Le bugie di Emiliano Fittipaldi nel libro “Lussuria”


 
 
di John L. Allen*
*vaticanista

da Crux, 21/01/17
 
 

Due vicende sono emerse per quanto riguarda gli scandali clericali di abusi sessuali, uno in Italia e l’altra negli Stati Uniti: in modi diversi, ognuna è un’occasione persa.

In Italia è uscito un libro dal titolo Lussuria. Peccati, scandali e tradimenti di una Chiesa fatta di uomini (Feltrinelli 2017) del giornalista Emiliano Fittipaldi, uno dei cinque imputati nel processo di Vatileaks 2.0 a causa di documenti trapelati dalla Pontifica commissione sulle finanze vaticane. Negli Stati Uniti, un ex dipendente della Survivors Network of those Abused by Priests (SNAP), la più nota organizzazione americana di difesa delle vittime di abusi del clero, ha citato in giudizio l’ente, accusandolo di operazioni commerciali finanziate tramite tangenti dagli avvocati che fanno causa alla Chiesa per i preti pedofili.

Nel suo libro Fittipaldi si è concentrato sugli scandali di abusi sessuali, in gran parte riciclando materiale già noto. E’ tornato in più presenze sul cardinale George Pell, sullo scandalo in Cile di Fernando Karadima, il più noto prete pedofilo di quel paese e ha raccontato la storia di Lawrence Murphy, un prete americano che si ritiene abbia molestato circa 200 ragazzi in una scuola per sordi fino a metà degli anni 1970. Tutto ciò era già stato ampiamente raccontato in passato e Fittipaldi non aggiunge molto altro. Il libro di Fittipaldi è anche un esempio di sciatteria nel trattare i fatti. Descrive il cardinale Timothy Dolan come “capo” dei vescovi degli Stati Uniti, una posizione che non ricopre dal 2013, chiama Pell il “braccio destro” di Papa Francesco, una cosa che qualunque vaticanista sa che è una definizione chiaramente esagerata. Per la cronaca, mi descrive anche come il “decano dei vaticanisti americani”, un’altra affermazione discutibile.

Ma, sopratutto, il problema è che Fittipaldi opera una grossolana caricatura della situazione reale nella Chiesa. Chiunque sia onesto deve ammettere che il cattolicesimo ha fatto progressi enormi negli ultimi dieci anni e mezzo. Ad esempio, vaste risorse sono state investite nello sviluppo di programmi di prevenzione degli abusi e rilevamento dello stato attuale delle cose, tanto che diverse istituzioni lo stanno applicando. Decine di abusatori sono stati estromessi dal sacerdozio, più di 400 nel corso dell’ultimo anno del solo pontificato di Benedetto XVI. Le diocesi in molte parti del mondo hanno adottato severe politiche di “tolleranza zero”, sospendendo ogni sacerdote di fronte a una denuncia credibile e consegnando il caso alla polizia e ai pubblici ministeri. Chi legge Fittipaldi, però, non saprà mai di tutto questo.

Fittipaldi sostiene che la nuova Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori creata da Papa Francesco è una farsa, scrivendo che ha fatto “poco o nulla”. La baronessa Sheila Hollins, membro di tale commissione, ha replicato con una lettera al The Guardian: «ho partecipato personalmente ad otto riunioni plenarie della Commissione, oltre a numerosi incontri dei gruppi di lavoro. I membri hanno avuto più di 50 impegni educativi divisi in cinque continenti solo nel corso degli ultimi 12 mesi, destinati a responsabili, personale e volontari delle diocesi. L’intensità del lavoro e della politica globale è decisamente diversa dai giudizi sprezzanti di Fittipaldi». Si potrebbe continuare, ma il punto fondamentale è che Fittipaldi racconta solo metà della storia.

Per quanto riguarda SNAP, l’ex dipendente Gretchen Hammond la descrive come un’organizzazione fondata per scopi nobili ma che ha perso la strada in una ricerca quasi maniacale per i soldi. «SNAP non si concentra sulla protezione o aiutando le vittime, ma le sfrutta» si legge nella querela, depositata il 17 gennaio presso la corte dell’Illinois. «SNAP accetta regolarmente tangenti finanziarie da avvocati, sotto forma di “donazioni”. In cambio di tangenti, SNAP offre le vittime come potenziali clienti di tali avvocati, che poi li utilizzano contro la Chiesa cattolica». Una volta che ha iniziato a sollevare queste preoccupazioni, ha riferito Hammond, è stata oggetto di rappresaglie sul posto di lavoro che le hanno portato a gravi problemi di salute, fino ad essere licenziata.

Certo, nonostante il fatto che la Chiesa abbia fatto passi in avanti, c’è sempre il rischio del letargo e dell’arretramento se qualcuno non viene continuamente pungolato. La verità, però, è che ci sono un sacco di persone nella Chiesa cattolica che capiscono tutto questo e stanno cercando con forza di fare la cosa giusta. Una vera riforma significa identificare queste persone e sostenerle, non demonizzare “la Chiesa” per quanto grande sia il problema. Ad esempio, venerdì una commissione in Irlanda del Nord ha pubblicato un rapporto sugli abusi sessuali su minori, trovando notevoli carenze sia da parte della polizia che da parte della Chiesa cattolica. L’arcivescovo Eamon Martin, primate della chiesa irlandese, ha accettato i risultati, dicendo: «Noi della Chiesa dobbiamo fare tutto il possibile per collaborare con la giustizia e dimostrare che stiamo seriamente riparando i peccati e i delitti del passato». I sostenitori delle vittime dovrebbero collaborare con l’arcivescovo Martin, non respingerlo a priori.

Concludendo: gli ideologici pregiudizi e i radicali stereotipi, ignorando il complesso nocciolo della realtà, possono essere più dannosi per la riforma -e, in questo caso, per il benessere dei bambini- rispetto alle fallacie di alcuni scrittori e il carrierismo delle organizzazioni contro la Chiesa.

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La risurrezione di Gesù: inconcepibile per gli ebrei del I° secolo

sindonePerché la Chiesa primitiva ha applicato la parola “risurrezione” a Gesù? La domanda si pone perché non esisteva la concezione della risurrezione corporale ed individuale tra gli ebrei suoi contemporanei. La risurrezione per loro sarebbe accaduta a tutti i giusti alla fine del mondo, non prima di essa.

