Polonia, aborto limitato e ottima la salute delle donne

polonia abortoPochi mesi fa la Polonia stava per rendere totalmente illegale l’interruzione di gravidanza ma le femministe sono riuscite a far ritirare la proposta di legge. Attualmente l’aborto è consentito solo in caso di pericolo per la salute della donna, malformazioni gravi del feto o in caso di stupro e incesto. Agli occhi dei difensori della vita rimane comunque una delle migliori in Europa.

Ciò che le femministe hanno nascosto alle donne polacche è che gli studi indicano che più l’aborto è vietato e maggiore è il benessere delle stesse donne, sopratutto per quanto riguarda il tasso di mortalità materna. Basterebbe infatti recarsi su uno dei principali quotidiani inglese, il Telegraph, per apprendere che il tasso di mortalità materna delle donne incinte nel Regno Unito, dove la legge a favore dell’aborto è minimamente restrittiva, è peggiore di quello in Polonia.

Recandosi sul World Bank e confrontando i vari Paesi sul tasso di mortalità materna, si osserva che nel 2015 il tasso francese è stato dell’8‰ (per mille), in Belgio del 7, in Canada del 7, in Olanda del 7, in Portogallo del 10, in Spagna del 5, in Svezia del 4, negli Usa il 14 ecc. In Polonia, invece, c’è il più basso tasso, ovvero del 3. Per questo Ewa Kowalewska, direttrice di Human Life International, ha dichiarato: «la Polonia ha un eccellente sistema di cura per la salute materna; le nostre percentuali di mortalità materna sono tra le più basse d’Europa nonostante abbiamo – anzi, proprio perché abbiamo – forti restrizioni sull’aborto: per questo il messaggio che vogliono far passare gli abortisti è estremamente disonesto».

Tutto ciò è stato confermato da diversi studi: nel 2012 su Medical Science Monitor è stato, ad esempio, concluso che i tassi di mortalità materna sono significamente più elevati a fronte di un aborto indotto. Nel 2013 sul Journal of American Physicians and Surgeons, gli studiosi hanno invece rilevato che la mortalità materna per le donne inglesi è doppia rispetto a quella delle irlandesi, nonostante in Irlanda viga una legge parecchio restrittiva sulla possibilità di interrompere la gravidanza.

Altri studi hanno invece rilevato che le donne che hanno subito un aborto presentano un rischio maggiore dell’81% di avere problemi di salute mentale, e quasi il 10% di essi è direttamente attribuibile all’aborto. Il dott. Monique V. Chireau, professore all’University Medical Center in North Carolina (USA), ha dichiarato che «il trattamento delle gravidanze ad alto rischio non richiede una falsa scelta tra i bisogni e i diritti della madre e del bambino. In effetti, i dati del Ministero della Sanità britannico mostrano che negli ultimi 20 anni non è stato necessario nemmeno un aborto per salvare la vita della madre. I medici hanno il dovere di fornire assistenza alla salute considerando gli interessi sia della madre che del neonato».

Come dimostrato nel nostro apposito dossier, maggiore è il diritto e il rispetto alla vita, minore è il tasso di aborto, migliore è la salute femminile e migliori sono i tassi di mortalità materna. Niente psicosi femminista sulle mammane, niente retorica sull’esplosione degli aborti clandestini, soltanto una sana cultura fondata sul rispetto della vita umana, in tutte le sue forme.

La redazione

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Riccardo Cascioli giustifica anche i manifesti “ironici” su Benedetto XVI?

Riccardo Cascioli direttore de “La Nuova Bussola Quotidiana” giustifica i manifesti contro Bergoglio, minimizza e ironizza sull’intervento della Digos, ma i cardinali ratzingeriani intervengono in difesa di Francesco. Era lo stesso che condannava i manifesti contro Ratzinger.

 

«Un po’ di umorismo, suvvia». Così i sei giornalisti -cavalieri dell’antipapismo odierno-, si sono accordati per reagire alla comparsa dei manifesti nella città di Roma che dileggiano l’operato e la figura di Papa Francesco, paragonandolo di fatto ad un dittatore.

Mentre Sandro Magister non ha preso posizione, De Mattei, Socci, Blondet e Tosatti hanno gioito per l’accaduto, parlando di rivolta del popolo cristiano e ironizzando sull’intervento della Digos nel cercare i responsabili. La giustificazione più strutturata è arrivata da Riccardo Cascioli, direttore de La Nuova Bussola Quotidiana.

Per lui «il delirio» non è la frase scritta sul manifesto anonimo, un elenco di accuse al Papa stilato in modo grossolano e superficiale (qualcuno ha notato una coincidenza con l’editoriale del giorno prima di Roberto De Mattei, uno degli antipapisti più attivi), ma sono le reazioni da «regime dittatoriale» che si sono verificate. Tra gli intervenuti, tuttavia, è stato anche il card. Camillo Ruini, il collaboratore più vicino a Papa Benedetto XVI, che ha parlato di «manifesti che non rispecchiano per nulla il sentire dei romani, della gente». Per Cascioli, evidentemente, sono una «durissima reazione della stampa di regime» anche le parole di un altro amico fraterno di Ratzinger, il card. Marc Ouellet -con il quale il Papa emerito creò la rivista Communio, assieme al teologo Hans Urs von Balthasar-, per il quale «questi metodi non si devono usare nella Chiesa, sono piuttosto opera del diavolo che vuole dividerci».

Verrebbe da chiedersi, a questo punto, se Cascioli giustifica anche i manifesti ironici che gli ambienti Lgbt vollero appendere nel 2013, ritraendo Benedetto XVI truccato da trangender. Anche questa una pasquinata? Un sano moto di diffuso dissenso al pensiero di Ratzinger in campo morale? Cascioli non prese posizione, lasciò intervenire sul suo portale l’avvocato Gianfranco Amato che annunciò una denuncia agli autori: anche questa una reazione da regime totalitario?

