Su quali fonti si basa la fede cristiana? Un libro risponde a molte domande

Pubblichiamo qui sotto un invito alla lettura del nuovo libro che l’autore (nonché nostro prezioso collaboratore), Stefano Biavaschi, ci ha gentilmente inviato. E’ possibile acquistare il volume, intitolato Le Antiche fonti della fede (Fede & Cultura 2016) in versione cartacea e in quella digitale.

 

di Stefano Biavaschi*
*docente di Religione e assistente alla Cattedra di Teologia presso l’Università Cattolica di Milano

 

Da dove deriva la nostra fede? Da un gruppo di persone che sigillano anfore e corrono a cavallo. Una di queste fu Eusebio di Cesarea, vescovo della Palestina tra il 265 e il 340, che per 25 anni ha raccolto antichi manoscritti, lettere, testimonianze, attraversando da un luogo all’altro le terre del primo cristianesimo. Senza di lui un patrimonio enorme sarebbe andato perduto, e sapremmo molte meno cose sulla chiesa prima di Costantino.

Tre secoli di fondamentale importanza per la nostra conoscenza sulla nascita e diffusione del cristianesimo, attraverso testimonianze di fede e di martirio, di cui anche Eusebio fu testimone oculare, fino a quando lui stesso vide l’alba della prima libertà religiosa. Con l’acume dello storico e la saggezza del pastore, Eusebio ha ricostruito la preziosa trama del cristianesimo dai tempi di Gesù e degli apostoli fino a lui, scrivendo la prima storia della Chiesa che l’umanità possiede: un’opera vastissima, dalla quale ho estratto il meglio di Eusebio, proprio per il lettore moderno più incline a leggere delle sintesi che non dei volumi interi.

In Le Antiche Fonti della Fede ho inoltre inserito le più importanti fonti greco-latine su Cristo e i Cristiani, da Plinio a Traiano, da Giuseppe Flavio all’autore della Lettera a Diogneto: un materiale apologetico preziosissimo che sarebbe altrimenti reperibile solo consultando un oceano di pubblicazioni. Naturalmente, per non appesantire l’opera, non ho riportato tutte le fonti e in modo integrale, ma un estratto di esse che ho poi raccolto per argomenti, in modo da poter rispondere, capitolo dopo capitolo, alle più pressanti curiosità del lettore e alle sue domande di maggior spessore, tra cui:

-Cosa accadde agli apostoli negli anni successivi la morte di Gesù? Dove andarono?
-Di quali città divennero pastori? Come morirono?
-Chi venne nominato al loro posto?
-Come affrontarono le sfide di coloro che erano dediti alle arti magiche?
-Quale fu il destino di Simon Mago? E di Erode? E di Pilato?
-Come reagirono Tiberio e il Senato romano dopo che Ponzio Pilato sottopose la sua relazione circa la morte e la risurrezione di Gesù?
-Cosa c’era scritto nelle lettere imperiali riguardanti Gesù e i cristiani?
-Come si svolse la distruzione di Gerusalemme? Avvenne come dissero le profezie?
-E negli anni delle persecuzioni verso i cristiani come venivano condotti gli arresti e gli interrogatori da parte della polizia romana?
-Come vivevano i credenti? Che stile di vita conducevano? Che atteggiamento avevano dinanzi ai beni, alle leggi, al matrimonio, all’aborto?
-Chi ha stabilito l’elenco dei testi sacri?
-Come si è formato il canone del Nuovo Testamento?
-Quali sono i primi elenchi di testi sacri neotestamentari?

Le Antiche Fonti della Fede intende essere un agile strumento per rispondere alle sfide di oggi ed alle principali obiezioni storiche, che non dovrebbero mai lasciarci senza risposta.

 

Altri articoli dello stesso autore
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Quale fondamento ha la “morale laica”? (02/04/12)
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L’ideologia Lgbt viola il diritto di parola: l’accusa di uno psicologo canadese

petersonHa fatto il giro del mondo l’articolo che un professore universitario canadese, Jordan B. Peterson, ha scritto argomentando i rischi che la deriva arcobaleno delle società sta portando alla libertà di parola.

Peterson, psicologo clinico e docente di Psicologia presso l’Univeristà di Toronto, se l’è presa in particolare con il Bill C-16, un disegno di legge che propone di criminalizzare le discriminazioni in base “all’identità o espressioni di genere”. Lo psicologo (al centro della foto a sinistra) ha pubblicato alcuni video nei quali faceva presente che i contenuti di tale ddl sono «pericolosamente vaghi e mal formulati», così da lasciare appositamente il tutto nelle mani del giudice di turno. Inoltre, si è rifiutato pubblicamente di utilizzare il pronome sessualmente neutro (o “neutral gender”) “Zhe”, ideato per indicare sia uomini che donne, senza rischiare di discriminare chiamando al femminile chi nella sua mente “si sente” un maschietto (e viceversa).

Questi video hanno generato un vero e proprio caos mediatico, con tanto di dimostrazioni e proteste presso l’università in cui lavora Peterson. In una di queste manifestazioni, un ragazzo con evidenti disturbi d’identità ha aggredito una giovane giornalista conservatrice, Lauren Cherie Southern (già nota per essere finita nella bufera dopo aver scandalosamente dichiarato che i generi sono soltanto due: uomo e donna), ed il filmato è stato visto da mezzo milione di persone su Youtube. Lo riproponiamo qui sotto.