Uno tra i principali studiosi del Nuovo Testamento del mondo anglosassone, N.T. Wright, alla fine di una vasta indagine sul pensiero del popolo ebraico, e non solo, del primo secolo, ha proprio verificato tutto ciò: l’idea di una risurrezione del corpo era per loro impossibile e inconcepibile. «A differenza dei greci e dei romani», ha scritto N.T. Wright, «la morte non era vista dai Giudei come la liberazione dal mondo materiale, ma come una tragedia. Secondo l’insegnamento ebraico ci sarebbe stata una risurrezione corporale di tutti i giusti nel momento in cui Dio avrebbe rinnovato il mondo intero e rimosso tutta la sofferenza e la morte. La risurrezione, tuttavia, era solo una parte del completo rinnovamento del mondo e l’idea di un individuo resuscitato, nel bel mezzo della storia, mentre il resto del mondo continuava ad essere gravato dalla malattia, dal decadimento e dalla morte, era inconcepibile».

Il celebre storico ha proseguito: «Se qualcuno avesse detto ad un ebreo del primo secolo: “E’ stato risuscitato dai morti!”, la risposta sarebbe: “Sei pazzo? Come può essere? La malattia e la morte sono scomparse? La vera giustizia è stata ristabilita in tutto il mondo? Il lupo si è riconciliato con l’agnello? Ridicolo!”. L’idea stessa di una resurrezione individuale sarebbe stata letteralmente impossibile da immaginare sia da un ebreo che da un greco» (N.T. Wright, Jesus, the final days, Westminster John Knox Press 2010, p. 99). La speranza ebraica nella risurrezione dei morti era invariabilmente una speranza puramente escatologica.

Il lavoro di N.T. Wright è stato confermato dalla ricerca effettuata dal prof. Joachim Jeremias, celebre docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Gottinga. Esaminando la letteratura ebraica, Jeremias ha concluso: «Nell’antico ebraismo non esisteva l’attesa di una risurrezione come un evento della storia. Certamente erano conosciute le risurrezioni dei morti, ma queste erano semplicemente rianimazioni per il ritorno alla vita terrena. Da nessuna parte nella letteratura giudaica si trova qualcosa di paragonabile alla risurrezione di Gesù» (J. Jeremias, “Die älteste Schicht der Osterüberlieferungen”, in Resurrexit, Libreria Editrice Vaticana 1974, p.194). Anche il teologo non credente Gerd Lüdemann ha ammesso che «l’analisi storica porta all’origine brusca della fede pasquale dei discepoli» (G. Lüdemann, Zwischen Karfreitag und Ostern in Osterglaube ohne Auferstehung?, Freiburg: Herder 1995, p. 27).

Soltanto una mente folle e autolesionista avrebbe scelto di inventarsi cose talmente inconcepibili se avesse avuto l’intenzione di convincere altri ebrei. C’erano strade ben più semplici a disposizione, non è così che si inventa. Inoltre, questo replica anche all’accusa di qualche scettico moderno secondo cui i discepoli avrebbero rubato il corpo di Gesù per far trovare vuoto il sepolcro. «Questo presuppone», commenta infatti N.T. Wright, «che i discepoli si sarebbero aspettati che gli altri ebrei fossero stati aperti alla convinzione che un individuo avrebbe potuto risuscitare dai morti. Ma niente di tutto questo era possibile. La gente di quel tempo avrebbe considerato una risurrezione corporale impossibile, esattamente come la ritengono molte persone del nostro tempo, seppur per motivi diversi».

Occorre anche considerare che secondo la legge dell’Antico Testamento, chiunque veniva condannato e appeso ad un albero era sotto la maledizione di Dio (Dt. 21.23), e gli ebrei applicarono questo verdetto anche ai condannati da crocifissione. Così, visto attraverso gli occhi di un seguace ebreo di Gesù del primo secolo, la crocifissione non era affatto la morte del proprio amato Maestro, ma una vera catastrofe: significava che, lungi dall’essere l’Unto di Dio, Gesù di Nazareth era semplicemente stato maledetto da Dio. Certo, nel primo secolo vi furono molti altri “rivoluzionari” che vennero giustiziati, ma, prosegue N.T. Wright, «nonostante la delusione, i loro seguaci mai sostennero che il loro eroe era stato risuscitato dai morti. La risurrezione non era concepibile come evento privato, i rivoluzionari ebrei il cui leader era stato ucciso dalle autorità e che erano riusciti a fuggire all’arresto, avevano solo due opzioni: rinunciare alla rivoluzione o trovare un altro leader. Affermare che il leader era tornato in vita, semplicemente non era un’opzione ragionevole. A meno che, naturalmente, fosse accaduto davvero così» (N.T. Wright, Jesus, the final days, Westminster John Knox Press 2010, pp.100-108).

C’è solo un ebreo che ha sostenuto di essere il Messia e i cui seguaci -andando contro la loro stessa concezione teologica- lo hanno inspiegabilmente proclamato risorto dai morti dopo essere stato giustiziato, venendo uccisi come martiri pur di testimoniare quel che avevano visto. E se avessero fatto questo semplicemente perché così realmente accadde?

La redazione

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Giubileo 2016, successo anche nelle presenze (altro che flop!)

Il 20 novembre 2016 si è chiuso l’Anno Santo straordinario, indetto da Papa Francesco l’8 dicembre 2015 per spronare ad una «nuova evangelizzazione», considerando che è «determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia».

In questo articolo vorremmo affrontare un aspetto molto meno interessante rispetto al grande evento spirituale che è stato, concentrandoci su un particolare più materialistico: i numeri. Siamo portati a farlo ritenendo necessaria una correzione rispetto a ciò che abbiamo letto su alcuni media.

Fin da subito c’è chi si è affrettato a parlare di flop, come il Secolo d’Italia. Lo stesso quotidiano online, diretto da Italo Bocchino, ex deputato di Alleanza Nazionale, ha scritto alla chiusura dell’Anno Santo: «è stato un flop clamoroso. Contrariamente alle rosee previsioni rilasciate dagli organizzatori e dal Censis, che parlavano di 33 milioni di visitatori, il numero va quasi dimezzato». A parlare di 30 milioni non sono stati gli organizzatori: mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, ha dichiarato infatti: «Io non so quanti pellegrini verranno a roma per il Giubileo, neppure mi interessa sapere», spiegando che si sarebbe trattato di un evento “low profile”, che «non vuole essere il grande Giubileo del 2000». La previsione venne fatta dal Censis e da uno studio nell’ottobre 2015. Una stima priva di buon senso, sarebbe stata una quantità di arrivi nella Capitale senza precedenti nella storia.

