Possessioni demoniache, lo psichiatra: «Tutto reale, l’ho visto»

«”Credete nel diavolo?”. “Ma… dipende… è un mito, non è tanto chiaro”. No, il Diavolo esiste!». E’ stato perentorio Papa Francesco parlando recentemente a dei giovani seminaristi. Un celebre psichiatra americano, Richard Gallagher, che ha studiato centinaia di casi, è uscito allo scoperto affermando che il possesso demoniaco è un fenomeno reale.

The Telegraph lo definisce «un eminente psichiatra formatosi a Princeton ed a Yale». Gallagher, docente di Psichiatria presso il prestigioso New York Medical College e alla Columbia University, ha annunciato di aver valutato centinaia di casi di possibile possesso demoniaco e, nell’intervista al quotidiano inglese ha spiegato perché ritiene che il fenomeno non sia sempre riconducibile alla malattia mentale.

Su questo pubblicherà il libro Demonic Foes: A Psychiatrist Investigates Demonic Possession in the Modern United States (Harper Collins 2019), del quale ha anticipato alcuni passaggi: «Ci sono molti altri psichiatri e professionisti della salute mentale che fanno quello che faccio, ma sono riluttanti a parlarne. Questo è ciò che dà al mio lavoro una certa singolarità. Ho maturato molta esperienza e sono disposto a parlare. Sento l’obbligo di parlare. Penso che dovrei farlo». Due famosi esorcisti americani, infatti, gli hanno riferito casi così drammatici che hanno vinto il suo iniziale scetticismo, portandolo ad occuparsi di questi fenomeni.

Lo psichiatra ha osservato direttamente 100 possessioni “in piena regola” negli ultimi venticinque anni ed ha partecipato ad una centinaia di esorcismi, come osservatore. «E’ spettrale ed inquietante» assistere ad un esorcismo, ha riferito. Ha ascoltato voci demoniache e vittime di bassa istruzione scolastica parlare perfettamente il latino, rispondendo sarcasticamente alle preghiere degli esorcisti. Tuttavia, i tentativi di riprendere la scena con una videocamera sono falliti: «Molte persone mi diranno: “Beh, non ha pensato a produrre prove visive?”», ha detto Gallagher. «Come se un demone si facesse riprendere per Youtube. Sono creature intelligenti, malevole e manipolatrici. Non si esibiranno per una fotocamera. Sanno di essere registrati».

Ha comunque voluto chiarire: «Non c’è nulla in quel che sto dicendo che è anti-scientifico. Io credo nella scienza, io insegno presso una Università medica americana, io uso i risultati scientifici tutti i giorni della mia vita. Soltanto ho avuto una rara possibilità di studiare queste cose in un modo un po’ più rigoroso rispetto ai miei colleghi». Il suo lavoro è stato infatti supportato dal dott. Joseph English, ex presidente del dipartimento di Psichiatria del New York Medical College, che ha scritto: «Contrariamente a un’impressione diffusa, tali fenomeni non solo continuano ad essere riportati nel mondo di oggi, ma sfidano ancora la facile spiegazione di chi pensa siano meri disturbi medici o psichiatrici concepiti in modo semplicistico».

La Chiesa cattolica, in ogni caso, è consapevole dell’alta possibilità che le persone che credono di essere vittime di Satana in realtà sono solo vittime di qualche malattia. Per questo opera sempre più a stretto contatto con gli esperti della salute mentale, come ha fatto presente il prof. Luigi Janiri, psichiatra del Policlinico “Gemelli” di Roma ed ordinario presso l’Università Cattolica: «I fenomeni di esorcismo sono molto interessanti per lo psichiatra. Devo convenire sul fatto che solo una minoranza delle persone che dicono di essere impossessate lo sono poi realmente. Nella grande maggioranza di casi si parla invece di casi psichiatrici, e questo è confermato da tutti gli esorcisti». Così, «ritengo ci debba essere una formazione specifica da ambo le parti: per gli psichiatri sapere quali sono i casi e i criteri secondo i quali ci si trova di fronte a dei casi di competenza dell’esorcista, dall’altra parte è molto giusto che ci sia una formazione di tipo psicopatologico anche degli esorcisti per sapere quali casi vanno mandati dallo psichiatra».