 

 

Il prof. Peterson ha spiegato che già oggi negli Stati Uniti le autorità locali hanno facoltà di eseguire multe «fino a 250.000$ per chi commette il reato di “mis-genderizzazione”, ovvero il riferirsi alle persone utilizzando parole differenti dai pronomi gender-neutral». Lo psicologo ha elencato diversi problemi pratici nel voler usare questi pronomi, aggiungendo che esiste anche parecchia confusione dato che New York riconosce solo 31 diverse identità di genere (uomo, donna, trans, pangender, genderqueer, drag queen, bi-gender, androgyne ecc.), mentre Facebook ben 58.

Ha inoltre parlato di assurdità, come qualunque persona di buon senso, e di obbligo legislativo ad utilizzare parole che non riflettono la realtà. «C’è una differenza fondamentale tra le leggi che impediscono alla gente di dire parole senza dubbio pericolose e le leggi che pretendono l’uso di parole e frasi politicamente corrette e approvate. Non abbiamo mai avuto leggi di quest’ultimo tipo prima d’ora, almeno non nei nostri paesi. Questo non è il momento di iniziare. Siamo a rischio, legislatori ideologicamente confusi ci costringono a usare parole che non abbiamo scelto liberamente». E in un’altra intervista: «Non riconosco il diritto di un’altra persona a decidere quali parole io debba utilizzare, soprattutto quando queste sono inventate e create da una piccola cricca di persone ideologicamente motivate. Non ci sono abbastanza prove per affermare che l’identità di genere e la sessualità biologica siano aspetti indipendenti. Anzi, in realtà tutte le evidenze suggeriscono che non lo sono affatto».

Quella segnalata dal coraggioso psicologo canadese è la privazione della libertà a cui sempre più ci sta costringendo l’ideologia Lgbt. Si può definire soltanto in un modo: reato d’opinione.

La redazione

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Cancellato lo “show ateo”, al suo posto 24 ore di musiche natalizie

La notizia è leggera e divertente, ma potrebbe contenere una verità nascosta che riteniamo interessante.

Poco prima di Natale, infatti, nel Madison (capitale del Wisconsin), il decennale programma radiofonico Freethought Radio è stato brutalmente chiuso per un cambio di programmazione. Al suo posto ben ventiquattro ore di musiche di Natale. I conduttori del programma sono due coniugi dichiaratamente atei, Dan Barker (di cui abbiamo già parlato) e la moglie Annie Laurie Gaylor, che intrattenevano gli ascoltatori -non molti, evidentemente- con una sorta di catechismo laico. I due sono nientemeno che presidenti della Freedom From Religion Foundation, la più grande e importante associazioni di scettici degli Stati Uniti.

«Il programma è stato sbattuto fuori senza troppi complimenti», hanno dichiarato i due, lamentandosi. «Siamo entusiasti di diffondere allegria in tutta la comunità con la musica popolare natalizia», è stata la risposta di Keith Bratel, presidente della stazione radiofonica.

Dan Barker è uno dei cosiddetti new-atheist, andati di moda più o meno fino alla morte di Christopher Hitchens. Esponenti di un ateismo saccente, ridicolizzante e volgare, che promette di liberare gli uomini dal «vizio della religione», ritenuta un «disturbo neurologico», patologia di cui sarebbero affetti i cristiani. «Questo comportamento è diventato sgradevole come il pane raffermo», si è lamentato Steve Neumann su Salon. «Mi piacerebbe sfidare tutti gli atei, me compreso, ad astenersi dal pubblicare commenti sprezzanti sui cristiani per un mese. Chiamiamola “la sfida di positività dell’ateismo”, con lo scopo di porre l’attenzione su due cose: il fatto che gongolare sulle malefatte di singoli cristiani è non soltanto inutile, ma probabilmente controproducente; e la necessità di riabilitare la reputazione dell’ateismo stesso. Il rifiuto di assecondare il nostro desiderio di denigrare gli altri ci farà sembrare meno arroganti».

«E’ qualcosa di molto strano, oserei dire ipocrita, che un gruppo di persone che si definiscono “liberi pensatori” e “umanisti” costantemente abusano verbalmente le persone di fede», si legge invece sul Washington Post. «Se uno davvero può essere “buono senza Dio”, come si legge su alcuni manifesti in California, allora perché non lo dimostrano con la loro stessa esperienza di vita?».

Quel che è accaduto a Dan Barker, a sua moglie e al loro programma di educazione atea, è una bella analogia di quanto sostiene il filosofo francese Philippe Nemo, direttore della ESCP Europe, una delle più prestigiose Business School a livello internazionale. «L’ateismo moderno», ha scritto nel suo La bella morte dell’ateismo moderno (Rubbattino 2016), «è morto perché non ha saputo mantenere le sue promesse e non è riuscito a dimostrare che l’uomo è meno miserabile senza Dio che con Dio» (p. 5). «Quel tipo di pensiero», ha proseguito il filosofo, «è metafisicamente esaurito e non ha più niente da dire all’uomo. La loro pretesa di sostituirsi all’opera salutare del cristianesimo è diventata insostenibile. L’ateismo è morto di morte naturale e nel silenzio dell’ateismo, la Parola di Dio ritornerà a essere udibile» (p. 21). Ci piacerebbe essere così fiduciosi.

