Scusa, ma che male fa il matrimonio tra Lilly e il suo robot?

retorica lgbtChe male fa, a te, che Lilly possa sposarsi con il suo robot? Cambia qualcosa alla tua vita? Non sei d’accordo? Nessuno chiede che tu sposi un robot, semplicemente che venga coronato il suo sogno. Chi sei tu per discriminare i desideri e i diritti di Lilly?

No, non ci siamo convertiti alla retorica arcobaleno di Boldrini&Cirinnà, semplicemente ci avvaliamo dei loro stessi “argomenti” a favore del matrimonio omosessuale per dimostrare come essi possano essere applicati anche a qualunque fantasia umana, da chi chiede di sposare una persona del suo stesso sesso a chi vorrebbe unirsi in matrimonio con il proprio padre o la propria madre, da chi vorrebbe sposare 3 donne a chi, adulto e consapevole, si è innamorata di un robot.

Quest’ultimo è un caso avvenuto realmente in Francia, una donna –Lilly– dice di essersi innamorata del suo robot stampato in 3-D, di nome InMoovator e vorrebbe sposarlo: «Sono orgogliosa di essere robosexual», ha dichiarato. «Non facciamo del male a nessuno e siamo felici». Le stesse parole utilizzate da chi intende convincere per la liberalizzazione delle nozze gay. A Lilly non piacciono i contatti fisici con le persone e da 19 anni si innamora solo dei robot: «Non è un’idea ridicola o cattiva, si tratta semplicemente di uno stile di vita alternativo».

Quando vengono minate le fondamenta del matrimonio che -come dice la parola stessa “matris”, “madre”- è l’istituto previsto, pensato e appositamente progettato per unire saldamente un uomo e una donna, diventando così l’ambiente protetto migliore per la nascita di un bambino, allora tutto cade. Perché “discriminare” tutte le altre formazioni umane, escludendole dalle possibilità concesse alle persone dello stesso sesso? Non solo incestuosi o poligamici, ma anche i sologamy, cioè coloro che vogliono sposare se stessi (fenomeno sempre più in crescita negli Usa). E i robosexual? Con quali argomenti dire “no”, una volta che al matrimonio vengono tolte le fondamenta, ovvero la sua finalità alla esclusiva coppia naturale?

Troppo comodo dire che Lilly ha un disturbo mentale, e le coppie incestuose? Quelle poligamiche che manifestano negli USA reclamando gli stessi diritti degli omosessuali? Ricordiamo inoltre che fino a pochi anni fa anche l’omosessualità era considerata -a torto o a ragione, non ci interessa- patologia dalla psicologia ufficiale. Gli psicologi si sbagliavano? Allora potrebbe sbagliarsi anche per i robosexual, no?

La famiglia è una sola e il matrimonio è finalizzato soltanto per coppie composte da uomo e donna (e non è affatto una discriminazione, oltretutto, come ha sentenziato la Corte di Cassazione nel 2015). Negare queste due verità significa anche doversi farsi carico di tutte le sue conseguenze, concedendo inevitabilmente le nozze anche a tutti i prodotti della fervida mente umana: il caos totale. «Utilizzare il matrimonio per unioni diverse da uomo e donna», ha infatti scritto il laicissimo Sergio Romano, «è un furto di tradizione che non conviene nemmeno agli omosessuali».

La redazione

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Se Dio è buono, perché permette il male? Risponde San Tommaso

dio teodiceaUn recente intervento del domenicano Angelo Bellon ricorda le parole di Tommaso d’Aquino, quando affronta il tema del male spiegando che Dio ne trae sempre un bene maggiore, fosse anche una fede più cosciente. Il dolore diventa allora circostanza per rinascere, non l’ultima parola sulla vita.

 
 
 

Un Dio buono, perché permette il male?

La domanda è ineludibile, scuote l’anima di tanti credenti dubbiosi e non credenti.

Eppure, è anche vero che per chi vive una fede profonda, l’esistenza del dolore e del male (anche quello innocente) non crea scandalo, non è un’obiezione. Perché?

 

Dio permette il male ma ne trae un bene maggiore.

Ne abbiamo parlato tante volte, scindendo innanzitutto il male commesso per un uso sbagliato della libertà da parte dell’uomo da quello verso il quale l’uomo non ha apparenti colpe (disastri naturali, malattie ecc.).

Se nel primo caso la responsabilità è umana ed è conseguenza del peccato originale e di una libertà usata male, nel secondo caso si può dire che, è vero, Dio permette il male. Lascia una certa libertà alla natura, consente che gli uomini malvagi sbaglino, non impedisce le ingiuste avversità della vita.

Perché? Perché da esso riesce sempre a trarne, misteriosamente, un bene maggiore.

Ha dimostrato di agire così nell’evento centrale della storia umana: ha permesso l’ingiusta morte in croce di Suo figlio da parte degli uomini e ne ha tratto un bene maggiore. Con la resurrezione ha tolto alla morte l’ultima parola, per tutti gli uomini. Dal male ingiusto, un bene più grande.

 

San Tommaso: le prove servono a purificare la fede.

Un approfondimento di questo è arrivato recentemente dal teologo padre Angelo Bellon, quando ha spiegato che non sempre siamo non responsabili del male che tocca la nostra vita:

«Il male ce lo diamo da noi stessi, privandoci della sua grazia, che la sacra Scrittura presenta come scudo, come protezione. Quando fai qualcosa di male, ti privi della benedizione divina. In questo senso nella Sacra Scrittura si legge che “chi pecca, danneggia se stesso”. Ed è per questo che Giovanni Paolo II ha detto che il peccato è sempre un atto suicida (Reconciliatio et Paenitentia 15)». Ma, a volte, ha proseguito, «anche i giusti e i santi devono passare attraverso tante tribolazioni. Ecco la motivazione che ne dà San Tommaso: “La cura circa i tralci buoni consiste nel renderli ancora più fruttuosi: ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto […], ossia perché cresca nella virtù, cosicché i suoi quanto più sono puri, tanto più portino frutti» (Commento al Vangelo di San Giovanni 15,2)».

Padre Bellon cita giustamente Tommaso d’Aquino, il quale insegna che il bene maggiore che Dio ricava dal male può anche essere una fede più matura, più consistente che dona quindi maggior respiro alla vita e apre la porta della salvezza.