La realtà ci dice che comunque non si è andati così lontani dai numeri del grande Anno Santo indetto da Giovanni Paolo II sedici anni fa, dove per gli organizzatori si registrarono 24,5 milioni di fedeli a Roma (32 milioni per il Censis, invece, ma abbiamo visto quanto siano più credibili i dati degli organizzatori). Infatti, i pellegrini arrivati a Roma per il Giubileo 2016 sono stati oltre 20 milioni (20.875.594, secondo la Polizia di Stato, 20.414.437 secondo gli organizzatori). «Altro che flop», ha voluto sottolineare mons. Fisichella, contestando la lettura «fuorviante e distorta» che «alcuni ostinati continuano a fare, senza avere dati alla mano sull’Anno Santo. Questi sono numeri reali, non fantasie, purtroppo le notizie oggi si fanno o con la fantasia o spettegolando con qualche officiale della curia romana. Si può parlare di tutto fuorché di un flop».

Quattro milioni di fedeli in meno del Giubileo 2000 (secondo i dati degli organizzatori) è un successo se si ricorda che quel bellissimo ed enorme evento venne organizzato in sei anni (i lavori iniziarono nel 1994) e, sopratutto, concentrato solamente nella città di Roma. L’Anno Santo della misericordia, al contrario, è stato deciso in soli nove mesi e, per precisa volontà di Papa Francesco, delocalizzato (o “spalmato”) su tutto il mondo: la prima porta santa è stata aperta proprio dal Pontefice il 29 novembre 2015 a Bangui, nel Centrafrica. Ogni fedele ha così potuto partecipare al Giubileo in una delle chiese giubilari e penitenziali della propria diocesi di appartenenza (circa diecimila porte sante aperte nelle 2.089 diocesi del pianeta), senza dover partire alla volta di Roma. Eppure 20 milioni di fedeli hanno comunque partecipato agli eventi in piazza San Pietro.

A livello locale, sono stati oltre 900-950 milioni i fedeli che in tutto il mondo hanno attraversato la Porta Santa e, «nei Paesi in cui il cattolicesimo è più profondamente radicato, la percentuale di fedeli che hanno attraversato la porta santa ha superato l’80% del numero di cattolici totali», ha spiegato sempre l’organizzatore (la partecipazione media è attestata tra il 56% ed il 62% della popolazione cattolica complessiva). Sono dati molto significativi da considerare quando si vuole fare bilanci.  Se ci si reca fuori da Roma, un caso emblematico è quello di Genova dove le persone che hanno partecipato al Giubileo “locale” sono state circa 900mila persone: quasi un genovese su sei, in una regione non molto religiosa. Va considerato, infine, l’elemento importante della minaccia terroristica a Roma che ha pesato notevolmente su tutto l’arco del Giubileo 2016, limitando in particolare l’afflusso di pellegrini stranieri al contrario del boom che si registrò nel 2000 (complice anche un euro debole). In alcuni momenti si è anche arrivata ad ipotizzare una sospensione dell’Anno Santo.

Tutto ciò spiega anche perché, per la prima volta, un evento organizzato dal Vaticano non si è tradotto in un boom economico per gli operatori turistici. Prima che iniziasse il tutto, il presidente dell’Ente Bilaterale del Turismo del Lazio (EBTL), Giancarlo Mulas, spiegò: «Il fatto che Sua Santità abbia voluto consentire di ottenere l’ammenda dei propri peccati persino nella parrocchia vicina, comporta una considerazione pratica: non si dovrebbero registrare grandi affluenze sulla città; perlomeno non nelle misure che di tanto in tanto si leggono sui media». E’ stato infatti così, inoltre i 20 milioni di pellegrini hanno snobbato le tradizionali strutture recettive per scegliere strutture più economiche, ideali per un “turismo mordi e fuggi”. «Al momento possiamo dire che un 50% degli arrivi per il Giubileo si sono tradotti per noi in pernottamenti», ha detto Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma. Quel poco che c’è stato, comunque, ha permesso alla Capitale italiana di salire di tre gradini nella classifica del buon vivere, pubblicata da Il Sole 24 ore.

Occorre in ultimo ricordare che il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, nel novembre 2015, aveva considerato «eccessiva» la stima del Censis, prevedendo invece che i pellegrini «non saranno più di dieci milioni». Questo sì sarebbe stato un flop! Ne sono arrivati il doppio, pochi meno del Giubileo 2000 per le ragioni che abbiamo considerato (possibilità di partecipare localmente, senza raggiungere Roma, e minaccia terroristica).

La redazione

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Caro Trump, rispetterai le promesse pro-life e pro-famiglia?

eletto trump casa biancaIl fatto che a poche ore dall’insediamento il presidente Donald Trump abbia già dato mandato alle agenzie governative di congelare l’Obamacare -la riforma sanitaria che, tra le altre cose, vieta l’obiezione di coscienza e impone anche alle istituzioni religiose di finanziare aborto e contraccettivi ai dipendenti-, è un segnale significativo. Così come la sparizione della sezione Lgbt dal sito web della Casa Bianca.

Se il fallimento totale di Hillary Clinton è stata una benedizione per il mondo intero e per quello cattolico (il 52% di esso ha votato Trump, secondo i sondaggi scegliendolo come “male minore”), lo stesso non si può ancora dire della vittoria del “tycoon”. E’ un personaggio oggettivamente controverso, vuoi per alcuni suoi discorsi effettivamente sopra le righe, vuoi per il probabile falso profilo che gli è stato creato addosso dall’apparato mediatico, schieratosi massicciamente contro di lui. Rimane la preoccupazione per come deciderà di portare avanti il suo mandato, ma a rendercelo istintivamente simpatico è proprio l’avversione e l’odio che gli ha riservato il mondo giornalistico borghese, quello femminista, quello anarchico-comunista, quello omosessualista, hollywoodiano e twitteriano.

I politici vanno comunque giudicati in base agli atti di governo reali e concreti, non sul gossip o sulle simpatie («aspettiamo i fatti», ha dichiarato giustamente il vescovo Oscar Cantú, presidente della Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale statunitense). Vedremo come risolverà -sempre che vi riesca- i problemi economici americani, se saprà gestire in modo umano (per non dire cristiano) il fenomeno dell‘immigrazione e quale sarà la sua linea sulla politica esterna e sulla lotta al terrorismo. A fianco di queste fondamentali tematiche c’è anche, non meno importante, il campoetico e bioetico: sono infatti numerose le promesse che il neopresidente Trump ha fatto in campagna elettorale a tutti coloro che si battono per la difesa della vita e della famiglia naturale.

