivace. Un giorno la signora arrivò anche a ringraziarmi del mio errore. Cioè, ringraziò il Cielo. Quando nacque invece voleva denunciarmi».

E’ il destino di tutte le madri, nessuna si è mai pentita di aver deciso di portare a termine la gravidanza e non uccidere la vita nel suo grembo. Quel giorno ha segnato la vita del ginecologo abortista: «Ogni volta che uscivo dalla sala operatoria avevo un senso di nausea. Cominciavo a chiedermi se stavo facendo davvero la cosa giusta. Quanti bambini mai nati potevano essere come quel piccolo? Ma mi rispondevo che sì, che era giusto. Lo era per quelle donne». E’ il problema delle leggi che legittimano l’aborto: una vita umana vale meno del (presunto) diritto della donna a non voler portare avanti la gravidanza (diritto inesistente, come affermato dal giurista Vladimiro Zagrebelsky).

«Continuavo solo per impegno civile, per coerenza», afferma nell’intervista. «Qualcuno doveva fare il lavoro sporco e io ero uno di quelli e lo sono ancora. É come per un soldato andare in guerra. Se lo Stato decide che si deve partire ci dev’essere chi parte». Se lo Stato decide, bisogna obbedire. Parole terribili. Oggi il dott. Segato non opera quasi più aborti, «se posso evito e sono contento. Lo so, dovrei diventare anch’io obiettore ma non lo faccio per non avvilirmi rispetto alla decisione iniziale. La verità è che più vado avanti con gli anni e più sto male e intervengo così solo per emergenze. Se succede però non sono sereno. Come non lo sono le mamme che in tanti anni sono passate dal mio reparto. Non ne ho mai vista una felice del suo aborto. Anzi, molte sono divorate per sempre dal senso di colpa. Quando le ritrovo mi dicono “dottore, ho sempre quella cicatrice, me la porterò nella tomba”. Poi pensi e ripensi e ti dici che per molte di loro sarebbe stato peggio non farlo e vai avanti così, autoassolvendoti». Un’assoluzione illusoria, però, perché sopprimere una vita umana per soddisfare un desiderio a non avere un bambino è un crimine morale, e lo dimostra proprio il profondo disagio di questo ginecologo.

Le parole e l’onestà del medico vicentino sono quasi commoventi per chi si batte per i diritti dei bambini non ancora nati. Ci sentiamo di ringraziarlo, così come un ringraziamento va al giornalista Andrea Pasqualetto che lo ha intervistato. Le sue parole ricordano molto quelle di una sua collega, anche lei abortista, Alessandra Kustermann, ginecologa e primario di ostetricia e ginecologia della Mangiagalli di Milano: «So benissimo che sto sopprimendo una vita. E non un feto, bensì un futuro bambino», ha ammesso nel 2011. «Ogni volta provo un rammarico e un disagio indicibili».

Rammarico, disagio, disgusto, nausea…queste le sensazioni sperimentate dai medici abortisti quando interrompono una vita umana. Questa è l’unica risposta a chi domanda, maliziosamente, il perché quasi l’80% dei ginecologi ha deciso di non praticare più l’aborto, sospettando chissà quale guadagno economico o ipocrisia nascosta. No, è pura consapevolezza: «che sto sopprimendo una vita. E non un feto, bensì un futuro bambino», secondo le parole della ginecologa Kustermann. Vanno avanti, tuttavia, convinti di fare il bene di qualcuno anche se -ha ammesso il dott. Segato-, «non ne ho mai vista una felice del suo aborto. Anzi, molte donne sono divorate per sempre dal senso di colpa».

La redazione

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Il sociologo Bauman: «la truffa del comunismo, figlio del secolo dei Lumi»

Il comunismo e il pensiero di Bauman, morto il 9 gennaio 2017E’ scomparso due giorni fa, all’età di 91 anni Zygmunt Bauman. Celebre sociologo e filosofo, famosa la sua spiegazione di postmodernità attraverso la metafora della modernità liquida, consumistica e, in fondo, disumana.

Polacco di origine ebraica, è stato prima comunista e poi anticomunista, perseguitato dai nazisti ed espulso nel 1968 dal suo paese. La sua critica alla società e l’attenzione agli invisibili di essa, agli “scartati”, ha trovato legami con il pensiero di Papa Francesco, negli ultimi anni non mancava occasione per il sociologo –«un non credente pensante», come lo definì il card. Carlo Maria Martini- per citare i richiami del Papa alla creazione di legami forti, pacifici tra gli uomini: vero antidoto all’individualismo estremo. In questi giorni c’è chi lo celebra e chi lo critica, noi vorremmo ricordarlo valorizzando ciò che abbiamo trovato di significativo.

Ovvero la sua lettura dell’ideologia comunista non come follia momentanea apparsa improvvisamente nella storia, ma il prodotto di un lungo processo che ha avuto la sua origine tra il 1700 e il 1800. «Il comunismo non è nato per miracolo né è caduto dal cielo, non è un prodotto dell’inferno», disse in una intervista del 2015. «Segna invece una continuità con la storia. Il comunismo non è un’utopia romantica, ma è figlio del secolo dei Lumi, di Voltaire e Diderot». Un’origine occidentale, quindi, così come ritiene il filosofo italiano Emanuele Severino: «la rivoluzione sovietica è essenzialmente occidentale. Senza il marxismo non ci sarebbe stato Lenin, e il marxismo sarebbe stato impossibile senza l’idealismo tedesco e Hegel».