«Le prove servono a purificare la fede», spiega ancora padre Bellon. «Se ben accolte, radicano maggiormente in Dio. Mai come in quei momenti si avverte che solo lui è il nostro Salvatore. Le prove servono a tenerci uniti a Dio, ad aprirci a Lui, a confidare solo in Lui. E in questo modo permettono a Dio di esprimere in noi la sua onnipotenza divina».

E’ un’esperienza che tutti possono sperimentare, compresi i non credenti.

 

Il male come circostanza, non come ultima parola.

Abbiamo già parlato dell’ateo militante Scott Coren, che si è convertito a seguito di una malattia che ha colpito sua figlia. Piuttosto che chiudersi nel dolore, ne ha cerato un senso e, trovatolo, lo ha comunicato anche a lei.

E’ pieno di testimonianze di persone che, a causa della malattia, hanno visto rifiorire la loro vita quando hanno accolto la croce come circostanza e non come ultima parola. Oggi, scandalosamente, guardano al male ricevuto come condizione per un bene maggiore: aver trovato il Significato della loro vita, sia nella salute che nella malattia.

Val la pena riprendere integralmente una parte di una bella e recente omelia di Papa Francesco, rivolta alle vittime del terremoto. Vi consigliamo di leggerla attentamente:

«Nel mistero della sofferenza di fronte al quale il pensiero e il progresso si infrangono come mosche sul vetro, Gesù ci offre l’esempio: non fugge la sofferenza, che appartiene a questa vita, ma non si fa imprigionare dal pessimismo. Da una parte c’è la precarietà della nostra vita mortale, oppressa da un male antico e oscuro. Dall’altra c’è la speranza che vince la morte e il male e che ha un nome: la speranza si chiama Gesù. Egli non porta un po’ di benessere o qualche rimedio per allungare la vita, ma proclama: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà”. C’è chi si lascia chiudere nella tristezza e chi si apre alla speranza. C’è chi resta intrappolato nelle macerie della vita e chi, con l’aiuto di Dio, solleva le macerie e ricostruisce con paziente speranza. Non lasciamoci imprigionare dalla tentazione di rimanere sfiduciati a piangerci addosso per quel che succede; non cediamo alla logica inconcludente della paura, al ripetere rassegnato che va tutto male e niente è più come una volta. Questa è “l’atmosfera del sepolcro”; il Signore desidera invece aprire la via della vita, quella dell’incontro con Lui, della fiducia in Lui, della risurrezione del cuore, la via dell’“Alzati! Alzati, vieni fuori!”. E’ questo che ci chiede il Signore, e Lui è accanto a noi per farlo».

La redazione

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Papa Ratzinger: «L’Islam contiene elementi di pace», nessuno si scandalizzò

bergoglio islam paceMa dov’era Samir Khalil Samir, ex consigliere (almeno così si dice) di Benedetto XVI sull’Islam, quando il Papa emerito disse: «certamente l’Islam contiene degli elementi in favore della pace»? Non solo era presente, ma fu lui stesso a riferire sui media queste parole di Papa Ratzinger.

Ed era lo stesso Samir Khalil Samir a commentare così: «Mi piace molto questo papa, il suo equilibrio, la sua chiarezza. Per il papa polacco il dialogo con l’Islam doveva aprirsi alla collaborazione su tutto, anche nella preghiera. Benedetto mira a punti più essenziali. Il pericolo non è l’islam in genere, ma una certa visione dell’Islam che non rinnega mai apertamente la violenza e genera terrorismo e fanatismo».

Eppure oggi è lo stesso gesuita a scandalizzarsi oggi se Papa Francesco dice lo stesso. In un’intervista odierna, infatti, ha dichiarato: «Bergoglio ha detto spesso che l’Islam è una religione di pace e questo è un errore. Papa Francesco viene dall’Argentina, non conosce l’Islam. Ha conosciuto a Buenos Aires un imam molto gentile e con lui ha avuto una buona relazione ma la sua ignoranza dell’Islam non giova al dialogo».

In realtà Francesco non ha mai detto apoditticamente che “l’Islam è una religione di pace” ma, semmai, che «non si può dire che tutti gli islamici sono terroristi». Sono cose ben diverse. Aggiungendo che, quando lo si afferma, «tanti islamici sono offesi. Dicono: “No, noi non siamo questo. Il Corano è un libro di pace, è un libro profetico di pace. Questo non è islam”». Francesco sta dunque riportando le reazioni degli islamici, spiegando che il vero danno al dialogo è l’ingiusta generalizzazione. In quella famosa occasione, nel viaggio in Turchia nel 2014, Papa Bergoglio fece anche un appello ai musulmani: «Io ho detto al presidente Erdogan: sarebbe bello che tutti i leader islamici lo dicano chiaramente e condannino quegli atti. Perché aiuterà la maggior parte del popolo islamico, ascoltarlo dalla bocca dei suoi leader, religiosi, politici, accademici, intellettuali. Gli islamici che hanno una identità dicano: noi non siamo questo, il Corano non è questo». Parole chiare, dunque, quelle del Papa: una richiesta ai musulmani moderati di prendere l’iniziativa e dimostrare nei fatti quel che sostengono, cioè che il fondamentalismo è solo una parte dell’Islam, seppur non indifferente. Lo stesso che diceva Samir Khalil Samir: “Il problema non è l’Islam in generale”.