 

1) NOMINA DI GIUDICI PRO-LIFE ALLA CORTE SUPREMA
Dopo la morte del giudice Antonin Scalia nel febbraio scorso -pro-life e difensore della famiglia naturale-, è rimasto vacante il suo posto alla Corte suprema. Trump ha promesso in numerose occasioni che, se fosse stato eletto, avrebbe nominato giudici pro-life. In particolare quando nel terzo confronto pubblico con la rivale Clinton gli è stato chiesto se avrebbe ribaltato la legalizzazione dell’aborto, ecco la sua risposta: «Beh, se mettiamo due o forse tre giudici di un certo tipo questo è davvero ciò che accadrà. Avverrà automaticamente, a mio parere, perché metterò giudici pro-life sul campo». Questa decisione l’ha confermata il 27 ottobre 2016: «Sì, io sono a favore della vita», ha dichiarato. Nominerà giudici a favore della vita?, gli è stato chiesto: «Si, è così», la sua risposta. La stessa promessa è stata fatta anche da Mike Pence, attuale vicepresidente americano: «Sono a favore della vita e non mi scuso per questo. Vedremo la Roe vs. Wade consegnata al mucchio di cenere della storia a cui essa appartiene», ha dichiarato riferendosi alla legge che ha legalizzato l’aborto negli Stati Uniti. «Andate a dire ai vostri vicini e amici che, per il bene dello Stato di diritto, per il bene della sacralità della vita, per il bene del nostro secondo emendamento, per il bene di tutte le altre libertà che Dio ci ha dato, dobbiamo assicurare che il prossimo presidente che nominerà i giudici della Corte Suprema sarà Donald Trump».

 

2) DIFESA DELLA LIBERTA’ RELIGIOSA E DELL’OBIEZIONE DI COSCIENZA
Sono state numerose le condanne giudiziarie sotto l’amministrazione Obama per panettieri, fotografi, fioristi, professori, consulenti, operatori sanitari, personalità dei media, sportivi professionisti, proprietari di alberghi, sindaci, stampatori, politici, genitori adottivi, vigili del fuoco, magistrati e polizia, multati o licenziati quando hanno invocato l’obiezione di coscienza rispetto a richieste e pretese della comunità Lgbt. Il 9 settembre 2016 Trump ha promesso di «proteggere e difendere» la libertà religiosa. «Allora lasciatemi dire questo: con l’amministrazione Trump la nostra eredità cristiana sarà custodita, protetta e difesa come non l’avete mai visto prima. Credetemi. Io ci credo».

 

3) ELIMINARE IL FINANZIAMENTO STATALE DI PLANNED PARENTHOOD
Dopo un’indagine del 2015 che ha scoperto il coinvolgimento di Planned Parenthood, la più grande catena di cliniche abortiste nel mondo, nella vendita illegale di parti del corpo di bambini abortiti, Trump ha promesso a più riprese che una volta nominato presidente avrebbe eliminato i fondi statali all’ente. Il 14 settembre 2015 gli è stato chiesto: «Molti conservatori vogliono togliere i finanziamenti a Planned Parenthood. Niente più soldi del governo di fronte a questa orrenda scoperta. Anche lei voterà a favore?». La risposta di Trump: «Sì, ho visto l’inchiesta e credo che già si conosca la mia posizione su questo. L’ho già detto prima e ho visto il video. Penso che sia una vergogna e la risposta è che voterò per l’eliminazione del finanziamento». Anche il 18 ottobre 2015 ha dichiarato: «La pianificazione familiare dovrebbe assolutamente essere privata di finanziamenti. Voglio dire, se si guarda a quello che sta succedendo con essa, è terribile».

 

4) DIFESA DELLA FAMIGLIA NATURALE
Nel 2015 l’amministrazione Obama ha imposto, tramite i giudici della Corte Suprema, il matrimonio omosessuale. La posizione di Trump è stata ambigua su questo, prima affermando che si tratta di una legge ormai stabilita verso la quale non ha problemi, ma il 31 gennaio 2016 ha promesso che se fosse diventato presidente avrebbe «preso in seria considerazione» la nomina giudici anche per annullare le nozze Lgbt. Il 2 febbraio 2016  ha invitato i cristiani a fidarsi di lui: «Si fidino di me sul matrimonio tradizionale, la decisione della Corte Suprema è stata scioccante per voi, per me e per un sacco di altre persone».

 

5) ABROGAZIONE DELL’EMENDAMENTO JOHNSON
Donald Trump ha promesso che, se eletto presidente, avrebbe abrogato l’emendamento Johnson del 1954. Tale legge vieta l’esenzione fiscale alle chiese se si impegnano in “attività di campagna politica”. Se in apparenza può apparire una legge in protezione della laicità, in realtà impedisce ai pastori di comunicare apertamente il loro pensiero e la loro critica alle leggi che non coincidono con la morale cristiana. Così il 9 settembre 2016 Trump ha promesso: «La prima cosa che dobbiamo fare è restituire la voce alle nostre chiese. E’ stata loro portata via. L’emendamento Johnson ha impedito ai nostri pastori e ministri di parlare dai loro pulpiti. Se vogliono parlare di cristianesimo, se vogliono predicare, se vogliono parlare di politica, non sono in grado di farlo. Se vogliono farlo, prendono l’enorme rischio di perdere il loro status di esenzione fiscale. Tutti i leader religiosi dovrebbero essere in grado di esprimere liberamente i loro pensieri e sentimenti su questioni religiose. E io abrogherò l’emendamento Johnson se sarò eletto vostro Presidente, lo prometto».

 

6) ABROGAZIONE DELL’OBAMACARE
Come già detto all’inizio dell’articolo, la riforma sanitaria di Obama è un attacco diretto alla libertà religiosa delle persone, dei datori di lavoro e delle istituzioni cristiane (scuole, congregazioni religiose, ospedali ecc.) costringendo loro a pagare ai loro dipendenti la contraccezione, l’aborto e la sterilizzazione. La Conferenza episcopale americana è intervenuta proprio ieri e Trump ne ha parlato spesso in campagna elettorale: «Abrogheremo e sostituiremo la disastrosa Obamacare che dà il controllo statale sulla vita dei cittadini. E’ un disastro e tutti lo sanno. Vogliamo sbarazzarci di essa e la sostituiremo con alcune grandi, grandi alternative, una migliore assistenza sanitaria a un prezzo molto più basso». La notizia di oggi è che si è già attivato contro di essa. Legata a questa promessa, Trump si è anche impegnato a rendere legge permanente l’emendamento Hyde per proteggere i contribuenti dal dover pagare le tasse per le interruzioni di gravidanza.