La redazione

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Rodrigo Duterte (Filippine), bestemmia Dio ed è un dittatore. Sai che novità…

«È impressionante quanto le dittature si assomiglino terribilmente tra loro», ha scritto Francesco Agnoli nel suo Novecento. Il Secolo senza croce (Sugarco 2011). «Dai giacobini francesi ai bolscevichi russi, ai nazionalsocialisti tedeschi, ai maoisti cinesi e ai khmer rossi cambogiani. Troviamo sempre gli stessi elementi, analoghe idee fondanti, simili aberrazioni». Non fa eccezione uno degli ultimi dittatori, l’attuale presidente comunista-antimperialista delle Filippine, Rodrigo Duterte.

Pochi giorni fa ha bestemmiato definendo il Dio cristiano uno “stupido” e ironizzando sulla creazione biblica. Da sempre spietato anticlericale, ha come nemico principale la Chiesa cattolica che contrasta il suo metodo violente ed omicida contro la droga (si parla di oltre 1000 omicidi in pochi mesi), essendo il mandante di numerose esecuzioni sommarie. Si è definito l’“Hitler delle Filippine”, paragonando la campagna contro la droga alla Shoah. Raccontando di aver visto il volto di una missionaria australiana stuprata e uccisa, nel 2016 Duterte ha sghignazzato dicendo: «ero arrabbiato che fosse stata violentata, è stato proprio un peccato perché avrei dovuto avere il diritto di farlo prima io».

Il dittatore filippino ha annunciato la reintroduzione della pena di morte per impiccagione (la più economica), ha firmato una legge sull’aborto per contrastare la sovrappopolazione ed è un acceso sostenitore del mondo Lgbt e dei matrimoni omosessuali. Anche questo non è una coincidenza: «Distruggere la famiglia, prima società naturale, è essenziale per le dittature», scrive ancora Agnoli, riferendosi ai regimi del ‘900 e ricordando che il primo Paese a legalizzare l’interruzione di gravidanza fu proprio l’Unione Sovietica.

Duterte ha anche minacciato la libertà di stampa, un’altra caratteristica delle dittature: «Solo perché sei un giornalista, non significa che tu sia esente dall’essere assassinato. Non c’è alcuna libertà di espressione che tenga, quando fai uno sbaglio a qualcuno. La maggior parte di chi viene ucciso, in realtà, ha fatto qualcosa. Se sei un bravo cronista però, sei al sicuro».

All’origine delle dittature, ha scritto Agnoli riferendosi ai regimi del ‘900 -iniziato all’insegna del detto nietzschiano “Dio è morto”«c’è un’idea di fondo: che la politica, il potere, possano risolvere qualsivoglia problema umano. Che l’umanità possa redimersi, qui ed ora, integralmente. L’onnipotenza della politica, la svalutazione del singolo, la divinizzazione laicista dello Stato, guida, regolatore di valori, creatore di giustizia, sono all’origine di tutto. In questo orizzonte puramente immanente, Dio è sempre messo in un angolo, negato» (p. 99). E’ quello che fecero i dittatori atei, Mao in Cina, Pol Pot in Cambogia, Lenin in Russia, Tito in Jugoslavia, Ceaușescu in Romania, Castro a Cuba, Hoxha in Albania, Kim Jong-un in Corea del Nord ecc. «Alla religione cristiana, fondata sulla Rivelazione e sull’esistenza di un Dio trascendente, che darà a tutti secondo i loro meriti», ha proseguito il saggista, «contrappongono una religione immanente, con il suo dio, lo Stato; la sua chiesa, il partito; il suo papa, il capo del partito; la sua ortodossia e le sue eresie; con il suo paradiso, la società comunista futura e il suo inferno, i gulag e la morte per i reprobi» (p. 41).