Bauman vedeva il comunismo anche come una sorta di religione laica, «ha qualcosa di messianico. Trotzky si considerava forse come un messia degli ebrei, forse come una specie di Cristo, forse pensava al secondo Avvento». In questo vediamo riflessa l’opinione del filosofo cattolico Jacques Maritain, secondo il quale il comunismo «è una religione, e delle più imperiose e sicura d’essere chiamata a sostituire tutte le altre religioni; una religione atea della quale il materialismo dialettico costituisce la dogmatica» (J. Maritain, in G. Dare, Umanesimo integrale, Bologna 1962, p. 90).

Tornando alla visione del sociologo polacco: «Il comunismo è una tecnica di conquista del potere», ha proseguito, «tecnica golpista, tecnica che permette di ignorare i risultati delle elezioni, e che tende alla totale manipolazione delle coscienze e del linguaggi. Camus disse che la particolarità del Novecento stava nel fatto di causare il Male in nome del Bene». Certo, nel 2014 disse di essere rimasto socialista (lui voleva rivedere il marxismo, non rimetterlo in discussione), aggiungendo: «i nazisti erano chiari: essi volevano infliggere il male e lo hanno fatto. Non c’è spazio per il dubbio. Il comunismo è stato invece una grande truffa, ci ha deluso. Ha portato delusione e dissenso. La libertà? Niente. E la fraternità? Ancora meno! Questo è stata la sua grande contraddizione». Lo disse anche il teologo Joseph Ratzinger nel suo Introduzione al cristianesimo: «la “dottrina di salvezza” marxista era nata come unica visione del mondo scientifica corredata di motivazione etica e adatta ad accompagnare l’umanità al futuro. La discussione sugli orrori del gulag sovietici è stata contenuta e la voce di Solženicyn inascoltata: ad imporre il silenzio una sorta di pudore. Ma è rimasto il disinganno, accanto ad una profonda confusione. Nessuno crede più alle grandi promesse morali. Il marxismo auspicava giustizia per tutti, l’avvento della pace e via dicendo. Per questi nobili scopi si pensò di dover rinunciare ai principi etici e di poter utilizzare il terrore come strumento del bene» (J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana 2007, p. 7,8).

Per il filosofo francese Philippe Nemo, il comunismo è una di quelle dottrine che pretesero «spiegare il mondo e l’uomo molto meglio di quanto non avesse fatto il discorso religioso». Anche lui, come il polacco Bauman, individua un’origine occidentale di esso, in particolare nell’idealismo hegeliano, che ebbe «il fine esplicito di “superare” la religione e fondare un sapere speculativo in Assoluto, basato solo sulla sua riflessione». Anch’egli descrive il “messianismo” dell’ideologia comunista -come rilevato anche dallo stesso Bauman-, che pretese «di sostituire il cristianesimo non nelle sue idee, nelle sue tesi e nei suoi riti, ma nella sua stessa opera salvifica, trasformando il mondo, l’uomo e la società tanto da creare un nuovo Paradiso sulla terra», tentando infatti di sradicare il cristianesimo ogni qual volta divenne ideologia di Stato. Anche Nemo, come Bauman, ha infine constatato che «il XX secolo è stato testimone del trionfo, e poi del fallimento, delle esperienze totalitarie ispirate alle dottrine millenariste. L’umanità intera ha potuto vedere come due movimenti accanitamente anti-cristiani, cioè il fascismo e il comunismo nelle loro diverse forme, non abbiano portato sulla Terra il paradiso, ma l’inferno» (P. Nemo, La bella morte dell’ateismo moderno, Rubbettino 2016, p. 21).

In questi giorni tanti nostalgici comunisti -basti vedere certi articoli su Il Manifesto!- stanno celebrando Bauman. Se sapessero quanto ha aiutato a maturare una riflessione finalmente oggettiva e distaccata sul marxismo comunista, per lo meno a ciò che è diventato nelle società real-socialiste.

La redazione

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North Carolina, l’House Bill 2 resta e il trans seguirà la sua vera natura

«Nessuna pressione economica, politica o ideologica potrà mai convincermi che ciò che è sbagliato è giusto. Sarà sempre sbagliato che gli uomini abbiano accesso alle docce e ai bagni delle donne, indipendentemente da come si travestono». Con queste parole il vice-governatore del North Carolina, Dan Forest, ha salutato vittorioso la resistenza dell’House Bill 2.

Parliamo della ormai famosa legge (di cui ci siamo già occupati) che impone ad ogni uomo e ogni donna di accedere alla toilette pubblica corrispondente al proprio sesso biologico, secondo il certificato di nascita. Esattamente ciò che avviene in tutti i Paesi civili, moderni e di buon senso, compreso il nostro.