 

7) RESTRIZIONI VARIE DELLA LEGGE SULL’INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA
Nella sua lettera alla Trump’s pro-life coalition l’attuale presidente ha promesso di battersi per trasformare in legge il cosiddetto Pain Capable Unborn Child Protection Act, che garantisce la protezione del bambino non nato capace di sentire dolore. Ricordiamo anche che il vicepresidente, Mike Pence, quando era governatore dell’Indiana ha trasformato in legge la sepoltura obbligatoria (o la cremazione) dei bambini abortiti (anche per l’aborto spontaneo) e ha reso inoltre illegale l’interruzione di gravidanza se motivata dal fatto che il bambino è affetto da sindrome di Down. Diverse femministe, infine, ritengono che la fine dell’aborto legale con l’amministrazione trumpiana sia una possibilità concreta e reale.

 

Nel mondo pro-life c’è grande attesa e fiducia verso Trump, ma noi rimaniamo profondamente scettici sulle promesse dei politici. La storia recente insegna: impegni simili li prese anche il presidente spagnolo Mariano Rajoy durante la campagna elettorale, eppure non ha mai mantenuto le sue promesse e quel che realmente ha fatto (o gli hanno permesso di fare) è stato definito “una presa in giro”. Papa Francesco ha augurato a Trump di farsi guidare dai “valori etici”, speriamo sia davvero così: sia in campo bioetico che in tutte le altre azioni di governo. God bless America.

La redazione

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Voltaire, il tollerante razzista e antisemita

voltaire tolleranza 
 
di Francesco Agnoli*
*scrittore e saggista

da LaVerità, 17/01/17
 
 

Citarlo fa ancora chic nonostante siano passati più di due secoli dalla morte. Lo faceva Dacia Maraini, in uno dei suoi tanti distillati, sussiegosi, infarciti di luoghi comuni in relazione a un attentato terroristico a Parigi, per rintracciare nella tanto decantata tolleranza di Voltaire (1694-1778) l’antidoto alla violenza delle religioni.

Scriveva la Maraini, tra l’altro: «A un civile e savio relativismo (quello di Voltaire, ndr) e a un’umana e tollerante convivenza, c’è chi sente il bisogno di contrapporre la fedeltà a un Dio antico e dispotico» (Corriere della Sera, 27/11/15). Peccato che la tolleranza relativista di Voltaire sia una balla spaziale. Un mito, smentito dagli storici, vuole che il polemista francese, simbolo dei Lumi e della vittoria della ragione dopo secoli di fanatismo e superstizione, abbia pronunciato questa frase: «Non sono d’accordo con quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo». In realtà questa proposizione non si trova mai nelle opere di Voltaire, ma in uno scritto di Evelyn Beatrice Hall del 1906, Gli amici di Voltaire. Il fatto che venga di continuo rispolverata come manifesto del relativismo e della tolleranza, magari di fronte a chi difende l’esistenza di principi e di valori non negoziabili, o in altre circostanze, non la rende più vera.

[…] Ma torniamo al profeta della tolleranza. Per scoprire anzitutto quanto è razzista. Nel suo Trattato sulla metafisica (1734) e nel Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni (1756), Voltaire afferma che, checché ne dica «un uomo vestito di lungo e nero abito talare (il prete, ndr), i bianchi con la barba, i negri dai capelli crespi, gli asiatici dal codino, e gli uomini senza barba non discendono dallo stesso uomo». Prosegue situando i negri nel gradino più basso della scala, definendoli animali, dando credito all’idea mitica di matrimoni tra le negre e le scimmie, e considerando i bianchi «superiori a questi negri, come i neri alle scimmie, e le scimmie alle ostriche». Maurizio Ghiretti nella sua Storia dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo (Pearson Italia 2007), ricorda anche che Voltaire è azionista di una compagnia che commercia schiavi neri, e forse proprio in uno di questi traffici si trova beffato due volte da bianchi-usurai ebrei.

Quanto agli ebrei, Voltaire li prende costantemente di mira, vedendo in essi gli antenati degli odiatissimi cattolici, e anticipando così molte delle invettive del futuro antisemitismo. Per esempio nel suo Dizionario filosofico (1764) alla voce “Antropofagi”, scrive: «E dall’altra parte, perché gli ebrei non avrebbero dovuto essere degli antropofagi? Sarebbe stata la sola cosa che mancava al popolo di Dio per essere il più abominevole popolo della terra»; alla voce “Giobbe” afferma che «gli ebrei non furono che dei plagiari, come furono in ogni altra cosa»; alla voce “Tolleranza” il bene è rappresentato dalla Borsa di Amsterdam e di Londra, il male dagli ebrei «un popolo assai barbaro», «il popolo più intollerante e crudele di tutta l’antichità», e dai cristiani, ancora peggiori degli ebrei, definiti «i più intolleranti tra tutti gli uomini» (Voltaire, Dizionario filosofico, Einaudi 1995; si veda anche Voltaire, Juifs, a cura di Elena Loewenthal, e Riccardo Calimani, Ebrei eterni inquieti, Mondadori 2014: vi si ricorda che Voltaire invitò a marchiare tutti gli ebrei con la scritta «Buono per essere impiccato», e che attaccare ebrei e Antico Testamento «il miglior modo per colpire la Chiesa»).

Per tutto questo lo storico del razzismo Leon Poliakov, nel suo Il mito ariano. Saggio sulle origini del nazismo e dei nazionalsocialismi (Editori Riuniti 1996), afferma che «egli (Voltaire, ndr) resta nel ricordo degli uomini il principale apostolo della tolleranza, a dispetto di uno spietato esclusivismo a cui non si saprebbe dare altra qualifica che quella di razzista e di cui i suoi scritti sono una testimonianza altrettanto valida della sua vita». Voltaire dunque ama credersi e presentarsi come tollerante, ma non lo è affatto. Quasi tutta la sua opera è puramente demolitrice di idee e di persone. Sempre al riparo dei potenti, re e nobili dame, di cui cerca favore e protezione.

[…] La tomba di Voltaire si trova al Pantheon: dovrebbe essere la meta di tutti i suoi numerosi epigoni, di quegli intellettuali di basso rango che infestano salotti, giornali e tv, e che continuano la sua opera demolitrice della nostra storia e delle nostre radici. Sempre, come lui, con il ditino alzato, pronti ad invocare, in nome della tolleranza, la scarnificazione mediatica e non solo, di chi non si adegua.

Per un ulteriore approfondimento sul pensiero di Voltaire proponiamo il nostro relativo dossier.

