L’etologo Desmond Morris: «Mi sbagliavo, l’uomo non è una “scimmia nuda”»

scimmia nuda morrisDopo aver passato la vita a ridurre l’uomo alla scimmia, il celebre etologo darwinista-marxista Desmond Morris sembra oggi aver cambiato idea: «Gli esseri umani sono molto meglio di quanto si creda».

Il prof. Morris è uno scienziato sui generis, appassionato di zoologia quanto di sociobiologia, docente di etologia ma anche critico d’arte, surrealista in particolare. In una recente intervista ha fatto un’affermazione che condividiamo in toto: «Sapere alla perfezione un lato della scienza non basta. Difatti, le grandi scoperte sono arrivate quasi per caso». Un inno all’uomo multitasking, come lo chiama lui. L’intellettuale medioevale, come diciamo noi, cioè interessato di tutto e non settorializzato, iper-specializzato, curioso invece di quel che lo circonda ed interprete della realtà seppur partendo, chiaramente, dal suo settore di competenza.

In questa intervista ha anche manifestato un certo cambio di pensiero: «All’inizio della mia vita, tra guerre e genocidi, ero terrorizzato dalla nostra razza. Perciò mi misi a studiare gli animali. Ho capito che mi sbagliavo. Così, passai ad analizzare gli uomini. Sono molto meglio di quanto credessi, hanno uno spirito collaborativo eccezionale, una creatività impareggiabile».

Certo, riflessioni un po’ scontate oggi. Niente di così profondo o sconvolgente, effettivamente. Bisogna capire però da dove partiva Morris: ateo ma non particolarmente militante, fissato con l’immortalità (teorizzò l’«interferire geneticamente con l’imperativo biologico che ingiunge al nostro meccanismo di rinnovamento cellulare di diventare progressivamente meno efficace per poter vivere per sempre»), riduzionista fino al midollo, ha definito l’uomo una “scimmia nuda” (Bompiani 2003), convinto che bastasse trasferire il suo cervello nel corpo (involucro) di un altro uomo per «ricominciare da capo e godermi un altro po’ di questo nostro piccolo, affascinante pianeta» (D. Morris, intervista su Repubblica, 10/4/2008).

Toccò il vertice quando sembrò respingere l’etica cristiana in quanto contrastante con l’istinto biologico: «i pii luoghi comuni di preti e uomini politici suggeriscono che dovremmo amare tutti gli uomini allo stesso modo, che dovremmo trattare gli estranei come fratelli. Dal punto di vista biologico, non siamo assolutamente programmati per agire in questo modo. Se ci comportiamo come se questa inclinazione tribale non esistesse, essa tornerà a tormentarci nelle forme più deleterie. Se la accettiamo, possiamo tentare di attenuarla» (D. Morris, Lo zoo umano, Mondadori 2005, p. 85).

Oggi, da quel che afferma, non sembra esserne più tanto convinto. C’è qualcosa di “eccezionale” e di “impareggiabile” (parole sue) nell’essere umano, impossibile ridurlo ad una scimmia senza peli. Proprio la famosa “scimmia nuda” di Morris è stata citata (e criticata) da un suo collega -seppur ben più rinomato-, il biochimico premio Nobel Ernst Chain: «Ogni speculazione e relativa conclusione circa il comportamento umano disegnato sulla base delle teorie evolutive darwiniane da parte degli studi etologici degli animali -in particolare quelli sui primati- devono essere trattate con la massima cautela. Può essere divertente descrivere il nostro prossimo come “scimmia nuda”, e una piccola sezione di pubblico può anche godere della lettura circa il confronto tra il comportamento delle scimmie e quello umano: ma questo approccio – che, tra l’altro, non è né nuovo né originale- in realtà non porta molto lontano».

Infatti, ha proseguito Chain, «non abbiamo bisogno di essere esperti zoologi, anatomisti e fisiologi per riconoscere che esistono alcune somiglianze tra la scimmia e l’uomo ma, sicuramente, sono molto più interessati le differenze. Le scimmie, dopo tutto, a differenza dell’uomo, non hanno mai prodotto grandi profeti, filosofi, matematici, scrittori, poeti, compositori, pittori e scienziati. Esse non sono ispirate dalla scintilla divina che si manifesta in modo evidente nella creazione spirituale dell’uomo e che, in fin dei conti, lo differenzia irriducibilmente dagli animali» (E.B. Chain, “Social Responsibility and the Scientist in Modern Western Society”, Perspectives in Biology and Medicine, Spring 1971, Vol. 14 No. 3, p. 368).

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Il card. Müller a “Il Timone”: «Non è Amoris Laetitia ad aver creato confusione»

Muller amoris laetitiaSe l’intento era quello di contrapporre il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gerhard Ludwig Müller, a Papa Francesco, non è riuscito. Anzi, è stato un autogol per i critici del Pontefice. Rispetto al magistero cattolico, «non è Amoris Laetitia che ha provocato una confusa interpretazione, ma alcuni confusi interpreti di essa», ha infatti dichiarato il prefetto nell’intervista per Il Timone.

Il card. Müller ha concesso un’intervista a Riccardo Cascioli e Lorenzo Bertocchi, la quale è purtroppo inaccessibile per chi non è abbonato a Il Timone. Così molti si stanno affidando ai brevi resoconti di Marco Tosatti e dello stesso Cascioli ma, leggendoli, si ha l’impressione del tentativo di usare Müller contro Francesco, estrapolandone solo alcune parole. Tosatti, fin dal titolo, sembra voler far intendere che Müller ha replicato alla presunta confusione di Amoris Laetitia, facendogli dire che «La verità non si negozia». Cascioli, autore dell’intervista, addirittura arriva a scrivere: «l’intervista è una doccia fredda sugli entusiasmi di quegli osservatori che consideravano le ormai famose dichiarazioni del cardinale Müller al TgCom24 come il distacco definitivo del prefetto dalle posizioni dei quattro cardinali che hanno firmato i Dubia». Il direttore de La Nuova Bussola Quotidiana sta quindi dicendo che Müller sarebbe vicino alla posizione polemica dei quattro firmatari dei “dubia”.

Ma è proprio vero il contrario, basta leggere (qui sotto) la risposta di Müller alla domanda dello stesso Cascioli. Né quest’ultimo, né Tosatti, citano nelle loro presentazioni dell’intervista la parte più interessante (inaccessibile pubblicamente) quando, parlando delle varie interpretazioni dell’Amoris Laetitia, il prefetto afferma: «Il compito di sacerdoti e vescovi non è quello di fare confusione, ma quello di fare chiarezza. Non ci si può riferire soltanto a piccoli passaggi presenti in Amoris Laetitia, ma occorre leggere tutto nell’insieme, con lo scopo di rendere più attrattivo per le persone il Vangelo del matrimonio e della famiglia. Non è Amoris Laetitia che ha provocato una confusa interpretazione, ma alcuni confusi interpreti di essa. Tutto dobbiamo comprendere ed accettare la dottrina della Chiesa e allo stesso tempo essere pronti ad aiutare gli altri a comprenderla e a metterla in pratica anche in situazioni difficili». Ed è probabile che Müller stia riferendosi anche ai quattro firmatari dei dubia.

amoris laetitia

Parlando di Papa Francesco, il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ha anche dichiarato: «Il magistero del Papa è interpretato solo da lui stesso o tramite la Congregazione per la dottrina della fede. Il Papa interpreta i vescovi, non sono i vescovo a interpretare il Papa, questo costituirebbe un rovesciamento della struttura della Chiesa cattolica […]. La Amoris Laetitia vuole aiutare le persone che vivono in una situazione che non è in accordo con i principi morali e sacramentali della Chiesa cattolica e che vogliono superare questa situazione irregolare. Ma non si può certo giustificarli in questa situazione». Rispetto all’impegno del vivere in continenza per i divorziati risposati che vogliono accedere ai sacramenti (come previsto dalla Familiaris consortio), il prefetto ha spiegato che «non è superabile perché è costitutivamente elemento della teologia morale cristiana e della teologia dei sacramenti».

