Fedez e J-Ax, le soubrette diventano bulli Lgbt

dito medio «Ho usato droghe sintetiche in modo spropositato, so di avere l’aspetto di un narcotrafficante». «Sono diventato un drogato di cocaina, mi devastavo». Il primo a parlare è Fedez, il secondo J-Ax. E’ certamente curioso che i nuovi profeti arcobaleno condividano lo stesso insano passato.

Verrebbe da chiedersi con quale autorità queste due banali soubrette, che fino a ieri avevano ben altre preoccupazioni, oggi pretendano insegnare al mondo cos’è la famiglia e facciano il dito medio a chiunque non la pensi in modo arcobaleno. Certo, le persone cambiano e il passato per fortuna non compromette il presente. Ma è oggi che Federico Leonardo Lucia viene accusato di istigare alla droga tramite i suoi “brani” sui lacci emostatici, mentre Alessandro Aleotti è noto attivista per la legalizzazione delle droghe e bazzica da sempre quel mondo. Certi “valori” rimangono gli stessi per entrambi, a quanto pare.

I comunisti col Rolex, titolo del loro ultimo album, hanno sfruttato la tv berlusconiana per insultare chi si oppone alle adozioni gay, riconducendoli genericamente ai partecipanti al Family Day. Il tutto recitando un copione scritto dalle Iene, bisognose di una marchetta all’associazionismo Lgbt dopo aver realizzato, poche settimane fa, un’inchiesta sull’Unar e sui vizietti dei circoli omosessuali, pagati tramite soldi pubblici.

Dopo le numerose proteste e una petizione con richiesta di scuse firmata da quasi 50mila persone in pochi giorni, J-Ax si è risentito e ha pubblicato un video in cui ha ribadito il dito medio a chiunque aderisce alla Costituzione italiana, la quale sancisce -come dichiarato dalla Corte Costituzionale- la famiglia come l’unione tra uomo e donna. Scontata ignoranza a parte, stupisce che il rapper Aleotti sia dovuto ricorre nuovamente all’imparare a memoria un copione con frasi ad effetto, protetto dai taglia e cuci del suo regista. Per lo meno, vista la banalità del testo, gli va dato atto che questa volta era certamente farina del suo sacco. Il bella zio e il non ci sto più dentro del cinquantenne Aleotti è forse ancora più rivelatore del tatuaggio vivente e bucato di piercing del suo giovane compagno Federico Lucia, che già da solo urla una infinita e irrisolta crisi adolescenziale.

La contraddizione più enorme, però, è che Fedez e J-Ax hanno voluto sostenere l’utero in affitto, l’adozione e le pretese del mondo arcobaleno mostrando il dito medio a chi difende il diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà. Un gesto che, oltre ad essere un discutibile modo di comunicare le proprie idee, è ritenuto offensivo dagli stessi omosessuali: il suo significato, infatti, è quello di invitare qualcuno che si disprezza a venire sottomesso tramite sesso anale. Una pratica ritenuta dai due rapper, perciò, umiliante e delegittimante dell’umanità altrui.

Forse bisognerebbe pensarci due volte prima di eleggere tali artisti come nuovi paladini delle Famiglie Arcobaleno. A guardare le loro ultime performance verrebbe da dire che a volte è meglio continuare ad occuparsi delle proprie canzoncine e sembrare immaturi piuttosto che togliere ogni dubbio dedicandosi a questioni ben al fuori dalla propria portata.

La redazione

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Le grandi differenze tra velo cristiano e islamico: nessun paragone

sottomissione donnaHa suscitato consensi e polemiche la scelta del presidente dell’Unione comunità islamiche, Izzedin Elzir, di protestare contro il divieto francese al burkini pubblicando una foto con delle suore cattoliche, in tonaca e velo. Come a dire: loro sì e noi no?

Tema tornato d’attualità dopo l’odierno intervento di Dacia Maraini che, a proposito del burka e del hijab (il velo), commenta: «Quella copertura, anche solo della testa, ha un valore emblematico di negazione e censura. Solo di fronte al marito, ovvero il proprietario di quel corpo, la donna può mostrarsi in tutta la sua completezza». «Sia chiaro», ha aggiunto, «non ho niente contro il velo e chi lo porta, ma non diciamo che si tratta di una libera scelta e che esprime l’autonomia delle donne. Il velo è un segno di sottomissione, che lo si scelga o meno. Anche le suore lo usano, mi si dice, ma appunto, anche in quel caso si tratta di dichiarare l’appartenenza a un ordine religioso».

Non si capisce bene cosa intenda la storica femminista, in ogni caso sarebbe bene chiarire che è un errore paragonare, oggi, il velo cristiano e quello islamico. Per due motivi, sopratutto.

1) Il primo dato è che le suore cristiane aderiscono liberamente ad un ordine religioso che, a volte, tra le altre regole, prevede il coprimento anche del capo. Sono libere, dopo una scelta cosciente e ponderata, di intraprendere questa strada ma anche di abbandonare l’ordine e/o il convento e, se vogliono, sposarsi. Le donne islamiche, al contrario, non appartengono a nessun ordine religioso e non hanno nessuna vera scelta alternativa. E’ sbagliato confondere l’appartenenza ad un ordine religioso con l’appartenenza ad una fede religiosa.

2) L’altra grande differenza è nel significato del velo. Quello delle donne islamiche -così come è concepito oggi- è sottomissione all’uomo, al marito-padrone. Al contrario, come ha spiegato la benedettina Anna Maria Canopi, fondatrice dell’abbazia Mater Ecclesiae nell’isola di San Giulio (Novara), nel monachesimo cristiano indossare il velo simboleggia il «sottrarsi allo sguardo» degli uomini, «per essere sempre sotto lo sguardo di Dio e a lui solo piacere per la purezza e l’intensità dell’amore». Questo, ha spiegato madre Canopi, «non ha nulla di opprimente». Inoltre, il velo, «aiuta la monaca a tenere lo sguardo del cuore più direttamente rivolto a Dio, nella contemplazione del suo volto sempre desiderato e cercato».

In ambito cristiano, dunque, è la donna stessa che sceglie liberamente di intraprendere una vita di dedizione totale a Dio, simboleggiata anche dall’abito stesso previsto dall’ordine religioso a cui chiede di aderire. Non si può confondere questa libera (e liberante!) scelta vocazionale di alcune donne cristiane con un atto di sottomissione all’uomo, come invece avviene per tutte le donne nel mondo islamico.