Sui social network molti hanno reagito all’editoriale di Riccardo Cascioli annunciando l’interruzione all’abbonamento a Il Timone e alla lettura de La Nuova Bussola Quotidiana. Ma ancora non vediamo la necessità di privarsi di questi utili strumenti di informazione solo perché il direttore sembra aver perso la trebisonda. Anche perché, a parte qualche sparata di Lorenzo Bertocchi -anche lui ha epurato le parole del card. Müller in difesa dell’Amoris Laetitia, pronunciate durante l’intervista a Il Timone– non sembra che i collaboratori di Cascioli condividano la sua battaglia personale contro il Pontefice. Ad esempio, Roby Ronza, uno dei responsabili del La Nuova Bussola Quotidiana, ha addirittura risposto sul suo blog personale ai famosi dubia dei quattro cardinali, spiegando di non essere né smarrito, né confuso, davanti all’Amoris Laetitia.

Il metodo del dissenso espresso dai manifesti è opera del Demonio per il ratzingeriano Oulettet, mentre per i guardiani dell’antipapismo si tratta di ironiche pasquinate. Non la pensa così il decano dei vaticanisti americani, John Allen, che ha ricordato i volantini contro Giovanni Paolo II, quando indisse la prima Giornata interreligiosa ad Assisi nel 1986. Anche il vaticanista Aldo Maria Valli -celebrato inizialmente dai giornalisti critici del Papa e poi scaricato quando ha mostrato di non condividerne la militanza-, ha condannato «nel modo più chiaro e deciso» i manifesti romani. «Non sono condivisibili sotto alcun profilo: non nel tono e non nel contenuto. Chiunque può avere idee e convinzioni e a chiunque deve essere lasciato lo spazio di poterle esprimere in libertà, purché siano rispettose, non scadano nell’aggressione e portino il nome di chi se ne fa interprete. Preghiera per il papa, per rinnovargli attaccamento e vicinanza; preghiera per la comunità cattolica, perché sappia confrontarsi nel rispetto, e preghiera anche per chi ha concepito e diffuso i manifesti anonimi, perché capisca di aver compiuto un gesto inaccettabile e soltanto distruttivo».

Ecco, quelle di Valli sono le parole che ci saremmo aspettati di leggere sui siti web che si dichiarano cattolici. Scopriamo invece la giustificazione, addirittura la critica alle indignazioni e, in alcuni casi, anche la gioia per l’affronto al Papa: questo rivela l’incapacità di una lettura non ideologica degli eventi. E’ questo forse l’aspetto più deleterio della vicenda, ben più doloroso dei manifesti stessi che sono sì un vile attacco, ma di portata notevolmente inferiore da quello che il Pontefice riceve ogni giorno -ogni giorno!- da un pungo di giornalisti in crisi esistenziale.

La redazione

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Un teologo rettore dell’Università di Strasburgo, in barba al laicismo

Nella laicissima Francia capita anche che un teologo venga eletto rettore della seconda più grande università del paese, l’ateneo di Strasburgo, che vanta circa 46.000 studenti e oltre 4.000 ricercatori.

Il suo nome è padre Michel Deneken, sacerdote cattolico già decano della facoltà di teologia, nominato con 29 voti su 39 (1 astenuto), resterà in carica per i prossimi quattro anni. Dal 2009 era vicepresidente del consiglio di amministrazione d’ateneo. Non conosciamo il teologo, ma si apprende che è apprezzato dai colleghi di tutti i dipartimenti, senza differenze tra discipline umanistiche e scientifiche, ed è autore di un’opera intitolata La Foi pascale: rendre compte de la Résurrection aujourd’hui (La fede pasquale: la responsabilità odierna della Resurrezione).

Nella patria del laicismo non è sorprendente che vi siano state diverse polemiche per questa nomina, in particolare da parte del Sindacato nazionale dei docenti, dall’associazione federale degli studenti musulmani e di quella dei comunisti. La cosa inedita, invece, sono le numerose voci schieratesi a favore, come l’organismo di rappresentanza dei presidenti delle università di Francia (CPU), nonché l’Associazione federativa generale degli studenti di Strasburgo (AFGES), che ha apertamente sostenuto la candidatura di Michel Deneken.

Come è stato giustamente scritto, chi si è opposto alla nomina di Deneken ha «attaccato la laicità», non l’ha difesa. «Intendeva favorire l’invasione del secolarismo per mettere a tacere qualunque opinione religiosa, impedendo la libera espressione». Fortunatamente non è andata così e ci auguriamo possa essere l’occasione di una svolta per l’intera società francese: non è bello restare indietro di 200 anni.

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L’inesistenza degli apostoli e altre fantasie di Emilio Salsi

L’inesistenza storica dei dodici Apostoli di Gesù è stato uno degli argomenti su cui Emilio Salsi ha scritto maggiormente. O, meglio, fantasticato.

Ma chi è Emilio Salsi? Si descrive come un ex militare in inattività che, spinto dalla curiosità, ha studiato amatorialmente la storia dell’Impero Romano, appassionandosi agli eventi del I secolo e alla nascita del cristianesimo. E’ salutare coltivare i propri hobby, ma bisogna riconoscere che non è uno storico, non è accademico, non è un ricercatore professionista, non ha pubblicato alcun testo storico e non è citato da alcuno studioso.

Le sue affermazioni -il cui filo logico è onestamente difficile da seguire- sembrano in gran parte una riproposizione delle tesi di Luigi Cascioli, agronomo ateo, anch’egli ex militare e, a sua volta, “curioso” di argomenti storici (il quale copiò da David Donnini, altro amatore, insegnante di fotografia all’istituto alberghiero “Datini” di Prato). I tre ritengono che Gesù sia un mito inventato e, come tutti i “miticisti”, se nessuno li considera, è per loro una “prova” dell’aver detto verità scomode. Se qualcuno, invece, si prende la briga di ascoltarli, ciò diventa una “prova” dell’aver detto cose impossibili da trascurare. Ne parliamo semplicemente perché capita di ricevere da qualche lettore inviti ad “aprire gli occhi” e considerare quanto scritto da Salsi. Abbiamo accettato la proposta e consultato i suoi testi.

Salsi è seriamente convinto che Gesù sia in realtà il figlio di “Giuda il Galileo”, che ritiene -citando Flavio Giuseppe- fondatore del movimento nazionalista rivoluzionario degli Zeloti. Altri figli di Giuda sarebbero Menahem (il cui vero nome sarebbe stato Giuseppe), Giuda Taddeo, Giacomo e Simone. Giovanni, inoltre, andrebbe per Salsi identificato con lo stesso Gesù. Questi cinque fratelli, scrive, «corrispondono tutti ai figli di Giuda il Galileo» e come lui sarebbero stati fanatici, violenti e rivoluzionari antiromani. «Al contrario», ha proseguito Salsi, «gli apostoli con nomi greci, senza alcuna designazione ribelle, vengono tutti cancellati dalla storia come dimostriamo ad iniziare da “Filippo” nello studio successivo su “Paolo di Tarso”: entrambi inventati».

