Che Guevara, lo spietato stalinista diventato icona pop
Ricorre in questi giorni il novantennale di Ernesto Guevara, detto “Che”. Un santino laico, un simbolo di pace, un difensore degli ultimi. Non c’è manifestazione in cui non compaiano ancora oggi magliette e poster con il suo volto.
Ma la realtà è molto diversa: «I fatti dimostrano che era un totalitarista con vene messianiche, che voleva apertamente imporre la tirannia maoista nel mondo», ha commentato uno dei principali sociologi sudafricani, Lucien van der Walt.
«Era così fanatico che nel momento più caldo della Guerra Fredda, implorò persino l’Unione Sovietica di attaccare New York, Washington o Los Angeles con la bomba nucleare e portare alla fine del mondo». Secondo van der Walt, «il culto del Che è ancora oggi usato per oscurare la vera natura della Cuba di Fidel Castro, uno degli ultimi bastioni dello stalinismo». Stalinismo? «Ho giurato davanti a una fotografia del vecchio e compianto compagno Stalin che non avrò riposo fino a che non vedrò annientate queste piovre capitaliste», disse Che Guevara nel 1959 a proposito degli Stati Uniti. Il “male assoluto”, per lui.
Contro gli USA fondò, assieme a Castro, il Movimento del 26 luglio (J26M), dimostrandosi «il più autoritario e brutale dei leader della guerriglia». Chiese la pena di morte per informatori, insubordinati, malintenzionati e disertori. «Lui stesso», ha proseguito va der Walt, «ha eseguito personalmente le esecuzioni. In un’altra occasione progettò di sparare ad un gruppo di guerriglieri che avevano fatto lo sciopero della fame a causa del cibo cattivo. Fidel intervenne per fermarlo. «Per farla breve», si legge, «Che Guevara era uno psicopatico la cui sadica brama di sangue non si estingueva facilmente. Uccise per puro piacere».
Con la vittoria castrista del 1959, il Che fu incaricato di istituire il controllo di stato. Purgò l’esercito con 550 omicidi (in pochi mesi) dei sostenitori di Fulgencio Batista. «Queste uccisioni contro i sostenitori del vecchio regime furono estese nel 1960 ai sostenitori del movimento operaio che criticava il regime di Castro. Il Che ha chiuso la stampa e le scuole libere, ha creato una polizia segreta (il C-2) e ha avuto un ruolo chiave nella creazione dei Comitati per la difesa della rivoluzione, cioè enti locali per spiare e controllare la popolazione». Tra i suoi nemici, è stato osservato recentemente, vi furono anche neri ed omosessuali.
Il guerrigliero cubano era l’anello di congiunzione tra Cuba e l’URSS, facendo sfiorare la guerra nucleare nel 1962 contro gli Stati Uniti. Quando Krusciov indietreggiò, salvando letteralmente il mondo, il Che parlò furioso di “tradimento”. Capì che lo stalinismo sovietico non aveva futuro, ed abbracciò quello cinese e nordcoreano. Fallì in Congo con l’esercito di liberazione e anche in Bolivia, dove non riuscì a creare un’insurrezione armata tra i contadini. Nell’aprile 1966, nel Message to the Tricontinental Conference de L’Avana, Che Guevara disse: «L’odio è l’elemento centrale della nostra lotta! L’odio è intransigente, è così violento che spinge un essere umano oltre i suoi limiti naturali, rendendolo violento e assassino. Rifiutiamo ogni approccio pacifico. La violenza è inevitabile. Per il socialismo devono fluire fiumi di sangue! Il nemico imperialista deve sentirsi come un animale braccato, ovunque si muova. Così lo distruggeremo! Queste iene sono adatte solo allo sterminio. Dobbiamo mantenere vivo il nostro odio e appassionarlo al parossismo! La vittoria del socialismo merita milioni di vittime atomiche!».
Il giornalista britannico dell’Independent, Johann Hari, ha scritto: «Il suo unico obiettivo era l’imposizione del comunismo autoritario con la forza, ovunque. Ha scelto di non vedere che questo sistema, ovunque sia stato provato, ha reso ancora più povere le persone, diffondendo invariabilmente carestie, fame e terrore». L’amico che aveva viaggiato con lui nei famosi viaggi in motocicletta, David Mitrani, rimase scioccato quando si incontrarono nuovamente a l’Avana dopo la rivoluzione. Non riusciva a capacitarsi come il Che potesse essere diventato una «macchina per uccidere, efficace, violenta, selettiva e fredda».
La morte di Che Guevara come “martire” lo ha infine rapidamente trasformato in un’icona internazionale. Il bell’aspetto e il coraggio che comunque dimostrò hanno camuffato ciò che realmente era: uno spietato autoritario stalinista.
La redazione