La redazione

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L’evoluzione amica del teismo: il caso delle imperfezioni in natura

evoluzione e dioUno degli argomenti più insidiosi per il movimento dell’Intelligent Design (o Disegno intelligente, con la maiuscola) è quello delle imperfezioni in natura, chiamato anche “disteleologia” o, meglio, “argomento del progetto imperfetto”.

Il Disegno Intelligente è sostenuto anche da scienziati di un certo peso, pretende tuttavia di inserire nel dibattito scientifico l’identificazione del Creatore, rintracciato nelle pieghe della biologia. Riteniamo sia un approccio sbagliato, condividendo il giudizio del prof. Fiorenzo Facchini: «quello di disegno è un concetto filosofico, su cui la scienza non può dire nulla. Argomentare dalla sintonia delle forze e del sistema della natura per un disegno superiore è plausibile, ma siamo in un campo filosofico. Introdurre la causalità divina nel corso della evoluzione per realizzare direttamente strutture complesse (come si afferma nell’Intelligent design) non è corretto».

Il paradosso che vorremmo sottolineare è che soltanto l’adesione alla spiegazione evolutiva è in grado di offrire una risposta adeguata a chi utilizza l’argomento del “disegno imperfetto” contro l’esistenza di Dio. Questa tesi, affermata dal neo-darwinismo filosofico, sostiene infatti l’incompatibilità tra una natura creata e ordinata e le tante “imperfezioni” (o “errori”) presenti in essa, ma si tratta di una obiezione filosoficamente debole. Innanzitutto è controverso il significato da attribuire al concetto di “perfezione” e “imperfezione”, già Baruch Spinoza diceva infatti: «Gli uomini sono abituati a chiamare le cose naturali perfette o imperfette più a causa del pregiudizio che secondo una vera conoscenza di esse» (B. Spiniza, Etica, Boolati Boringhieri 1971, p. 212). E’ una mera valutazione personale, oltretutto potenzialmente pericolosa se si pensa all’aberrante concezione della “perfezione della razza”.

Inoltre, quel che è considerato imperfetto o inutile oggi potrà trovare un senso domani, grazie allo sviluppo della conoscenza scientifica. Un esempio recentissimo è quello dell’appendice, fino a ieri ritenuto un organo inutile e un lascito dell’evoluzione dell’uomo. E’ stato invece scoperto che il suo compito è aiutare il sistema immunitario raccogliendo i batteri buoni. Si può rimuovere, certo, indebolendo però le difese immunitarie.

Il secondo errore del neo-darwinismo (ma anche del creazionismo) è non considerare la «possibilità di un progetto modulare o a rete, nel quale è contemplato un ruolo anche per il caso, quindi, è ammessa anche la presenza di imperfezioni», come ha spiegato il filosofo genovese Roberto Timossi. «E’ assolutamente accettabile, infatti, l’esistenza di un disegno preordinato rispetto a un fine nel quale alcune opzioni sono inserite in uno schema aperto e non chiuso o rigidamente predeterminato» (R. Timossi, L’illusione dell’ateismo, San Paolo 2009, p. 362).

Questa è la risposta forte da offrire all’obiezione debole del “disegno imperfetto”. Ma riconoscere il ruolo della casualità nell’evoluzione è troppo faticoso per il creazionista o il sostenitore dell’Intelligent Design. Eppure la natura ha necessariamente una sua storia evolutiva, ha un grado di libertà e indeterminatezza. Per questo l’evoluzione biologica (non l’evoluzionismo che è un’ideologia filosofica sull’evoluzione) può essere considerata un’alleata del teismo, motivo per cui il teologo cattolico John Haught ha parlato di «dono di Darwin alla teologia», mentre Arthur Peacocke, celebre teologo e biochimico anglicano, si è riferito a Darwin come «amico sotto mentite spoglie».

I motivi sono stati sintetizzati dall’evoluzionista cattolico Francisco J. Ayala, docente all’Università della California: «Haught e Peacocke riconoscono l’ironia del fatto che la teoria dell’evoluzione, che dapprima sembrava aver rimosso il bisogno di Dio nel mondo, in realtà ha rimosso in modo convincente la necessità di spiegare le imperfezioni della natura come fallimenti del disegno divino». E ancora: «Un grosso fardello è stato rimosso dalle spalle dei credenti nel momento in cui sono state avanzate prove convincenti del fatto che la struttura degli organismi non deve essere attribuita all’azione diretta del Creatore, ma va piuttosto vista come il prodotto di processi casuali». Attribuire le conformazioni inadeguate (pensiamo alla mascella o allo stretto canale pelvico materno) all’azione diretta del Creatore, «rasenta la bestemmia» (F.J. Ayala, L’evoluzione, Jaca Book 2009, p. 191).

Ovviamente riconoscere questo non significa “allearsi” filosoficamente con il neo-darwinismo. Infatti, se si può concordare con esso su alcuni dettagli, certamente la visione d’insieme del fenomeno evolutivo ci porta su strade completamente differenti. «Pur rispettando quei meccanismi anche in parte casuali decritti sulla base della selezione naturale», ha infatti spiegato il compianto zoologo cattolico Ludovico Galleni, professore presso l’Università di Pisa (deceduto pochi mesi fa), «emergono comunque anche precise linee di sviluppo che mostrano, con gli strumenti di analisi della paleontologia sperimentale, che esiste un meccanismo generale descrivibile come un “muoversi verso”, superando il gioco sconnesso mutazione-selezione» (in Complessità, evoluzione, uomo, Jaca Book 2011, p. 155). Si può argomentare che la direzionalità evolutiva è una firma divina, ma da un punto di vista filosofico. Usando l’analogia del celebre filosofo britannico Richard Swinburne: «L’orologio potrebbe essere stato costruito con l’aiuto di qualche cacciavite cieco (o anche di una macchina cieca per la fabbricazione degli orologi), ma era certamente guidato da un orologiaio che ci vedeva molto bene» (R. Swinburne, Esiste un Dio?, Lateran University Press 2013, p. 72).

La redazione

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Ratline: nessun aiuto ai nazisti, false accuse alla Curia genovese

rat line vaticanoLa città di Genova ha avuto un ruolo non indifferente dopo la dissoluzione del regime nazista, da lì si imbarcarono infatti decine di ebrei e di profughi in fuga, in cerca di una vita nuova. Si parla anche di ratline.

Come ogni episodio storico, non può mancare un’accusa alla Chiesa di aver sfruttato l’occasione per aiutare la fuga anche dei criminali nazisti, la cosiddetta ratline (“la via del topo”), che collegava l’Europa con il Sud America.