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La costante cosmologica calibrata per la vita, qualcuno ci aspettava?

terraIl canonico cattolico Nicolò Copernico ebbe il grande merito di ribaltare l’idea secondo cui la Terra si trovava fissa al centro dell’Universo. La sua scoperta viene ancora oggi più volte citata in ambito filosofico-nichilistico per promuovere l’approccio riduzionistico all’esistenza, partendo dal delegittimare l’importanza del nostro pianeta, in orbita attorno a un Sole piuttosto piccolo, collocato in uno dei bracci a spirale di una galassia piuttosto tipica (e, secondo i fautori del multiverso, inserito perfino in un universo qualunque).

Eppure il quadro straordinario che a poco a poco sta emergendo dalla fisica e dalla cosmologia moderna mette seriamente in discussione il tentativo nichilistico. Il nostro Universo, ci dice oggi la scienza moderna, è quello le cui forze fondamentali risultano essere finemente regolate affinché possano consentire la vita intelligente. Infatti, se si modifica di poco uno qualunque di tali valori, l’Universo diviene ostile alla vita e incapace di sostenerla. «L’Universo ci stava aspettando», ha detto il fisico Freeman Dyson con la sua celebre citazione, e tale regolazione fine richiede una spiegazione tanto da far presupporre dietro di sé una mente intelligente. Anche se così si entra nel campo della filosofia e della teologia, abbandonando quello scientifico che non può pronunciarsi su questo.

Un recente studio, pubblicato su Physical Review Letters e commentato su Science, ha scoperto che anche le forze, finora sconosciute, che governano l’attuale tasso (e velocità) di espansione dell’Universo, e la costante cosmologica che lo determina, giocano un ruolo importante nel creare le giuste condizioni per la vita. Il valore di tale costante è infatti sufficiente per ridurre al minimo l’esposizione dei raggi gamma sulla Terra ma è anche abbastanza piccolo per permettere la produzione di idrogeno in quantità sufficiente per la formazione di stelle, da cui dipende la vita.

Questa è un’altra delle numerose caratteristiche che rendono unico e incredibile il nostro pianeta. Purtroppo l’alzata di spalle di fronte a notizie del genere è scontata, lo ha fatto anche uno degli autori di tale studio, la cosmologa italiana Licia Verde, docente di Fisica e Astronomia alle università di Oslo e di Barcellona. «Se vediamo un Universo “a nostra misura”», ha commentato, «è perché, se non lo fosse, molto probabilmente non saremmo qui a osservarlo». E’ una risposta abbastanza comune, ma risulta inadeguata come ha spiegato il filosofo della scienza Richard Swinburne, professore emerito dell’University of Oxford. «E’ vero, soltanto se l’ordine è presente possiamo sapere ciò che è presente, ma questo rende ciò che è presente non meno straordinario e bisognoso di una spiegazione. Il punto di partenza non è che percepiamo l’ordine anziché il disordine, ma che sia presente l’ordine anziché il disordine» (R. Swinburne, Esiste un Dio?, Lateran University Press 2010, p. 73).

Il filosofo John Leslie, professore emerito presso l’Università di Guelph, ha spiegato magistralmente la tautologia della risposta della prof.ssa Verde: «equivale a sostenere che, se vi trovate di fronte a un plotone di esecuzione con cinquanta fucili puntati contro di voi, non dovreste essere sorpresi di osservare che siete ancora vivi dopo che hanno fatto fuoco. In fin dei conti, questo è l’unico esito che potevate osservare: se una pallottola vi avesse colpito, sareste morti. Tuttavia potreste ancora ritenere che qualcosa necessiti fortemente di una spiegazione: perché tutti hanno sbagliato il colpo? Era un progetto intenzionale? Non vi è incoerenza, infatti, fra non sorpresi di non osservare di essere morti ed essere sorpresi di osservare di essere ancora vivi» (J. Leslie, in The Foundations of Dialogue in Science and Religion, Blackwell 1998, p.114).

Le persone di fede sperimentano la presenza di Dio nella propria vita e su essa basano la propria esistenza e il suo significato, indipendentemente dal progresso della scienza astronomica. Tuttavia, al contrario di quanti molti sostengono, quest’ultima non è affatto un ostacolo ma, a volte, può anche essere uno stimolo e un aiuto a guardare il cielo e intuire l’eleganza di un progetto creatore. Senza ovviamente confondere il piano filosofico con quello scientifico, che deve rimanere totalmente neutrale.

La redazione

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Femminicidio, il matrimonio è protezione per la donna


di David Quinn*
*giornalista dell’Irish Independent

da Mercatornet.org, 24/11/16

 

Recentemente si è tenuto un convegno a Dublino per cercare il modo di ridurre la violenza contro le donne e i bambini. Un problema che non potrà essere risolto se si continua a sostenere un collegamento con la struttura familiare.

La giornalista femminista Olivia O’Leary ha avvertito che «i valori della famiglia tradizionale nascondono una grande quantità di crudeltà». Questo è un argomento molto delicato, ma è lo stesso atteggiamento che ha portato le autorità inglesi di Rotherham e Rochdale a coprire la violenza sessuale e lo stupro di ragazze bianche, spesso minorenni, da parte di uomini soprattutto pakistani, a causa della paura di incorrere nell’accusa di incitamento al razzismo.

Ma entriamo nel merito e verifichiamo se vi è davvero un legame con la struttura familiare “tradizionale”. La tabella pubblicata qui sotto si basa sul sondaggio 2011-2012 National Survey of Children’s Health condotto dal National Center for Health Statistics negli Stati Uniti, che ha intervistato ben 95.677 genitori di bambini di età inferiore ai 17 anni.

 

Come fa notare questo articolo pubblicato dall’Institute for Family Studies, i risultati sono stati assolutamente chiari. Ai genitori è stato chiesto se il loro bambino avesse mai visto o sentito «i genitori, i tutori o altri adulti in casa schiaffeggiarsi, colpirsi e picchiarsi a vicenda». I bambini che vivono con una madre divorziata o separata avevano sette volte più probabilità di assistere a violenza domestica rispetto ai bambini che vivono con i loro due genitori biologici sposati. Se la madre non si è mai sposata, invece, il bambino aveva ancora sei volte più probabilità di assistere a violenza domestica rispetto ai bambini che vivono con i loro genitori biologici, sposati.

In altre parole, se siamo davvero preoccupati per la violenza domestica dobbiamo guardare la questione in modo equo e oggettivo, svolgendo una discussione corretta su di esso.

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Disabile e scartata da tutti, oggi apre la sua pasticceria

Sindrome di Down e pasticceraRespinta da tutti, scartata. Anche Collette Divitto ha sperimentato sulla sua pelle l’insofferenza che la società odierna, fintamente moderna e civile, prova verso ciò a cui non sa più stare di fronte: la morte, la sofferenza e la disabilità.