Nella bella intervista il prefetto aggiunge altro, spiega che «non dobbiamo pretendere di scegliere un Papa, un vescovo o un parroco da una specie di catalogo, come se vi fosse un desiderio personale da soddisfare. Dobbiamo vivere la concretezza della realtà così come ci è stata data e accettare la contingenza della esistenza umana». Ha anche spiegato che l’intento originale di Lutero non era sbagliato: «è necessario sbarazzarsi della “mondanizzazione” della Chiesa: tutto questo possiamo accettarlo dalle istanze della riforma protestante». Aggiungendo però che «ci sono errori dommatici tra i riformatori che non possiamo accettare» poiché si è andati ad «incidere sul nucleo del concetto cattolico di Rivelazione». Ovvero la Riforma e i riformatori hanno perso di vista l’intento originale, la purificazione della Chiesa, andando ben oltre. Non sembra così distante dalla lettura -necessariamente più “diplomatica”-, di Francesco, per il quale «l’intento di Martin Lutero, cinquecento anni fa, era quello di rinnovare la Chiesa, non di dividerla». Ed è chiaro che anche il Papa stesso trovi incompatibili i frutti della Riforma con la visione cattolica, infatti spera di «giungere a ulteriori convergenze sui contenuti della dottrina e dell’insegnamento morale della Chiesa per avvicinarsi sempre più all’unità piena e visibile».

Nell’intervista televisiva a Stanze vaticane, il card. Müller disse che «l’“Amoris Laetitia” è molto chiara nella sua dottrina e possiamo interpretare tutta la dottrina di Gesù sul matrimonio, tutta la dottrina della Chiesa in 2000 anni di storia». Nell’intervista pubblicata oggi, conferma la sua posizione, smentendo per la seconda volta coloro che ritengono che l’esortazione apostolica non sia in linea con il magistero cattolico: «Non è Amoris Laetitia che ha provocato una confusa interpretazione, ma alcuni confusi interpreti di essa».

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Il Gesù storico fu anche esorcista, ma i preti mediatici ironizzano

gesù e gli esorcismiUno dei tanti preti progressisti italiani si chiama Filippo Di Giacomo (nella foto in basso), anche lui da anni cerca fortuna sulle testate laiciste contribuendo a dare un pessimo esempio della categoria. Il suo ultimo articolo su Repubblica è una presa in giro dei colleghi esorcisti, i quali non si accorgerebbero di trattare solo casi psichiatrici.

«Ciò che viene attribuito al demonio», scrive Di Giacomo, «può essere utilmente affrontato senza paura, ricorrendo all’aiuto di persone competenti chiamate “psichiatri”. Prima o poi qualcuno lo dirà pure agli esorcisti». Un’affermazione legittima se fatta da un non credente, ma se a dirlo è un prete ex-carmelitano -seppur “rosso”-, allora la questione è controversa. La pratica dell’esorcismo, infatti, non è un’invenzione della Chiesa ma risale storicamente e direttamente a Gesù Cristo, il più famoso esorcista della storia.

Questo creò problemi anche allo studioso evangelico illuminista Rudolf Bultmann che cercò di censurare questi aspetti imbarazzanti della vita di Gesù (miracoli ed esorcismi), presentando un profilo razionalista del Messia. «Un Gesù di questo genere esente da miracoli è stato il santo Graal cercato da molti studiosi dall’illuminismo in avanti, così come è stato reinventato in vari tempi da pensatori americani, da Thomas Jefferson fino ai divulgatori attuali, che condividono con Jefferson l’ignoranza dell’esegesi storicocritica», ha scritto l’eminente biblista John Paul Meier dell’Università di Notre Dame, indiscussa autorità sul Gesù storco. E’ dura la sua critica al «desiderio perenne di far apparire Gesù come “ragionevole” o “razionale” all’uomo “moderno” postilluminista che guarda alla realtà con aria sospetta», il quale però è costretto a «gettare a mare i criteri storici che ci impongono un’immagine di un ebreo palestinese del sec. I capace di compiere azioni sorprendenti, che tanto lui quanto alcuni tra i suoi uditori hanno considerato gesta potenti e miracolose» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 1033).

Non a caso lo storico Flavio Giuseppe riserva a lui un’eccezione: «nelle “Antichità”, Gesù di Nazareth spicca come una relativa eccezione perché è sacerdote giornalista unitàun personaggio della Palestina del I secolo menzionato per nome al quale Flavio Giuseppe attribuisce un certo numero di gesta miracolose» (p. 705). Al contrario, a nessuno degli altri “profeti” lo storico ebraico attribuisce poteri miracolosi, nemmeno a Giovanni Battista. Anche per questo, ha proseguito Meier, «estrapolare queste gesta dal ministero pubblico di Gesù vuol dire eliminare gran parte di quello che era per lui fondamentale» (p. 1033).

Per quanto riguarda le gesta specifiche degli esorcismi, dopo aver a lungo analizzato la letteratura storico-scientifica prodotta dai principali e moderni studiosi, il celebre biblista è arrivato ad indicare come risalenti al Gesù storico gran parte dei racconti evangelici: il consenso maggiore tra gli studiosi è in particolare sul racconto dell’indemoniato di Gerasa (Mc 5,1-20), l’accenno alla guarigione di Maria Maddalena (Lc 8,2), il racconto del ragazzo posseduto (Mc 9,14-29) e quello dell’indemoniato muto (Mt 12,22-23 // Lc 11,14). La precisazione però è importante: lo storico non ha alcun potere di determinare se tali persone erano davvero dominate da Satana, ma «cercando di rimanere all’interno dell’ambito verificabile, almeno in linea di principio, dalla ricerca storica», valuta se «il Gesù storico ha effettivamente compiuto determinate azioni sorprendenti, straordinarie (per esempio, presunte guarigioni ed esorcismi), che sono state considerate miracoli da lui stesso e da quanti gli stavano attorno, oppure se tali resoconti provengono interamente dall’immaginazione creativa del cristianesimo primitivo» (p. 722).