Polemica tornata sui media recentemente da parte dello scrittore Carlo Martigli, che ha retoricamente domandato al prelato genovese Tarcisio Bertone di far luce sui «rapporti tra la Curia genovese e i nazisti in fuga all’indomani della fine della II Guerra Mondiale». In particolare sotto accusa è stato messo il card. Giuseppe Siri, sospettato di aver sostenuto il sacerdote croato Carlo Dragutin Petranovic, ex cappellano militare delle milizie ustascia, a sua volta sospettato di distribuire passaporti falsi ai nazisti.

Un’inchiesta storica, forse Martigli non lo sa, è già stata effettuata dal prof. Pier Luigi Guiducci, docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Lateranense. Nel volume Oltre la leggenda nera (Mursia 2015) -da noi recensito nel maggio 2016– lo storico ha dedicato un intero capitolo alla questione genovese (pp. 172-196). Usando come fonti i contributi di altrettanti colleghi (Bricarelli, Brizzolari, Lai, Macciò, Scavo, Sorani ecc.); le carte di Boetto, Repetto, Siri, Teglio e Valobra; le testimonianze ritrovate negli archivi croati; l’autobiografia dell’ex ufficiale nazista Priebke e altro, Giuducci ha descritto gli anni dopo il crollo del regime tedesco, «il caos alle frontiere italiane, perché quasi tutti i rifugiati non avevano documenti e non potevano provare la propria identità».

Quel che Martigli e gli accusatori dimenticano è innanzitutto la grande opera di assistenza che la Curia genovese operò verso gli ebrei in fuga. Già nel 1943, scrive Guiducci, «molti parroci liguri furono i primi ad accoglierli cercando di dare loro una aiuto». Don Raimondo Viale, ad esempio, «grazie all’aiuto ricevuto dalla diocesi di Torino e di Genova, salvò molti ebrei» tanto che nel 2000 gli è stato conferito il titolo “Giusto tra le nazioni”. Assieme a lui anche il card. Pietro Boetto -a sua volta premiato da Israele- che si alleò con l’Assistenza degli Emigranti Ebrei (DELASEM) e ne nascose il presidente, Lelio Vittorio Valobra, e diversi ebrei in case religiose, producendo documenti falsi, anche grazie al segretario di Boetto, don Francesco Repetto, don Bruno Venturelli e decine di sacerdoti genovesi, tanto da formare una «catena di solidarietà». Aiuto fu dato anche ai genovesi, vittime del bombardamento del 1941: nel ’45 mons. Giuseppe Siri raggiunse perfino i partigiani di Rocchetta Vara (La Spezia) convincendoli a lasciar passare gli aiuti alimentari, in quanto temevano fossero destinati ai nazifascisti. Li convinse e le derrate arrivarono a Genova e furono distribuite alla popolazione genovese.

Il successore di Boetto fu proprio il card. Siri, che fondò l’istituzione Auxilium per sostenere le famiglie genovesi in difficoltà ed intensificò «il supporto clandestino agli ebrei perseguitati da nazifascisti», chiedendo però regolari processi per gli ex fascisti ed opponendosi alle esecuzioni sommarie. La situazione era delicata in quanto -scrive lo storico Guiducci- era noto che «criminali di guerra sotto falso nome si erano mischiati tra i profughi. Al riguardo, né le autorità italiane, né il centro della Croce Rossa, né la delegazione argentina, né gli Alleati, dimostrarono una particolare severità in materia di imbarchi. In questo affollamento caotico e attraverso il mercato di identità false, i criminali di guerra nazisti e croati riuscirono a far perdere le proprie tracce a Genova. In molti casi non si trattò neanche di contraffare la documentazione, ma di riceverne una nuova dalla Croce Rossa, dichiarando di aver perso quella vecchia e facendo testimoniare amici o camerati compiacenti»:

E’ in questo contesto che alcuni hanno accusato mons. Giuseppe Siri di aver protetto tali criminali di guerra. Sotto attenzione c’è il rapporto, citato da Martigli, con il prete croato Petranovic. Lo stesso Siri smentì le accuse, come citato da Benny Lai nel libro Il Papa non eletto. Giuseppe Siri, cardinale di Santa Romana Chiesa (Laterza 1993). Lo stesso ha fatto il suo vicario Giovanni Cicali: «Come si fa a sostenere una simile bugia? Siri era sicuramente un fiero antinazista, perseguitato per questo», disse nel 2003 Cicali. «Era l’allievo prediletto del cardinale Minoretti, nemico giurato di Mussolini, che non venne a Genova fino a quando si insediò Boetto, perché sapeva che l’arcivescovo suo predecessore era antifascista». Le più recenti indagini confermano tutto questo, spiega il prof. Guiducci.

L’archivio Storico Diocesano di Genova, ad esempio, conserva dei fascicoli relativi proprio a Petranovic, in particolare sue lettere indirizzate all’arcivescovo Siri. In esse (datate 1948), il prete croato si lamenta con l’arcivescovo per la sua proibizione ad ospitare profughi croati al convitto ecclesiastico ma le lettere rivelano ben altro. Innanzitutto, osserva lo storico Guiducci, «Petranovic non poteva vantare alcuna delega o autorizzazione specifica da parte della Chiesa genovese per il suo operato. Ne fa fede il fatto che debba presentarsi e raccontare tutta la sua storia. Inoltre, Petranovic non era ben conosciuto da Siri e tanto meno ne godeva il credito. Sono così smentite le affermazioni di autori che insistono a presentarlo protetto da raccomandazioni di prelati e autorizzato a viaggiare con macchine della Curia. Non sembra nemmeno che il Petranovic godesse nel clero genovese di particolari appoggio e simpatia, non fa infatti riferimento a conoscenze e si lamenta, anzi, del permanere di pregiudizio nei suoi confronti».

Infine, il segretario del cardinale Siri, mons. Mario Grone, ha testimoniato di non aver mai sentito o visto nulla di simile, neppure di aver carpito qualche confidenza privata su «un’attività diretta o indiretta della Curia genovese a favorire, scientemente, il transito dei criminali nazisti in fuga verso l’America meridionale. Devo ritenere che ciò non sia ai accaduto, giacché il cardinale ha sempre manifestato la massima confidenza nei miei confronti. Infine, come ordinatore, dopo la morte del cardinale, del suo archivio personale, posso attestare che non ho trovato alcuna traccia nella corrispondenza in merito a tale argomento».

La redazione

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Massimo Fini: «non sono cattolico, ma i genitori gay sono violenza alla natura»

omogenitorialitàPubblichiamo qui di seguito l’articolo dell’editorialista de Il Fatto Quotidiano, Massimo Fini, sulla sentenza della Corte d’Appello di Trento che ha riconosciuto due uomini come genitori di una coppia di gemelli nata tramite maternità surrogata. Un intervento tanto più importante quanto l’autore è diametralmente contrario e nemico delle posizioni cattoliche, oltretutto avendo scritto proprio pochi giorni fa un offensivo saggio su Gesù Cristo.