Ma per le associazioni omosessuali e per l’ex presidente, Barack Obama, si tratterrebbe di una violazione dei diritti delle persone transgender che dovrebbero poter frequentare liberamente il bagno e lo spogliatoio pubblico (compresi quelli dei minorenni) che più ritengono corrispondente a “quel che si sentono essere”. Tutte le più grandi multinazionali (tra cui Google, Apple, PayPal, Deutsche Bank e Facebook) e numerosi volti noti (Bruce Springsteen, Cirque du Soleil, Pearl Jam e Ringo Starr) hanno fatto quadrato per ottenerne l’abrogazione: la perdita economica è stata molto elevata e le pressioni elevatissime. Ma l’ultimo tentativo è fallito poco prima di Natale, anche grazie all’enorme impegno dei locali attivisti per la famiglia naturale che hanno saputo coinvolgere la popolazione, portandola per le strade con lo slogan: “Keep woman safe”, “Keep kids safe” (“mantieni donne e bambini al sicuro”).

La cattiva notizia è che certamente l’assalto Lgbt al buon senso riprenderà a breve, ma le buone notizie sono ben tre. La prima è che il neo-presidente (qualunque opinione si abbia di lui), Donald Trump, si è schierato a favore dell’HB2 («sto con il North Carolina!», ha detto), la seconda è che un giudice federale di Dallas si è pronunciato contro il mandato dell’amministrazione Obama che non riconosce l’obiezione di coscienza agli operatori sanitari su interventi di cambio sesso (manifestando che le tematiche transgender sono pubblicamente ed eticamente sensibili, giustificando così la necessità di una legislazione prudente com’è quella del North Carolina). La terza è che altri Stati si stanno nel frattempo dotando di una legge simile a quella del North Carolina: in Virginia, ad esempio, dove il disegno di legge è stato introdotto in questi giorni e in Texas, in cui sta per essere varata una normativa per proteggere le donne nei bagni e spogliatoi pubblici, la cosiddetta Women’s Privacy Act, consentendo a sua volta l’accesso ai bagni in base al sesso alla nascita e non al presunto genere a cui qualcuno si convince, a causa di evidenti disturbi, di appartenere. Diverse donne, infatti, sono state abusate nei bagni dai transgender e, ironia della sorte, anche il più acceso contestatore dell’House Bill 2, Chad Sevearance-Turner, ha dovuto dimettersi dopo essersi dimostrato un molestatore sessuale.

La redazione

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«E’ più ragionevole credere in Dio, anche senza dimostrazione matematica»

Nel giugno 2016 abbiamo pubblicato l’invito alla lettura del libro Dio e l’ipercubo. Itinerario matematico del cristianesimo (Effatà Editrice 2016) che l’autore, Francesco Malaspina, docente di Geometria algebrica presso il Politecnico di Torino, ha voluto gentilmente inviarci. In questo secondo contributo, il matematico ha voluto precisare meglio le intenzioni del suo libro, rispondendo a possibili obiezioni da parte di ipotetici lettori credenti e non credenti.

 

di Francesco Malaspina*
*docente di Geometria algebrica presso il Politecnico di Torino

 

Può lasciare perplessi paragonare il credere e il non credere in Cristo a due assiomi, mettendoli sullo stesso piano. Nel mio precedente articolo su questo sito web e nell’introduzione del mio libro trovate infatti scritto: «Ad ogni modo, anche la via della non esistenza di Dio è percorribile senza inciampo né contraddizione e ha una sua logica. Si tratta insomma di due assiomi, evidentemente in contrasto tra loro, ma entrambi plausibili. Esattamente come accade con il quinto postulato di Euclide che non è deducibile dagli altri quattro; tuttavia si possono costruire teorie matematiche valide sia considerandolo (geometria euclidea) sia non considerandolo (geometria non euclidea)».

Non voglio dire che non si possa ragionare su quale dei due assiomi sia più convincente o che non valga la pena farlo. Dal punto di vista squisitamente matematico però non si hanno gli strumenti per argomentare davvero. La matematica ha dei limiti, ci sono proprio enunciati che non si possono né dimostrare né confutare. Questo suo limite ce la rende meno fredda e più simpatica. Si tratta di una signora appassionata che quando parla è inattaccabile ma su alcuni argomenti è costretta a tacere.

D’altra parte, crediamo in un Dio che ci lascia davvero liberi e non ci costringe a credere in Lui con una dimostrazione incontestabile. Non solo non si può usare la matematica per dimostrare che Cristo è risorto, ma è bello che sia così! A tal proposito si può vedere il libro di Antonio Ambrosetti, La matematica e l’esistenza di Dio (Lindau, 2009). In quanto matematico mi chiamo dunque fuori da un discorso apologetico pur riconoscendone l’importanza. Personalmente penso che sia non soltanto più bello ma anche più ragionevole crederema non voglio farlo dire alla matematica. Proprio perché la amo profondamente non voglio strumentalizzarla.

Il fatto che sia possibile conciliare matematica e cristianesimo è evidenziato dalla lunga lista dei matematici credenti, tra i quali Gauss e Eulero. Su quest’ultimo si veda il recente libro di Francesco Agnoli, Leonardo Eulero. ‘Il’ matematico dell’età illuminista. Un grande scienziato contro Voltaire e i philosophes materialisti (Cantagalli, 2016). Ci sono anche molti matematici non credenti ma è chiaro che si possono fare coesistere le due cose: lo è stato fatto molto concretamente nella vita reale di tante persone di varie epoche. Ecco allora che posso partire da questo presupposto senza curarmi di argomentare il fatto che non ci sia contraddizione nell’accostare questi due mondi apparentemente lontani.