Studiando i testi evangelici, gli scritti di Flavio Giuseppe e le fonti pre-sinottiche come la tradizione marciana e le tradizioni Q, L e M, la conclusione è che «Gesù praticò l’esorcismo», tali atti «godono di numerose testimonianze, non solo nella molteplicità delle fonti ma anche una molteplicità di forme di attuazione». Essi soddisfano anche i criteri storici di imbarazzo e di discontinuità. «Per quanto sconcertante possa apparire alla sensibilità moderna», ha quindi concluso il prof. Meier, «è abbastanza certo che Gesù fu, tra le altre cose, un esorcista ebreo del I secolo e probabilmente dovette non poco della sua fama e del richiamo di seguaci alla sua pratica di esorcismi» (p. 486). Lo stesso responso è raggiunto da gran parte degli storici del cristianesimo, tra di essi il celebre Graham H. Twelftree della London School of Theology, James Dunn dell’Università di Durham e Norman Perrin dell’Università di Chicago. Quest’ultimo, in particolare, ha scritto: «La testimonianza della pratica dell’esorcismo come un elemento del ministero di Gesù è in realtà molto forte: si possono trovare esorcismi in ogni strato della tradizione sinottica e i testi ebraici antichi considerano Gesù come un taumaturgo, cioè un esorcista» (N. Perrin, Rediscoverin the Teaching of Jesus Harper & Row 1976, p. 65).

Tornando alle affermazioni di Di Giacomo, gli esorcisti sanno bene che molte delle persone che assistono non sono realmente indemoniate. La collaborazione con gli psichiatri è costante: «Io invito gli psichiatri agli incontri con i soggetti afflitti quando ho un dubbio su un caso, e spesso concordiamo che si tratta di malattia mentale, isterismo, e non possessione», ha spiegato, ad esempio, l’esorcista polacco padre Andrzej Grefkowicz. Eppure in alcuni casi il Male «si manifesta in forma di grida, urla, rabbia, furore, e le minacce sono la regola. Una manifestazione nella forma o la levitazione sono meno comuni, ma possono accadere e, devo dirlo, li ho visti con i miei occhi». «Non sono di quelli che vedono il demonio dappertutto», ha affermato padre Cipriano De Meo, decano degli esorcisti italiani. «In gran parte dei casi non hanno bisogno dell’esorcista ma di un aiuto psicologico o psichiatrico, e li indirizzo a qualche specialista».

Proprio recentemente il teologo e vescovo di Modena, Erio Castellucci, ha praticato il suo primo esorcismo, avvertendo: «è importante, per un cristiano, avere discernimento, perché molti casi sono di competenza dello psichiatra più che dell’esorcista». Coloro che affermano che però si tratta di un retaggio del passato «si sbagliano. È sufficiente vedere qualche esorcismo per capire che il male è un’entità precisa oltre che una realtà». Prima o poi qualcuno lo dirà pure ai preti progressisti.

La redazione

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Stigma sociale causa suicidi gay? Studio smascherato – debunked

“Lo stigma sociale aumenta il rischio di suicidi tra gay”, “Secondo uno studio le comunità anti-gay causano morte precoce alle persone Lgbt”. Sono questi alcuni dei titoli di giornale apparsi in Italia su uno studio americano secondo il quale le persone omosessuali che subiscono pregiudizi nelle loro comunità avrebbero una minor speranza di vita.

La ricerca, realizzata da Mark Hatzenbuehler della Columbia University (più volte impegnato in tematiche simili), è stata pubblicata nel 2014 sulla rivista Social Science & Medicine e, come si legge, si è trattata del primo studio peer-review che ha davvero indagato le eventuali conseguenze dell’omofobia.

Ma cosa succede se un altro ricercatore prova a riprodurre lo studio seguendo la stessa metodologia utilizzata? E’ ciò che è effettivamente avvenuto e il risultato lo ha riportato Naomi Schaefer Riley sul New York Post: «Il mese scorso, Mark Regnerus, professore presso UT Austin, ha pubblicato un articolo sulla rivista Social Science and Medicine», nel quale ha spiegato di aver «cercato per dieci volte di ottenere gli stessi risultati di Hatzenbuehler utilizzando gli stessi dati esatti, ma senza riuscirvi. Il che significa, ha concluso, che “lo studio originale è così sensibile alle soggettive decisioni di misura da doversi ritenere inaffidabile“». In particolare, la raccolta dei dati su cui si è basato l’autore dello studio originale aveva gravi carenze metodologiche (le domande poste non erano infatti le stesse ogni anno). Schaefer Riley ha anche ricordato che il prof. Regnerus è stato al centro di infuocate polemiche nel 2012 quando ha dimostrato le problematiche psico-fisiche dell’omogenitorialità ma, «nonostante le richieste di correzione, l’Università del Texas non ha trovato irregolarità». La ricerca non si basa sul principio d’autorità e, al di là delle prevedibili polemiche, nessuno ha mai smentito il suo studio su riviste scientifiche, come invece lui ha fatto con quello del prof. Hatzenbuehler.

La confutazione di questa ricerca da parte dello studioso americano è stata un duro colpo per gli attivisti Lgbt, come lo psichiatra Vittorio Lingiardi, che l’ha più volte citata. Anche perché, Hatzenbuehler, seppur concedendo che coloro che si oppongo al matrimonio omosessuale non hanno in realtà «voglia di ferire le persone», si è spinto a sostenere le nozze gay per combattere il presunto stigma sociale: «in una serie di studi che i miei colleghi ed io abbiamo condotto, abbiamo dimostrato che le politiche riguardo il matrimonio tra persone dello stesso sesso influenzano la salute mentale e fisica delle persone LGBT». Invece, niente da fare: «nessuno degli effetti dello stigma sociale sulla mortalità delle minoranze sessuali era statisticamente significativo», secondo la conclusione del prof. Regnerus. Altri studi hanno confutato l’esistenza dell’omofobia come fenomeno sociale.

Mentre l’indagine di Hatzenbuehler è stata ripresa e propagandata da tutto l’establishment mass-mediatico, alimentando il mare di disinformazione esistente attorno al tema dell’omosessualità, la sua confutazione da parte di Regnerus ha ricevuto, prevedibilmente, molta meno attenzione. Eppure non è certo la prima volta. Il caso più celebre è avvenuto nel 2015 quando, qualche mese dopo la pubblicazione sulla rivista Science del più grande studio “pro-gay”, uno degli autori ha accusato l’altro, Michael LaCour, di aver appositamente falsificato i dati per favorire la comunità omosessuale. Negli USA è stata definita come «una delle più grandi frodi scientifiche nella memoria recente».

Nel 2014 il dott. Delaney Skerrett ha guidato un team di ricercatori dell’Australian Institute for Suicide Research and Prevention (AISRAP), i quali hanno scoperto che una delle principali cause di suicidi tra lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali, non era affatto l’omofobia e lo stigma sociale, ma l’altissimo tasso di conflitti domestici con il rispettivo partner (decisamente più alto di quello relativo alle coppie uomo-donna). Secondo altri studi, infatti, le persone omosessuali affrontano tassi decisamente più elevati di violenza domestica rispetto agli eterosessuali e questa potrebbe essere la vera causa dell’alto tasso di suicidi e della vita qualitativamente peggiore purtroppo riscontrata in chi ha tendenze omosessuali. Nasconderlo è la vera discriminazione verso queste persone.

La redazione

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Rodney Stark e le edizioni Lindau: binomio per chi ama la verità

Pochi mesi fa auguravamo buon lavoro alla casa editrice Lindau, certi che avrebbe tradotto in italiano anche l’ultimo lavoro del sociologo Rodney Stark, pubblicato in lingua originale il 16 maggio dello scorso anno.