Il tutto verrebbe confermato, sempre secondo l’ex militare, analizzando gli scritti di Flavio Giuseppe e la posizione geografica della città di Nazareth, che in realtà corrisponderebbe a Gàmala. «”Galileo”», ha concluso Salsi, «era la qualifica che distingueva “Giuda il Galileo”, il quale, anche lui, non era nativo della Galilea ma della città di Gàmala le cui rovine, ribadiamo, sono conformi alla Nazaret descritta nei vangeli». Da Giuda, il fondatore dei fanatici nazionalisti zeloti, derivò il termine “Galilei”, ovvero «gli ebrei più focosi e nazionalisti, pronti a ribellarsi» al potere romano. Partorire una simile tesi è sorprendente, non lo è invece apprendere che lo “studio” di Salsi è completamente privo di note, bibliografia e citazioni di autentici studiosi. Anzi, «gli storici genuflessi odierni», ha scritto, sono «ben coordinati fra loro per dare maggior peso alle menzogne». Il solito complotto, quindi.

 

GLI ZELOTI. Sono comprensibili i giudizi di Salsi verso gli storici, i quali infatti riferiscono cose completamente opposte. L’ex militare, ad esempio, dà per scontata l’esistenza del gruppo rivoluzionario degli zeloti, ma l’eminente biblista americano J.P. Meier, docente di Nuovo Testamento presso l’University of Notre Dame, ha dedicato ad essi un intero paragrafo della sua monumentale opera sul Gesù storico. «Se attribuiamo a “zeloti” il significato che Flavio Giuseppe quasi sempre attribuisce a questo termine, ossia un gruppo organizzato e armato di rivoluzionari, ribelli contro il governo romano in Palestina, allora non è pertinente chiedersi se e come Gesù abbia interagito con gli zeloti. Gli zeloti in questo senso del termine non emersero di fatto come un gruppo distinto che al tempo della prima rivolta giudaica (66-70 d.C.), più precisamente durante l’inverno dell 67-67 d.C. a Gerusalemme, quando vari gruppi politici si scontrarono e manovrarono per avere il controllo della rivolta. Per definizione, quindi, è assolutamente anacronistico dire che Gesù fu uno zelota, o anche un simpatizzante degli zeloti» (J.P. Meier, Un ebreo marginale vol 1, Querininana 2006).

Lo stesso prof. Meier sembra ironizzare sui vari romanzieri amatoriali: «Certamente ci saranno sempre scrittori che asseriscono che gli evangelisti hanno celato l’autentico Gesù storico -cioè, Gesù il violento rivoluzionario che fu messo a morte per aver cercato di suscitare una rivolta contro Roma- e lo hanno sostituito con l’imbarazzante figura del mite e amorevole Gesù dei vangeli. In un certo senso, non c’è motivo di discutere con questi tanto convinti teorici della “cospirazione” […], tali romanzi non hanno alcun fondamento di scientificità» (p 608, 634). Volendo comunque replicare, «a parte la difficoltà di spiegare come la maggior parte dei palestinesi contemporanei di Gesù abbiano potuto così rapidamente e facilmente dimenticare del tutto quello che Gesù era stato e il motivo della condanna a morte, il difetto più fatale di questa teoria è il suo presupposto che ci fossero uno o più gruppi organizzati e armati di rivoluzionari ebrei attivi in Palestina verso il 28-30 d.C. Nella misura in cui la ricostruzione storica permette di giudicare, non ce n’erano» (p. 608, 609). Tutto ciò è confermato da chiunque si sia professionalmente dedicato a queste tematiche, come gli studiosi Martin Hengel (in Gli zeloti. Ricerche sul movimento di liberazione giudaico dai tempi di Erode I al 70 d. C., Paideia 1996) e G. Baumbach (in Zeloten und Sikarier, in “ThLZ” 1965).

 

GIUDA IL GALILEO. Per quanto riguarda Giuda il Galileo -secondo Salsi il padre di Gesù e dei suoi quattro fratelli (Giuseppe, Giuda, Giacomo e Simone)-, a rispondere ci pensa lo stesso Flavio Giuseppe, il quale riferisce che quest’uomo faceva parte della dinastia di Ezechiele, ed era padre di Simone, Giacobbe, Menahem e Jair. Fu poi tale Jair ad avere due figli di nome Eleazaro, Giuda e Simone.  Nessun Giovanni, nessun Giacomo, nessun Giuseppe e nessun Gesù tra i suoi figli o nipoti. Oltre ad aver sbagliato l’albero genealogico, Salsi dà anche per certo qualcosa che gli storici non ritengono nemmeno probabile: «Se Giuda, come capo degli insorti, abbia avanzato pretese messianiche, si ignora», ha scritto ad esempio Martin Hengel, professore emerito all’Università di Tubinga. «Si potrà tuttavia supporre che, al pari di altre figure del suo tempo che dettero vita a movimenti popolari, si sia presentato come un carismatico dotato di doni profetici. Neppure è certo se sempre a lui si debba l’appellativo onorifico di “zelatori” per la sua setta. E lo stesso vale per la sua sorte: secondo Atti 5,37 la sua sollevazione fallì, egli fu ucciso e i suoi seguaci vennero dispersi. Ma quando e in quali circostanze ciò possa essere accaduto non si sa» (M. Hengel, Gli zeloti. Ricerche sul movimento di liberazione giudaico dai tempi di Erode I al 70 d. C., Paideia 1996, p. 378).