Il presidente filippino, fortunatamente, non è ancora paragonabile ai signori citati poco sopra ma, certamente, è sulla buona strada. E’ impressionante rintracciare in lui le terribili costanti che hanno caratterizzato gli orrori del Novecento: «tutti – positivisti, terroristi russi, anarchici, futuristi, fascisti, nazisti, comunisti – promettono un mondo migliore, annunciano una nuova morale laica, la fine del monopolio della Chiesa, l’inizio di un uomo nuovo e della felicità prossima ventura. Il Novecento, di conseguenza, diverrà il secolo della statolatria atea e del giuspositivismo assoluto» (p. 97).

La redazione

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Caso Orlandi, Marco Accetti era il telefonista Mario?

Il telefonista “Mario” che chiamò casa Orlandi era Marco Accetti? Nell’ambito della vicenda di Emanuela Orlandi abbiamo comparato la voce di Marco Fassoni Accetti, auto-accusatosi di essere il regista della sparizione della cittadina vaticana, con quella di “Mario”, terzo telefonista che chiamò gli Orlandi nel 1983. Ecco il risultato sorprendente.

 
 

Il 22 giugno scorso è stato il 35° anniversario della scomparsa della cittadina vaticana Emanuela Orlandi.

Da anni ci occupiamo del caso Orlandi e torniamo oggi sulla pista che riteniamo più convincente delle altre, quella legata al reo confesso Marco Accetti.

Per comprendere ciò di cui parliamo invitiamo a leggere il dossier dettagliato in cui abbiamo analizzato tutte le varie ipotesi di spiegazione di questo mistero italiano.

Nel 2013 Marco Accetti si è presentato ai magistrati autoaccusandosi di essere stato uno dei responsabili della sparizione di Emanuela e uno dei tre telefonisti che chiamarono casa Orlandi pochi giorni dopo la sparizione, quando ancora nessuno stava indagando sul caso.

Ci riferiamo al secondo telefonista, che si fece chiamare “Mario”. La chiamata venne registrata.

 

Accetti e il telefonista “Mario”: la comparazione delle voci.

Nel 2016 abbiamo intervistato a lungo Marco Accetti, invitandolo a dimostrare di essere stato realmente l’autore di quelle telefonate, seppur a 35 anni di distanza.

Abbiamo quindi confrontato la sua voce con quella del telefonista del 1983, ecco il risultato:

 

Marco Accetti sta solo imitando “Mario”?

Considerando la grande distanza temporale chiunque potrà notare una notevole somiglianza (similitudine ammessa dalla stessa Procura, oltretutto).

E’ possibile ancora che Marco Accetti stia semplicemente imitando la voce del telefonista, magari dopo anni di studio delle registrazioni. Anche se fosse è può comunque beneficiare di una certa sovrapponibilità dei due timbri vocali.

A pensarci bene è un’altra incredibile coincidenza per Accetti, come il fatto che l’ex moglie si recava nella città di Boston proprio nei giorni in cui da lì partivano i comunicati sul caso Orlandi, oppure che in un città di 1.285 km² come Roma abitava a pochi metri dalla casa di Mirella Gregori e di Alessia Rosati, un’altra ragazza scomparsa nello stesso periodo e di cui dice di essere stato ancora una volta il responsabile.

Inoltre, Marco Accetti è certificato che intercettava e si relazionava con giovani proponendo loro di posare nei suoi film o fotografie nella stessa area urbana frequentata da Emanuela, oppure che avesse avuto come direttore spirituale il futuro diplomatico vaticano mons. Pierluigi Celata, il quale porta lo stesso nome del primo telefonista (“Pierluigi”). Mons. Celata abitava sopra la maison delle “Sorelle Fontana”, per ulteriore coincidenza citate nell’ultima telefonata di Emanuela alla sorella Federica, il giorno della scomparsa.