Sono bastati solo nove mesi a Lindau e alla traduttrice Franca Genta per portarlo in Italia, con il titolo False testimonianze. Come smascherare alcuni secoli di storia anticattolica (Lindau 2016).

E’ ancora presto per una recensione completa, ci limitiamo in quest’occasione a riprendere quella, sempre puntuale, di Paolo Mieli, ex direttore del Corriere della Sera. Mieli riporta una nota introduttiva del prof. Stark: «Non sono cattolico, e non ho scritto questo libro per difendere la Chiesa; l’ho scritto per difendere la storia».

Come sempre supportato da una notevole mole di note e di bibliografia, presenti e ben citate in tutti i suoi libri come sa chi ha avuto il piacere di leggerli, Stark ha smontato una a una molte delle “colpe” che gli storici hanno attribuito per anni alla Chiesa cattolica. Dall’Inquisizione alle Crociate, dal Medioevo al rapporto con lo sviluppo scientifico, dal fenomeno della schiavitù all’impatto con la modernità, dal colonialismo al caso Galileo, dalla vaccinazione alla terra piatta, dall’antisemitismo al rapporto con il protestantesimo.

Parte del libro è anche dedicata al silenzio che gli storici occidentali hanno dedicato alla persecuzione dei cattolici da parte dell’Unione Sovietica, bollandola come «disinformazione diffusa da reazionari e fascisti». Lo stesso dicasi per le torture subite dalla comunità cattolica durante la guerra civile spagnola.

In un’altra occasione, il celebre sociologo ha fornito una descrizione del suo percorso umano e culturale che vale la pena di ricordare: «Per la maggior parte della mia carriera sono stato solo un cristiano culturale, fortemente aderente a tale eredità, ma privo di fede. Ero un ricercatore abbastanza razionale e a quel tempo non mi trovavo benissimo con i cristiani. Però ero molto interessato alla storia del cristianesimo: intellettualmente avevo rispetto per la Chiesa e la religione cristiana. Comunque, avendo scritto per anni su tale eredità, tutto ciò mi ha condotto a capire che ero diventato credente. Sono stato influenzato in modo molto forte dagli esempi morali che hanno intessuto la storia cristiana. In seguito è accaduto qualcosa e sono diventato sensibile alla fede. Oggi mi sento vicino alle Chiese libere, soprattutto quella episcopaliana».

Appuntamento in libreria o sul sito di Lindau, quindi. “False testimonianze è li che aspetta.

La redazione

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La triste battaglia di Antonio Socci, ora si affida a Trump e al card. Burke

burke francescoTra tutti gli attivisti anti-Bergoglio è quello più agitato e più seguito. Ma Antonio Socci sa di avere un destino infelice: venir tradito da tutti i riferimenti di autentico cattolicesimo che via, via, ha indicato e usato nella sua guerra al Papa. Nell’articolo di oggi su Libero si affida -loro malgrado- a Trump e al card. Burke, una sorta di ultima spiaggia.

Per molti suoi lettori è lui il vero leader della resistenza antipapista, ben oltre le legittime perplessità che chiunque può avere nei confronti dell’azione politica di un Pontefice. Effettivamente è l’unico a scrivere su un quotidiano –Libero– a diffusione nazionale (24mila lettori, meno della Gazzetta di Parma) e può vivere di rendita come ex scrittore cattolico. Da lui dipendono altri giornalisti antipapisti, come Riccardo Cascioli, Maurizio Blondet, Marco Tosatti, Gianfranco Morra, Bonifacio Borruso e Roberto De Mattei. Nessuna novità, ogni pontificato ha i suoi attivi detrattori e questo è sempre stato sintomo di verità, «basta guardare agli ultimi Pontefici per rendersene conto: Paolo VI fu messo in croce dopo l’Humanae vitae», ha commentato il vaticanista Andrea Tornielli. «Ho letto anch’io con il sorriso sulle labbra i sedicenti reportage con fonti anonime sul “clima di terrore” in Vaticano. Nelle parrocchie e nelle comunità tutto questo non arriva. Certi circoli che alimentano in tutti i modi possibili e immaginabili l’ostilità e in molti casi anche l’odio e lo scherno verso il Papa sono molto autoreferenziali. Credo sia un errore pensare che se c’è chiasso sui blog o su Facebook, questo sia un riflesso della situazione reale in termini quantitativi».

Non ha torto Tornielli, come non ricordare gli infuocati articoli contro Benedetto XVI da parte di giornalisti e teologi cattolici come Vito Mancuso, Marco Politi, Hans Kung, Marco Ansaldo, Fabrizio d’Esposito, Massimo Faggioli, Alberto Melloni, Marco Lillo ecc. Ad essi si aggregarono inoltre anticlericali di professione, mentre ai critici di Bergoglio si affiancano volentieri sedevacantisti preconciliari e ambigui personaggi dell’antisemitismo e del neofascismo (documenteremo meglio la cosa in seguito). Il Papa emerito venne ingiustamente e quotidianamente incolpato di allontanare le persone dalla Chiesa a causa della sua ambigua concezione di giustizia, della confusione prodotta dall’inadeguatezza a governare (vedi caso Vatileaks) e dall’eccessivo buonismo rispetto ai casi di pedofilia. Oggi simili critiche sono rivolte a Francesco. Entrambi gli schieramenti (politici, in gran parte: estrema sinistra contro estrema destra) erano e sono convinti di combattere il Papa in nome della cristianità, del diritto di critica come san Paolo verso san Pietro, in difesa della retta coscienza cattolica. Eppure, lo insegna la storia: qualcuno si ricorda il nome degli oppositori di Paolo VI?

Tornando a Socci, ha sposato apertamente la causa trumpista: per lui il nuovo presidente americano (pluridivorziato) -lo ha scritto proprio oggi-, incarna il giusto «connotato culturale filo-cristiano». Trump sarebbe il nuovo riferimento dei cattolici poiché, si legge, è «filo-cristiano» e per questo odiato da Francesco. Basta l’opposizione (benemerita, ci mancherebbe) all’aborto per essere dipinto come l’araldo della cristianità? A Socci ha risposto il suo ex amico Giuliano Ferrara: «Trump ha finanziato per anni le organizzazioni pro aborto, proprio quelle che considerano l’aborto un diritto e hanno sempre puntato sulla pianificazione riproduttiva come un aspetto della cultura eugenetica. Il presidente sa di essere debole, ha molto da nascondere». La politica immigratoria di Trump, scrive Socci su Libero, è «ciò che fu prospettato dal grande card. Biffi». Chissà che piacere per il compianto arcivescovo di Bologna essere strumentalizzato in questo modo. Eppure il cardinale Norberto Rivera, primate del Messico di stampo wojtyliano (stimato da Sandro Magister) è intervenuto duramente contro Trump, parlando di «muro della vergogna» e di «provocazione e aggressione» da parte del presidente americano. Lo stesso ha fatto Jose Maria Gil Tamayo, segretario della Conferenza Episcopale Spagnola, scelto appositamente da Benedetto XVI come consulente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Identica la posizione ufficiale della Conferenza episcopale messicana e di quella americana, quest’ultima notoriamente conservatrice. La Chiesa di Ratzinger e Francesco da una parte, i loro detrattori dall’altra.