La redazione

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Evoluzionisti e cattolici? Si può e si deve, parola al prof. Fiorenzo Facchini

Libri di Fiorenzo FacchiniSi può essere evoluzionisti e credenti? Una domanda così superficiale è ancora presente nel dibattito pubblico anche a causa di gruppi atei, da una parte, e del movimento creazionista dall’altra, i quali rispondono all’unisono di “no”.

Eppure un cattolico non dovrebbe avere più dubbi nel rispondere, già nel lontano 1969 il teologo Joseph Ratzinger concludeva una sua famosa trattazione sul tema scrivendo: «La teoria dell’evoluzione non annulla la fede, e nemmeno la conferma. Ma la sfida a comprendere meglio se stessa e ad aiutare in questo modo l’uomo a capire sé e a diventare sempre più quello che deve essere: l’essere che può dire tu a Dio per l’eternità» (J. Ratzinger, Wer ist das eigentlich – Gott?, 1969).

D’altra parte, sono tanti i cattolici (e i credenti, in generale) che hanno fatto dello studio dell’evoluzione biologica il loro oggetto di ricerca professionale, dagli americani Kenneth R. Miller, Martin A. Nowak e Joan Roughgarden, ai premi Nobel cristiani Peter Agre e Werner Arber, quest’ultimo attuale presidente della Pontifica Accademia delle Scienze.

In Italia uno tra i più noti cattolici che si occupano dell’evoluzione è il prof. Fiorenzo Facchini, sacerdote bolognese, professore emerito di Antropologia all’Università di Bologna, autore di circa 400 pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali e membro di importanti società scientifiche (tra cui l’Istituto Italiano di Antropologia e la New York Academy of Sciences). E’ anche conosciuto al grande pubblico per i suoi libri divulgativi sul rapporto tra evoluzione e fede (consigliamo in particolare Le sfide dell’evoluzione. In armonia tra scienza e fede, Jaca Book 2008, Evoluzione. Cinque questioni nell’attuale dibattito, Jaca Book 2012).

Recentemente è stato oggetto di critica su un sito web cattolico di stampo sedevacantista-creazionista, dove si è sostenuto che la sua posizione sarebbe complice del tentativo di chi usa l’evoluzione della specie per «uccidere Dio», per questo «cercare di mettere assieme una visione evoluzionista con una in cui vi è l’esigenza di Dio è un errore sia a livello scientifico sia a livello di credente».

 

Non essendo d’accordo con questa obiezione, abbiamo voluto dare l’opportunità a mons. Facchini di replicare: ecco la nostra intervista.

Prof. Facchini, il tema evolutivo rimane al centro del dibattito tra scienza e fede: da un lato gli “anti-teisti” e dall’altro i creazionisti e gli esponenti del Progetto Intelligente. Ci sono posizioni intermedie? Qual è l’errore dei primi e quale quello dei secondi?
Nel dibattito sulla evoluzione le difficoltà e gli equivoci nascono dalla pretesa di escludere altri approcci di conoscenza che non siano quelli della scienza empirica, prima ancora che dalla utilizzazione del concetto di evoluzione in senso antireligioso in contrapposizione a creazione. E’ la posizione dello scientismo. Anche rimanendo sul piano puramente scientifico, l’evoluzione è un fatto su cui è difficile dissentire, ma le modalità con cui si è svolto il processo evolutivo non sono ancora tutte chiarite. Tenendo conto degli sviluppi della biologia evolutiva dello sviluppo e della paleontologia sono tanti i punti ancora oscuri. Ma le oscurità non possono mettere in dubbio il fatto, e cioè che l’universo, le forme viventi hanno avuto una propria storia evolutiva. Non si sono formati dal nulla, quasi per magia.

Qui entra il concetto di creazione, che fa chiaramente difficoltà agli atei, una creazione di realtà che cambiano nel tempo e manifestano un disegno superiore. Ma anche quello di disegno è un concetto filosofico, su cui la scienza non può dire nulla. Argomentare dalla sintonia delle forze e del sistema della natura per un disegno superiore è plausibile, ma siamo in un campo filosofico. Introdurre la causalità divina nel corso della evoluzione per realizzare direttamente strutture complesse (come si afferma nell’Intelligent design) non è corretto. Per un credente è meglio non esprimersi, se non siamo in grado di spiegare tutto, attendere nuovi studi, senza ricorrere a interventi esterni diretti, pur riconoscendo un universo ordinato e ben funzionante, voluto da Dio con proprietà e leggi che stiamo ancora esplorando.

2) Recentemente lei è stato oggetto di una piccola critica da parte di un saggista antievoluzionista cattolico, per il quale è impossibile credere in Dio ed essere evoluzionisti, che è più o meno lo stesso giudizio che hanno Richard Dawkins e i famosi “new atheist”.
Si può credere in Dio ed essere evoluzionisti. Basta ammettere che la realtà dell’universo è stata voluta da Dio. Come? Quando? Sta alla scienza ricercarlo. Ma sul significato di tutto, sul perché delle cose, è la parola di Dio che ci può guidare. Questi non sono problemi affrontabili con i metodi della scienza empirica. Nessuna opposizione tra creazione ed evoluzione. Se in passato vi sono stati contrasti è perché si voleva ricavare dalla scienza quello che essa non può dire o trarre dal testo biblico quello che non vuole dirci. Da Pio XII a Benedetto XVI, a Papa Francesco non ci sono dubbi su questa impostazione.