Vorremmo sottolineare, non che le voci comparate siano certamente e senz’ombra di dubbio attribuibili alla stessa persona, ma che risulta sorprendente che possa anche solamente sorgere la sensazione che la sua voce sia effettivamente compatibile con quella del telefonista “Mario”. Quanti mitomani possono vantare la stessa compatibilità vocale e le stesse incredibili coincidenze biografiche?

Infine, chi ha avuto modo di parlare a lungo con Marco Accetti, come abbiamo fatto noi, si stupisce di ritrovare nelle registrazioni del telefonista “Mario” le stesse pause, lo stesso modo di interrompere l’interlocutore, la stessa gestione della frase: rapida e perentoria inizialmente, per poi decelerare e ammorbidirsi. Solo autosuggestione? E’ possibile, non c’è modo di provarlo oggettivamente. Ma la netta sensazione di essere di fronte alla stessa persona rimane.

 

Marco Accetti ha dichiarato di essere stato anche il terzo telefonista, il cosiddetto “Amerikano”. Per ascoltare la comparazione della voce anche con questo soggetto vi invitiamo a consultare questo l’articolo.

 
La redazione

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Negò torta per matrimonio gay, il suo negozio si è riempito di clienti

Non tutti sono Guido Barilla. Ricordate l’imprenditore italiano finito nel tritacarne Lgbt dopo aver dichiarato che la pubblicità guardava alle famiglie tradizionali? Dopo 48 ore era già alle porte di Arcigay con il cappello in mano e venne rieducato all’istante. Ma il pasticciere di Denver, Jack Phillips, è di tutta un’altra pasta (per restare in tema di dolci).

Nel 2012 si rifiutò di servire le sue torte artistiche per un matrimonio omosessuale, ritenendo l’evento incompatibile con i suoi valori (come già aveva fatto per celebrazioni di divorzio e per Halloween). Venne denunciato dall’Inquisizione gay e sottoposto alla gogna mediatica e giuridica, ma lui tirò dritto coraggioso, difeso dall’Alliance Defending Freedom. Fino a pochi giorni fa quando la Corte Suprema degli Stati Uniti gli ha dato ragione, tutelando «le obiezioni religiose e filosofiche al matrimonio gay». A favore anche due giudici obamiani. Una decisione ben più foriera di conseguenze di quanto si sia detto, tanto che è di ieri la notizia che la Corte Suprema di Washington -alla luce della sentenza sul caso Phillips- riconsidererà il caso della fioraia Barronelle Stutzman, inizialmente condannata per essersi rifiutata di realizzare una composizione floreale per un matrimonio tra persone omosessuali.

In seguito alla sentenza, centinaia di persone si sono spontaneamente date appuntamento alla pasticceria di Lakewood (Colorado), il Masterpiece Cakeshop, manifestando gioia per la vittoria della libertà d’espressione. Hanno comprato biscotti e torte a volontà. Tra i presenti anche Justin Wright, di Loveland (Colo): «Sono omosessuale ma sono qui a sostenere Phillips. La libertà religiosa è importante per tutti in questo paese».

Il pasticciere ha dichiarato di aver ricevuto un’ondata di sostegno dall’inizio del caso, ma anche minacce di morte e messaggi crudeli. «Stiamo ancora ricevendo telefonate ed e-mail violente ed orribili, ma poi ti guardi intorno e vedi tutto il supporto che abbiamo ricevuto». Non è una semplice torta, per lui. Attraverso la sua arte, ha spiegato, lui celebra l’evento: «Amo il mio lavoro perché una torta è una tela su cui esprimo idee, celebro eventi e porto gioia alle vite delle persone». Ma non se la sente di festeggiare qualcosa che confligge con i suoi valori.

La grande partecipazione di supporto è il sintomo di un timore sempre più diffuso che attraverso il grimaldello della “discriminazione” si stia sempre più riducendo il campo della libertà d’espressione e di pensiero. Fortunatamente, ha concluso il pasticciere, «la decisione della Corte chiarisce che la tolleranza è una strada a doppio senso. Se si vuole libertà, bisogna concederla».