Mentre Giovanni Paolo II veniva colpito dal vaticanista Sandro Magister, che anche allora appoggiava la rivolta contro il Papa diffondendo presunti malumori generalizzati tra vescovi e cardinali sulla ambiguità di Wojtyla verso l’Islam, Benedetto XVI andò ben oltre il suo predecessore e il suo successore, come abbiamo già avuto modo di chiarire. Ad esempio, ricordò che «i musulmani condividono con i cristiani la convinzione che in materia religiosa nessuna costrizione è consentita, tanto meno con la forza. Tale costrizione, che può assumere forme molteplici e insidiose sul piano personale e sociale, culturale, amministrativo e politico, è contraria alla volontà di Dio». Nel 2009, anno di frequenti attentati terroristici, Papa Ratzinger espresse il suo «profondo rispetto per la comunità Musulmana» e, nel novembre 2006, due mesi dopo la crudele esecuzione di tre cattolici indonesiani da parte di fondamentalisti musulmani, disse: «Desidero poter dire nuovamente tutta la mia stima per i musulmani»

Non risulta, inoltre, che Benedetto XVI abbia mai attribuito all’Islam, in modo generalizzato, la responsabilità degli attentati terroristici. Come mostrato nel nostro apposito dossier,  il 18/07/05 parlò solo di “orribile attentato”; il 19/04/06 di “atto terroristico”; il 9/05/09 di “perversione della religione”; il 15/05/09 di “terrorismo”; l’11/11/10 di “discriminazione e violenza”; il 2/01/11 di “strategia di violenza”; il 25/01/11 di “grave atto di violenza”; il 20/10/12 di “terribile attentato”; il 7/01/13 di “pernicioso fanatismo di matrice religiosa” e di “falsificazione della religione stessa” ecc. Non esiste alcun richiamo di Ratzinger alla religione islamica nei suoi tanti interventi di condanna di vari attentati, eppure nessun Magdi (ex) Cristiano Allam si scandalizzava. Anzi! Solo il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segniaccusò la Chiesa di Benedetto XVI di avere “reazioni ammiccanti all’Islam”.

Se Samir Khalil Samir era realmente il consigliere di Benedetto XVI, o non era affatto influente oppure ha cambiato idea. Ma l’errore è il suo, non di Francesco. Anche perché, è stato lo stesso Ratzinger a ricordare più volte cosa insegna il magistero ufficiale della Chiesa cattolica, in particolare la dichiarazione della Nostra Aetate: «A questo proposito», disse il Papa emerito nel 2005, «è sempre opportuno richiamare quanto i Padri del Concilio Vaticano II hanno detto circa i rapporti con i musulmani: “La Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica volentieri si riferisce… Se nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il sacrosanto Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà”».

Sia i documenti ufficiali della Chiesa, sia Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, dunque, ci insegnano una dottrina chiara sulle altre religioni, opposta a quella proclamata dai turiferari dell’antipapismo. «I cristiani e i musulmani», ci ha insegnato ancora Papa Ratzinger, «seguendo le loro rispettive religioni, richiamano l’attenzione sulla verità del carattere sacro e della dignità della persona. È questa la base del nostro reciproco rispetto e stima, questa è la base per la collaborazione al servizio della pace fra nazioni e popoli, il desiderio più caro di tutti i credenti e di tutte le persone di buona volontà». Dove finiscono quindi le tradizionaliste accuse di buonismo, sincretismo e resa che oggi vengono rivolte solo a Papa Bergoglio?

La redazione

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Medjugorje una truffa? Per ora è “luce nel mondo”, lo dice l’inviato del Papa

inviato speciale papaE’ nota la determinata negazione di autenticità delle apparizioni di Medjugorje proclamata da sempre dal vescovo di Mostar, mons. Ratko Peric, sotto la cui giurisdizione si trova per il momento il piccolo paese della Bosnia-Erzegovina.

Poco tempo fa il vescovo ha ribadito la contrarietà della Curia dopo l’annuncio che Papa Francesco avrebbe inviato a Medjugorje un suo delegato per valutare la situazione a livello pastorale (senza entrare nel merito delle presunte apparizioni, quindi). La sua linea è identica a quella del precedessore, mons. Žanić, che seguì la vicenda dall’inizio, e dell’allora Conferenza episcopale jugoslava. Pochi sanno, però, che il predecessore di Peric, oggi defunto, fu inizialmente favorevole alle apparizioni ed iniziò a cambiare idea dopo che il servizio segreto comunista jugoslavo (SDB) intervenne con falsi rapporti sui fatti tentando di seminare confusione tra Curia e veggenti, riuscendo a far cambiare idea al vescovo. L’affaire è contenuto nel libro Misterij Medugorja (Evening Edition 2011), frutto dell’indagine di quattro giornalisti croati.

Mons. Peric ha giustificato la sua contrarietà facendo riferimento alla trascrizione delle audiocassette contenenti i colloqui avvenuti tra il personale pastorale e i presunti veggenti nell’ufficio parrocchiale di Medjugorje, durante la prima settimana delle apparizioni. Da essi emergerebbero diverse contraddizioni nei racconti dei ragazzi anche se, una volta analizzato il tutto, non abbiamo rilevato forti prove a favore della tesi di mons. Peric, se non il sospetto che il vescovo abbia cercato in quelle trascrizioni ciò che soddisfava la sua tesi precostituita. Se così fosse si tratta di un errore molto comune, commesso spesso anche dai sostenitori della veridicità.

In ogni caso ieri il delegato papale, mons. Henryk Hoser, arcivescovo di Warszawa-Praga, nel frattempo arrivato a Medjugorje, ha espresso il primo giudizio ufficiale su quanto ha rilevato: «Medjugorie è una luce nel mondo di oggi». I pellegrini che vengono a Medjugorje, ha aggiunto, «sono attratti soprattutto dalla scoperta di qualcosa di eccezionale, dall’atmosfera di pace interiore e di pace dei cuori». L’arcivescovo ha anche sottolineato il carattere “cristocentrico” della devozione che si respira in quel luogo, ricordando la regolarità delle celebrazioni eucaristiche e delle adorazioni del Santissimo. Inoltre, ha messo in risalto la “scoperta” da parte di numerosi pellegrini della preghiera del rosario, nonché l’adesione da parte loro alla liturgia della Via Crucis. «Dal punto di vista religioso», ha aggiunto, «Medjugorje è un luogo fertile per le vocazioni religiose». Circa 610 sacerdoti, infatti, hanno citato Medjugorje come una forza motivante nella loro vocazione. Mons. Hoser ha, infine, invitato tutti a salire sulla collina del Pod Brdo, il luogo dove è stata collocata una figura della Madonna e dove avverrebbero le apparizioni.

Questo giudizio conferma quanto riportavamo su questo sito web nel gennaio scorso, dando risalto ad uno studio sui pellegrini che si recano a Medjugorje che ha rilevato quanto essi siano persone lontane dal miracolismo, di buona cultura e istruzione, per nulla attratti da tentazioni millenariste. Né la posizione del vescovo di Mostar, né quelle dell’inviato papale andrebbero comunque prese come dichiarazioni conclusive. La cautela rimane d’obbligo come ha chiesto nel 2013 il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, invitando a diffidare da «riunioni, conferenze o pubbliche celebrazioni» in cui venisse data per certa la credibilità delle apparizioni di Medjugorje. Almeno finché non vi sarà una dichiarazione ufficiale da parte della Santa Sede.