Ma il destino del giornalista di Libero è quello di perdere tutte le figure che ha indicato come riferimenti. Devoto di don Luigi Giussani è uscito da CL dopo la scelta del suo successore, il teologo Julian Carron (un tremendo sbaglio di Giussani, secondo Socci). Fans sfegatato di Medjugorje oggi non ne parla più: non tutti sanno infatti che poche settimane prima dell’uscita del suo libro Non è Francesco, uno dei veggenti ha riferito questo messaggio della Madonna: «in modo particolare, cari figli in questo tempo pregate per il mio amatissimo Santo Padre, pregate per la sua missione, la missione della pace»: un’indicazione decisamente rara nei messaggi di Medjugorje. Poco tempo fa la veggente Mirjana ha risposto molto bruscamente ai critici di Francesco. Guarda caso Medjugorje è completamente sparita dall’orizzonte di Socci.

Per mesi ha proclamato la sciocchezza del conclave invalido che avrebbe eletto Francesco, smentita dai canonisti e da colui che indicava come miglior vaticanista italiano: Sandro Magister (stima mai corrisposta, Magister non ha mai citato Socci se non per contraddirlo). Socci si è impuntato allora sulle dietrologie circa le dimissioni di Benedetto XVI, strumentalizzando quest’ultimo come bastone contro il pontificato bergogliano. Tutti i più stretti collaboratori di Papa Ratzinger, tuttavia, sono intervenuti in difesa di Francesco: da mons. Georg Gaenswein, segretario personale di Ratzinger, al card. Camillo Ruini. Lo stesso Pontefice emerito è intervenuto con stima verso il suo successore e ha smentito in modo seccato le dietrologie sulle sue dimissioni, percependo una mancanza di rispetto nei suoi confronti da parte di chi le sostiene. Oggi nemmeno Ratzinger compare più negli articoli di Socci e nei suoi urlati post su Facebook.

E’ stato “tradito” anche dal cardinale guineano Robert Sarah. Socci lo ha descritto come «un vero pastore della Chiesa, un uomo di Dio […] un uomo straordinario», ma il porporato africano ha risposto dicendo: «cosa pensare di un figlio o di una figlia che critica pubblicamente il padre o la madre? Come potrebbe la gente rispettare quella persona? Il Papa è nostro padre. Gli dobbiamo rispetto, affetto e fiducia. Ho piena fiducia in lui ed esorto ogni cristiano a fare lo stesso». Ha allora tentato di tirare dalla sua parte il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, dipingendolo come «il difensore della retta dottrina cattolica e del popolo di Dio». Müller ha però definito «geniale» Papa Francesco, spiegando -da difensore della retta dottrina cattolica-, che Bergoglio «si muove sulla linea dei suoi predecessori». Qualche settimana fa Müller si è anche opposto ai dubia sull’Amoris Laetitia, dicendo che «è molto chiara nella sua dottrina».

Recentemente Francesco ha chiesto le dimissioni del Gran Maestro, Fra’ Matthew Festing, scatenando le ire del mondo tradizionalista. Il vaticanista inglese Austen Ivereigh ha spiegato però che «lungi dall’essere un intervento autocratico negli affari di uno stato “sovrano”, la decisione del Papa di nominare un delegato a governare l’Ordine di Malta riflette il suo dovere di guida verso una organizzazione cattolica ha bisogno di una seria riforma. Nonostante Festing abbia sostenuto con rabbia che il Papa non aveva alcun diritto di intervenire nell’Ordine di Malta, il Sovrano Consiglio ha spiegato che le decisioni di Francesco sono state “prese con cautela e rispetto per l’ordine, con la determinazione di rafforzare la sua sovranità”».

Per il giornalista di Libero, Francesco vorrebbe distruggere l’Ordine di Malta, ma il presidente tedesco dell’Ordine di Malta, Erich Lobkowicz, ha ricondotto tutto ad una «battaglia tra ciò che il Papa Francesco rappresenta e una minuscola cricca di anziani, decorati e irriducibili ultraconservatori». Anche il principe Sforza Marescotti Ruspoli, ex presidente dell’Ordine di Malta in Italia è intervenuto: «Mi irrita profondamente l’idea che i tradizionalisti passino nell’immaginario collettivo come una categoria che si permette di criticare il Santo Padre. Perché un autentico tradizionalista ha come prima norma l’obbedienza al Pontefice. Il Papa non si critica: si serve e basta. Quindi anche l’Ordine di Malta, essendo un ordine religioso continuatore dello spirito dei monaci guerrieri dai tempi di Rodi, non può far altro che dichiarare la propria obbedienza a Francesco. L’Ordine è sovrano ma disobbedire al Papa è impensabile. Il rosso cardinalizio simboleggia il sangue dei martiri ma un Papa è scelto dallo Spirito Santo. E lo si serve, non lo si critica. Mai».

Oggi a Socci è rimasto solo il card. Raymond Leo Burke.  Quest’ultimo non si è ancora esposto, ma il giornalista di Libero non ha tuttavia perso tempo nell’adularlo a fondo. Estasiato, ha scritto che Burke è «mite e gentile, un uomo di Dio, ha profonda spiritualità, non gli interessa né guadagnare né perdere poltrone». Tutto il contrario, ovviamente, dell’«oscuro devastatore» Bergoglio. Ricomincia così la solita tiritera, strumentalizzazione che il tradizionalista ha operato verso tutti coloro che ha cercato di usare nella sua battaglia. I quali, però, sono rimasti cattolici dalla parte del Vicario di Cristo.

 

AGGIORNAMENTO 31/O1/17
Il patriarca caldeo Louis Raphael Sako, primate della Chiesa cattolica orientale, è intervenuto dicendo che la promessa del presidente Trump di dare priorità agli immigrati cristiani perseguitati nei loro Paesi è «una trappola per i cristiani in Medio Oriente. Ogni politica di accoglienza che preferisce i perseguitati e i sofferenti su base religiosa finisce per nuocere ai cristiani d’Oriente, perché tra le altre cose fornisce argomenti a tutte le propagande e ai pregiudizi che attaccano le comunità cristiane autoctone del Medio Oriente come ‘corpi estranei’, gruppi sostenuti e difesi dalle potenze occidentali. Queste scelte discriminanti», ha aggiunto il Primate della Chiesa caldea «creano e alimentano tensioni con i nostri concittadini musulmani. I sofferenti che chiedono aiuto non hanno bisogno di essere divisi in base a etichette religiose. E noi non vogliamo privilegi. Ce lo insegna il Vangelo, e ce lo ha mostrato anche Papa Francesco, che ha accolto a Roma rifugiati fuggiti dal Medio Oriente sia cristiani che musulmani, senza fare distinzioni». L’arcivescovo di Erbil, mons. Bashar Warda, ha ricordato che Trump sta facendo «non gli interessi dei cristiani in Medio Oriente ma gli interessi di una nazione», mentre anche padre Bernardo Cervellera, direttore di Asianews, ha parlato di «politica difficile e pericolosa».