 

NAZARETH. Arriviamo alla questione della città di Nazareth, che Salsi identifica geograficamente con Gàmala, da dove sarebbe venuto Gesù (assieme al padre Giuda il Galileo e ai suoi fratelli), sostenendo (assieme a Donnini e Cascioli) che l’attuale Nazareth non sarebbe esistita se non dal III° secolo d.C. Questa volta è la paletta dell’archeologo a dargli torto (ne abbiamo già parlato in un apposito articolo). Oltre alle tombe ritrovate che portano a concludere «che Nazareth era un insediamento fortemente ebraico nel periodo romano» (J. Finegan, The Archaeology of the New Testament, Princeton University Press 1992, pp. 44-46), nel 1996 è stata scoperta un’azienda agricola e alcune monete anch’esse risalenti al periodo romano, e nel 2009 l’archeologa Yardenna Alexandre ha scoperto a Nazareth una casa risalente al I° secolo. Lo studioso agnostico B.D. Ehrman ha così concluso: «molti reperti archeologici degni di fede indicano che Nazareth esisteva ai tempi di Gesù» (B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 198).

 

Più che dedicarci a dimostrare l’esistenza storica dei dodici -non mancheremo di farlo in una prossima occasione (nel frattempo, ne ha parlato poco tempo fa un interessante articolo in lingua inglese) -, abbiamo preferito far crollare le tre colonne portanti della tesi di Emilio Salsi: 1) gli zeloti come movimento politico-ribelle non esistevano al tempo di Gesù; 2) di Giuda il Galileo si sa ben poco e da quel che si conosce si rileva che non ebbe i figli che Salsi riferisce; 3) la città di Nazareth esisteva già nel I° secolo e la sua identificazione con Gàmala è priva di qualunque riscontro storico, archeologico e scientifico.

La redazione

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Le conversioni in punto di morte: risposta alle obiezioni

conversioni in punto di morteE’ capitato tante volte che sul letto di morte avvenisse una conversione, magari in conclusione di una vita passata nell’indifferenza nei confronti di Dio o, addirittura, nell’avversione a Lui e a quanti in Lui credono.

E’ un dato frequente nelle biografie di famosi personaggi della storia, intellettuali di prestigio e celebri non credenti. Alcuni esempi che vengono in mente sono l’anticlericale e massone presidente francese François Mitterrand e il blasfemo e bestemmiatore Benito Mussolini, il capo della sinistra anticlericale francese Georges Clemenceau e il celebre Napoleone. Tutti convertitesi in articulo mortis.

Qualche credente potrebbe vedere in tutto ciò una forma di ingiustizia: “ma come, io che ho passato la vita accanto a Te sarò giudicato con un occhio di riguardo allo stesso modo di chi si è convertito solo in punto di morte?”. Oltre al fatto che la fede cristiana è votata a dare un pieno, fecondo e gioioso gusto e significato all’aldiquà, prima ancora che all’aldilà (chi ha avuto la grazia di aver vissuto la gioia cristiana per tutta la vita non dovrebbe avere nulla di cui lamentarsi!), a tale obiezione ha già risposto Gesù Cristo attraverso la parabola dei lavoratori della vigna: il buon vignaiolo dà identica paga a tutti i lavoratori, indipendentemente dal numero di ore di lavoro. Un inno al relativismo, al buonismo e al peccato libero, direbbe qualche tradizionalista odierno. «Amico, io non ti faccio torto», la risposta del vignaiolo nella parabola di Gesù. «Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: sei invidioso perché io sono buono?». Questo perché il Regno dei cieli, spiega Gesù, non è sottoposto alle logiche umane e «gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi» (Mt 20, 1-16).

L’obiezione a cui però vorremmo rispondere in modo più approfondito arriva dai non credenti: quella in punto di morte, dicono alcuni, è una conversione falsa e va delegittimata come mera paura della morte. Addirittura, per evitare forzatamente una conversione tardiva, nei secoli bui dell’Ottocento illuminista «gli “ésprits forts, come si autodefinivano, sorvegliavano la porta della stanza dove uno di loro tirava gli ultimi», ha raccontato Vittorio Messori. «Sapevano, infatti, che il “forte” avrebbe ceduto alla “debolezza” di stipulare un’assicurazione con il Mistero, adesso che ne era alla soglia. Così stavano lì ad impedire l’ingresso del prete o del frate, immancabilmente chiamato dall’interessato o dai parenti». Spesso anche gli stessi “guardiani delle porte”, «che si credevano adulti e liberati dalle infantili superstizioni clericali, davanti al salto nel Grande Punto Interrogativo provvedevano a quel che lo schema ideologico proibiva ma che il cuore suggeriva» (V. Messori, Qualche ragione per credere, Ares 2008, p. 26). Può apparire un’incoerenza ma -spiega Messori- in realtà «conferma quanto dice la Bibbia, la quale insegna che initium sapientiae, timor Domini, il principio della saggezza è il timor di Dio». Esso è ben diverso dalla paura, è piuttosto un’apprensione, «un ottimo spunto per incamminarsi sulla strada giusta o, almeno, per arrivare al capolinea in modo sensato. E chi non è d’accordo, non protesti con noi, ma con la Scrittura. E, magari, con il Padreterno che ci ha fatti così nel suo insondabile disegno» (p. 24).

Inoltre, se la fede è una forma di debolezza che emerge con il passare degli anni, come si spiega l’alto numero di credenti anche tra i più forti e vigorosi giovani? L’eminente filosofo francese Philippe Nemo ha infatti spiegato: «Anche la vecchiaia può essere l’occasione di un ritorno a una fede dimenticata, nel momento in cui le scadenze fatali incombono. L’ateismo moderno prende questi fatti come pretesto per sostenere che la fede è solo un’illusione prodotta dalla debolezza umana. Tuttavia, dato che molti uomini non sono deboli e non subiscono, durante la loro vita, prove estreme, la fede non avrebbe niente di necessario e il problema religioso potrebbe e anzi dovrebbe essere del tutto escluso dall’agenda intellettuale dell’umanità» (P. Nemo, La bella morte dell’ateismo moderno, Rubbettino 2016, p. 44). A chi collega automaticamente l’anzianità alla demenza senile bisognerebbe ricordare che la vecchiaia -frequente momento di ritorno alla fede-, è l’età della saggezza e della maturità non solo nei modi di dire: le più grandi scoperte della scienza, ad esempio, sono arrivate da scienziati in età avanzata, anche perché è allora che la capacità logica, ad esempio, sembra raggiungere il suo picco (il tempo lavora a favore dei neuroni cerebrali). Secondo uno studio inglese, inoltre, il benessere psicologico si raggiunge mediamente alla soglia degli 80 anni.