Abbasso i Barilla, quindi! Difendere la libertà di coscienza è eroico ed economicamente redditizio, il messaggio deve passare chiaro. Lo ha imparato Phillips, che oggi si trova con tanti clienti in più, e lo sa l’imprenditore Dan Cathy, proprietario di Chick-fil-A, una famosa catena di fast food che nel 2012 rilasciò dichiarazioni a sostengo della famiglia naturale. Le associazioni LGBT annunciarono il boicottaggio nazionale ma la percentuale di clienti aumentò del 2,2% rispetto all’anno precedente.

La redazione

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Silenzio sui preti-eroi del Nicaragua, per i media c’è solo lo schiaffo al bimbo che piange

In questi giorni, padre Jacques Lacroix, sacerdote presso la parrocchia di Champeaux in Francia, ha riempito di sé la cronaca per aver dato uno schiaffo ad un bambino di due anni, che stava per battezzare.

Il sacerdote, irritato dal pianto, purtroppo ha ceduto al nervosismo: i suoi ottantanove anni non lo hanno assolto certo da questo atto deprecabile e per questo è stato sospeso dalle sue funzioni. Il fatto, come detto, ha avuto risonanza planetaria ed il religioso è stato lapidato sulla piazza mediatica a causa della pubblicazione del video relativo all’incidente, che ha raccolto decine di migliaia di click ed altrettanti commenti implacabili. Il sacerdote si è scusato: «speravo di calmarlo, non sapevo cosa fare. Mi sono scusato per la mia goffaggine nei confronti della famiglia. Sto finendo il mio ministero ora, è stato il mio ultimo battesimo, c’è una fine a tutto».

Di contro, negli stessi giorni altri sacerdoti, nel silenzio della stampa internazionale, stanno difendendo milioni di persone a costo della vita. In Nicaragua, la Chiesa Cattolica sta avversando il regime del presidente Daniel Ortega, in perfetta solitudine, in quanto nessun altro organismo si è offerto di mediare fra il governo e l’opposizione, per consentire che alcune organizzazioni internazionali indaghino sugli atti di violenza che, dall’aprile di quest’anno, avrebbero causato già la morte di quasi duecento persone. E le prospettive non sono felici, in quanto il governo ha già violato alcuni accordi presi e quindi l’intervento della Chiesa Cattolica diventa più impegnativo e foriero di guai per i Sacerdoti. E dalle quelle parti, i guai, sono imbrattati di sangue.

Ma qui, come di consueto, la stampa internazionale tace: naturalmente, non giova a nessuno e tanto meno al politicamente corretto tessere le lodi di uomini che spendono la vita nel Nome di Gesù Cristo e che da Lui traggono il coraggio che permette loro di rischiare tutto, fino alla propria esistenza o di trascorrerla fra le minacce e le privazioni.  Dalla Spagna, il vescovo di San Sebastian, José Ignacio Munilla, in un suo tweet, denuncia le televisioni spagnole di tacere le notizie dal Nicaragua e di sottolineare solo la manchevolezza del Sacerdote francese: la Cattolicissima giace evidentemente in condizioni disperate e non è la sola. Pochissime testate, ed in forma assai sintetica, parlano della Chiesa del Nicaragua: là, su quegli uomini coraggiosi non ci sono riflettori, non ci sono click da conteggiare né parole di elogio e di ringraziamento.

I riflettori sono puntati solo su un uomo anziano, molto anziano che ha avuto un momento di debolezza e che va screditato assieme all’organizzazione cui appartiene. La cronaca, quella dei deprecabili onori, si è occupata di lui quando ha sbagliato e non quando ha compiuto il bene, come sicuramente la sua lunga vita e la dedizione a Cristo Signore gli hanno permesso. I suoi Confratelli, quelli che sono pronti a versare il sangue anche per i bambini di due anni da battezzare, restino pure nell’ombra: il bene, quello vero compiuto dalla Chiesa Cattolica, nell’ombra stà e là deve rimanere, ché è cosa assai scomoda dimostrare che Essa è l’unica a difendere concretamente l’Uomo. E non solo in Nicaragua e non solo in questi giorni.