 
 
di Massimo Fini
da Il Fatto Quotidiano, 02/03/17
 
 

Non sono cattolico ma trovo la sentenza della Corte d’Appello di Trento, con tutte le conseguenze che implica, accolta con giubilo da molte parti, semplicemente aberrante. Saltiamo qui tutti i sottili distinguo giuridici e veniamo alla sostanza.

1) È fuori discussione che ognuno ha diritto ad agire la propria sessualità come meglio crede o istinto gli detta (pedofilia esclusa). Ma questa libertà vale per sé e solo per sé non quando c’è in gioco un terzo soggetto, in questo caso il bambino. In linea di principio o, per meglio dire, per legge di natura, un bambino ha diritto di avere, almeno sulla linea di partenza, un padre e una madre. Quindi non è affatto vero che questa legge, soprattutto quando non ci sono ancora bimbi nati da una coppia omosessuale, maschile o femminile, ma c’è solo la possibilità che questo possa avvenire grazie alle varie moderne tecnologie, tutela il bambino, gioca invece, e irresponsabilmente, sulla sua pelle, su un suo diritto fondamentale.

2) Questa legge sancisce la completa mercificazione del corpo della donna. Afferma Serena Marchi, autrice di un libro su queste questioni: “Nei miei viaggi per incontrare madri surrogate ho potuto constatare che quasi tutte le donne lo fanno con gioia, ma soprattutto con la consapevolezza di colmare una sorta di ingiustizia della natura, che impedisce a due uomini di avere figli”. Non diciamo e propaghiamo cazzate. Non è umanamente possibile che una donna porti in grembo per nove mesi un figlio, lo dia alla luce con i dolori del parto e poi sia contenta di non vederlo mai più o solo qualche volta per gentile condiscendenza dei genitori-non genitori (più probabilmente il figlio non saprà mai chi è sua madre. “Who is my mother? Where is my mother?” invoca Cristo sulla croce). Il mondo, soprattutto il Terzo mondo, è pieno di povera gente disposta a tutto. Siamo di fronte alla solita storia: la rapina degli occidentali delle risorse altrui. Finora ci si era limitati, si fa per dire, a rapinare le risorse energetiche, adesso gli portiamo via anche la carne. I famigerati trafficanti di uomini che solcano il Mediterraneo trasportando per denaro i migranti sono una bagatella a confronto. Dobbiamo invece considerarli dei benefattori dell’umanità? Mi stupisce che le femministe, che ci rompono i coglioni da anni, in questo caso abbiano solo rilasciato dei deboli lai.

3) Ma c’è una questione ancora più grave che va oltre tutte le altre. Ed è quella posta, con molta lucidità, da Claudio Risé in un articolo su Il Giornale dell’1 marzo. Scompare qui la figura della madre e anche della donna, cioè dell’essere che, antropologicamente, ha dato il via all’esistenza dell’umanità. Quando sento dire, come fa Serena Marchi, che queste pratiche, tecniche e giuridiche, “colmano un’ingiustizia della natura” non so se mettermi a piangere o a ridere. La Natura non è né giusta né ingiusta, non è né morale né immorale, è semplicemente amorale. La Natura ha elaborato le sue leggi in milioni di anni e per milioni di anni su queste leggi abbiamo vissuto. Invece nel mondo contemporaneo noi ci stiamo progressivamente e sempre più pericolosamente allontanando dalla Natura finché essa ci caccerà fuori a pedate. Abbiamo perso, e non solo in questo campo ma in tutti i campi, quel senso del limite che i Greci avevano profondamente introiettato capendo la pericolosità di andare a modificare la Natura e a violentare le sue leggi. Perfino Bacone, che è considerato uno dei padri della rivoluzione scientifica, afferma: “L’uomo è il ministro della Natura ma alla Natura si comanda solo obbedendo ad essa”. Ma che c’importa dei Greci, che hanno elaborato la cultura più profonda del mondo occidentale, e di Bacone, di fronte all’adesione pressoché totalitaria a quanto avviene nei laboratori dei moderni Frankenstein? Anche Dostoevskij attraverso le parole del Grande Inquisitore ne I Fratelli Karamazov aveva avvertito: “Oh, ne passeranno ancora dei secoli nel bailamme della libera intelligenza, della scienza umana e dell’antropofagia, poiché, avendo cominciato a edificare la loro torre di Babele, andranno a finire con l’antropofagia”. Quando leggevo I Karamazov questa storia dell’antropofagia non la capivo. La capisco ora. Con la “libera intelligenza”, con la Scienza tecnologicamente applicata, senza più limiti e freni, ma imprigionata nella propria follia, stiamo divorando noi stessi.

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La Chiesa e i vescovi bergogliani parlano chiaro su vita e famiglia

paglia eutanasia«Non alziamo certo bandiera bianca. Significa semplicemente tenere presente il Vangelo e quanto ci insegna, soprattutto nel rapporto con le persone e con le loro storie. L’eutanasia non è segno di civiltà evoluta». Le parole di mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, chiariscono la scelta della diocesi di Milano sulla veglia di preghiera per Fabiano Antoniani (Dj Fabo), morto per eutanasia in Svizzera.

Un gesto che è stato messo in contrapposizione con la negazione dei funerali a Piergiorgio Welby. Un errore per mons. Galantino, che ha detto: «certi accostamenti sono impropri. Il clima culturale e anche politico del caso Welby era particolarmente acceso e conflittuale». L’eutanasia rappresenta «una risposta troppo sbrigativa ai bisogni autentici di chi soffre per malattie o infermità; nasconde un messaggio falso e deleterio: cioè che esistano alcune vite che, per alcune condizioni, non sono degne di essere vissute. E così la società trova comodo liberarsene. Non credo sia il volto di una società davvero “civile”». «Da sempre la Chiesa prega per i defunti, ma la posizione sull’eutanasia non cambia», ha commentato don Davide Milani, della diocesi di Milano e portavoce del card. Angelo Scola, «non è stato né un funerale né una messa in suffragio».

Queste parole, in particolare quelle del segretario della CEI, mostrano l’errore di molti siti web cattolici che vorrebbero a tutti i costi denunciare la presunta arrendevolezza della Chiesa, depotenziando -loro, per davvero- la sua presenza pubblica. Sono convinti che i cosiddetti “vescovi bergogliani (per usare una definizione mediatica) tacciono, non intervengono sui temi dottrinali, più divisivi, occupandosi solo di pastorale. Eppure, basterebbe prendere le tematiche per le quali la Chiesa entra più in conflitto con l’opinione pubblica, relative a vita e famiglia, per osservare l’errore dei pregiudizi di certi cattolici. I vescovi intervengono con coraggio e senza fantomatiche ambiguità.