Collette è una giovane ragazza americana di 26 anni, affetta da sindrome di Down, ma anche di una tenacia e perseveranza fuori dal comune. Ha sempre amato cucinare dolci e ha provato più volte a farne una professione, inutilmente. Si è proposta a tutte le pasticcerie di Boston, città in cui vive, offrendo i suoi dolci come campione, ma la porta in faccia era assicurata. In una società orientata al consumismo e all’efficienza, a cosa potrà mai servire una ragazza Down? E’ solo un intralcio. «Non sei adatta per noi», la risposta che riceveva più spesso.

«Apprezzavano i miei dolci ma aggiungevano che non ero una buona scelta per loro», ha spiegato Collette in un’intervista. «Si, è stato molto doloroso». Poteva rinunciare ed arrendersi ma alle spalle ha evidentemente una madre forse ancora più coraggiosa: nonostante il mondo dica l’opposto, infatti, non aveva interrotto la gravidanza alla notizia dell’arrivo di una bimba disabile e certamente non la avrebbe abbandonata nemmeno nella difficoltà nel trovare la sua vocazione lavorativa.

Così, grazie all’aiuto della famiglia, Collette ha aperto il suo negozio di pasticceria chiamandolo Collette’s. Il primo ordine di biscotti lo ha ricevuto da un negozio di alimentari di Boston, il Golden Goose Market, il cui proprietario è stato anche il primo a capire il valore della circostanza e dei suoi dolci. La fama dei suoi biscotti ha raggiunto anche alcuni media inglesi e da quel momento ha iniziato a ricevere numerose commissioni da tutto il paese. I suoi biscotti al cioccolato con cannella (e altri ingredienti segreti) sono diventati famosi e oggi il suo sogno è poter crescere per assumere e dare lavoro ad altre persone disabili, affette dalla sua stessa sindrome.

Alla fine è uscita l’anima profonda della città. «Ne ero certa», ha detto Rosemary Alfredo, la madre di Collette. «Non l’ho mai guardata come se avesse dei limiti. Tutti ne abbiamo, siamo bravi in alcune cose e meno in altre. Quindi tutti siamo disabili, in qualche modo. Dio ci ha donato Collette perché possa cambiare la mentalità delle persone in tutto il paese».

Se vi capita di recarvi in Massachusetts, passate da Boston e fate colazione da Collette’s, portate i nostri saluti alla proprietaria. La potete trovare sul sito web e si può seguirla su Facebook e Twitter.

Sindrome Down ragazze

La redazione

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La “Notte dei Cristalli”, il nazismo e la dura opposizione della Chiesa

ebrei notte dei cristalliTra la sera del 9 e del 10 novembre 1938 ebbe luogo in Germania il triste avvenimento conosciuto come la Notte dei Cristalli, durante il quale i nazisti distrussero migliaia di vetrine e di negozi appartenenti ad ebrei.

L’avvenimento ebbe origine in seguito alla decisione di Hitler di espellere nell’ottobre del ’38 circa 12mila ebrei polacchi a cui era stata revocata la cittadinanza dal loro paese di origine: condotti al confine, solo quattromila saranno accolti dalla Polonia, il resto dovette vivere alla frontiera in condizioni miserevoli al punto che si registrarono diversi casi di suicidio. Tra gli espulsi anche la famiglia di un giovane ebreo residente in Francia, Herschel Grynszpan che, per vendicarsi, sparò e uccise il 7 novembre il diplomatico Ernst vom Rath.

Come rappresaglia, i nazisti decisero di colpire gli ebrei presenti nel Terzo Reich non solo inasprendo ulteriormente la legislazione antisemita, ma orchestrando anche violenze in tutto il territorio: oltre mille sinagoghe furono devastate, un numero incalcolabile di negozi appartenenti agli ebrei venne distrutto, oltre novanta israeliti furono uccisi e circa 30mila furono avviati nei campi di concentramento.

L’atteggiamento della Chiesa tedesca dell’epoca verso il dramma degli ebrei è stata giudicato negativamente al punto che in un documento redatto nel 1995 dall’episcopato tedesco si esprimeva dispiacere per «il fatto che si siano avute solo sporadiche iniziative a favore degli ebrei perseguitati e non vi sia stata alcuna pubblica ed esplicita protesta neppure in occasione del pogrom del 1938». Vi è da dire, tuttavia, che non mancarono iniziative coraggiose da parte di esponenti della Chiesa, e la più importante fu quella del prelato Bernhard Litchtenberg, che condannò pubblicamente l’accaduto e, da quel giorno, terminò la celebrazione serale di ogni messa invitando a pregare «per gli ebrei e i poveri prigionieri nei campi di concentramento». Inoltre, se si esamina più a fondo l’atteggiamento assunto all’epoca dalla Santa Sede, non si può fare a meno di notare che fu ben più deciso di quanto affermano i critici.

Già nel settembre del ’38 Pio XI aveva condannato l’antisemitismo in un discorso compiuto di fronte ad un gruppo di pellegrini belgi cattolici affermando che «è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti». Anche nei giorni successivi al pogrom il pontefice fece sentire la sua opinione: l’11 novembre il Vaticano si unì alle proteste dei leader inglesi e francesi contro la Notte dei Cristalli e, in risposta a ciò, i nazisti orchestrarono manifestazioni di massa a Monaco contro ebrei e cattolici. Il Gauleiter della Baviera, Adolf Wagner, dichiarò pubblicamente: «Ogni discorso del papa a Roma è un incitamento agli ebrei di tutto il mondo a mobilitarsi contro la Germania». A seguito delle invettive di quest’ultimo una folla assalì il palazzo vescovile del cardinale Michael Von Faulhaber, il quale aveva fornito durante il pogrom un camion per permettere al rabbino della città di mettere in salvo gli arredi sacri della sinagoga prima che questa venisse distrutta. Le persone che il giorno seguente si abbandonarono a manifestazioni di dolore di fronte alla devastazione del palazzo vescovile furono allontanate dagli agenti di polizia vestiti in abiti civili (M. Gilbert, 9 Novembre 1938. La notte dei cristalli, Milano 2008 pp. 130-131).