Infine, la scoperta della fede in punto di morte non è affatto una forma di consolazione psicologica. Anzi, le cose vanno ribaltate: per chi ha vissuto la vita rifiutando ogni remora etica alla sua laica autonomia, dovrebbe auspicare che al di là non ci sia niente, nessun Qualcuno a cui rendere conto. Il contentino psicologico potrebbe proprio essere la convinzione personale dell’inesistenza di un Giudice ultimo, così da vivere l’esistenza secondo i propri comodi istinti e, in punto di morte, senza timori di dover giustificarsi davanti a Colui che la vita l’ha donata. «L’esperienza e la riflessione», ha infatti spiegato ancora Messori, «mi dicono che il “libertino” (in senso filosofico, non morale) preferisca di gran lunga il Nulla a un inquietante Giudice». Per questo, «la riscoperta -tanto apparentemente improvvisa, quanto consueta- della religione in extremis non nasce dal bisogno di consolazione, bensì dal desiderio di assicurazione nei confronti di una realtà rimossa sino ad allora, ma di cui la luce abbagliante della situazione limite, che squarcia tutte le difese, fa riconoscere se non la verità almeno l’alta probabilità» (p. 200).

Solo davanti alla potenza della fine, ha spiegato Papa Francesco, «l’uomo fa completa esperienza della propria fragilità e del proprio bisogno di salvezza». Sorella morte, come la chiamava San Francesco, altro non è, infatti, che lo stimolo più efficace a pensare alla vita, cioè al suo senso.

La redazione

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Massimo Gandolfini: «non accetto nessuna critica verso il Papa»

Roma si è svegliata con decine di manifesti anonimi di contestazione a papa Francesco e al suo operato. Dalla delirante scritta e dalla scelta della foto si intuisce che gli autori ricalcano fedelmente la retorica del gruppetto di giornalisti catto-tradizionalisti. Un attacco vile, tanto che gli autori hanno scelto di nascondersi nell’ombra: un autogol per la causa antipapista, in quanto isolerà ancora di più i (pochi) contestatori.

Acquistano allora ancora più forza simbolica le parole pronunciate pochi giorni fa da Massimo Gandolfini, presidente del Comitato Difendiamo i nostri figli e organizzatore dell’ultimo Family Day. «Ho avuto la grazia di poter incontrare personalmente il Santo Padre Francesco e su questo voglio dire una parola chiara: chiunque appartiene al “Comitato Difendiamo i nostri figli” non può permettersi nemmeno una dichiarazione pubblica che possa suonare anche lontanamente in contrasto con l’attività apostolica della Santa Sede e il magistero del Papa», ha dichiarato autoritario il più attivo, amato e noto attivista pro-life italiano.

Non è un ideologo, non sposa maniacalmente la causa dell’antiabortismo e dell’antigender fine a se stessa. La sua posizione in campo etico e bioetico nasce e si colloca integralmente all’interno dell’educazione cristiana, la quale diverrebbe una ideologica dicotomia se -in nome di essa- portasse ad opporsi a colui che è Vicario di Cristo. Le sue parole non sono diplomatiche, ma è semplice coscienza cattolica: «Il Papa è il vicario di Cristo in Terra e come tale va amato, rispettato e seguito. Noi non accettiamo in nessuna misura una posizione critica verso il Papa. E non si tratta di un dato collaterale, ma fondamentale».roma conservatori manifesti

Francesco ha incontrato Gandolfini in udienza privata il 29 aprile 2016. «Salutandomi, alla fine del nostro incontro», spiegò quest’ultimo, «Papa Francesco mi ha detto: “la ringrazio per quello che state facendo, andate avanti”». E ancora: «Il Papa si è detto molto soddisfatto; era al corrente dei due Family Day del 20 giugno 2015 e del 30 gennaio scorso; ho chiesto proprio esplicitamente se poteva darmi una parola e sostanzialmente il Papa ha detto: “Sono molto contento; la e vi ringrazio per quello che state facendo”; e io gli ho posto proprio la domanda esplicita: “Dobbiamo andare avanti? Vuole dare qualche correzione?”. Mi ha detto: “Andate avanti così; siate un laicato forte, ben formato, con una retta coscienza cristiana”. E poi: “Agite liberamente”». All’agenzia Ansa ha anche aggiunto: «Ci ha chiesto di essere cauti e prudenti, di non usare mai un linguaggio aggressivo, e di muoverci sempre dicendo le cose con chiarezza».

La reciproca stima tra Bergoglio e Gandolfini ha creato non pochi mal di pancia ad alcuni progressisti cattolici, come Alberto Melloni e Massimo Faggioli. Ma anche alla comunità Lgbt: il magazine Prideonline ha infatti definito Francesco come «il Papa poco amico dei gay», citando proprio il suo aperto sostegno ai difensori della famiglia naturale. «Le parole di elogio, espresse da Francesco all’animatore del Family Day («Andate avanti così»), furono da questi riportate all’emittente d’Oltretevere e ovviamente mai smentite – al contrario di quanti sollevavano ingiustificati dubbi – perché veritiere». Lo stesso portale Lgbt ha anche ricordato che lo stesso Francesco, solo pochi giorni prima dell’approvazione delle unioni civili alla Camera del parlamento italiano, è «entrato a gamba tesa nella questione». Ha infatti invocato «l’obiezione di coscienza per gli ufficiali di stato civile quale diritto umano». Occorre aggiungere che il 22 gennaio 2016, pochi giorni prima del Family Day e della discussione del ddl Cirinnà sulle unioni civili al Senato, Bergoglio ha anche dichiarato: «Il recente Sinodo sulla Famiglia ha indicato al mondo che non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione. La famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo, appartiene al “sogno” di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità». Nel nostro specifico dossier abbiamo elencato tutti gli interventi su questo tema del Pontefice.

Ci si può interrogare sui discorsi pubblici del Papa e sulle sue decisioni politiche, si può non essere d’accordo o esprimere dubbi. Ma l’ondata di insulti, la militanza aggressiva, quotidiana e le ingiuste e disparate accuse che sta ricevendo da alcuni anacronistici seppur rumorosi settori del sottobosco cattolico, va ben al di là di tutto questo.