L’unica sicurezza attualmente è che, indipendentemente se la Madonna abbia davvero scelto più di trent’anni fa il piccolo e sconosciuto paese della Bosnia-Erzegovina, certamente oggi non può non esserci. Chi vi si è recato, come ufficializzato da mons. Hoser, sa bene infatti che è uno di quei luoghi particolari che aiutano a far fiorire (o rifiorire) l’autentica fede cristiana, la chiara coscienza di essere Figli e non una mera parentesi tra il non c’ero e il non ci sarò. Una certezza che illumina tutta l’esistenza. Una “luce nel mondo”, per l’appunto.

La redazione

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Educazione sessuale a scuola? Inutile, lo dimostra un macrostudio

scuola programmi sessoMolto spesso i cosiddetti “programmi di educazione sessuale”, generalmente promossi da organizzazioni sovranazionali come le Nazioni Unite (oltretutto in stretta collaborazione con organizzazioni Lgbt), non sono altro che un tentativo surrettizio di formare bambini ed adolescenti non ad una educazione affettiva ma alla mera sessualità genitale, accompagnata dall’ideologia gender, alla contraccezione e, quando va male, all’interruzione di gravidanza.

Non è una fissa dei comitati in difesa della famiglia, ma lo hanno ammesso gli stessi “educatori”, lo hanno rivelato gli insegnanti, lo hanno scoperto i genitori e sono purtroppo quotidiane storie di cronaca (ecco alcuni casi di cui si è parlato in Italia a Forlì nel 2015, in Friuli Venezia Giulia nel 2015, a Massa Carrara nel 2015, a Milano nel 2016, nonché alcune immagini dei libri presentati nelle scuole ecc.)

Le famiglie possono oggi avvalersi anche di un importante macrostudio realizzato dall’organizzazione Cochrane, una rete globale di ricercatori nel campo della salute, definiti dal Canadian Medical Association Journal come «la miglior risorsa per la ricerca metodologica e per lo sviluppo della scienza della meta- epidemiologia». I ricercatori, provenienti dall’University of York, dalla Liverpool School of Tropical Medicine, dal South African Medical Research Council e dalla Stellenbosch University, hanno esaminato i dati provenienti da più di 55.000 giovani 14-16enni sottoposti a “programmi di salute sessuale e riproduttiva” provenienti dall’Africa sub-sahariana, dall’America Latina e dall’Europa, seguendoli da uno a 7 anni.

La conclusione a cui sono arrivati è che tali corsi scolastici «non hanno alcun effetto sul numero di giovani persone infette da HIV ed altre malattie sessualmente trasmissibili o la riduzione del numero di gravidanze indesiderate». E’ stato anche rilevato che soltanto quando le scuole hanno fornito incentivi per rimanere a scuola oltre l’orario standard, come la divisa scolastica gratuita o piccoli pagamenti in contanti, si è verificato un miglioramento del 22% nel tasso di malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze indesiderate. Miglioramento che però, come detto, non si è verificato se le scuole proponevano corsi di educazione sessuale.

Il pilastro dell’attuale approccio per l’educazione sessuale non funziona e anzi, come è stato scritto nel 2007 in un importante editoriale del British Medical Journal, «contrariamente a quanto si possa pensare, invece di migliorare la salute sessuale, interventi di educazione sessuale possono peggiorare la situazione». Per molti sarà una sorpresa, non per noi però dato che lo abbiamo segnalato in circostanze precedenti (offriamo un ulteriore studio come controprova, pubblicato sul Journal of Policy Analysis and Management nel 2006, in cui si conclude: «Gli avversari di tali programmi hanno ragione nell’osservare che l’educazione sessuale è associata con esiti negativi per la salute, ma generalmente sbagliano nell’interpretare questa relazione causale. I sostenitori di tali programmi, invece, sono generalmente corretti nel sostenere che l’educazione sessuale non incoraggia attività sessuali a rischio, ma sbagliano nell’affermare che gli investimenti in programmi scolastici di educazione sessuale producono benefici misurabili per la salute»).

Al contrario, se osserviamo la letteratura scientifica, gli unici buoni risultati si sono verificati nei casi in cui i programmi scolastici educavano al valore dell’astinenza, del custodirsi e custodire la propria sessualità, dell’attesa al completo dono di sé in una fase più matura, dedicandolo alla persona con cui si sarà deciso di condividere la vita e, per l’appunto, tutto se stessi. Studi sull’efficacia di questi programmi sono apparsi su diverse riviste scientifiche, come Review of Economics of the Household nel 2011, su Archives of Pediatrics and Adolescent Medicine nel 2010, sul Journal of Adolescent Health nel 2005, ecc. Il prof. Furio Pesci, docente di Storia della pedagogia all’Università La Sapienza di Roma, ha spiegato: «L’educazione sessuale e affettiva non è mai stata considerata – nemmeno dai sostenitori della laicità o del laicismo più accesi – come uno dei fini della scuola».

Questo quadro fornito dalla letteratura scientifica più recente sembra confermare la posizione della Chiesa, ben espressa dal presidente della CEI, card. Angelo Bagnasco: «l’educazione all’affettività e alla sessualità per la sua specificità unica, per la sua peculiarità, per la sua delicatezza, non dovrebbe far parte del quadro strutturale della scuola». Anche perché i programmi titolati «lotta all’omofobia, al bullismo, alla educazione ai valori ed al rispetto – tutti intendimenti sacrosanti – diventano il grimaldello per far passare una visione antropologica ben diversa, che va a toccare una dimensione affettiva e sessuale che è molto di più che l’italiano, il latino, il greco, le scienze e la storia perché tocca una visione delle cose, un mondo valoriale, che è troppo delicato e troppo grave». Le alternative proposte dal card. Bagnasco sono che «su esplicita richiesta dei genitori, la scuola offra qualche momento extra curricolare, ma che non faccia parte del quadro generale del programma». Inoltre, è doveroso «che i genitori riprendano in mano, con opportuni aiuti, l’educazione affettiva dei propri figli e sarebbe la cosa migliore». Riteniamo decisamente valida sopratutto quest’ultima indicazione.