L’arcivescovo di Perugia, Gualtiero Bassetti, ad esempio, creato cardinale dallo stesso Francesco e da lui nominato membro della Congregazione per i vescovi e a cui ha affidato i testi della Via Crucis del 2016, si è impegnato fisicamente nell’aiutare la popolazione terremotata ed è autore sull’Osservatore Romano di articoli sui frutti positivi dell’Amoris Laetitia, ma è anche una delle importanti voci a favore del Family Day, con tanto di lettura durante la Messa del manifesto del Comitato Difendiamo i Nostri Figli. A proposito di Family Day, l’unico vescovo presente sul grande prato il 30 gennaio scorso è stato mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso. Famoso per il suo impegno contro la ‘ndrangheta, a lui Francesco ha affidato le meditazioni per la solenne Via Crucis del venerdì santo al Colosseo nel 2014, custode della dottrina sociale della Chiesa e spesso critico della vicinanza fra Berlusconi e la CEI guidata dal card. Ruini, ha spesso valorizzato l’impianto anti-relativistico dell’Amoris Laetitia. Ma ha anche redarguito Matteo Renzi quando ha esultato per le unioni civili, contro le quali si è battuto con coraggio.

L’arcivescovo di Ancona-Osimo, Edoardo Menichelli, è stato confermato da Francesco nel suo ruolo nonostante il raggiungimento del limite d’età, il Papa lo ha nominato cardinale e su diretta chiamata lo ha reso partecipe del Sinodo straordinario sulla famiglia. Guida una vecchia Fiat Panda e vive con grande semplicità, nello stile bergogliano, sono famose le sue omelie in cui critica la teoria del gender e l’utero in affitto. Proprio su quest’ultimo ha parlato un articolo recente de L’Osservatore Romano. Un altro esempio è l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, nominato da Papa Bergoglio nell’ottobre 2015 e definito dai media il “volto nuovo” della Chiesa italiana. E’ intervenuto in difesa del card. Bagnasco quando si è espresso contro le unioni civili e ha mobilitato la società bolognese contro lo spettacolo pro-gender Fà-afafine. Mirko De Carli de Il Popolo della Famiglia ha definito «preziosa e irrinunciabile» la voce ferma e decisa della Curia bolognese e dell’arcivescovo bergogliano.

Un altro vescovo che non teme di esporsi è il già citato mons. Nunzio Galantino, scelto da Francesco come segretario della CEI, sostenitore del Family Day e più volte duramente intervenuto contro il ddl Cirinnà. In un articolo su Il Sole 24 ore ha parlato dell’eutanasia su Dj Fabo, criticando l’uso della «forza emotiva evocata da drammatici casi personali – di Fabiano e di altri – per fare pressione sul legislatore, tentando di riorientare gli esiti normativi in senso eutanasico. Continuo a pensare che la via dell’ eutanasia (o del suicidio assistito), lungi dall’essere segno di civiltà evoluta […] suggerisce un messaggio falso e deleterio: esistono vite che, per le loro condizioni contingenti, non sono (o non sono più) degne di essere vissute […]. Non è questo il volto degno di una comunità umana autenticamente “civile”. Dobbiamo avere il coraggio e la sapienza di andare in un’ altra direzione».

Importante anche la voce di mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita (elevato arcivescovo da Benedetto XVI, che lo ha nominato presidente del Pontificio consiglio per la famiglia), diventato l’ultimo bersaglio del mondo tradizionalista dopo l’elogio verso Marco Pannella per il suo impegno sulla situazione carceraria. Eppure, mons. Paglia si batte da tempo contro l’eutanasia, con articoli sui quotidiani ed interviste (come nel caso di Dj Fabo), solo pochi mesi fa ha pubblicato il libro Sorella morte (Piemme 2016), con il quale definisce la morte assistita «uno dei capisaldi del pensiero moderno, immagine della deriva totalitaria e della profonda solitudine che vive la società occidentale. C’è come una grande menzogna dell’Occidente: non si accompagna il morente, se ne affretta la morte. Io sono convinto, ed è uno dei motivi del libro, che sia importante riflettere e dibattere sui temi ultimi, l’ignoranza è sempre deleteria». In un’intervista recente a Famiglia Cristiana ha ribadito «un deciso no» ad eutanasia e suicidio assistito, spiegando che il «sussulto di civiltà» è «aiutare a vivere». Ha invitato i parlamentari a trovare un accordo sul testamento biologico rispetto all’accesso o meno alle terapie, come d’altra parte già prevede la Costituzione, senza però che esso vincoli «la doverosa autonomia scientifica e deontologica del terapeuta». E’ la vincolabilità il vero problema morale delle Disposizioni Anticipate di Trattamento, bene ha fatto a ricordarlo il presidente della Pontificia Accademia della Vita.

Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, è intervenuto sui recenti fatti legati all’eutanasia di Dj Fabo e alla sentenza a favore dell’adozione omosessuale, chiarendo: «È fondamentale essere sempre in un atteggiamento di grande rispetto nei confronti di tutti e di tutte le scelte, anche se evidentemente non si possono condividere tutte le scelte. La nostra è fedeltà al Vangelo, quando la Chiesa dice dei “no” è perché ha dei “sì” più grandi. Se non ci fosse la voce della Chiesa, che magari è scomoda, la società sarebbe molto impoverita. Come atteggiamento di fondo c’è la volontà di capire e rispondere in modo evangelico, che non vuol dire né chiudersi né accettare del tutto. La Chiesa ha una sua proposta da fare di fronte ai nuovi problemi del matrimonio, della vita, della famiglia».

La voce della Chiesa attuale, anche sui temi che più dividono la modernità, c’è ed è chiara. Senza ambiguità.

La redazione

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C’è un nuovo seminarista, è un neuroscienziato dell’Università di Yale

seminario neuroscienziatoDallo studio delle neuroscienze alla dedizione totale a Cristo. E’ stata questa la decisione del neuroscienziato portoricano Jaime Maldonado-Aviles, docente presso la celebre Yale University, dove ha insegnato e fatto ricerca nella divisione di psichiatria molecolare (autore di studi pubblicati anche dalla rivista Nature).