 

AGGIORNAMENTO 01/O1/17
Critico verso la politica immigratoria di Donald Trump è intervenuto anche mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo: «A noi cristiani della Siria e del Medio Oriente non piace nessun discorso che fa differenze tra noi e i musulmani quando è in gioco la giustizia, la pace e l’aiuto a chi ha bisogno. Chi fa queste differenze, alimenta il fanatismo e l’estremismo. I provvedimenti e le leggi devono essere giusti e vanno applicati allo stesso modo per tutti, senza discriminazioni. E anche come cristiani, chiediamo di essere aiutati non a emigrare, ma ad avere la pace nei nostri Paesi, per poter continuare la nostra vita e la nostra testimonianza nelle terre in cui siamo nati».

La redazione

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Un matematico credente racconta il suo professore Odifreddi

odifreddi convegno 
 
di Francesco Malaspina*
*docente di Geometria algebrica presso il Politecnico di Torino

 

Sono stato suo studente, ho seguito un suo corso di logica matematica durante il mio primo anno di dottorato e rimane quella gratitudine di fondo verso chi ci ha insegnato qualcosa.

Non riuscirò dunque ad essere troppo polemico e velenoso nei confronti di Piergiorgio Odifreddi un po’ appunto per gratitudine e un po’ perché in generale faccio fatica ad avere una visione del tutto negativa di chiunque. Questo potrebbe deludere qualche lettore ma talvolta un punto di vista non ostile risulta più credibile e presenta dei vantaggi.

Trovo stucchevole attaccarlo dal punto scientifico. Se si spulcia in un motore di ricerca specifico si trovano in effetti pochi articoli a suo nome. Se parlate però con matematici del suo settore, vi diranno che si tratta di risultati di una certa rilevanza. Inoltre ha scritto nel 1989 due manuali di ricerca molto citati che sono ancora oggi un punto di riferimento importante per gli specialisti. Ha avuto il merito di lavorare sia negli Stati Uniti che nell’allora Unione Sovietica in un periodo nel quale quei due mondi non si parlavano, mettendo quindi insieme conoscenze difficilmente rintracciabili in modo organico. Ovviamente chi crede che, essendo il matematico più famoso d’Italia, sia anche il migliore si sbaglia in modo grossolano ma l’attacco personale, proprio della dialettica politica spesso e volentieri, è da evitare. Va inoltre detto che Piergiorgio ha lasciato presto l’attività di ricerca per dedicarsi in modo brillante alla divulgazione scientifica. La matematica è davvero arte, bellezza, poesia e fantasia ma ci sono difficoltà tecniche e spesso anche blocchi di tipo psicologico che la rendono per molti poco accessibile. Ecco allora che chi riesce a raccontarla in modo semplice e accattivante svolge evidentemente un compito assai prezioso. Diversi miei colleghi matematici pensano che il lavoro divulgativo di Odifreddi abbia fatto un buon servizio alla nostra materia contribuendo all’incremento di iscrizioni al corso di laurea in matematica.

Quando affronta argomenti riguardanti il Cristianesimo si avventura in un terreno complesso, oltre che molto studiato. Ha fatto un notevole lavoro da autodidatta cercando di reperire un po’ di bibliografia, guardando l’etimologia di alcuni termini in ebraico, in greco e in latino, raccogliendo informazioni di tipo storico ed esegetico e cercando di aggiungere anche contributi di biologia e di genetica. Lo dico senza ironia, credo davvero che abbia fatto uno sforzo notevole. Penso che, partendo dalla sua posizione di logico matematico, abbia tentato di mettere insieme diverse aree del sapere usando il metodo di indagine che conosceva. In fondo la logica matematica è tra le aree della disciplina, quella più vicina alla filosofia e si può vedere un po’ come una cerniera tra le materie dette scientifiche e quelle dette umanistiche; per questo può venire la tentazione di provare a invaderle entrambe.

Si tratta in realtà di un atteggiamento piuttosto inusuale tra i matematici che tendono a essere piuttosto prudenti e a parlare solo di ciò che conoscono bene, fino a sembrare timidi. E’ inevitabile che così facendo sia andato incontro ad alcuni errori molti dei quali sottolineati in questo sito web. Si tratta, a mio modo di vedere, di un numero non eccessivamente elevato considerando la complessità dei temi trattati. Va detto che lo scienziato moderno tende a essere molto specializzato per riuscire a dire qualcosa di davvero originale e non esiste più lo scienziato universale capace di destreggiarsi in aree lontane tra loro. Bisogna ad ogni modo dargli atto che non ha usato la materia che meglio conosceva per attaccare il Cristianesimo. Non ha strumentalizzato la matematica che è praticamente assente nei suoi attacchi. I temi trattati sono, come dicevo, studiati molto diffusamente ed è quindi difficile, anche laddove non si commettano errori, riuscire a essere incisivi se si vuole sviluppare una critica e non si è specialisti.

Il motto di copertina del suo libro più celebre “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)”, sintetizza: «Se la Bibbia fosse un’opera ispirata da un Dio, non dovrebbe essere corretta, coerente, veritiera, intelligente, giusta e bella? E come mai trabocca invece di assurdità scientifiche, contraddizioni logiche, falsità storiche, sciocchezze umane, perversioni etiche e bruttezze letterarie?». L’affermazione che la Bibbia contenga errori di vario tipo è evidentemente corretta ma è piuttosto banale. Chiunque prenda in mano per esempio la versione della CEI non farà fatica a trovarne e li vedrà anche evidenziati senza alcun imbarazzo dalle note e dai commenti. La cosa infatti può turbare soltanto chi abbia una visione fondamentalista e pensi che il testo sia stato letteralmente dettato da Dio. Il concetto di ispirazione è stato studiato in modo approfondito nel Concilio Vaticano II (e non solo) e qualsiasi studente al primo anno di una facoltà teologica saprebbe argomentare diffusamente sulla non contraddizione degli errori nella bibbia. Se nonostante ciò, per via dell’apparenza scientifica, qualcuno leggendo il libro in un momento travagliato del suo cammino spirituale, fosse rimasto confuso e si fosse allontanato dal Cristianesimo, ne sarei certamente rammaricato sia in quanto credente che in quanto matematico. Quando ho scritto a Odifreddi di aver letto quel libro durante la scorsa estate, mi ha subito risposto che gli dispiaceva che avessi scelto quello e che mi sarebbe interessato certamente di più “Il vangelo secondo la scienza”. Con questo non voglio dire che lui sia proprio pentito di quel testo ma che magari ora scriverebbe in modo più prudente e non metterebbe in copertina una frase così superficiale. Nel successivo “Caro Papa ti scrivo” è stato in effetti meno sferzante ed è riuscito a sollecitare l’interessante risposta di Benedetto XVI.