«”Padre, ho letto su un giornale che un vescovo ha fatto tal cosa o che un prete ha fatto tal cosa!”», ha detto Papa Francesco, riportando le obiezioni di alcuni fedeli. E ha risposto: «Sì, anch’io l’ho letto! Ma dimmi: sui giornali vengono le notizie di quello che fanno tanti sacerdoti, tanti preti in tante parrocchie di città e e di campagna? La tanta carità che fanno? Il tanto lavoro che fanno per portare avanti il loro popolo? No, questa non è notizia! Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce».

Carla Vanni

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Massachusetts Institute of Technology: se il tempio della scienza è pieno di cristiani…

Il Massachusetts Institute of Technology (MIT) è stata indicata come la migliore università al mondo per il settimo anno consecutivo. Il responsabile del Dipartimento di Fisica Nucleare, Ian Hutchinson, ha dichiarato: «Si può pensare che il MIT, il grande tempio della scienza e della tecnologia, sia un luogo senza Dio. Al contrario, vi lavoro da 35 anni e collaboro con molti cristiani e persone di varie fedi, sia tra i miei colleghi di facoltà che tra gli studenti».

Hutchinson lavora al MIT dal 1983, già presidente del Plasma Physics group dell’American Physical Society, ha dato grandi contribuiti all’ingegneria nucleare e alla fisica nucleare. Pochi mesi fa ha partecipato ad un convegno del Veritas Forum, presso la Quinnipiac University, intitolato Can Science Explain Everything?. In tale occasione ha affermato che l’idea comune di una conflittualità tra scienza e fede è un “mito”, una “fake news della storia”. «Questo è stato completamente sfatato dagli storici della scienza negli ultimi 50 anni: i cristiani seri, incluso il clero, sono stati predominanti nello sviluppo della scienza per secoli». «Ma il mito», ha proseguito il fisico nucleare -che ha all’attivo anche saggi di filosofia della scienza- «esercita ancora una forte influenza sia sui laici che, molto spesso, anche sui cristiani».

Hutchinson ha anche sottolineato come la scienza non possa rispondere ad ogni pretesa e, per sua natura, non può quantificare molti concetti, come la giustizia, l’altruismo e l’amicizia. Parlando del MIT come un luogo nient’affatto privo di Dio, l’eminente fisico statunitense ha anche citato un’indagine del 2011 realizzata dai ricercatori della Rice University, secondo cui solo il 15% degli scienziati moderni considera fede e scienza come incompatibili.

In un’altra occasione, il fisico nucleare del MIT aveva confermato la sua battaglia contro lo scientismo, affermando: «Le debolezze intellettuali delle argomentazioni ateiste non dovrebbero indurci a scartare la loro influenza». Ma, attenzione, sarebbe davvero «dannoso per la testimonianza cristiana cercare una dimostrazione scientifica di Dio, o del soprannaturale. Così si cede allo scientismo e si cade nella credenza che la scienza sia la forma di conoscenza più convincente. Per favore non fraintendermi. Non sto rinnegando tutti gli argomenti intellettuali a favore di Dio o la ragionevolezza della fede. Al contrario, sono giunto alla fede come studente universitario in parte perché mi sono convinto delle argomentazioni intellettuali sul fatto che Gesù è colui che dice di essere. Sto semplicemente dicendo che gli argomenti a favore dell’esistenza di Dio non sono, e non possono essere, scientifici».

Per chi ha dimestichezza con la lingua inglese, segnaliamo anche il recente libro di Ian Hutchinson, intitolato Can a Scientist Believe in Miracles?: An MIT Professor Answers Questions on God and Science (Può uno scienziato credere nei miracoli? Un professore del MIT risponde a domande su Dio e scienza) (IVP Books 2018). Il suo nome, infine, compare anche nel nostro ricco elenco di celebri scienziati credenti ed in quello in cui abbiamo raccolto le loro citazioni su Dio, cristianesimo e scienza.