3) Entrando più nel tecnico, il suo critico sembra ammettere una selezione naturale intraspecie ma si oppone alla macroevoluzione, rigettando però l’origine comune e tutta la spiegazione evoluzionistica. Cosa vorrebbe rispondere, a lui e ai tanti credenti che la pensano in questo modo?
Alcuni ammettono una microevoluzione a livello di popolazioni e non una macroevoluzione. E’ vero. Il modello darwiniano, suffragato dalla genetica delle popolazioni, viene esteso a tutto lo sviluppo della vita. E questo è discutibile. Forse bisogna ammettere meccanismi e modalità diverse per la formazione (e il ripetersi) nel tempo, in linee anche diverse, di nuove strutture. Il paradigma evolutivo in gran parte potrebbe essere lo stesso nel senso che si realizza una congruenza fra le novità evolutive che si formano (ma come? Non solo le variazioni spontanee della specie come intendeva Darwin) e la selezione operata dall’ambiente. Meglio ammettere che vi sono cose che non conosciamo ancora, piuttosto che negare tutto a priori.

4) Nel suo ultimo libro, “Sessualità e genere. Si può scegliere?” ha trattato per la prima volta un nuovo argomento, affrontando dal punto di vista antropologico e biologico la questione del “gender”, un ottimo e documentato strumento per genitori ed educatori. Cosa l’ha portata ad occuparsene e qual è il messaggio che vorrebbe trasmettere?
Alla questione del genere ho dedicato la mia attenzione in questi ultimi tempi perché mi sono sentito interpellato in quanto antropologo. La sessualità in natura non è un optional, è fondamentale nella vita e nella evoluzione della specie. Fa parte della struttura biopsichica dell’uomo. La sessualità nella specie umana diventa relazione simbolica e fonda la società. E’ una mistificazione ideologica negarla o ricondurla a scelte soggettive. Il fatto che socialmente si siano creati stereotipi che portano a discriminazioni fra i sessi va superato. L’omofobia va contrastata, le persone vanno sempre rispettate, ma sarebbe deviante e diseducativo ricondurre la sessualità a un scelta soggettiva di genere o per rispettare varianti individuali negare o mistificare la realtà naturale. Al fondo c’è una ideologia individualista e libertaria che disintegra la famiglia e la società umana.

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Le donne nel Medioevo: autonomia e libertà nei monasteri

donna nel medioevoCircolano molte leggende contro il Medioevo, gran parte di esse nate in ambienti illuministi come tentativo di denigrare un periodo storico essenzialmente cristiano.

Nell’immaginario collettivo vengono ancora definiti secoli bui, ma da molto tempo nelle accademie e nelle università la si pensa diversamente. Proprio due anni esatti fa ci ha lasciato il celebre storico francese (laico) Jacques Le Goff, tra i principali studiosi del Medioevo degli ultimi decenni. Come ha giustamente scritto lo storico italiano Franco Cardini, Le Goff «ha spregiudicatamente liberato l’idea di medioevo da tutta una serie d’incrostazioni che su di essa si erano depositate fino dal settecento». Per lui non c’è mai stato alcun Rinascimento, si è trattato di un lungo Medioevo cristiano, che lo studioso utilizzava come sinonimo di progresso.

In questi giorni su un quotidiano spagnolo, la prof.ssa Raquel Alonso, docente di Storia dell’Arte presso l’Università di Oviedo, ha presentato le conclusioni del suo studio, condotto per l’Institut de Recerca en Cultures Medievals dell’Università di Barcellona, smontando a sua volta una delle tante leggende nere su questo periodo storico: il ruolo delle donne nei monasteri. «Pensavo che le donne vivessero una clausura molto oppressiva, mi sono sorpresa nel constatare che non era affatto così. Le donne, in generale, nel Medioevo, avevano molta più libertà e indipendenza di quanto avremmo potuto immaginare». Qualche tempo fa avevamo parlato anche dell’esistenza in quel periodo del suffragio universale, che permetteva già il voto alle donne.

I monasteri femminili, innanzitutto, non erano luoghi desolati. Ospitavano spesso donne non religiose, come le aristocratiche e quel che definisce la figura de la domina, una laica addetta agli aspetti economici, frequente anche la presenza di «laici che visitavano le suore loro parenti o prendevano parte a cerimonie importanti». Un altro aspetto interessante è che era abbastanza comune che il monastero fosse misto, condiviso cioè da monaci e monache. Questo perché, ha spiegato la studiosa, «le suore hanno bisogno almeno di un personaggio maschile che celebri i sacramenti». A volte si trattava di uno o due cappellani o, nel caso dei monasteri più ricchi (come Santa María de las Huelgas di Burgos o il Monasterio de Cañas de La Rioja), un vero e proprio doppio monastero. In questi casi, «anche se le comunità femminili e maschili non condividevano ovviamente le stesse stanze, non erano necessariamente isolati né vi era una netta separazione tra loro. Partecipavano assieme ai canti, alle processioni e condividevano molti atti della vita quotidiana».

«Le suore nei grandi monasteri», ha quindi concluso la prof.ssa Raquel Alonso, «potevano studiare, uscivano per visitare la famiglia o si recavano in tribunale». Tutti questi dati sono «estremamente importanti perché ci offrono una visione molto più vitale e vigorosa della femminilità nel Medioevo di quanto è ancora purtroppo presente in molte errate idee».