La redazione

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Cristiani perseguitati, atei e islamici si contendono il triste primato

cristiani nello scavoIl nuovo libro del giornalista Nello Scavo si intitola semplicemente Perseguitati (Piemme 2017), documentatissimo reportage sui cristiani perseguitati nel mondo.

Il 75% delle violenze sulle minoranze colpisce i cristiani. Gli autori sono persone aderenti all’islam, al buddismo e all’indusimo. Ma non solo, secondo Open Doors International la Corea del Nord, guidata moralmente dall’ateismo di Stato, per il 15° anno di fila è il luogo peggiore al mondo dove essere cristiani. La Chiesa è interamente clandestina e continuamente perseguitata.

In Somalia, racconta l’autore, «gli islamici che si convertono al cristianesimo, se scoperti vanno incontro a morte certa. La Chiesa è pressoché totalmente clandestina o fortemente ostracizzata anche in Paesi come Afghanistan, Pakistan, Sudan, Iran ed Eritrea».

L’odio verso il cristianesimo risale agli albori della prima comunità cristiana nell’Impero romano, oggi, per quanto riguarda le ragioni, «possiamo dire che si tratta di scontri per difendere un interesse. Sia esso di tipo economico, culturale, sociale, o di “supremazia religiosa”. Il cristianesimo, infatti, non è mai privo di ricadute sociali e la novità che esso rappresenta viene spesso vissuto come una minaccia per chi ha fatto del sopruso, sotto qualsiasi forma, anche quelle apparentemente più innocue, una regola di vita».

E si potrebbero anche citare i soprusi degli intellettuali laicisti e le limitazioni alla libertà religiosa e di coscienza vissuti dai cristiani nelle società occidentali, ne ha parlato anche papa Francesco: «sia gli intellettuali sia i commenti giornalistici cadono frequentemente in grossolane e poco accademiche generalizzazioni quando parlano dei difetti delle religioni e molte volte non sono in grado di distinguere che non tutti i credenti – né tutte le autorità religiose – sono uguali. Alcuni politici approfittano di questa confusione per giustificare azioni discriminatorie. Altre volte si disprezzano gli scritti che sono sorti nell’ambito di una convinzione credente, dimenticando che i testi religiosi classici possono offrire un significato destinato a tutte le epoche. Vengono disprezzati per la ristrettezza di visione dei razionalismi».

Nel libro si parla anche di schiave cristiane, racconta Nello Scavo, di «“condizioni contrattuali” nella compravendita delle donne, le angherie che molte sopportano spesso per proteggere i propri bambini. Ci sono casi di donne rimaste vedove e che avrebbero voluto togliersi la vita, una volta “comprate” da qualche miliziano, ma che hanno accettato il quotidiano martirio solo per non abbandonare i figli nelle mani dei mujaheddin». E ci sono «cristiani, sia cattolici che protestanti, che affrontano enormi rischi per far arrivare il sostegno delle comunità di credenti ai gruppi perseguitati. Tra essi persone che mettono a repentaglio la loro vita per contrabbandare copie della Bibbia da far giungere alle chiese relegate nel silenzio».

Ma ci sono anche dati che portano speranza, ad esempio alcuni «imam che nei Balcani hanno dato accoglienza a tanti profughi cristiani provenienti dalla Siria. Penso anche a quegli islamici che in Siria stanno proteggendo i loro amici cristiani, insomma a quei “samaritani” che non si girano dall’altra parte, ma si soffermano senza fare calcoli». Pochi mesi fa, ad esempio, un gruppo di musulmani di Mosul ha ricostruito una chiesa cristiana distrutta dall’Isis, in Pakistan hanno donato soldi perché venisse ricostrita e il patriarca caldeo Louis Raphael Sako ha testimoniato la vicinanza che sta ricevendo dalla comunità islamica.

Per scrivere il libro Scavo ha girato il mondo, ha visitato le comunità cristiane perseguitate e testimonia che «ovunque il pontefice è percepito dai cristiani, anche da tante comunità protestanti, come un vero difensore dei diritti umani e l’unico leader in grado di agire a sostegno dei martiri del nostro tempo. Sapere che c’è qualcuno che chiede di pregare per loro, non è solo di grande consolazione, ma gli conferma di essere parte di una comunità universale».

La redazione

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«Anche per me, matematico, la grande sfida è l’umiltà evangelica»

matematica vangelo 
 
di Francesco Malaspina*
*docente di Geometria algebrica presso il Politecnico di Torino

 

Il matematico non può che essere profondamente umile. Uscito dal liceo avevo certamente la percezione di conoscere parecchia matematica. Ora, dopo diciannove anni passati a studiarla intensamente mi pare davvero di saperne molto meno di allora. La sua bellezza e la sua vastità mi hanno riempito di meraviglia e stupore e hanno saputo dissolvere quei confini che credevo di intravedere.

Noi che la investighiamo possiamo solo sperare di scalfire l’immensità della matematica proprio come nessun teologo potrà mai penetrare completamente il Mistero di Cristo. Il kerigma del Cristo Risorto è un mistero talmente immenso che non finiremo mai di cercare di comprenderlo. Inoltre la fede non è qualcosa di acquisito una volta per tutte, non si vive di rendita. La fede va alimentata continuamente proprio come la ricerca scientifica ha bisogno di uno studio costante. Lo studioso di qualunque scienza non può che essere profondamente umile e fare proprio il motto di Socrate: “So di non sapere”.

La povertà non è intesa solo come non attaccamento a beni materiali ma anche alle nostre conoscenze o alle sicurezze che pensiamo di aver acquisito con la nostra esperienza: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza». (Lc 10,21). Qui Gesù esulta perché alcune cose riguardanti il regno di Dio sono rese accessibili alle persone semplici e piccole e incomprensibili a coloro che si sentono dotti e saggi. Evidentemente non si sta dicendo che la conoscenza sia una cosa negativa ma chi è troppo attaccato ad essa e chi non ha l’umiltà di sentirsi piccolo finisce per essere chiuso a nuovi messaggi. Inoltre il Vangelo si identifica spesso con i poveri e i piccoli sicché chi è zavorrato dalle ricchezze («è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli», Mc 10,25) o dalla sapienza ingombrante («se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli», Mt 18,3) non può essere in piena sintonia con esso.