Puntualmente emergono testimoni ad illuminare le coscienze, come Gandolfini o come, recentemente, il ratzingeriano mons. Angelo Becciu, scelto personalmente da Benedetto XVI come sostituto della Segreteria di Stato e che, proprio oggi, è stato scelto come delegato pontificio presso l’Ordine di Malta. «Io non entro nel merito delle polemiche, ma voglio solo ribadire i principi che mi sono sempre stati insegnati dalla sana tradizione della Chiesa», ha dichiarato l’arcivescovo Becciu. «Come umile collaboratore del Papa, sento il dovere di dirgli lealmente il mio pensiero quando è in fase di elaborazione una decisione. Una volta che è stata presa, io obbedisco totalmente al Santo Padre. L’unità della Chiesa, per la quale Gesù ha sudato sangue e ha dato la vita, viene prima delle mie idee, pur belle che siano. Quelle vissute in disubbidienza hanno rovinato la Chiesa». Sarebbe bello che anche parole del genere apparissero sui manifesti di Roma.

 

AGGIORNAMENTO 04/02/17
Tra tutti i commenti che stanno arrivando sull’odierna aggressione al Papa, merita particolare citazione quello del prof. Massimo Borghesi, docente di Filosofia all’Università di Perugia: «Questa storia della “pasquinata”, termine che vedo usare per i manifesti anti-Francesco, affissi a Roma, da tutti coloro che insultano il Papa ogni giorno, è insulsa! A quanto pare si sono scambiati il termine per declassare un’iniziativa vergognosa, quasi fosse un gesto goliardico. Se qualcuno avesse messo manifesti per Roma con il card. Burke accompagnato da 10 Km di stoffa rossa lo scandalo degli anti-Francesco sarebbe stato totale! Avrebbero gridato alla persecuzione! Ora invece, per un Papa dileggiato, ritratto con una espressione truce, si tratta di una PASQUINATA! Per favore! Un po’ di decenza. Questi tradizionalisti che dileggiano il Papa non hanno la più pallida idea della “tradizione”! Se l’avessero capirebbero che, al di là delle opinioni, il Pontefice merita rispetto».

La redazione

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Nella laica Francia ogni giorno un attacco ai cristiani

prete arrestatoMentre il neopresidente Donald Trump sta varando alcune misure a sostegno della libertà di coscienza dei cristiani, all’estero le cose procedono diversamente.

In Francia permane una cultura dichiaratamente anticattolica, finanche contro il principio di laicità: che non significa assenza di valori, ma rispetto di quelli umani comuni, specie dei valori su cui l’Europa fu edificata dai suoi fondatori (De Gasperi, Spinelli, Monnet, Schuman, Bech, Adenauer, Spaak). In tale inquietante scenario -mentre riecheggiano le parole di Benedetto Croce “non possiamo non dirci cristiani“-, il Rapporto 2016 sulla libertà religiosa nel mondo, edito dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, ha rilevato che nei primi cinque mesi del 2016 gli atti di violenza o discriminazione contro i cristiani in Francia sono stati 233. In media, quindi, un attacco al giorno.

Ad essi andrebbero aggiunti casi di intolleranza culturale, come ad esempio quella dell’Assemblea nazionale francese che approva in prima lettura la norma che aggiunge agli «ostacoli all’interruzione di gravidanza» puniti dalla legge anche quello «digitale» (impedendo ai cristiani di difendere la vita online); un tribunale dell’Alta Savoia che impone al sindaco del Comune di Publier di rimuovere un monumento alla Vergine Maria installato in un parco pubblico, sulla scia di una analoga decisione del 2015 con cui i magistrati della Procura di Grenoble avevano deciso di far spostare un innocuo blocco di marmo con l’inscrizione “Nostra Signora di Leman proteggi i tuoi figli”. Il comune denominatore sta nell’avversione conclamata ed esibita contro il cristianesimo.

Va tuttavia segnalato un certo risveglio della cultura cattolica che si contrappone al tentativo dell’omologazione culturale socialista. Si parla, infatti, di “risveglio dei cattolici”, come ha scritto il magazine Express. «È il sussulto della Francia profonda contro quel mondo parigino, laicista e devoto al multiculturalismo, che li ha a lungo disprezzati e qualificati cittadini di serie B, come Libération che,  due settimane fa, per commentare le primarie, ha titolato: “Aiuto, Gesù sta tornando!”». Il Cristo quindi, Re della pace, fa paura a certa Europa. Perché?

La risposta non è semplice e andrebbe formulata a partire da considerazioni storiche, filosofiche, sociologiche, religiose e politiche. Credo che l’avversione sia diretta contro l’affermazione di una Verità sull’uomo che non si può confutare che con l’imposizione di un multiculturalismo confuso e torbido. Sovvengono le parole rivolte dal Cristo ai suoi accusatori: “Se ho parlato male dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 19,23). Dov’è quindi il male nella fede cristiana? Pilato, simbolo del potere politico di tutti i tempi, gli chiede: “Che cos’è la verità?”, per poi uscire verso i Giudei e concludere: “lo non trovo in lui nessuna colpa”.

 

AGGIORNAMENTO 05/02/17
Fabrizio Cannone segnala i dati provenienti da un’inchiesta del ministero dell’Interno di Parigi, offrendo dati ancora più allarmanti: gli atti razzisti antisemiti e antimusulmani sono calati del 44% nel 2016, mentre gli atti di violenza anticristiana sono stati 949 (più di due al giorno), con un aumento del 17% rispetto al 2015. Si parla di chiesa bruciate, opere d’arte sfregiate e simboli cristiani distrutti. Spiccano l’anarchismo, il vandalismo e il satanismo.

Salvatore Bernocco

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Suicidio assistito, l’American Psychiatric Association si schiera contro

Finalmente anche la iper-politicizzata American Psychiatric Association (APA) è intervenuta nel dibattito sull’eutanasia e del suicidio assistito, dichiarando che uno psichiatra «non deve prescrivere né dispensare alcun intervento nei confronti di un malato non terminale allo scopo di causarne la morte».