La redazione

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Città russa vieta l’aborto per un giorno all’anno: in memoria della Strage degli innocenti

Aborto vietato in russiaLa vasta regione russa di Yaroslavl, il cui capoluogo dista 300 km da Mosca, ha vietato per un giorno ogni anno di effettuare l’interruzione di gravidanza in tutti gli ospedali, chiedendo di commemorare il racconto biblico della Strage degli Innocenti.

La proposta è nata dalla diocesi ortodossa della città di Yaroslavl, che ha proclamato l’11 gennaio “Giornata del silenzio dall’aborto”, ottenendo il sostegno del Dipartimento di Salute e Farmacia della regione di Yaroslavl. Nonostante una imponente presenza di attivisti per i diritti umani, come quello di nascita, l’aborto è infatti ancora legale in Russia, oltre ad essere finanziato dallo Stato. I dati sono terribili: ha il più alto tasso di interruzioni di gravidanza dopo la Cina: nel 2015 si sono verificati 930.000 aborti.

La cooperazione tra cristiani delle differenti confessioni sulle tematiche della vita è un obiettivo caro anche a Papa Francesco che, nel suo viaggio apostolico in Turchia, ha firmato una dichiarazione congiunta con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, nella quale si legge: «Pur essendo ancora in cammino verso la piena comunione, abbiamo sin d’ora il dovere di offrire una testimonianza comune all’amore di Dio verso tutti, collaborando nel servizio all’umanità, specialmente per quanto riguarda la difesa della dignità della persona umana in ogni fase della vita e della santità della famiglia basata sul matrimonio, la promozione della pace e del bene comune, la risposta alle miserie che continuano ad affliggere il nostro mondo».

Sempre nel 2014 abbiamo intervistato il pastore Stefano Bogliolo, membro del direttivo nazionale dell’Alleanza Evangelica Italiana, presente sul palco del Family Day, il quale ci ha detto: «Su diverse cose, soprattutto di carattere dottrinale, siamo in disaccordo con la Chiesa Cattolica, ma su questo terreno siamo abbastanza concordi, e non c’è nessuna ragione per non lottare insieme a chiunque per obbiettivi comuni».

Cattolici, ortodossi e protestanti: uniti in difesa della vita. Yes, we can.

La redazione

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Aldo Maria Valli, un esempio che qualcuno dovrebbe imitare

Bergoglio e Aldo Maria Valli Tg1Bisogna essere sempre d’accordo con il Papa? Nessuno lo ha mai detto. Ma prima dell’amore sessantottino alle proprie idee, un cattolico, in quanto figlio, è chiamato a mettere i suoi passi in quelli del Pontefice, «tentando di immedesimarci nel suo cammino e di confrontarlo con la nostra vita», secondo lo splendido insegnamento di mons. Luigi Negri.

Uno sforzo sincero nel fare questo, con alti e bassi, ci sembra osservabile nel vaticanista del Tg1, Aldo Maria Valli, autore di alcuni articoli (e di un libro) dubbiosi su diversi pronunciamenti di Papa Francesco. Anche se non condividiamo alcune cose che scrive, lo riteniamo comunque un modello positivo per chi ha scelto -al contrario nostro- la strada della critica all’attuale pontificato.

Valli è sempre stato visto con sospetto dal cosiddetto mondo “tradizionalista/conservatore” in quanto dichiarato discepolo del “progressista” Carlo Maria Martini. Eppure, è bastato qualche articolo critico verso Francesco per mandare in giubilo lo schieramento giornalistico anti-Bergoglio, facendo esultare, ad esempio, Bonifacio Borruso di Italia Oggi, che come un tifoso sfegatato ha portato in trionfo il “nuovo acquisto”: «la schiera dei critici bergogliani s’allarga!». Chissà cosa pensa di vincere, verrebbe da chiedersi.

Alle perplessità di Valli ha replicato il teologo mancusiano Andrea Grillo, che a sua volta criticò apertamente Benedetto XVI, mentre è stato prontamente difeso da Carlo Tecce, suo collega de Il Fatto Quotidiano, che, sempre a sua volta, è stato un feroce oppositore del pontificato di Ratzinger. Lasciandoci alle spalle le inutili corazzate dei giornalisti (ed evitando di commentare il recente e discutibile attacco di Riccardo Cascioli nei confronti di Andrea Tornielli), ci tenevamo a sottolineare la delicatezza con cui il vaticanista del TG1 ha inteso manifestare pubblicamente le sue perplessità sul suo blog personale, lontano anni luce dai noti urlatori, suoi colleghi. Con questo spirito ha scritto il libro 266. Jorge Mario Bergoglio Franciscus P.P. (Liberilibri 2016), di recente pubblicazione.

In questi anni Valli si è detto perplesso della proposta di discernimento caso per caso presente nell’esortazione Amoris Laetitia, temendo uno scivolamento nel soggettivismo. Un’obiezione che non condividiamo, ma comprendiamo. Una «manifestazione sincera, e anche dolorosa, di un dubbio», ha spiegato lui stesso. «Dolorosa perché voglio molto bene al papa. Ma è proprio perché gli voglio bene che lo prendo sul serio. Ed è proprio perché lo prendo sul serio che mi interrogo su quanto insegna». Le sue obiezioni sono rispettose, accompagnate da note di stima verso Bergoglio, per i suoi gesti pastorali che sono «la trama di un pontificato». «Il gesto ha la forza della testimonianza», ha scritto. «Voler bene al papa, pregare per lui e con lui. Camminare con lui mentre va incontro. Vivere il giubileo con Francesco: farsi pellegrini con lui».