Neppure nei giorni seguenti, papa Pio XI smise di attaccare l’ideologia nazista; e il 21 novembre pronunciò un discorso in cui insistette sull’unicità della razza umana. Pronunciamento che venne anche questo duramente attaccato dai leader nazisti: «Nessun sentimento di compassione sarà tollerato nei confronti degli ebrei. Rifiutiamo l’affermazione del papa secondo cui non esisterebbe che un’unica razza. Gli ebrei sono parassiti» dichiarò il ministro del lavoro tedesco Robert Ley in un discorso tenuto a Vienna il 22 novembre. Achille Ratti si era mostrato intenzionato a rompere i rapporti diplomatici con la Germania dopo i fatti accaduti il 9 novembre, ma fu dissuaso dal farlo dal segretario Pacelli che riteneva il gesto controproducente. Sulla scia della presa di posizione di Pio XI, tuttavia, eminenti prelati come il cardinale Schuster di Milano, il cardinale belga Van Roey e il cardinale Verdier di Parigi condannarono apertamente la Notte dei Cristalli (9 novembre 1938… p. 160).

Non è difatti un caso che la morte di Achille Ratti fu salutata con dispiacere da importanti personalità israelitiche che manifestarono la loro stima nei suoi confronti per l’impegno mostrato in vita nella lotta contro il razzismo.

Mattia Ferrari

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Fabrizio d’Esposito e gli indebiti insulti ai cardinali Burke e Caffarra

Il fatto quotidiano contro chiesa«Burke è un ricco cardinalone americano, ultrà facinoroso della Tradizione», «Burke e Caffarra amano la messa tridentina in latino» e covano «l’odio che anima questa destra cattolica». Questi i “maturi” giudizi che l’opinionista de Il Fatto Quotidiano, Fabrizio d’Esposito, ha espresso sui firmatari dei cosiddetti Dubia.

Un’indebita aggressione, totalmente ingiustificata. Probabilmente una forma di violenta risposta agli attacchi che certi giornalisti tradizionalisti-sedevacantisti stanno attuando contro Francesco e contro vaticanisti che non concordano con le critiche all’Amoris Laetitia. Pensiamo ad esempio al recente articolo di Riccardo Cascioli, direttore de La Nuova Bussola Quotidiana, contro il suo amico e collega Andrea Tornielli: «parole dure quelle di Cascioli, che minano più a screditare un collega che a raccontare i fatti», il commento dell’opinionista cattolico de Il Giornale, Stefano Filippi.

Così il progressista tollerante e democratico D’Esposito ripaga con la stessa moneta, colorendo con veemenza i suoi strali contro i tradizionalisti. Spesso ha corso il rischio di querela per i suoi attacchi, da una si è salvato –si legge– sposando l’avvocatessa della parte lesa. Stessa musica (senza insulti, però) su Italia Oggi, dove anche Antonino D’Anna si prende gioco del card. Raymond L. Burke, attuale Patrono dei Cavalieri di Malta finiti recentemente sotto osservazione del Vaticano in quanto avrebbero distribuito contraccettivi in Africa. Se l’intenzione del card. Burke era quella di emanare un «atto di correzione formale di errore grave» rispetto ai contenuti della dibattuta esortazione apostolica, scrive D’Anna, ora allo stesso porporato «gli sono scoppiati tra le mani i cavalieri di Malta. Chi voleva correggere chi?». Anche Filippo Di Giacomo su Repubblica non ha mancato di ironizzare sui quattro cardinali, chiamandoli «cattolici passatisti».

Al complottismo e alle dietrologie dei giornalisti tradizionalisti rispondono gli insulti e gli sberleffi dei vaticanisti progressisti. Fanno tutto loro, se la cantano e se la suonano. Siamo ai «giornalisti teologi», ha commentato amareggiato Stefano Filippi, che «duellano tra loro su questioni di dottrina e spiegano il mestiere al Papa». Ci chiediamo quanto davvero abbiano a che spartire questi personaggi con la fede che dicono di professare e quale sia lo spettacolo che credono di dare della Chiesa, sopratutto a chi credente non è.

Una piccola critica forse bisognerebbe però farla anche ai quattro eminenti cardinali. Non sui contenuti, come già scritto consideriamo legittima la richiesta di chiarimento che hanno rivolto al Papa e alla Congregazione per la dottrina della fede. Lo scopo non sembra essere quello di mera sfida di dissenso, se si leggono le parole di Caffarra e Burke (mentre il sociologo Massimo Introvigne la pensa diversamente). Troviamo tuttavia discutibile la scelta di spettacolarizzare la vicenda, dandola in pasto all’opinione pubblica e a chi non ha alcuna preparazione teologica per dibattere su blog e social network dei contenuti teologici dell’esortazione pontificia, se non limitandosi a patteggiare per i propri “giornalisti teologi” di riferimento. Per non parlare della paventata “correzione formale” che diventerebbe un pericoloso precedente, aprendo le porte al relativismo e all’opinionismo, con la surreale possibilità di venire “corretti” pubblicamente a loro volta da altri cattolici (giornalisti o blogger, come già è stato fatto), da colleghi cardinali, magari dalla Commissione teologica internazionale e, perfino, dalla Congregazione per la dottrina della fede.

Non ha tutti i torti chi ha domandato ai quattro cardinali: «A chi giova?» aver messo in pubblica piazza la questione. «Perché combattere una “battaglia” interna alla Chiesa, facendo pressione dall’esterno e sperando d’influenzare e portare a sé un’opinione pubblica ecclesiale ed ecclesiastica che comunque era stata ampiamente interpellata prima, dentro, fuori e dopo i due Sinodi del 2014 e del 2015? E perché minacciare anche una “pubblica correzione del pontefice”?». C’è chi però giustifica la scelta parlando delle diverse interpretazioni del testo, segno palese della sua ambiguità. Eppure il teologo Livio Melina, collaboratore di Giovanni Paolo II, preside emerito del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia ed indiscussa autorità internazionale in ambito di teologia morale, ha spiegato che la molteplicità di interpretazione nasce «da una prima lettura semplificatrice e addirittura manipolatrice dei grandi mezzi di comunicazione». Se invece si toglie la parola ai vaticanisti per darla ai teologi e agli esperti, ecco che si giunge ad una conclusione e ad «un’interpretazione di Amoris laetitia che è legittima, coerente e feconda»

Anche il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha avuto qualcosa da dire su tutto questo: «i cardinali hanno il diritto di scrivere una lettera al Papa. Mi sono stupito perché questa però è diventata pubblica, costringendo quasi il Papa a dire sì o no. Questo non mi piace. E’ un danno per la Chiesa discutere di queste cose pubblicamente». Forse non è stata una scelta così ben ponderata e gli insulti che questi stimati cardinali purtroppo stanno ricevendo, così come gli squadroni di inutili giornalisti che si stanno fronteggiando, per ora sembra dimostrarlo.

La redazione

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