Il nostro rapporto epistolare è cominciato in occasione dell’uscita del mio libro che gli ho spedito cercando un dialogo su questi temi. Durante questo cordiale scambio di email mi ha proposto di organizzare un incontro mettendo come moderatore il collega Marco Codegone che era curioso di ritrovare dopo aver visto questo articolo sul sito web per cui sto scrivendo. Si è tenuta così il primo dicembre 2016, nell’aula magna del Politecnico di Torino, una disfida matematica tra scienza, arte e fede. E’ stato un rischio perché so bene di non essere affatto un grande oratore, mentre Odifreddi è abilissimo. Fragile il contenitore ma non il contenuto. Abbiamo un tesoro in vasi di creta (2Cor 4,7). Ho scelto di non rispondere colpo su colpo, lasciando che fosse lui a guidare, ma sono riuscito a raccontare quello che volevo (qui è possibile ascoltare l’incontro: parte1 e parte2). Alcuni amici credenti avrebbero voluto che rispondessi di più, altri invece han condiviso questo tipo di strategia. Ho cercato di dare semplicemente una testimonianza della bellezza del vivere in Cristo: non abbiamo una battaglia da vincere ma una gioia da condividere. Così facendo, inoltre, il clima si è mantenuto cordiale, anche lui non ha alzato i toni eccessivamente, mi ha concesso senza irritarsi qualche piccola stoccata e alla fine siamo stati a cena assieme, con anche il moderatore.

E’ stata una cena gradevole nella quale si è parlato di vari argomenti. Tra le altre cose ci ha detto che, pur essendo presidente onorario dell’UAAR, non frequenta praticamente mai il loro sito e pensa che la loro campagna per sbattezzare sia ben poco ragionevole. Nel complesso la mia impressione è che, pur essendo inevitabilmente un po’ prigioniero del suo personaggio impertinente e anticlericale, Odifreddi abbia una sua intima e travagliata ricerca spirituale e che l’incontro con Benedetto XVI, cominciato ma non terminato con la lettera sopra citata, ne abbia ammorbidito alcune posizioni.

 

Altri articoli dello stesso autore
«E’ più ragionevole credere in Dio, anche senza dimostrazione matematica» (10/01/17)
«Sono un matematico, vi spiego perché ho scelto l’assioma di Cristo» (11/06/16)

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La suora di clausura ora è dottore in Ingegneria aerospaziale

Una suora di clausura in India è uscita dal suo convento per un insolito motivo: partecipare alla cerimonia per il suo dottorato in Ingegneria Aerospaziale, massimo grado di istruzione universitaria.

«Avevo aderito all’ordine religioso dopo il mio ultimo esame orale, lo scorso anno, e questa è stata la prima volta che sono uscita da allora», ha spiegato suor Benedicta, 32 anni, benedettina delle Riparatrici del Santo Volto di Nostro Signore Gesù Cristo. La congregazione conta attualmente 140 suore in 20 case nel mondo, si dedicano alle opere di carità a favore di minori, anziani, disabili e altre categorie bisognose.

La religiosa indiana, nata in Kuwait nel 1983, si è diplomata al St. Xavier’s College di Mumbai e ha conseguito un master in Scienze spaziali presso la Pune University prima di ottenere il dottorato presso il Defense Institute of Advanced Technology di Pune (Maharashtra, India), studiando come ridurre le tempistiche di viaggio degli aerei.

Di fronte ad una promettente e redditizia carriera come ingegnere, tuttavia, suor Benedicta ha sentito la chiamata alla vocazione. Non è stata affatto una rinuncia: «Ho incontrato Dio attraverso i miei studi del dottorato», ha dichiarato, decidendo di dare a Lui «la priorità nella mia vita» rispetto alla carriera lavorativa. E’ entrata in monastero il il 2 febbraio 2015 e, prima di comunicare la notizia ai genitori, ha voluto terminato gli studi intrapresi.

Papa Francesco ha spiegato che «il fantasma da combattere è l’immagine della vita religiosa intesa come rifugio e consolazione davanti a un mondo “esterno” difficile e complesso». Suor Benedicta è un grande aiuto a capire che non è affatto così, anzi è stata una scelta di libertà. «Nel Monastero abbiamo consapevolezza che ogni cosa ci viene affidata da Dio e non ne siamo padroni», ha detto suor M. Raffaella Strovegli del Monastero di clausura delle benedettine di Fermo (Marche). «Che libertà! Ecco perché la dimensione della gioia è una nostra caratteristica: quando non si è schiavi delle cose, si ha la gioia della libertà».

La redazione

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Migranti, Bergoglio come Wojtyla: «accoglienza prudente»

Immigranti e papa Francesco, nessun buonismo o accoglienza selvaggia.E’ notizia di ieri che il presidente Trump ha “congelato” per 120 giorni l’accoglienza dei profughi, avvertendo che in seguito sarà data priorità alle minoranze cristiane. Oggi il presidente canadese ha risposto dichiarando: «A chi fugge dalle persecuzioni, dal terrore e dalla guerra, sappiate che i canadesi vi daranno il benvenuto, non importa quale sia la vostra fede».

Scelte politiche complesse in un momento drammatico, che generano a loro volta proteste e risposte forse opportunistiche (c’è chi ha fatto notare che a non essere benvenuti in Canada sono i disabili, ad esempio). Il punto fermo per noi sono le parole di san Giovanni Paolo II: «I Paesi ricchi non possono disinteressarsi del problema migratorio e ancor meno chiudere le frontiere o inasprire le leggi, tanto più se lo scarto tra i Paesi ricchi e quelli poveri, dal quale le migrazioni sono originate, diventa sempre più grande».

La posizione della Chiesa, da sempre, è la stessa e le parole di apertura di Papa Francesco non sono certo una novità. Innanzitutto, egli non ha mai invitato ad un’immigrazione selvaggia, senza regole e indiscriminata (come invece continua a scrivere Francesco Borgonovo, disinformatore seriale di Libero), ma  ritiene che «non siamo in grado di aprire le porte in modo irrazionale». Francesco ribadisce in ogni occasione la “prudenza”, come ha fatto nel dicembre 2016: «Un approccio prudente da parte delle autorità pubbliche non comporta l’attuazione di politiche di chiusura verso i migranti,  ma implica valutare con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio Paese è in grado, senza ledere il bene comune dei cittadini, di offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che hanno effettivo bisogno di protezione». Citando Giovanni XIII, ha ricordato il diritto di immigrazione di ogni essere umano, aggiungendo che «nello stesso tempo» occorre garantire che i popoli che li accolgono non «sentano minacciata la propria sicurezza, la propria identità culturale e i propri equilibri politico-sociali. D’altra parte, gli stessi migranti non devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti».

Accoglienza ai migranti che devono però rispettare e adeguarsi alle leggi, all’identità e alla cultura di chi cristianamente li accoglie, per le possibilità che ha di farlo. Nel novembre scorso Bergoglio ha ribadito: «non si può chiudere il cuore a un rifugiato ma ci vuole anche la prudenza dei governanti: devono essere aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato lo si deve anche integrare. E se un Paese ha una capacità di venti di integrazione, faccia fino a questo. Un altro di più, faccia di più. Ma sempre il cuore aperto: non è umano chiudere le porte». E’ un approccio che riteniamo ragionevole, cristiano e prudente. Certamente, come ha ricordato don Gianni Antoniazzi, parroco di Carpenedo (Mestre), «accogliamo chi arriva ma non dimentichiamo chi è vicino a noi», i poveri di “casa nostra”. Se l’accoglienza è prudente e misurata alle capacità di un Paese, come sostengono Francesco e don Gianni, allora è possibile aiutare tutti: italiani e non.