Il vaticanista non è nemmeno etichettabile come si vorrebbe, esprime infatti la sua calorosa vicinanza al card. Martini ma, contemporaneamente, apprezzamento per il teologo don Luigi Giussani, condividendone l’avvertimento circa la “protestantizzazione” della fede. Sa cogliere e trattenere liberamente ciò che vale, andando oltre le legittime simpatie personali. E’ preoccupato circa la disinformazione mediatica ai danni del Papa, come accaduto sul presunto “perdono a chi abortisce o pratica l’aborto”. Presunto perché, al contrario dei titoli di giornale, Francesco si è espresso in ben altri termini, come ha scritto giustamente Valli.

«Le decisioni di Francesco possono piacere o non piacere. In ogni caso, prima di tutto, andrebbero riportate correttamente, non stravolte», ha scritto il vaticanista. «Sono stanco di questa cosiddetta società dell’informazione che è più che altro una società della disinformazione e quindi della mistificazione, non mi va più tanto di vivere in questo villaggio globale nel quale di globale c’è soprattutto la confusione, voluta e alimentata da precisi interessi di parte». Come non dargli ragione? Preso atto della dilagante confusione mediatica, bisognerebbe però anche domandarsi quanto sia prudente o utile – a se stessi e agli altri-, per chi fatica legittimamente a mettere i suoi passi in quelli di Francesco, usare il web come confessore pubblico dei propri dubbi sull’attuale pontificato, considerando anche l’orda di sedevacantisti-tradizionalisti, da una parte, e di anticlericali, dall’altra, pronti a colpire la Chiesa. Valli ci avrà riflettuto ritenendo giusto farlo, altri non sono però della stessa idea (pensiamo a Vittorio Messori, ad esempio), altri ancora non vedono ragioni adeguate per queste perplessità.

Tornando al motivo di questo articolo: a chi ha deciso di avventurarsi nella ripetitiva critica al Santo Padre (ovviamente, a scanso di equivoci, non stiamo parlando dell’iniziativa legittima dei quattro cardinali e dei loro dubia), volevamo semplicemente suggerire, per lo meno, di prendere come esempio Aldo Maria Valli che, da cattolico impegnato, ha mostrato di saper andare oltre gli schieramenti, di tenersi alla larga da complottismi, disinformazione e dietrologie, di voler unire piuttosto che dividere (significativo il recente dialogo a distanza con Luigi Accattoli), ha posto riflessioni sofferte -condivisibili o meno- e ha scelto di avanzare pubbliche obiezioni perfino al Papa -e su questo andrebbe valutata l’opportunità, prima della correttezza dei contenuti-, facendolo però con il rispetto di un figlio. In questo periodo di turbolenza mediatica tra cattolici lo riteniamo, finora, un modello comunque positivo per chi ritiene di avere l’autorevolezza adeguata e non riesce a trattenersi dalla pubblica correzione del successore di Pietro.

La redazione

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L’ex calciatore del Manchester United diventa frate domenicano

Il centrocampista Philip Mulryne ha condiviso maglia e spogliatoio con le stelle del Machester United: David Beckham, Ryan Gigg, Nicky Butt, Paul Scholes, Andy Cole e Ole Gunnar Solskjaer. Oggi, invece, condivide il saio con san Domenico di Guzmán, fondatore dell’ordine dei Domenicani.

Nordirlandese, ha debuttato in Nazionale l’11 febbraio 1997 (segnando un gol) e nei Red Devils il 14 ottobre 1997. Nel 1999 è passato al Norwich City, contribuendo a portare il club inglese in Premier League nel 2004. Si è infine ritirato nel 2008, tornando a Belfast.

Ma proprio lì, nel Nord Irlanda, l’inaspettato incontro con mons. Noel Treanor, vescovo della diocesi di Down e Connor, che diventa suo confidente e confessore, coinvolgendosi in attività caritatevoli. E’ qui che Mulryne sente la chiamata alla vocazione: dopo 4 anni di studio (filosofia e teologia) nel Pontificio Collegio Irlandese, il 29 ottobre 2016 è stato ordinato diacono dall’arcivescovo di Dublino e nel 2017 riceverà l’ordinazione sacerdotale, divenendo frate domenicano.

«Oggi sono molto più sereno rispetto a quando giocavo», ha dichiarato. L’ex calciatore Paul McVeigh, suo amico, ha rivelato: «Con mio grande stupore, e molto probabilmente quello di tutto il mondo calcistico, Phil ha deciso di allenarsi per diventare un prete cattolico. Sono ancora in contatto con lui e sapevo che stava trasformando la sua vita, dedicandosi alla beneficenza e aiutando i senza tetto. Eppure è stato uno shock completo sentire che aveva scelto questa come sua vocazione. Sono venuto ad incontrarlo a Roma e l’ho trovato davvero molto contento».

Campi prestigiosi, fama mediatica, stipendi faraonici, auto di lusso e tante donne: lo stereotipo della vita da sogno del calciatore. Eppure, evidentemente, nulla di ciò che può offrire il “mondo” riesce davvero a soddisfare l’animo umano, che è misteriosamente in costante ricerca dell’Infinito. La storia di padre Philip insegna.