Ne hanno parlato i media americani pochi giorni fa, raccontando la storia del nuovo seminarista del Theological College presso la Catholic University di Washington. Dopo aver vinto prestigiose borse di studio dal National Institutes of Health, a 37 anni lo studioso ha sentito la chiamata alla vocazione, troppo potente per essere ignorata. Ha così lasciato la carriera ed il laboratorio di ricerca: «Questa costante intuizione», ha dichiarato Maldonado-Aviles, «che forse ero stato chiamato a servire il mondo in un modo diverso, era sempre più frequente». Ha così obbedito alla chiamata, trovando in seminario molti dei suoi compagni di classe del college, tra cui un dottorato in chimica e uno scienziato delle nanotecnologie. Ora lo aspettano due anni di filosofia e quattro di teologia.

Il card. Donald Wuerl, arcivescovo di Washington, ha spiegato che è alto il numero di studenti universitari in discipline scientifiche che decidono di diventare sacerdoti: «cercano Dio dopo aver trovato la scienza». Ken Watts del Pope St. John XXIII Seminary ha raccontato di aver accompagnato al sacerdozio diversi scienziati: «quando le questioni morali ruotano attorno alle aree medico-scientifiche, è certamente utile avere persone che capiscono perfettamente di cosa si parla così da chiarire davanti all’opinione pubblica il pensiero della Chiesa».

«Non direi che sto facendo più sacrifici di chiunque viva un matrimonio», ha risposto l’ex neuroscienziato in una intervista. «Dio mi chiama ad essere sacerdote, sarà Lui a darmi i carismi che mi aiuteranno». Si è stupito di trovare alcuni colleghi della Yale University riempire i banchi della Messa cattolica. «La complessità e, tuttavia, l’ordine con cui le cose funzionano nel nostro corpo e nel nostro cervello, ti fa pensare che ci sia più di una semplice casualità», ha spiegato. Ci sono stati comunque dei momenti difficili, ad esempio ha realizzato che la ricerca sulla corteccia umana viene condotta su embrioni umani abortiti in Europa. «Avrei mai compromesso la mia fede sotto la pressione per il successo?», si è chiesto.

Alla Catholic University ha frequentato un simposio sull’enciclica Laudato Sii di Papa Francesco, in quanto interessato all’integrazione tra scienza, tecnologia e teologia nella ricerca della verità, volendo rispondere alla chiamata del Papa nella cura della creazione. «La teologia deve imparare dalla scienza. Siamo informati su come funziona la vita. Ma la scienza deve anche imparare dalla teologia», ha detto Maldonado-Aviles dirigendosi verso il suo seminario dove vive, prega e si forma come missionario di una fede che soddisfa pienamente la ragione umana.

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Il film Silence e l’abiura della fede: sotto minaccia, è lecito rinnegare Dio?

film scorsese fede in dioL’ultimo film di Martin Scorsese, intitolato Silence, è da vedere. Il messaggio che trasmette è discutibile nel suo relativismo, tuttavia appaiono nascosti spunti davvero validi ed ha il merito di generare riflessioni ben più profonde rispetto alle abituali proposte cinematografiche.

Senza svelare la trama, è la storia di due padri gesuiti che nel 1638 partono per il Giappone in ricerca del loro maestro spirituale, padre Ferreira, rifiutandosi di credere che abbia davvero abiurato alla sua fede a causa della persecuzione subita. Arrivati a destinazione incontrano la nascosta comunità cristiana che da anni vive priva di sacerdoti, morti come martiri. Loro stessi subiscono persecuzioni che lo shogun, il dittatore giapponese, applica ai danni dei cristiani e dei convertiti, venendo sfidati ripetutamente a rinnegare la fede.

Il ricatto che subiscono dalle autorità giapponesi è psicologicamente devastante: abiurare la fede in Cristo, calpestare la Sua immagine posta simbolicamente ai loro piedi, per salvare la vita dei fratelli cristiani che hanno incontrato. Lo spettatore si immedesima e si domanda: “ed io, cosa avrei fatto?”. “Se oggi venissi sfidato da un terrorista islamico come mi comporterei?” 

E’ a questa domanda che padre Angelo Bellon, docente di teologia morale nel seminario dell’arcidiocesi di Genova, ha voluto rispondere. Oltre al dovere della testimonianza in prima persona (ma non del proselitismo, come insegnano Benedetto XVI e Francesco), Gesù ha indicato il criterio della prudenza: tollerare alcuni mali per evitarne più grandi. «Se vi perseguitano in una città, fuggite in un’altra» (Mt 10,23), e Lui stesso ne ha dato l’esempio (Gv 8,59 e 10,39), imitato dagli apostoli (2 Cor 11,33; At 12,8-11). «Vi possono essere momenti (ad es. in tempi di persecuzione)», ha spiegato padre Bellon, «in cui è più prudente non manifestare pubblicamente la fede. In certi casi, come nell’eventualità di essere scoperti e denunciati, vi può essere anche l’obbligo di derogare dalle leggi ecclesiastiche che non obbligano mai con grave incomodo». 

E’ quindi lecito togliere il crocifisso dal collo per evitare di attirare le attenzioni di eventuali sequestratori islamici, così come nascondere i simboli cristiani per evitare di venire scoperti, come fa la comunità sotterranea giapponese nel film di Scorsese. «I precetti morali positivi che comandano di testimoniare la fede», ha continuato il teologo domenicano, «obbligano sempre ma non in ogni momento. Qui è lecito occultare il crocifisso per salvare la propria vita necessaria alla famiglia, alla Chiesa e alla società». Obbedire non sarebbe rinnegare Dio, ma cessare di compiere un atto che non è strettamente richiesto. Ma il cristiano, di fronte alla richiesta di una esplicita abiura non può rinnegare la verità, anche esponendosi al martirio. Gli stessi apostoli hanno preferito morire piuttosto che tradire, imitati da tanti santi e sante che «hanno testimoniato e difeso la verità morale fino al martirio, perché non è mai lecito rinnegare la fede e per questo si deve essere disposti a testimoniare la verità fino al martirio».

Anche il teologo Stefano Biavaschi, da noi contattato, ha confermato: «Un conto è rinnegare la propria fede, un conto è evitare di indossare segni sacri, cosa che in fondo non è prescritta dal Vangelo. Uno può essere un ottimo cristiano anche senza indossare segni sacri. Si può scendere fino al gradino più basso del compromesso con l’altro (togliersi un crocifisso) ma mai fino allo stato di abiura. Tra l’altro il film di Scorsese mostra chiaramente due cose: 1) chi abiura non trova la pace, e sente urgente bisogno di confessarsi: segno che lui stesso si percepisce in stato di peccato. 2) verso chi si costringe ad abiurare non ci si limita nella richiesta di un singolo gesto (calpestare un’immagine, peraltro talvolta nemmeno benedetta ma fatta dal nemico stesso come strumento di abiura, e quindi semplice prodotto di arte umana che potrebbe al limite – ma proprio al limite – indurci a far nostro quanto disse addirittura un papa: “come legno ti spezzo, ma come Cristo ti adoro”) ma a chi abiura si richiede nei fatti una abiura continua, ripetuta nel tempo, che vada oltre la debolezza del momento per diventare scelta effettiva, che coincide con il rinnegamento vero e proprio della fede».