Un giovane e brillante ingegnere, avendo scelto la vita religiosa, era entrato nei Piccoli fratelli di Gesù. Si tratta della congregazione fondata da Renè Voillame nel 1933 seguendo la regola ed il messaggio di Charles de Foucauld. I piccoli fratelli non vogliono essere pastori ma imitare la vita nascosta e ordinaria di Gesù a Nazareth quindi condividere nelle periferie del mondo, nel cuore delle masse, la condizione sociale della gente semplice. Il nostro ingegnere dopo la formazione aveva cominciato a lavorare come scaricatore di porto. La madre era andata dai superiore dicendo: “Ha studiato tanto! Vi prego fategli fare qualcosa in modo che possa utilizzare i suoi studi per qualche opera di bene”. Ci sembra una richiesta ragionevole. E’ in linea con il nostro desiderio di efficienza e anche nel Vangelo troviamo l’esortazione ad utilizzare al meglio i nostri talenti. Si tratta di una di quelle tensioni laceranti del Vangelo. Un’altra ad essa collegata è quella tra il nascondimento («non sappia la tua destra ciò che fa la tua sinistra», Mt 6,3) e la testimonianza («non si accende una lampada per metterla sotto il moggio», Mt 5,15).

Dunque, da un lato l’uso dei propri talenti e la testimonianza mettendo in evidenza le proprie opere, dall’altro il nascondimento sia delle proprie abilità che del buon operare. Si tratta di due poli entrambi positivi ed evangelici e il discernimento tra di essi non è affatto semplice. Gesù nella sua vita presente li ha vissuti entrambi: ha vissuto tre anni di vita pubblica ed è stato a Nazareth per trent’anni vivendo pienamente la vita dei suoi compaesani, lavorando nella bottega di Giuseppe immerso nella vita di quel piccolo villaggio della Galilea di 2000 anni fa. Era il Dio creatore del cielo e della terra ma nessuno dei suoi vicini, se non Maria, avrebbe potuto sospettarlo. Ha scelto questo nascondimento, dando così straordinaria dignità alla nostra vita feriale, senza preoccuparsi di sprecare i suoi, evidentemente immensi, talenti. In quest’ottica la singolare scelta del nostro brillante ingegnere non appare più uno spreco. Il Vangelo ci esorta sia ad utilizzare al meglio i nostri talenti che a nasconderli. Non ci viene data una soluzione a questa tensione ma appare chiaro che l’efficienza non è più il bene supremo ma la cosa fondamentale è il dono di sé.

L’umiltà è dunque una virtù piuttosto centrale nella spiritualità cristiana e lo è altrettanto nella ricerca scientifica. Bisogna diffidare dagli scienziati che pensano di aver trovato tutte le risposte e si sentono grandi. Ecco una frase di Ennio de Giorgi, uno dei più influenti matematici del XX secolo: «Certamente neanche le più grandi scoperte di questo secolo, le più ardite teorie fisico-matematiche, la relatività generale, il Big Bang, il principio di indeterminazione, gli spazi a infinite dimensioni di Hilbert e Banach, i teoremi di Gödel, danno una risposta alle domande fondamentali riguardanti il mondo, Dio, l’uomo».

 

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In Argentina aumentano i seminaristi, si parla di “effetto Francesco”

crescono seminaristi argentinaDa due anni a questa parte è tornato a crescere il numero dei seminaristi in Argentina. Dal 2005 il calo è stato purtroppo quasi verticale, passando dai 1274 agli 827 del 2014, ma la discesa sembra essersi arrestata e, addirittura, si è invertito il processo.

Secondo i dati della Organización de Seminarios de la Argentina (OSAR), infatti, nel 2016 sono stati 850 i seminaristi argentini, 870 invece nel 2017. Questo lieve aumento, certificato dai numeri, collima con la testimonianza di don Diego Resentera, rettore del seminario di “Nuestra Señora del Rosario” dell’arcidiocesi di Mendoza e vicepresidente di OSAR: «c’è più vita, più entusiasmo, più voglia di portare Cristo agli altri nelle comunità parrocchiali e nei movimenti, nelle scuole». Lo stesso ha confermato il rettore del seminario maggiore “Jesús Buen Pastor” della diocesi di Río Cuarto, a Córdoba.

Il merito? Per entrambi i responsabili dei seminari argentini si tratta anche dell’influenza dell’argentino Papa Francesco, «uno dei fattori che hanno influenzato questo trend positivo». Egli, ha spiegato il rettore don Resentera, è diventato una figura positiva per tanti giovani che hanno accolto la vocazione di impegnare la loro vita al servizio della Chiesa. Certamente il cambiamento «ha a che fare con Papa Francesco, il suo messaggio ed i suoi gesti, la sua capacità di portare il perdono e la misericordia di Dio, di uscire fuori e andare dove Dio ha bisogno di essere annunciato».

Un’altra indagine recente ha inoltre verificato che a Buenos Aires la figura del Pontefice è guardata positivamente dall’82,1% della popolazione, toccando il picco tra le donne e gli over 60. Interessante il dato secondo cui quasi il 30% degli intervistati si è avvicinato di più alla Chiesa dopo l’elezione di Francesco. Molto apprezzate, inoltre, sono l’austerità e l’onestà intellettuale che professa (27,5%), l’apertura ai migranti e agli esclusi (21,4%) e la critica al capitalismo (15,8%). La Chiesa cattolica, infine, è risultata essere l’istituzione verso cui gli argentini pongono più fiducia, superando di gran lunga lo Stato, i tribunali e le organizzazioni non governative.

Anche negli Stati Uniti, dove secondo dati recenti l’87% dei cattolici sostiene favorevolmente il Pontefice, sta crescendo l’affezione sociale verso la Chiesa cattolica. Lo ha stabilito recentemente il Pew Research Center analizzando i sentimenti degli americani verso i vari gruppi religiosi. Dal gennaio 2014 al gennaio 2017, infatti, i cattolici hanno ricevuto, assieme agli ebrei, il miglior feedback di sentimenti positivi: dai 62° ai 66° di oggi.