 

Qui sotto il video della professione di Philip Mulryne

 

La redazione
(articolo inserito nel nostro archivio dedicato alle tematiche sportive)

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Richard Dawkins, per i suoi colleghi «ha danneggiato la scienza»

Un tempo andava di moda ed era considerato uno degli intellettuali britannici più influenti. Le tesi dello zoologo Richard Dawkins dominavano il confronto pubblico sulla religione, da lui considerata come un pericoloso virus della mente umana che infetta la mente degli sciocchi credenti. Essa andrebbe sconfitta attraverso la divulgazione dell’evoluzione darwiniana, la quale dimostrerebbe l’inesistenza di Dio. Così, dopo la conversione di Antony Flew, ha preso il suo posto nell’immaginario collettivo come “l’ateo più famoso del mondo”.

Poi qualcosa ha iniziato a scricchiolare. Nel 2008 in un’intervista al Corriere della Sera ha dichiarato: «ho fallito, ho perso la battaglia per l’ateismo». Il motivo? «Una maggiore influenza della religione». Nel 2011 si è classificato tra i peggiori misogini dell’anno per aver intimato il silenzio una donna abusata durante una conferenza atea, nel 2012 ha cambiato idea (dinanzi ad una platea sbigottita) sulle sue visioni esistenziali, affermando di essere agnostico e non ateo. Nel 2013 è arrivato addirittura a dichiarasi “culturalmente cristiano” e nel 2015 ha perfino criticato una catena di cinema che si era rifiutata di proiettare un’annuncio contenete una preghiera cristiana: «Sono fortemente contrario a sopprimere gli annunci sulla base del fatto che possano “offendere” persone», ha dichiarato. «Se qualcuno si sente “offeso” da una preghiera, allora merita di essere offeso».

Da anni Dawkins è preso di mira sui media per disparate motivazioni, dalle accuse di “codardia” arrivate dal mondo laico per l’essersi rifiutato di discutere pubblicamente con eminenti intellettuali cristiani alle persistenti gaffe sui social network, dalle affermazioni sconcertanti (come l’incitamento ad abortire i bambini affetti da sindrome di Down perché sarebbe «immorale» partorirli) alle discutibili iniziative di propaganda atea (come quando mise dei bambini felici su un cartellone pubblicitario inneggiante alla “positività dell’ateismo” senza accorgersi che erano figli di devote famiglie cristiane). L’ateismo militante ne ha preso le distanze: «Sempre più spesso Dawkins provoca indignazione pubblica per le sue dichiarazioni a favore del sessismo, del razzismo e della pedofilia. Per il movimento ateo è arrivato il momento di rinnegarlo e di portargli via il microfono». I suoi compagni di battaglia, come Daniel Dennett, ritengono che si stia auto-sabotando e «potrebbe seriamente danneggiare la sua reputazione».

Ironia della sorte, c’è perfino chi si è convertito alla fede cristiana grazie ai suoi libri mentre, purtroppo, un altro suo lettore –dopo aver finito di leggere il suo libro più famoso, The God delusion– si è suicidato, «avendo perso fiducia in tutto». Per il filosofo laico Alain de Botton, «a causa di Richard Dawkins e Christopher Hitchens l’ateismo è diventato noto solo come una forza distruttiva», mentre il filosofo John Gray ha definito il suo ateismo una forma di religione fondamentalista. Il filosofo darwiniana Michael Ruse lo ritiene «profondamente disinformato», mentre per il i quotidiani inglesi il suo personaggio pubblico ha completamente perso di interesse.

Dal punto di vista prettamente scientifico, infine, il suo contributo più importante è la teoria del “gene egoista”definita tuttavia una “sciocchezza ideologica e  arrogante” su Science 2.0, venendo respinta dal biologo premio Nobel Gerald Edelman e dal biologo David Sloan Wilsonper il quale, Dawkins «non riesce a qualificarsi come evoluzionista proprio sui due argomenti per i quali è universalmente ben noto: la religione e la teoria del “gene egoista”». L’impostazione scientifica strettamente ottocentesca e materialista che Dawkins esprime nei suoi lavori è stata screditata da decine di suoi colleghi, come il prof. Colin Tudge, biologo dell’Università di Oxford o il genetista agnostico H. Allen Orr. Nel 2014 il biologo di Harvard, E.O. Wilson, ha dichiarato che Dawkins non è uno scienziato ma un «giornalista che riporta quel che i veri scienziati hanno scoperto». Per il biologo Michael Zimmerman, vincitore del premio Amico di Darwin assegnato dal National Center for Science Education, «la retorica di persone come Coyne, Dawkins e Myers ha portato la gente ad allontanarsi dalla scienza e dall’evoluzionismo».

Non può dunque stupire se un recente studio sociologico, realizzato dalla Rice University e guidato dal prof. David R. Johnson del Center for Democracy and Technology, ha mostrato come la maggior parte degli scienziati britannici utilizzati come campione (ben l’80%) ritengano che Richard Dawkins ha «travisato la scienza». Lo zoologo non era l’oggetto principale della ricerca, tuttavia è emerso ugualmente che i suoi colleghi non solo rifiutano il suo approccio, ma ritengono anche che Dawkins abbia fatto, e faccia, un cattivo servizio al mondo scientifico, offrendo «un’impressione sbagliata sui confini della ricerca scientifica». Il prof. Johnson ha spiegato che la ricerca mostra che «la migliore divulgazione scientifica non implica insulti e arroganza, ma incoraggia la curiosità, l’apertura mentale e l’apprezzamento per la scienza». Gli scienziati britannici, ha osservato, hanno criticato il modo la divulgazione scientifica di Dawkins in quanto palesemente finalizzata a screditare le asserzioni della teologia, «essi possono anche ritenere irrazionale la fede in una divinità -come alcuni intervistati hanno fatto-, ma ritengono che le questioni relative all’esistenza di Dio o al “sacro” non rientrano nell’ambito applicativo della scienza». E’ dunque sbagliato strumentalizzarla.