Uno degli obiettivi del mio libro era quello di raccontare qualcosa sul pensiero cristiano e della sua bellezza a chi si sente lontano e non prenderebbe mai in mano un libro di teologia o di spiritualità, ma è incuriosito dalla matematica. In quest’ottica vale la pena evitare la tentazione di cercare di avere ragione. Sono partito da due assiomi sullo stesso livello, anche a costo di non essere troppo preciso, pur di essere in comunione con questo tipo di lettore. Nel terzo capitolo, mentre si parla del tema centrale Dio-Amore, si trova: «Va detto che anche l’amore di chi non si professa cristiano ha che fare con questa dinamica. Nell’ottica cristiana ogni gesto di amore autentico e disinteressato viene da Dio, proprio perché Dio è amore, anche quando non c’è l’intenzione né la consapevolezza. Quante volte riceviamo testimonianze meravigliose da chi si sente lontano da Dio o si professa ostile a ogni religione». Il desiderio di comunione viene dunque prima di quello di aver ragione proprio perché si vuole parlare del Dio dei cristiani, che è un Dio-Comunione.

Naturalmente la mia esposizione non è neutrale. Si fa un itinerario matematico nel cristianesimo dal punto di vista del credente. In fondo si vuole spiegare cosa pensa chi crede e poi, come potrei pormi in modo equidistante su qualcosa che coinvolge così intimamente la mia vita?

 

Qui sotto un’intervista al prof. Malaspina

 

Altri articoli dello stesso autore
«Sono un matematico, vi spiego perché ho scelto l’assioma di Cristo» (11/06/16)

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Pio XII, le scuse della Bbc: «Aiutò gli ebrei, abbiamo mentito»

 

di Federico Cenci
da Zenit, 21/12/16

 

Un nuovo piccolo ma significativo passo verso la verità storica della seconda guerra mondiale è stato compiuto in Gran Bretagna, ad opera della prestigiosa Bbc. Con un gesto di onestà intellettuale, l’emittente inglese ha ammesso che un suo servizio televisivo che accusava la Chiesa cattolica di essere rimasta inerte dinanzi alle persecuzioni degli ebrei da parte dei nazisti, era basato su false notizie.

Il servizio in questione è andato in onda lo scorso 29 luglio, nel tg serale, durante la visita di Papa Francesco ad Auschwitz in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. Il giornalista che stava seguendo l’evento per conto della Bbc ha così commentato: “Il silenzio fu la risposta della Chiesa cattolica quando la Germania nazista demonizzò la popolazione ebraica e poi tentò di sradicare gli ebrei dall’Europa”.

Questa narrazione dei fatti è stata contestata con una denuncia formale da lord David Alton, parlamentare cattolico tra le fila dei liberali, e da padre benedettino Leo Chamberlain, storico ed ex direttore dell’Ampleforth College. Lord Alton ha fatto presente alla Bbc che, ironia della sorte, parte del servizio di approfondimento sulla visita di Bergoglio è stato girato presso la cella di Auschwitz in cui fu internato San Massimiliano Kolbe, il quale, da sacerdote cattolico, fu arrestato dai nazisti per la sua opera di accoglienza di profughi e feriti sia cristiani che ebrei nonché per aver denunciato le atrocità del Terzo Reich sulla rivista che lui stesso fondò: Il Cavaliere dell’Immacolata.

Lo stesso deputato inglese ha poi sottolineato che diversi storici hanno lodato Papa Pio XII per le sue iniziative nel corso della seconda guerra mondiale. Lo storico ebreo Pinchas Lapide ha scritto che Papa Pacelli “è stato determinante nel salvare almeno 700mila ebrei, ma più probabilmente 860mila ebrei da morte certa per mano dei nazisti”. L’impegno del Pontefice fu anche l’impegno delle istituzioni vaticane e della base cattolica. Come si può parlare di complicità quando circa 8mila dei 31mila preti cattolici presenti in Germania nel 1931, furono eliminati dal regime?

La domanda retorica coincide poi con una constatazione. La Santa Sede – rileva lord Alton – aiutò gli ebrei a sfuggire alle persecuzioni in Europa orientale, fornendo loro certificati di battesimo e nascondendoli dentro la Città del Vaticano. Inoltre – prosegue il parlamentare – oltre 6mila polacchi, quasi tutti cattolici, sono stati riconosciuti in Israele come “Giusti tra le Nazioni” per il ruolo svolto nel loro Paese al fine di salvare ebrei.

Ebrei che nel dopoguerra ringraziarono pubblicamente Pio XII per il suo aiuto nei loro confronti. Leo Kubowitzki, allora segretario del World Jewish Congress, il 23 settembre 1945 presentò la pubblica gratitudine dell’associazione che rappresentava. E il 30 novembre successivo, l’Osservatore Romano riportò la cronaca di un incontro tra il Santo Padre e circa 80 sopravvissuti ebrei ai campi di concentramento che espressero il grande onore di poterlo ringraziare “per la generosità verso coloro che sono stati perseguitati nel periodo nazifascista”.