Vengono alla mente le parole di uno dei più stretti amici e collaboratori del Papa emerito e di Giovanni Paolo II, il card. Camillo Ruini, quando ha dichiarato: «Ho collaborato per vent’anni con Giovanni Paolo II, poi più brevemente con papa Benedetto: gli elementi di continuità con Francesco sono molto più grandi e importanti delle differenze. E fin da quando ero uno studente liceale ho imparato a vedere nel Papa prima la missione di successore di Pietro, e solo dopo la singola persona; e ad aderire con il cuore, oltre che con le parole e le azioni, al Papa così inteso. Bisogna essere ciechi per non vedere l’enorme bene che papa Francesco sta facendo alla Chiesa e alla diffusione del Vangelo».

La redazione

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Picchiarono le Sentinelle in Piedi, prime condanne per i militanti Lgbt

contestatori condannatiDue Sentinelle in Piedi massacrate di botte e finite all’ospedale solamente per essersi opposte alle nozze gay, è quanto accaduto nell’ottobre 2014 a Rovereto. Oggi è arrivata la condanna per i due attivisti arcobaleno: sei mesi di reclusione e duemila di euro di multa.

Notizia completamente censurata dai media, che si sarebbero giocati la prima pagina se fosse avvenuto il contrario. Ma il contrario non avviene mai, nessun manifestante pro-family ha mai aggredito, spintonato o difeso con la forza le sue idee. La caratteristica delle Sentinelle, infatti, è restare pacificamente compatte ed in silenzio, un geniale ed efficace modo di manifestare che manda e fa perdere ogni freno inibitorio al tetro mondo arcobaleno.

Tanto che, ad ogni evento (sul sito web delle Sentinelle le prossime date), l’associazionismo Lgbt manda in campo i suoi associati in combutta con i violenti dei centri sociali, che rispondono al silenzio con insulti, sputi, distruzione dei gazebo e, come in questo caso, aggressione fisica. Pestaggio, quello avvenuto in Trentino (ma anche a Bologna), che ha coinvolto anche un sacerdote preso a calci e pugni dagli stessi che hanno fatto della denuncia dell'(inesistente) omofobia la loro ragione d’essere, con l’obiettivo secondario di spingere il tasto emotivo per poter ottenere leggi scalfarottiane che introducano il reato d’opinione.

Pochi giorni fa a Washington, invece, esponenti della comunità Lgbt hanno vandalizzato a colpi di pennarello e martelli un autobus che pubblicizzava legalmente un’immagine raffigurante la differenza naturale tra un bambino e una bambina, ritenuta però una “campagna omofoba” da parte dei liberali. L’autista è stato a sua volta aggredito.

Vandalismo in passato anche contro i locali americani Chick-fil-A, dopo che il proprietario Dan Cathy ha dichiarato che l’azienda a conduzione familiare crede nei valori della famiglia tradizionale. Due anni fa in Germania è stato incendiato l’autobus delle “Sentinelle” tedesche e date alle fiamme anche le auto dei difensori della famiglia, nel 2013 invece, un attivista gay, Floyd Lee Corkins, è entrato armato all’interno del Family Research Council, ente a favore della famiglia naturale, sparando contro la guardia di sicurezza. Il militante omosessuale, una volta arrestato, ha dichiarato di avere in progetto di uccidere quanti più “bigotti omofobi” possibili.

L’unica volta che dei sostenitori della famiglia naturale si sono comportati come gli attivisti Lgbt, recandosi nel 2013 (in modo pacifico, però) al Gay Pride di Seattle (USA) con dei cartelli provocatori, sono stati brutalmente pestati. Il video qui sotto (pubblicato anche sul nostro canale Youtube):

Andrew Sullivan, leggendaria icona gay e giornalista inglese, intervenuto contro la lobby gay quando ha imposto il licenziamento di Brendan Eich, amministratore delegato di Mozilla -reo di aver donato mille dollari alla campagna referendaria per vietare i matrimoni gay-, ha dichiarato: «Un movimento per i diritti civili senza tolleranza non è un movimento per i diritti civili, è una campagna culturale per estirpare e distruggere i propri oppositori. Un movimento morale senza misericordia non è morale; è crudele».

La redazione

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I crociati salvarono l’Europa dall’invasione dell’islam turco

urbano ii crociate 

di Francesco Agnoli*
*saggista e scrittore

da La Verità, 28/03/17

 

Una delle balle spaziali più diffuse e utilizzate nelle più svariate circostanze (per attaccare la Chiesa cattolica, denigrare la civiltà europea e dare una certa lettura dei fatti odierni nel rapporto tra Occidente e islam) riguarda le crociate.

Ma che cosa furono queste benedette o maledette crociate, al di là di ideologie e qualunquismo? Anzitutto occorre analizzare ciò che le precede. Dopo la nascita dell’Islam (VII secolo d.C.), terre abitate dai cristiani come le costa dell’Africa, la Spagna, la Sicilia e numerose città appartenenti all’Impero romano d’Oriente, vengono attaccate, saccheggiate e devastate dai musulmani, che ovunque uccidono, imprigionano e fanno schiavi. Basta un qualsiasi atlante storico per comprendere la velocità con cui Maometto e i suoi eredi si impongono militarmente dove prima vivevano popolazioni cristiane o animiste.

Percorso dai pirati saraceni, in quegli anni il Mediterraneo diventa impraticabile, al punto che lo storico Henri Pirenne sostiene che è solo con l’espansione islamica che inizia il Medioevo, perché essa fu anche più traumatica delle invasioni barbariche. «I cristiani non possono far galleggiare sul mare neanche una tavola», scriveva lo storico arabo ibn Khaldun. Tra Seicento e Settecento la Sicilia è oggetto di scorrerie e razzie continue. Nell’846 si colloca il primo dei due sacchi di Roma: 73 legni con 3000 guerrieri arrivano alle foci del Tevere, e saccheggiano la città, le chiese di San Pietro e di San Paolo. Anche le città sul mare vengono periodicamente assalite.

La celebre rinascita dell’anno Mille non ci sarebbe mai stata se le Repubbliche marinare italiane non avessero, come prima cosa, riconquistato il Mediterraneo, ripulendolo dai pirati e restituendolo alla navigazione e al commercio. Ma ripercorrere le centinaia di incursioni islamiche in territorio italiano ed europeo in genere sarebbe troppo lungo: rimando per questo all’opera di Rinaldo Panetta, intitolata significativamente Pirati e corsari turchi e barbareschi nel mare nostrum.