Questo perché, ha proseguito Biavaschi, «l’abiura, alla fine, modifica la persona, la distacca da Dio inizialmente per un senso di colpa verso di Lui, e successivamente per una retrocessione dei pensieri alti, fino al coinvolgimento di tutti i pensieri e tutti i valori: se ho piegato il pensiero più alto (“credo in questo Dio”) ancor più si piegheranno tutti i pensieri ed i valori rimasti. Alla fine l’abiura diventa quindi non quella del singolo gesto (calpestare un’immagine) ma quella di un’intera vita (calpestare l’opzione di fondo). Ecco perché la Bibbia ci mostra come modello Gesù, che non ha negato la sua figliolanza con Dio, anche se questo gli provocò sia la morte sia lo strazio della madre e di quanti lo amavano».

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Ratzinger e le dimissioni: il complotto offende la sua dignità

mons. negri benedetto xviDopo la colossale bufala del conclave invalido, dopo il catastrofismo apocalittico tramite la diffusione di false profezie, dopo aver accusato Papa Francesco di qualunque cosa, dalla secolarizzazione occidentale all’ignoranza dei cattolici italiani verso i brani evangelici, il mondo tradizionalista ha trovato un nuovo passatempo.

Sorprende che ad animare i catto-complottisti sia stato questa volta un prelato stimato come mons. Luigi Negri, un’uscita affidata ad un piccolo giornale online locale, Rimini 2.0. Ha abbracciato la teoria del complotto dietro le dimissioni di Benedetto XVI: «Ho poca conoscenza – per fortuna – dei fatti della Curia romana», ha dichiarato, «ma sono certo che un giorno emergeranno gravi responsabilità dentro e fuori il Vaticano. Benedetto XVI ha subito pressioni enormi. Non è un caso che in America, anche sulla base di ciò che è stato pubblicato da Wikileaks, alcuni gruppi di cattolici abbiano chiesto al presidente Trump di aprire una commissione d’inchiesta per indagare se l’amministrazione di Barack Obama abbia esercitato pressioni su Benedetto. Resta per ora un mistero gravissimo, ma sono certo che le responsabilità verranno fuori. Si avvicina la mia personale “fine del mondo” e la prima domanda che rivolgerò a San Pietro sarà proprio su questa vicenda».

Che mons. Negri sia poco informato della questione, quindi non direttamente colpevole, è evidente quando definisce “gruppi cattolici” coloro che hanno chiesto a Trump di indagare sulle presunte pressioni da parte di Obama. Si tratta in realtà del direttore e dell’editorialista della rivista The Renmant, due noti sedevacantisti vicini alla Fraternità San Pio X di Marcel Lefebvre, i loro nomi sono Michael Matt e Christopher A. Ferrara. Non riconoscono il Concilio Vaticano II, da anni sono definiti “eretici” dal mondo cattolico statunitense e sono stati socialmente scomunicati nel 2000 dal vescovo di Lincoln, Fabian W. Bruskewitz, che ha condiviso la presa di distanza da loro da parte della comunità cattolica americana, in particolare dal magazine The Wanderer che ha criticato la loro avversione verso Giovanni Paolo II, parlando di «traiettoria scismatica». La rivista The Remnant e il direttore sono stati anche inclusi dal Southern Poverty Law Center nella lista di “gruppi di odio” degli Stati Uniti, avendo promosso l’antisemitismo. Ferrara ha perfino negato l’Olocausto, ricevendo dure critiche da parte dei principali siti web cattolici statunitensi.

Se avesse saputo queste cose mons. Negri ci avrebbe pensato due volte prima di appoggiare l’iniziativa di due sedevacantisti antisemiti. Questo serve anche per capire chi siano i critici di Papa Francesco e coloro che hanno inventato il nuovo complotto contro Ratzinger. Si tratta infatti di un’offesa enorme alla dignità del Papa emerito, che viene descritto da questi gruppi come un fragile burattino, servile ed obbediente alle presunte pressioni dei gruppi di potere progressisti. Ratzinger ne esce come un uomo debole, privo di carisma e di consapevolezza del proprio ruolo, impaurito dal mondo, dalle minacce e quindi negatore del sostegno che il Vicario di Cristo riceve dallo Spirito Santo per far fronte alle proprie responsabilità.

Che il complotto tradizionalista colpisca e ferisca mortalmente la dignità di Papa Benedetto XVI lo ha dichiarato anche padre Federico Lombardi, che è stato il suo portavoce e principale collaboratore per tutti gli anni del pontificato, oggi presidente della Fondazione Ratzinger. Tali affermazioni hanno suscitato «interrogativi e – a mio avviso – inutile confusione. Osservo anzitutto che – per fortuna – Mons. Negri riconosce di conoscere poco i fatti, il che in parte permette di relativizzare le sue affermazioni, che tuttavia ci vengono presentate come una “certezza”. Io ho sempre pensato che Benedetto XVI sia un uomo che ha messo la verità al primo posto. Come si fa a contraddire così platealmente ciò che ha detto solennemente e poi ribadito? Mi pare una strana testimonianza di “amicizia” quella di Mons. Negri, che contraddice trionfalmente ciò che il suo amico dice. Nella sua perfetta lucidità, già quattro anni fa ne era del tutto consapevole, ed evidentemente ha pensato che questo sarebbe stato un problema per la comunità della Chiesa. Come dargli torto? Non mi pare proprio che sia necessario pensare a delle terribili pressioni d’oltreoceano. Possiamo tranquillamente pensare che la sua sia stata una decisione molto saggia e ragionevole, davanti a Dio e davanti agli uomini».