Alla luce di queste e di altre testimonianze, non usa mezzi termini lord Alton per definire il servizio della Bbc del luglio scorso: “Uno sciatto, pigro, commento buttato via – indicativo del tipo di analfabetismo religioso che può causare tanta offesa; e parte di un offuscamento tra la cronaca in diretta e il desiderio di aggiungere un po’ di melodramma”. Ma “meno caritatevolmente – aggiunge – il servizio della Bbc può essere visto come l’ultimo esempio di un annoso tentativo di riscrivere la storia.

Nei giorni scorsi, dopo oltre quattro mesi dalla messa in onda del servizio e dopo aver studiato la documentazione storica fornita da lord Alton e da padre Chamberlain circa l’impegno della Chiesa a favore degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, l’emittente britannica ha fatto un pubblico mea culpaHa ammesso in una nota inviata a lord Alton che il giornalista autore del servizio non ha dato “il giusto peso alle dichiarazioni pubbliche dei Papi successivi e agli sforzi compiuti da Pio XII per salvare gli ebrei dalla persecuzione nazista, ed ha perpetuato così una visione che contrasta con l’equilibrio delle prove”.

Del resto, come lo stesso San Massimiliano Kolbe scrisse nell’ultimo numero de Il Cavaliere dell’Immacolata, “nessuno al mondo può cambiare la verità”.

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Il card. Müller: «Amoris Laetitia è chiara nella dottrina, i dubia non servono»

Il prefetto per la fede contro Burke e i dubia«Il difensore della retta dottrina cattolica e del popolo di Dio». Con queste parole uno dei principali critici del pontificato di Francesco, il giornalista Antonio Socci, ha celebrato giustamente, qualche tempo fa, l’attuale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il ratzingeriano Gerhard Ludwig Müller.

Proprio ieri sera il card. Müller ha fatto il suo compito ed è intervenuto (il video qui sotto) durante il programma “Stanze Vaticane” di Tgcom24: «una possibile correzione fraterna del Papa mi sembra molto lontana, non è possibile in questo momento perché non si tratta di un pericolo per la fede, come San Tommaso ha detto. “Amoris Laetitia” è molto chiara nella sua dottrina e possiamo interpretare tutta la dottrina di Gesù sul matrimonio, tutta la dottrina della Chiesa in 2000 anni di storia».

Il riferimento è ai Dubia, le cinque questioni formali che sono state poste al Papa e alla Congregazione per la Dottrina della Fede in merito al contenuto dell’ultima esortazione apostolica, riguardanti in particolare l’assoluzione e l’ammissione all’Eucarestia dei conviventi “more uxorio” legati ad un precedente vincolo matrimoniale. A nostro avviso qualunque richiesta di chiarimento non può che fare bene e l’iniziativa intrapresa da eminenti cardinali quali Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra, Joachim Meisner e Walter Brandmüller, ci sembra legittima. Avranno i loro buoni motivi e il card. Burke, importante canonista, ha garantito che l’intenzione non è sfidare un papa ad ammettere davanti al mondo di essersi sbagliato: solo più chiarezza.

Più discutibile il paventato intento di una «correzione formale» del Papa in caso di non risposta (esiste la possibilità nell’ordinamento canonico?), senza però voler appendere le 95 tesi sulla porta del refettorio di Santa Marta. Il cardinale tedesco Brandmüller ha tuttavia precisato che Burke non ha parlato come «portavoce» della quaterna di cardinali, ma ha espresso «in piena autonomia la sua opinione, che senz’altro potrebbe essere condivisa pure da altri porporati». In ogni caso, ha ricordato al collega che l’eventuale “correzione” dovrà «avvenire in camera caritatis». Dunque non pubblicamente. Un monito opportuno, lo stesso Müller ha spiegato: «i cardinali hanno il diritto di scrivere una lettera al Papa. Mi sono stupito perché questa però è diventata pubblica, costringendo quasi il Papa a dire sì o no. Questo non mi piace. E’ un danno per la Chiesa discutere di queste cose pubblicamente».

 

Qui sotto l’intervista al prefetto, in cui definisce anche «contro la fede cattolica» il voler contrapporre Francesco al predecessore (il video è pubblicato anche sul nostro canale Youtube)

 

Al card. Muller non è piaciuta la manifestazione pubblica dei dubia, temendo un danno per la Chiesa. Il quale è effettivamente tangibile se si pensa che testate notoriamente anticlericali (pensiamo a Libero e all’Espresso) danno ampio spazio a chi ha fatto, di tale vicenda, il cavallo di battaglia del loro già tormentato rapporto con l’autorità cattolica, aizzando i lettori in uno scontro tra il “bene” (chi a favore dei Dubia) e il “male” (chi a favore dell’Amoris Laetitia), facendo la conta dei due “schieramenti”. Parliamo di Sandro Magister, in particolare, il quale nel raccontare le gesta del battaglione del “bene” ha però dimenticato di includere i lefebvriani della Fraternità San Pio X, critici verso Bergoglio, mentre in quello del “male” ha scordato ecclesiastici di stampo ratzingeriano, Gualtiero Bassetti (che celebra la messa tridentina) e Angelo Scola, mons. Luigi Negri e diversi teologi e intellettuali ratzingeriani e wojtyliani (da Gilfredo Marengo a don Juan José Perez Soba, da Rocco Buttiglione ad Alfred Marek Wierzbicki, da Mary Ann Glendon alla vincitrice del il premio Ratzinger 2014, Anne-Marie Pelletier). La situazione è ben più complessa, evidentemente.