Numerosi studi stanno anche smentendo i luoghi comuni sull’immigrazione, diffusi sopratutto dai giornalisti di Maurizio Belpietro, potente ideologo della destra berlusconiana. Per chi è interessato ad approfondire citiamo la ricerca dell’Università di Padova, il rapporto del Censis e le parole dell’economista italiano Leonardo Becchetti, ordinario presso l’Università Tor Vergata. Allo stesso modo sono importanti e andrebbero lette anche le riflessioni di padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa e amministratore apostolico di Gerusalemme.

Sono ingiustamente trascurate, inoltre, le notizie di un forte aumento di conversioni al cristianesimo dei migranti e rifugiati islamici che chiedono asilo (e altrettante richieste di battesimo vengono negate se i presunti convertiti hanno secondi fini, come ad esempio una via più facile per ottenere ospitalità). Tanto che Camille Eid, scrittore cattolico e giornalista libanese, ha spiegato che «sicuramente l’immigrazione massiccia, dovuta alla guerra in Siria e Iraq, è uno dei fattori di questo trend crescente» di conversioni. Per questo il cardinale più vicino al pontificato di Ratzinger, l’arcivescovo di Milano Angelo Scola, è impegnato apertamente nel far capire che «la Chiesa è cattolica, cioè universale» soltanto se non teme ma valorizza «la grande trasformazione che sta avvenendo nel mondo e anche nelle terre ambrosiane» riferendosi alla mescolanza di etnie cristiane diverse. Rivolgendosi agli immigrati ha dichiarato: «grazie alla vostra presenza, nasce la nuova Milano, Italia e, Dio lo voglia, la nuova Europa. Sono convinto che tra venti o trent’anni questo tipo di Eucaristia sarà normale in tutte le nostre chiese, cosicché, lentamente, vedrà la luce il nuovo cittadino milanese».

Ritorniamo infine a Papa Wojtyla, perché tutto quanto dice oggi la Chiesa altro non è che riproporre il pensiero del pontefice polacco. Egli affermava che «la Chiesa ribadisce con insistenza che, per uno Stato di diritto, la tutela delle famiglie e in particolare di quelle dei migranti e dei rifugiati aggravate da ulteriori difficoltà, costituisce un progetto prioritario inderogabile». Inoltre ricordava i «milioni di rifugiati, a cui guerre, calamità naturali, persecuzioni e discriminazioni di ogni tipo hanno sottratto la casa, il lavoro, la famiglia e la patria», invitando ad «impegnarsi attivamente per la rimozione delle cause che sono all’origine dello sradicamento di tanti milioni di persone dalle loro terre di origine; ciascuno, per quanto da lui dipende, eserciti l’accoglienza cristiana verso i rifugiati e i migranti».

Hanno disturbato molti “devoti” cattolici queste parole di Francesco: «Come non vedere il volto del Signore in quello dei milioni di profughi, rifugiati e sfollati che fuggono disperatamente dall’orrore delle guerre, delle persecuzioni e delle dittature?». Ebbene, san Giovanni Paolo II diceva le stesse cose: «Con la propria sollecitudine i cristiani testimoniano che la comunità, presso la quale i migranti arrivano, è una comunità che ama e accoglie anche lo straniero con l’atteggiamento gioioso di chi sa riconoscere in lui il volto di Cristo».

La redazione

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Sigmund Freud e l’odio anticristiano nel genocidio ebraico

freud ebraismoIl padre della psicanalisi, Sigmund Freud, analizza l’odio anticristiano nel genocidio ebraico, evidenziando la sua visione sulla vicinanza tra ebraismo e cristianesimo.

 
 
 

Il 27 gennaio, si è commemorata la Giornata della Memoria, dedicata al genocidio ebraico. Durante quel tragico periodo, gli ebrei furono vittime di un odio inspiegabile, ma che svelò anche una forte connotazione anticristiana, come testimoniato dalle parole dell’ebreo Sigmund Freud.

Lo psicoanalista Luigi Campagner, socio della Società Amici del Pensiero-S. Freud, ha reso omaggio al pensiero del padre della psicanalisi. Nel 1938, nell’anno dell’annessione dell’Austria da parte della Germania, Freud sperò che la Chiesa cattolica potesse proteggere la civiltà dalla «barbarie quasi preistorica del nazismo». In maniera sorprendente, scrisse, «proprio l’istituzione della Chiesa cattolica oppone una potente difesa alla diffusione di un simile pericolo per la civiltà» [1934-38, Opere, Boringhieri, XI].

 

Genocidio ebraico: l’odio anticristiano dei nazisti

Va ricordato infatti che nel corso del processo di Norimberga, i leader nazisti furono infatti accusati di aver dichiarato l’obiettivo di eliminare le chiese cristiane in Germania, cercando di sostituirle con istituzioni e credenze naziste. Per perseguire tale scopo, essi intrapresero un programma di persecuzione nei confronti di sacerdoti, chierici e membri di ordini monastici che si opponevano ai loro intenti, arrivando anche a confiscare le proprietà della Chiesa [R.A. Graham, Pio XII e il regime nazista. Note dagli archivi tedeschi].

Inoltre, abbiamo affrontato l’avversione di Hitler verso la Chiesa cattolica, nonché l’incompatibilità tra cristianesimo e nazionalsocialismo, espressa dal suo segretario personale Martin Bormann e dal vero ideologo del nazismo, Alfred Rosenberg.

 

Sigmund Freud e la vicinanza tra ebraismo e cristianesimo

Tornando a Freud, le sue opere vennero bruciate a Berlino nel 1933, mentre nel 1938 i suoi figli subirono torture inflitte dalla Gestapo. Freud stesso fu costretto dai nazisti a firmare una liberatoria per l’espatrio e dovette emigrare a Londra insieme a sedici persone. È importante ricordare che le sue quattro sorelle persero la vita nei campi di concentramento, lasciando un’ombra sulla sua condotta durante quei tragici giorni.

Freud non rinnegò mai la sua identità ebraica, anzi, Campanier spiega che la «beatitudine di essere eletti, la predilezione del Padre divino, la volontà di mantenere la propria distinzione identitaria, la resistenza alle persecuzioni, il complesso di evirazione che il rito della circoncisione inconsciamente evocava, furono alcune delle interpretazioni di Freud per spiegare l’odio antiebraico».

Nel suo lavoro “L’uomo Mosè e la religione monoteistica”, Freud analizzò approfonditamente l’antisemitismo, enfatizzando la vicinanza tra ebraismo e cristianesimo secondo la prospettiva dei persecutori nazisti.

Infatti, Freud scrisse che «l’odio per gli Ebrei è al fondo odio per i cristiani, e non vi è di che meravigliarsi se nella rivoluzione nazionalsocialista tedesca questa intima relazione tra le due religioni monoteistiche trova così chiara espressione nel trattamento ostile a entrambe» [S. Freud, L’uomo Mosè e la regione monoteistica, Terzo saggio (1938), 1D, Opere, Boringhieri XI].

In conclusione, Freud individuò la vicinanza tra ebraismo e cristianesimo nell’idea di rapporto col Padre, evidenziando che mentre il cristianesimo si sviluppò come «una religione del Figlio», l’ebraismo si basa su una religione del Padre. Questa differenza di concezione del rapporto col Divino rifletteva la prospettiva di Freud sulle due religioni e sulle dinamiche sottostanti all’odio antiebraico.

La redazione

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