Tornano alla mente le parole a lui dedicate dell’eminente professore di Matematica all’Università di Oxford, John C. Lennox, spesse volte suo “avversario” nel dibattito pubblico: «Richard Dawkins ha passato la vita ad insistere nella concezione di Dio come alternativa esplicativa alla scienza, un’idea che non si ritrova da nessuna parte nella riflessione teologica di qualche spessore. Dawkins pertanto combatte contro un mulino a vento, respingendo un concetto di Dio in cui comunque non crede nessun pensatore serio. Una tale attività non è necessariamente da considerare un segno di sofisticazione intellettuale» (J.C. Lennox, Fede e scienza, Armenia 2009, p. 57).

La redazione

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Oxford affonda l’omogenitorialità: padre indispensabile quanto la madre

repubblica-papaAd opporsi all’omogenitorialità non ci sono soltanto decine di studi scientifici peer-review che trattano il tema in modo diretto (molti dei quali raccolti nel nostro specifico dossier), ma anche numerose ricerche che potrebbero essere utilizzate in modo indiretto: confermano infatti quanto sia fondamentale per i bambini poter beneficiare allo stesso tempo della cura materna e di quella paterna.

L’ultimo studio di questo genere è stato pubblicato nel novembre 2016 da ricercatori dell’università di Oxford: il coinvolgimento del padre nello sviluppo educativo dei figli, sopratutto nei primi mesi di vita, è essenziale per lo sviluppo emotivo ed è associato a comportamentali positivi nei bambini, una volta divenuti adolescenti.

In Italia lo studio è stato curiosamente diffuso da Repubblica, quotidiano particolarmente sedotto dal pensiero dominante arcobaleno, dove il commento è stato affidato a Anna Oliveiro Ferraris, psicologa, psicoterapeuta ed esperta dell’età evolutiva (già critica verso le adozioni a coppie omosessuali), la quale ha dichiarato: «Quando sono piccoli i bambini notano le differenze fisiche e si sentono attratti e rassicurati dalla “mano grossa di papà”, dalla sua muscolatura, dal modo diverso con cui vengono afferrati, tenuti, abbracciati. Il padre contribuisce al benessere dei figli anche sostenendo psicologicamente la madre. L’accordo tra i due è indice di stabilità, una condizione molto apprezzata dai bambini». E’ superfluo ricordare che la coppia omogenitoriale vieta e strappa al bambino l’indispensabile esperienza della diversità sessuale, qui ben descritta.

Un commento allo studio è arrivato anche da Gaia De Campora, docente di Psicologia perinatale all’università di Torino, la quale ha puntualizzato: «Il ruolo del padre è quindi essenziale nel rappresentare sia un riferimento normativo necessario a stabilire dei confini e sia un rifugio sicuro su cui fare affidamento». Sottolineiamo il termine “essenziale”, cioè: non sostituibile. Questo perché entrambi, madre e padre, apportano un contributo differente e comunque indispensabile, come ben espresso da un altro studio, pubblicato nel 2004, nel quale si descrive dettagliatamente l’essenziale contributo paterno/maschile, basato naturalmente all’apportare sicurezza, protezione, calma e incoraggiamento.

Gli autori della recente indagine hanno infine presentato la ricerca affermando: «Ci sono prove che il coinvolgimento dei padri può anche ridurre l’impatto di problemi importanti come, ad esempio, una depressione materna». Inoltre, «lo studio ha implicazioni significative per la politica, così come per gli interventi nella genitorialità e nella salute che dovrebbero incoraggiare il coinvolgimento dei padri fin dall’inizio dell’infanzia». E’ quello che da anni sostiene lo psicoterapeuta italiano Claudio Risé, docente all’Università Bicocca di Milano, che nel merito dello studio ha commentato: «Il fatto è che questi dati non vengono finora diffusi e presi sul serio da gran parte dei centri di potere politico ed economico, impegnati invece nell’indebolimento del padre, in quanto figura potenzialmente disturbante nei confronti della proposta omologante di figure genitoriali neutre,  portata avanti dal pensiero unicosecolarizzato, fino a poco fa dominante nell’ultimo cinquantennio in Occidente».

La letteratura scientifica parla chiaro, dunque. Forse la sintesi migliore è quella dello psichiatra Eugenio Borgna, docente presso l’Università di Milano e primario emerito di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara (nonché celebrato dall’Espresso come «uno dei più grandi psichiatri italiani»), il quale ha affermato: «Il matrimonio nasce dalla contestuale presenza dei due diversi mondi che lungo un progetto unitario uniscono le loro storie personali, anche sessuali, necessarie l’una all’altra per completarsi. Tanto più se ci sono figli, che senza ombra di dubbio hanno bisogno di una madre e di un padre, di due polarità ben precise, anche sessualmente definite. Secondo natura».

La redazione

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