Tornando alle recenti dichiarazioni di Müller (già tradotte in spagnolo e inglese), quest’ultimo ha valorizzato l’esortazione apostolica contestata, dove Francesco «chiede di discernere la situazione di queste persone che vivono un’unione non regolare, cioè non secondo la dottrina della Chiesa su matrimonio, e di aiutarle a trovare un cammino per una nuova integrazione nella Chiesa secondo le condizioni dei sacramenti, del messaggio cristiano sul matrimonio. Ma io non vedo alcuna contrapposizione: da un lato abbiamo la dottrina chiara sul matrimonio, dall’altro l’obbligo della Chiesa di preoccuparsi di queste persone in difficoltà». Un ulteriore chiarimento è arrivato pochi giorni fa dal card. Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, che ha dettagliatamente esemplificato come lui stesso ha inteso applicare l’Amoris Laetitia.

Con tale intervista è venuta meno anche la visione dell’attuale prefetto come avversario di Francesco. Per l’agenzia progressista Adista, infatti, Müller «sembra contestare il lavoro intrapreso da Papa Francesco», mentre per il vaticanista de Il Foglio, Matteo Matzuzzi, tra i due «c’è una distanza e una freddezza palese» poiché hanno «linee diametralmente opposte», tanto da profetizzare (nell’aprile 2016) un «cambio alla guida della congregazione». Eppure, proprio Francesco ha voluto creare cardinale Müller, conferendo quindi un’autorità maggiore alla sua persona e alle sue già note posizioni dottrinali, il prefetto ha sempre richiamato l’unione di vedute tra Benedetto XVI e il successore, replicando in prima persona a chi critica Bergoglio di ambiguità: «il cambio di linguaggio è stato deciso assieme»Per lui l’intento riformatore del Papa è una «spirituale purificazione del tempio per far risplendere nella Chiesa la gloria di Dio». Francesco, ha detto ancora Müller, «dà grande impulso non solo alla Chiesa, ma anche all’umanità», mentre nel suo ultimo libro –Benedetto XVI e Francesco, successori di Pietro, al servizio della Chiesa (Ares 2016)-, ha valorizzato le differenze tra Ratzinger e Bergoglio, negando presunte contraddizioni. Rispetto all’Amoris Laetitia la sua posizione era già nota: «in nessun momento il papa mette in dubbio gli argomenti presentati dai suoi predecessori». Inoltre, ben prima di essa, lo stesso Müller ha sostenuto il discernimento delle situazioni irregolari«esaminando i singoli casi» alla luce dei sacramenti. Ha anche difeso l’enciclica Laudato sii da chi l’ha accusata di essere espressione dell’ideologia new age.

Nonostante questo, Müller è stato addirittura tratteggiato perfino come uno strumento occulto che Ratzinger utilizzerebbe contro Francesco, in modo negativo secondo il teologo progressista Hans Küng, o per evitare che la Chiesa di Francesco cada nell’eresia secondo il tradizionalista Antonio Socci. Quest’ultimo lo ha anche usato a sostegno della sua tesi sulle presunte pressioni ricevute da Benedetto XVI e l’esistenza di due Papi, ma ancora una volta Gerhard Ludwig Müller ha smentito: «Benedetto XVI ha detto che gli mancavano le forze per adempiere a questo grande compito, tanto più gravoso nel tempo della globalizzazione delle informazioni. Ha deciso perché si potesse eleggere il nuovo Papa, e adesso Francesco è “il” Papa. Ratzinger è come un Padre della Chiesa e il suo pensiero resterà, Francesco lo richiama spesso anche per sottolineare la continuità teologica. Ma il Papa può essere solo una persona, non un collettivo. Non ce ne sono due. È il fondamento e principio permanente dell’unità della Chiesa. Eletto dai cardinali ma istituito dallo Spirito Santo» (in una recente intervista il prefetto ha anche criticato chi «mette uno contro l’altro e guarda chi è meglio, chi ha più visitatori nei momenti pubblici in piazza San Pietro: questo è l’approccio sbagliato»).

La fedeltà con cui il card. Müller si è messo al servizio del Papa emerito e di Francesco è un esempio per tutti, per i giornalisti, per i teologi e per i cattolici in generale. Mostra davvero cosa significa essere “il difensore della retta dottrina cattolica e del popolo di Dio”.

La redazione

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La Chiesa accettò o si oppose alla schiavitù? Le risposte in uno studio

lo schiavismo e il cristianesimoPubblichiamo la conclusione del libro La Chiesa e gli schiavi (EDB 2016), ampliamento della tesi di laurea in Antropologia (UniBo 2015, col medievista prof. Leardo Mascanzoni, che ha curato la prefazione) del nostro articolista Roberto Reggi, realizzato con l’aiuto del latinista Filippo Zanini e dell’antichista Gian Battista Cairo. Il testo raccoglie tutte le fonti (circa 250) del magistero ecclesiale sul tema della schiavitù, di cui ci siamo più volte occupati, evidenziando l’efficacia della dottrina cristiana nell’abolizione di questo istituto altrimenti universale.