Un comunicato importante approvato nel dicembre scorso dal suo consiglio di amministrazione, in accordo con la posizione dell’American Medical Association (AMA). Alcune fonti riportano che anche la World Psychiatric Association (WPA) starebbe prendendo in considerazione una dichiarazione simile. D’altra parte, un sondaggio online tra i medici lettori del prestigioso New England Journal of Medicine ha evidenziato che quasi il 70 per cento dei medici statunitensi è contro la legalizzazione del suicidio assistito. Nel 2011 su Palliative un sondaggio sui medici inglesi aveva raggiunto risultati simili (80%).

Il Washington Post ha riferito che la posizione ufficiale dell’APA è un segno importante per frenare il potenziale pendio scivoloso in questo settore, inoltre può essere un segnale di protesta degli psichiatri americani verso i loro colleghi belgi e olandesi, che già praticano tale pratica e, sopratutto, è in grado di influenzare notevolmente il dibattito. L’ex sottosegretario al Ministero della salute, Eugenia Roccella, ha scritto che quello dell’APA (e dell’AMA), «si tratta di un NO che potrebbe diventare un principio etico globale, visto il peso delle due sigle, e ha tutte le carte per segnare l’inizio di una svolta, almeno nel panorama dei cosiddetti “nuovi diritti”».

Come abbiamo documentato nel corso di questi anni (e come evitano accuratamente di riportarlo la trasmissione televisiva Le Iene e l’Associazione Luca Coscioni), gran parte delle principali associazioni mediche occidentali hanno preso posizione contro l’eutanasia e il suicidio assistito, dimostrando che è sbagliato ricondurre l’opposizione alle sole (seppur importanti) posizioni religiose sulla sacralità della vita. Tra esse la World Medical Association (WMA), la British Medical Association (BMA), la Association for Palliative Medicine (APM), la British Geriatric Society (BGS), l’American Medical Association (AMA), la German Medical Association (GMA), l’Australian Medical Association (AMA), la New Zealand Medical Association, la Organización Médica Colegial de España, la Società di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti), la Massachusetts Medical Society (MMS), l’American Nurses Association (ANA) ecc.

La redazione

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L’origine delle crociate: difesa dalle aggressioni islamiste

origine delle crociateSecondo la visione del “politicamente corretto”, le Crociate sarebbero state nientemeno che uno dei tanti episodi di imperialismo commessi dal mondo cristiano, visto come barbaro e guerrafondaio, a danno di un mondo musulmano percepito come immensamente più tollerante e pacifico.

Questa prospettiva dimentica che quattro secoli prima dell’appello del papa Urbano II, ebbe iniziò l’espansione degli Arabi che attaccarono anche stati cristiani con la motivazione del Jihad, intrapreso per conquistare nuove terre dove si sarebbe imposta la legge dell’Islam. Né tiene conto dei fattori che scatenarono la Prima Crociata.

E’ ormai noto che questa fu dovuta in seguito alla richiesta di aiuto inviata al papa dall’imperatore bizantino Alessio Comneno per contrastare i Turchi Selgiuchidi, e dallo scalpore provocato dalle continue aggressioni a danno dei pellegrini cristiani in visita verso i luoghi santi della Palestina. Sebbene diversi storici abbiano esaltato la “tolleranza” islamica nei confronti delle altre fedi (spesso contrapponendola al fanatismo dimostrato dalla Chiesa Cattolica contro ebrei ed eretici), in verità, la libertà religiosa nei paesi musulmani presentava evidenti limiti: essa veniva ammessa solamente per i “Popoli del Libro” come ebrei e cristiani a patto, però, che questi non facessero proselitismo e praticassero la loro religione solamente in ambito privato. A ciò si devono aggiungere una serie di discriminazioni  a cui erano sottoposti i dhimmi (si pensi, ad esempio, al pagamento dell’imposta di capitolazione, la Jizia), che trasformavano i sudditi non musulmani in cittadini di seconda categoria.

Non mancarono, tra l’altro, nel corso dei secoli anche diversi episodi di martirio e persecuzione. Lo storico Moshe Gil nella sua opera History of Palestine, 634-1099 scrive: «Agli inizi dell’VIII secolo settanta pellegrini cristiani provenienti dall’Asia Minore furono messi a morte dal governatore di Caesura, tranne sette che acconsentirono a convertirsi all’islam. Di lì a non molto, altri sessanta pellegrini, sempre provenienti dall’Asia Minore, furono crocifissi a Gerusalemme. Verso la fine dell’VIII secolo i musulmani attaccarono il monastero di San Teodosio, nei pressi di Betlemme, massacrarono i monaci e distrussero due chiese vicine. Nel 796 i musulmani misero al rogo venti monaci del monastero di Mar Saba. Nell’809 vi furono molteplici assalti a un gran numero di chiese sia entro le mura di Gerusalemme sia attorno alla città, con stupri e uccisioni di massa. Gli attacchi si ripeterono nell’813. Il giorno della Domenica delle Palme del 923 esplose una nuova ondata di violenze con distruzioni di chiese e uccisioni» (citato in Rodney Stark, Gli eserciti di Dio. Le vere ragioni delle Crociate, Lindau 2010 p. 122).

L’episodio che scosse profondamente l’Europa accade durante il regno del califfo d’Egitto, Tariqu Al-Hakim, musulmano eterodosso, un folle per alcuni studiosi: durante il suo regno perseguitò per un certo periodo musulmani ortodossi, ebrei e cristiani. Oltre a costringere i cristiani ad indossare una croce di due chili e ordinare la distruzione di migliaia di chiese, il califfo tentò persino di far demolire il Santo Sepolcro. Non mancarono, tuttavia, negli anni successivi nuove aggressioni e violenze a danno dei pellegrini: nel 1022 Gèrard de Thouars, abate di Saint-Florent-près-Saumur, fu imprigionato dopo aver appena raggiunto la Terra Santa e messo a morte, sorte simile toccò nel 1026  a Richard de Saint-Vanne lapidato dopo essere stato colto a celebrare la messa in territorio musulmano; nel 1040 anche Ulrico de Breisagu fu lapidato dalla folla sulle rive del Giordano; mentre nel 1064 Gunther Von Bamberg, vescovo di Bamberga, fu vittima di un’imboscata dei musulmani e perì insieme a molti pellegrini (Gli eserciti di Dio, pp.128-131).