Basti allora soffermarsi un attimo sul Medio Oriente. Gerusalemme, città abitata da cristiani ed ebrei, viene presa dai musulmani nel 638 d.C. Da allora gli abitanti originari sono sottomessi a soprusi di ogni genere. «Nel 938 la processione per la domenica delle Palme è attaccata con morti e feriti e il Sepolcro danneggiato da un incendio; nella Pentecoste del 966 il governatore eccita la popolazione musulmana contro il patriarca (ucciso e bruciato) mentre il Sepolcro è saccheggiato e incendiato; sotto il califfo al-Hakim (966-1021) vi è una lunga persecuzione anticristiana e antiebraica, culminata con la distruzione del Sepolcro il 28 settembre 1009 e la riduzione in povertà dei cristiani che impiegano 40 anni a restaurarlo» (M. Meschini, Le crociate di Terrasanta, Art; e Il jihad & la crociata, Ares). Intanto i bizantini vengono sconfitti dati turchi a Manzikert nel 1071: il loro esercito viene sbaragliato e l’imperatore catturato.

E’ la paura della fine di Bisanzio a creare il panico in Occidente e a spingere papa Urbano II alla chiamata alle armi. Gli ortodossi, per quanto fratelli separati, corrono il rischio di essere distrutti e l’Islam, che già ha conquistato la Spagna, incomincia a salire verso i Balcani, chiudendo la cristianità in una tenaglia. L’accademico René Grousset ricorda che la sconfitta di Manzikert convinse gli europei che di fronte ad una tale incapacità dei bizantini di difendersi, «le nazioni occidentali dovevano intervenire». Infatti i turchi avevano preso Nicea, e di lì avrebbero potuto assalire Costantinopoli: le crociate servivano a ritardare la caduta della città, in mano ai turchi, di oltre tre secoli e mezzo, salvando così l’Europa da un’aggressione inevitabile.

«Verso il 1090», scrive Grousset, «l’islam turco, dopo aver cacciato quasi completamente i bizantini dell’Asia Minore, si preparava alla conquista dell’Europa» (R. Grousset, La storia delle crociate, Piemme). Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, nulla fermerà più i turchi, che invaderanno i Balcani, giungendo ben due volte alle porte di Vienna. L’intervento di Urbano II fu dunque, secondo lo storico, un atto che diede origine ad una crociata, la prima, che sarebbe più opportuno considerare non una guerra di offesa, ma di difesa: difesa di Bisanzio, del Santo Sepolcro e di terre che erano state cristiane sino alla conquista islamica.

Così riassume Samir K. Samir in Cento domande sull’Islam (Marietti): «I cristiani o i crociati che hanno combattuto la guerra non pretendevano di averlo fatto fondandosi sul Vangelo; l’hanno fatto, invece, in nome della difesa della cristianità» e come «reazione alle persecuzioni intraprese dal califfo fatimitide al-akim bi-Amri Allah contro i cristiani di Siria e di Egitto (che allora comprendeva anche la Terrasanta)», giunte fino alla «distruzione della Basilica della Risurrezione di Gerusalemme (chiamata in Occidente Santo Sepolcro), iniziata il 28 aprile 1009». Dal canto suo Jean Richard, ne La grande storia delle crociate (Newton), nota che le crociate non ebbero lo scopo di convertire gli islamici: «La “guerra santa” in quanto operazione che ha lo scopo di ottenere una conversione forzata, venne respinta da tutti i teologi e canonisti. Le crociate hanno in genere rispettato questa norma».

Quanto sostenuto sino ad ora, non da Corrado Augias o storici improvvisati che popolano la tv, ma dai massimi studiosi delle crociate, è condiviso da Arrigo Petacco, nel suo L’ultima crociata. Quando gli ottomani arrivarono alle porte dell’Europa (Mondadori): è infatti impossibile analizzare questa parte della nostra storia prescindendo da quattro secoli di aggressioni musulmane all’Europa; prescindendo dal fatto che l’assedio islamico da Ovest, iniziato con la conquista di Spagna e fermato dai franchi a Poitiers, nel 732, stava per incominciare anche a Est, proprio negli anni della prima crociata e sarebbe ripreso con alterne vicende sino al 1683, quando i cristiani dell’ultima crociata, si trovarono a liberare Vienna dai turchi.

Certamente per le crociate di guerra si trattò, e non si può negare che il moto sfuggì di mano, in molte occasioni, sia per la naturale fragilità e cattiveria degli uomini, sia evidentemente perché in svariate circostanze la volontà di difendere la cristianità si mescolò, nel cuore dei nobili e dei feudatari, con la cupidigia di nuove conquiste. Ma esse non furono nulla di paragonabile ai fatti dell’Ottocento e del Novecento: non furono cioè opera di colonialismo, o di esportazione della democrazia (vedi guerre degli Usa in terre islamiche), perché i cristiani, per lo più, si limitarono «alla liberazione della Terrasanta (abitata da cristiani ed ebrei sottomessi, ndr); a nessuno passò per la mente di togliere ai musulmani l’Africa, l’Arabia o la Persia» (G. Bordonove, Le crociate e il regno di Gerusalemme, Rusconi).

Per concludere, lo studioso Rodney Stark, nel suo Gli eserciti di Dio (Lindau), dimostra altri due fatti interessanti. Il primo: le crociate non nacquero dalla avidità dei nobili europei, molti dei quali, anzi, affrontarono «persino la bancarotta pur di recarsi in Terrasanta», né furono il primo tentativo di colonialismo europeo, essendo i regni cristiani in Oriente indipendenti da qualunque Stato europeo e, lungi dall’essere sfruttati economicamente, godettero delle ricchezze che venivano dall’Europa. Il secondo: le crociate non possono essere indicate come «una delle cause dirette dell’attuale conflitto mediorientale», visto che gli islamici fino alla fine del XIX secolo non mostrarono interesse per questi fatti. Anzi, «per molti arabi le crociate non furono che attacchi sferrati contro gli odiati turchi, e pertanto di scarso interesse».

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