 

Quanto al rapporto tra schiavitù e Chiesa cattolica, la storiografia sembra in definitiva risentire di una certa polarizzazione ideologica. Da un lato, documenti ecclesiali e monografie apologetiche e filocattoliche tendono a presentare la Chiesa come integerrima paladina della libertà, dato che fin dai suoi esordi si è battuta per la mitigazione della schiavitù, l’emancipazione degli schiavi, e poi l’abolizione vera e propria, sia nel medioevo che nell’età moderna. Dal lato opposto, testi di stampo anticlericale la presentano come pienamente connivente con la schiavitù, dato che ha più volte condannato la liberazione generalizzata e ha tratto sostentamento dal lavoro di schiavi impiegati in fondi ecclesiastici del medioevo e oltre.

Ma in estrema sintesi come stanno le cose? La Chiesa cattolica fu schiavista o antischiavista? Dati e fonti alla mano, la risposta giusta è: dipende da cosa si intende per schiavitù. Anche se le fonti occidentali usano prevalentemente il termine servus, troppo facilmente fatto corrispondere al moderno «schiavo», la servitù non è mai stata socialmente, dottrinalmente e pastoralmente intesa come un’unica e monolitica istituzione.

È infatti doverosa la distinzione teorica tra:
schiavitù ingiusta: cioè l’asservimento di civili innocenti, catturati, deportati, comprati e venduti, usati e abusati. Questa non è mai stata giustificata e incoraggiata dall’insegnamento cattolico ma, anzi, è stata ripetutamente condannata, in particolare in occasione della tratta mediterranea e soprattutto della tratta atlantica;
servitù giusta, ripartita tra: servitù penale, cioè la privazione della libertà come conseguenza di crimini, quando non esisteva ancora l’istituto carcerario; servitù bellica per i prigionieri che non venivano uccisi, quando non esistevano ancora campi di internamento per prigionieri, in particolare i nemici pagani e saraceni incontrati nell’esplorazione dell’Africa atlantica; servitù economica e volontaria, cioè il rapporto subordinato e a tempo indeterminato tra un sottoposto e un padrone che gli doveva garantire tutela giuridica, protezione militare, mezzi di produzione (in essa va inclusa la categoria storiografica dei «servi della Chiesa», che non erano affatto una forma di schiavitù, ma durante i secoli feudali hanno garantito il sostentamento a persone ed enti ecclesiali, in maniera analoga a quanto avveniva in ambito secolare).

La schiavitù ingiusta è stata considerata illegittima dall’insegnamento cattolico principalmente sulla base di alcuni temi teologici: la naturale uguaglianza degli uomini derivati da un unico creatore; lo stato di originaria e naturale libertà; la redenzione e liberazione operata da Cristo; nonché per motivi di compassione morale che si potrebbero definire caritatevoli o filantropici. In questo senso la prima condanna contro l’ingiusta schiavitù di persone libere, cristiani o meno, può essere trovata già nel Nuovo Testamento, con la condanna paolina dei «mercanti di uomini» (1Tm 1,10); tra i padri, prima l’orientale Gregorio di Nissa († 394), poi l’occidentale Agostino († 430). Tra i concili ecclesiali la prima esplicita condanna si ha col concilio di Reims (625), tra i papi con Giovanni VIII (†882), ma per una condanna solenne, autorevole, universale, fondata sui temi antropologici e teologici suddetti, occorre attendere la Creator omnium di papa Eugenio IV (17 dicembre 1434).

Invece la servitù giusta è stata variamente legittimata (inevitabile conseguenza, male minore, provvidenziale disposizione divina) come derivata dal peccato originale e dai peccati personali degli uomini, inclusi crimini, guerre e ingiustizie sociali; ritenuta appropriata e legittima non sul piano giuridico del diritto naturale (assoluto, originale e voluto da Dio), ma su quello del diritto delle genti (relativo, contingente e voluto dagli uomini). Questa convinzione cristiana ha segnato un radicale distacco dalla concezione classica sintetizzata da Aristotele, il quale intendeva la schiavitù (con la considerazione dello schiavo come un mero «strumento animato») come logica e naturale. Circa la servitù giusta può essere utile precisare che, pur con le debite differenze storicamente contingenti, a livello assoluto e teoretico anche le società contemporanee presentano istituzioni affini: la privazione di libertà dei criminali, eventualmente da impiegare in lavori forzati; la riduzione in prigionia di aggressori e nemici esterni alla nazione; la sottoscrizione di un contratto lavorativo a tempo indeterminato, dove il «padrone» fornisce mezzi di produzione per il mantenimento dei sottoposti.