La situazione per chi andava a visitare Gerusalemme peggiorò quando la città santa cadde in mano ai Turchi Selgiuchidi al punto che nei sermoni risalenti all’epoca della Prima Crociata, come quello pronunciato da Urbano II a Clemornt, si parlava di cristiani uccisi, pellegrini vessati e chiese demolite, profanate o trasformate in stalle o moschee. Sebbene questi fatti siano stati probabilmente ingigantiti, non furono tuttavia inventati (Jean Flori, Le Crociate, Bologna 2003 p. 28).

Non sono certamente mancate violenze e atrocità contro musulmani da parte di alcuni eserciti cristiani in epoca medievale, ma questo andrebbe contestualizzato al travisamento dello spirito cristiano ed iniziale delle crociate, ricondotto comunque ad un’epoca ancora priva di reti diplomatiche. Inoltre, mentre queste sono fortunatamente sempre più un ricordo lontano, uccisioni e discriminazioni nei confronti dei cristiani sono purtroppo ancora oggi una tragica realtà in molti stati a maggioranza islamica.

Mattia Ferrari

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Ordine di Malta, Francesco vuole tutelarlo dalla massoneria

cavalieri ordine di maltaPer diverse settimane ci è stato raccontato che il “commissariamento” dell’Ordine di Malta da parte del Vaticano era un attacco al card. Raymond Burke. Oggi invece, gli stessi, ci dicono l’opposto: Bergoglio voleva evitare l’appartenenza dei membri alla massoneria e fermare i responsabili del comportamento contrario all’etica cattolica.

Lo afferma Riccardo Cascioli, direttore de La Nuova Bussola Quotidiana, sostenendo di aver potuto leggere ciò che Francesco ha scritto il 1 dicembre 2016 -dopo averlo incontrato personalmente- al patrono dell’Ordine di Malta, il card. Burke (che è anche uno dei firmatari dei Dubia verso l’esortazione apostolica Amoris Laetitia). Nella lettera Francesco invita Burke alla vigilanza sugli interessi spirituali dei membri, spiegando che «si dovrà evitare che nell’Ordine si introducano manifestazioni di spirito mondano, come pure appartenenze ad associazioni, movimenti e organizzazioni contrari alla fede cattolica o di stampo relativista». Il riferimento, scrive Cascioli, è all’infiltrazione della massoneria. «Qualora ciò dovesse verificarsi», ha proseguito il Papa, «si inviteranno i Cavalieri che eventualmente fossero membri di tali associazioni, movimenti ed organizzazioni a ritirare la loro adesione, essendo essa incompatibile con la fede cattolica e l’appartenenza all’Ordine».

Inoltre, per quanto riguarda la diffusione di contraccettivi nei paesi poveri, il Papa ha scritto: «Andrà inoltre particolarmente curato che nelle iniziative e opere assistenziali dell’Ordine non vengano impiegati e diffusi metodi e mezzi contrari alla legge morale. Se in passato è sorto qualche problema in questo ambito, mi auguro che possa essere completamente risolto. Mi dispiacerebbe sinceramente, infatti, se alcuni alti Ufficiali – come Lei stesso mi ha riferito – pur sapendo di queste prassi, concernenti soprattutto la distribuzione di contraccettivi di qualsiasi tipo, non siano finora intervenuti per porvi fine». L’intento iniziale di Francesco non era quello di dimissionare, ma invitava Burke a seguire «il principio paolino di “operare la verità nella carità” (Ef 4, 15)», così da poter «entrare in dialogo con loro ed ottenere le necessarie rettifiche».

Tuttavia le cose non sembrano andate come auspicava il Pontefice, il quale poche settimane fa ha accettato (o indotto, come qualcuno scrive) le dimissioni del Gran Maestro, Matthew Festing, e l’Ordine di Malta è stato commissariato. Cascioli ritiene tuttavia che vi sia qualcosa che non torna: Festing sarebbe proprio colui che ha contrastato uno dei responsabili della deriva non cattolica dell’Ordine, ovvero Albrecht Boeselager. Perciò, Cascioli scrive: «leggendo le chiare indicazioni di papa Francesco, non ci si può non stupire che il risultato finale sia che il responsabile oggettivo dei progetti condannati dal Papa sia oggi stato riabilitato e risulti il vincitore mentre coloro che hanno cercato di seguire le indicazioni del Papa sono stati silurati, umiliati e sottoposti alla gogna mediatica».

Ma quest’ultima è una ennesima ricostruzione personale del direttore de La Nuova Bussola Quotidiana, respinta dal diretto interessato. E’ attendibile? Oppure verrà a sua volta smentita tra qualche giorno? In fondo, dobbiamo far notare che Cascioli è lo stesso che il 26 gennaio informava i suoi lettori che l’intervento di Papa Francesco aveva come «obiettivo la testa del cardinale Raymond L. Burke», mentre il 29 gennaio scriveva che si è trattato di un «vero e proprio golpe», arrivando ad ironizzare sul «riferimento al “rinnovamento spirituale dell’Ordine” che richiede l’invio di un Delegato del Papa». Oggi lo stesso giornalista ha dovuto correggere il tiro, riconoscendo non solo che l’esigenza di questo rinnovamento spirituale (la vigilanza dalla massoneria e dalla deriva etica non cattolica) era la vera preoccupazione di Francesco, ma che l’intervento fin dall’origine non intendeva colpire il card. Burke. La cosa invece era stata data talmente assodata che per Antonio Socci«Bergoglio ormai da quattro anni sembra voler stravolgere ogni cosa che sia cattolica e che sia fedele a 2000 anni di magistero». L’adesione alla massoneria e ai contraccettivi di alcuni membri dell’Ordne di Malta sarebbe dunque cattolica e fedele al magistero per il noto giornalista di Libero? Ci auguriamo che prenda atto dell’errore.

Purtroppo dobbiamo tornare al solito punto, sul quale ci sembra opportuno insistere. La confusione, da chi è realmente generata? Dal Papa oppure da alcuni giornalisti che -seppur in buona fede-, costruiscono preventivamente alcuni catastrofici e allarmanti scenari che loro stessi poi arrivano a smentire, generando nel frattempo diatribe, disagio e caos nei lettori? Questa vicenda mostra che occorre più prudenza prima di voler spiegare a tutti i costi “come stanno le cose”, sopratutto se si parla delle intenzioni del Pontefice e di quello che accade realmente nelle complesse e stratificate reti diplomatiche del Vaticano.

La redazione

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