L’immediato intervento di padre Lombardi è stato sminuito da Antonio Socci il quale, in modo come sempre disonesto, lo ha definito un «membro dell’entourage bergogliano, portavoce di Bergoglio». Qualunque cattolico sa che padre Lombardi è stato scelto da Benedetto XVI per essere il suo portavoce durante il pontificato, ha poi continuato per altri tre anni il suo ruolo nella sala stampa vaticana dopo l’elezione di Francesco. Socci contrappone al ratzingeriano Lombardi l’intervento pro-complotto dell’economista Ettore Gotti Tedeschi, dimenticando di ricordare che lo stesso Benedetto XVI fu d’accordo e non si oppose al suo allontanamento dalla dirigenza dello Ior, come emerso dall’intervista al Papa emerito contenuta nel libro Ultime conversazioni (Garzanti 2016). Questo libro è il grande assente nelle ricostruzioni complottiste, pubblicato dal biografo ufficiale Peter Seewald -scelto dal Papa emerito come custode del suo testamento spirituale- che ha individuato la necessità di presentare «un Ratzinger diretto, senza le distorsioni dei media, soprattutto nel caso della sua rinuncia». Scritto, in accordo con Ratzinger, per smentire le «leggende e teorie su una presunta cospirazione. Era necessaria quindi la versione diretta del personaggio storico per mettere fine a storielle senza senso».

Nel libro, Benedetto XVI risponde ai complottisti: «Sono tutte assurdità. Nessuno ha cercato di ricattarmi. Non l’avrei nemmeno permesso. Se avessero provato a farlo non me ne sarei andato perché non bisogna lasciare quando si è sotto pressione. Sono convinto che non si sia trattato di una fuga, e sicuramente non di una rinuncia dovuta a pressioni esterne, che non esistevano. Non si è trattata di una ritirata sotto pressione o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte. Alle richieste non ci si deve piegare. È per questo che nel mio discorso ho sottolineato che io agivo liberamente. Non si può andar via se si tratta di una fuga. Non bisogna cedere alle pressioni. Si può andar via solo se nessuno lo pretende, e nessuno nel mio caso lo ha preteso. Nessuno». Lo stesso ha ripetuto più volte il suo segretario personale mons. Georg Gänswein, con cui lo si vede oggi passeggiare nei giardini vaticani: «Benedetto ha preso la sua decisione in modo libero, senza alcuna pressione. Non fu una fuga. Era convinto che il pastore non deve mai fuggire da nulla, neanche dai lupi se li incontrasse. Questa è la chiave per la giusta comprensione della sua decisione. Non è fuggito, ha semplicemente e umilmente ammesso di non avere più la forza per reggere la Chiesa di Cristo».

Sostenere il complotto, dipingere il Papa emerito come un bugiardo davanti al mondo, un pavido che fugge dai lupi, un uomo privo di dignità personale che si piega ai poteri forti e alle pressioni americane è un’offesa intollerabile nei confronti di Benedetto XVI. Ecco forse il palesarsi del fumo di Satana entrato nella casa del Signore, denunciato dal coraggioso Paolo VI. Beatificato da Papa Francesco.

 

mons. negri benedetto xvi

 
AGGIORNAMENTO 15/03/17
Un nostro lettore ci ha segnalato una piccola rettifica di mons. Luigi Negri, intervistato da La Fede Quotidiana. Alla domanda se ritiene realmente che dietro la rinuncia di Papa Ratzinger ci sarebbero pressioni di Obama”, l’arcivescovo ha risposto: «Io non ho mai detto questo e basta leggere il testo completo delle mie dichiarazioni. Ho solo preso lo spunto da recenti notizie di cronaca che arrivano dagli Usa, in particolare quanto pubblicato da Wikileaks e ho ricordato che su quell’episodio sarebbe opportuno verificare, cosa peraltro invocata da cattolici degli Stati Uniti». Si conferma dunque che mons. Negri non si è informato personalmente della vicenda e non ha ricevuto confidenze da parte di Benedetto XVI, ma ha preso spunto -come lui stesso dice- da notizie di cronaca.

 

La redazione

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Se le femministe riscoprono il valore della maternità e dell’etica cristiana

valore maternità femminismoSono sempre più numerose le donne che combattono per la liberazione femminile. Libertà non dalla fantomatica società patriarcale, ma dal femminismo radicale.

Secondo un sondaggio dell’anno scorso, infatti, il 53% delle giovani donne non si considera femminista: il 34% perché non concorda con gli obiettivi (solo l’11% ritiene importante preservare l’accesso all’aborto, ad esempio) e il 49% perché non approva l’etichetta “femminista”.

«Le donne meritano di meglio», ha scritto recentemente la scrittrice Samantha Johnson sull’Huffington Post in un articolo intitolato: “Quando sono diventata madre, il femminismo mi ha deluso”. «Nella lotta per assicurare l’uguaglianza, predichiamo alle ragazze che possono – e dovrebbero – fare qualsiasi cosa un ragazzo può fare, così però stiamo fallendo nel prepararle ad una delle più grandi sfide con cui dovranno confrontarsi: la maternità. Stiamo insegnando alle giovani che non c’è alcun valore nella maternità e che essere casalinga è un concetto obsoleto, misogino. Promuoviamo la carriera professionale indicandola come simbolo di successo, svalutando completamente il contributo dei genitori a casa. Dobbiamo dire alle donne quanto è importante è essere madri».

Una riflessione lucida da parte di una donna che comunque non rinuncia a definirsi femminista, in totale controtendenza dall’anacronistico fondamentalismo femminista espresso, ad esempio, dalla tuttologa italiana Chiara Lalli, per la quale è solo una falsa «credenza che ci sia un istinto materno, una innata e naturale competenza femminile all’accudimento».

La più importante filosofa italiana, Luisa Muraro, fondatrice della Libreria delle Donne nel 1975 -in prima linea contro l’utero in affitto assieme alla femminista francese Sylviane Agacinski e a quella americana, Camille Paglia-, ha confutato il classico motto del “corpo è mio e decido io” che oggi viene usato a sostegno anche della scelta “generosa” delle madri surrogate. «La causa è un neoliberismo – non economico ma culturale – che predica la totale disponibilità del proprio corpo. Il che poi era la parola d’ordine nel passato di alcune femministe con quell’“io sono mia”, slogan poco sensato al quale non ho mai aderito (la vita l’abbiamo avuta in dono, prima di tutto da una madre, dunque è un dono da ricambiare con altre persone). Per questo micidiale neoliberismo tutto deve tradursi in merce, tutto si compra e si vende. Non è solo un business, è una cultura, una tendenza generale a farci ragionare in questi termini».

La Muraro ha anche aggiunto: «Sebbene su tante cose la mia morale non coincida con quella cattolica, noi femministe dobbiamo avere il coraggio di dire che l’etica cristiana non è contro le donne. E non dobbiamo avere paura di coincidere nelle parole e nelle azioni, quando coincidono le nostre buone ragioni. Dobbiamo avere la semplicità di farlo. Quando dalle due parti ci si comporta con lealtà e coerenza, e le posizioni sono giustificate, non fanatiche, ci si aiuta in modo importante».

La redazione

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