In entrambi i casi (schiavitù ingiusta e servitù giusta), l’insegnamento cattolico ha frequentemente esortato i sottoposti all’accettazione della condizione acquisita, i superiori al trattamento fraterno e non violento dei sottoposti, e ripetutamente valorizzato la meritoria azione di liberazione. Se non si riconosce questa distinzione tra schiavitù ingiusta e servitù giusta, non si capisce come mai in molti concili e autori sono presenti riflessioni e disposizioni al contempo sia favorevoli che contrarie alla servitù: ad esempio Agostino, Gregorio Magno, Tommaso, e i papi Alessandro III, Callisto III, Sisto IV, Paolo III, Pio V, Urbano VIII, Innocenzo XI, Pio VI, Pio IX.

 

Questa conclusione lascia spazio a due domande non indifferenti, per le quali un’esaustiva risposta meriterebbe molte altre pagine di discussione.
Prima domanda: se il cristianesimo ha considerato ingiusto l’asservimento di persone innocenti sulla base dei principi della comune natura e originaria libertà, perché anche l’Islam (che condivide gli stessi principi) non è riuscito a produrre simili anticorpi teorici contro la schiavitù? Nello specifico, perché per secoli truppe e flotte islamiche hanno liberamente razziato e asservito pagani e cristiani, mentre i tentativi opposti da parte di potenze cristiane sono andati incontro a (fattivamente inutili) condanne religiose? Perché sono stati presenti dal medioevo istituti di redenzione cattolici che hanno fatto la spola con le coste nordafricane per redimere centinaia di migliaia di cristiani, mentre lo stesso non è avvenuto da parte islamica? Perché sono stati moschetti e fregate occidentali a porre fine alla tratta islamica nell’oceano Indiano, mentre il contrario non è accaduto con la tratta atlantica «cristiana»?

Una possibile risposta. È vero che le tre religioni monoteiste condividono la fede in un unico Creatore, per il quale tutti gli uomini sono naturalmente uguali. È vero anche che per esse la liberazione di uno schiavo è considerata un’azione moralmente meritoria, al pari dell’elemosina ai poveri. Ma è vero soprattutto che ad esempio Gesù, Pietro, Paolo, non possedettero schiavi, né esortarono a farlo per il presente o l’avvenire. Lo stesso non vale per Maometto e per gli insegnamenti contenuti nel Corano, i quali costituiscono l’unico piano normativo legittimo: la legge islamica (sharī’a) ha valore sia religioso che civile, è impensabile una scissione (come per la tradizione cristiana) tra diritto naturale e diritto positivo.

Seconda domanda: se il cattolicesimo ha continuamente riprovato la schiavitù ingiusta, cioè tratta, deportazione e asservimento di uomini donne e bambini innocenti, come mai in epoca moderna questa è stata la fisiologica costante dei possedimenti oltremare delle potenze cattoliche, nello specifico la nuova Spagna e soprattutto il Brasile portoghese? Il motivo può essere cercato nelle pressioni per il mantenimento della schiavitù esercitate dalle autorità civili sulla Chiesa, la quale nei secoli è stata di fatto tutt’altro che autonoma e potente. In tal senso possono essere citati tre casi paradigmatici. L’anglosassone concilio di Berkhamsted (697), unico pronunciamento ecclesiale nel quale viene accettata (non legittimata, né esortata) la tratta -cioè che un servo sia rapito e rivenduto o venduto oltremare-, precisa che questa prassi «piacerà al re» (regi placuerit). Espressione anomala nei pronunciamenti conciliari: quando in essi viene citata un’auctoritas si legge piuttosto «in questo sacrosanto concilio decretiamo e stabiliamo che…», o simili. Quasi a dire che quei vescovi legittimarono la tratta schiavista, ma obtorto collo e a compiacimento del re. Ancora, nella Roma rinascimentale, che aveva da poco patito il «protestante» sacco del 1527, papa Paolo III con la Pastorale officium (1537) condannava con scomunica la schiavitù degli amerindi. Condanna che lo stesso papa dovette revocare l’anno seguente (Non indecens videtur, 1538) per la protesta dello spagnolo Carlo I.

Dello stesso papa, che evidentemente non era padrone neanche in casa sua, va ricordato il decreto di liberazione degli schiavi dell’urbe (Novimus quod, 1535), che fu poi costretto a ritrattare (1548) per le pressioni dei conservatori (governatori). Rodney Stark così commenta le ripetute e inconcludenti condanne: «Ciò dimostra chiaramente la debolezza dell’autorità papale in quell’epoca, non l’indifferenza della Chiesa di fronte al peccato della schiavitù». Le pressioni esercitate sui papi, che promulgarono comunque ripetuti divieti e ricorrenti condanne anche con scomunica, dovevano essere molto più forti ed efficaci sui vescovi locali che dovevano applicare tali provvedimenti, questo perché per secoli nella nomina e nel mantenimento della carica dei pastori locali un ruolo preponderante era giocato dai regnanti e dalle autorità civili (cf. la quarta delle piaghe della Chiesa descritte da Rosmini). Così i vescovi furono più attenti alle pressioni di latifondisti, fazendeiros terrieri e governatori locali, invece che alle condanne teologiche e morali del lontano vescovo di Roma. Non a caso, nel nuovo mondo i più fermi avversari di schiavitù e tratta non furono chierici diocesani ma esponenti di ordini religiosi, in primis domenicani (come Bartolomeo de las Casas) e gesuiti, legati in misura minore alle logiche secolari.

Roberto Reggi

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