La redazione

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Giovanni Battista è davvero esistito? Nuovo dossier UCCR

Ieri, 24 giugno, abbiamo festeggiato San Giovanni Battista. Ma è davvero esistito? E’ storicamente avvenuto il suo incontro con Gesù? Lo ha davvero battezzato? Quando gli studiosi del cristianesimo antico affrontano la vita di Gesù di Nazareth partono sempre dal suo mentore, l’unico uomo del quale Gesù è stato discepolo, almeno per un breve tempo.

San Giovanni Battista è una figura molto importante nel cristianesimo, venerato da tutte le Chiese ed il primo nella storia cristiana -dopo i suoi genitori- a porsi la domanda se quell’uomo era davvero il Messia che il mondo attendeva. Se si estraggono dai Vangeli solo le informazioni storicamente accertabili tramite criteri storici (dunque sospendendo il giudizio sul quarto Vangelo), occorre ammettere che Giovanni non risolse mai questo dubbio interiore.

In ogni caso, come ha scritto John Paul Meier, docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Notre Dame, «non comprendere il Battista significa non comprendere Gesù, una massima confermata negli studi di recenti studiosi» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 17). Per questo, avvalendoci dei lavori di grandi studiosi, abbiamo voluto pubblicare un dossier storico su Giovanni Battista (nella sezione, in alto, chiamata “Fede e storicità”), cercando di rispondere a diverse domande su di lui e presentando ciò che l’analisi storica può confermare senza troppi dubbi.

Abbiamo affrontato diversi temi legati al Battista: se era davvero un esseno di Qumran, se era cugino di Gesù, se gli ha realmente preparato la strada profetizzando la sua venuta, se Gesù è stato un suo discepolo, se ha copiato i suoi insegnamenti e se il battesimo che ha ricevuto nel Giordano ha una base storica. Ne è uscito un agile contributo, fino ad ora assente nel panorama del web in lingua italiana.

 

Clicca qui per consultare il dossier:
La storicità di San Giovanni Battista e del battesimo di Gesù

 
 
 
La redazione

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The Lancet riapre il dibattito sul condom: «contro l’HIV? Fedeltà ed astinenza»

Contraccezione, sesso protetto, preservativo. Ecco le tre parole magiche con cui vengono istruiti i giovani quando si parla di educazione sessuale e prevenzione, tutto si riduce a questo. «Un approccio potenzialmente pericoloso e non etico», viene però affermato oggi su Lancet, tra le più importanti riviste mediche al mondo.

Più volte, nel nostro piccolo, lo abbiamo scritto, facendo nostro ad esempio il giudizio del dott. Carlo Federico Perno, direttore dell’Unità di Virologia Molecolare al Policlinico Universitario Tor Vergata: «è possibile eliminare una malattia legata spesso ai comportamenti, senza cambiare i comportamenti stessi? Il problema non è l’AIDS, ma che l’AIDS è l’epifenomeno di un problema ben più ampio, legato primariamente ad una visione positivista e libertaria. Positivista, perché ritiene certa la capacità dell’uomo di controllare l’HIV con strumenti tecnici, quali farmaci (per la terapia) e preservativi (per la prevenzione). Libertaria, perché giustificando la libertà dell’uomo di essere pieno artefice della propria vita, di fatto autorizza qualsiasi comportamento, con la sola precauzione di limitarne le conseguenze (appunto, la cultura del preservativo)».

Non è essere nemici del sesso e non esiste alcuna sessuofobia. Semplicemente, la questione è etica e non meramente tecnicistica come invece la banalizzano gli odierni educatori del sesso. Senza una vera educazione all’affettività non si risolverà mai il problema delle malattie sessuali. Ed incredibilmente, lo ammettono anche i due ricercatori, Luis Carlos Sanchez Franco e Chika Edward Uzoigwe, nello studio pubblicato da Lancet: «L’evidenza è indiscutibile: solo l’astinenza e la fedeltà riducono la trasmissione dell’HIV. Il fatto che questo messaggio non sia popolare o accettabile non può giustificare il rifiuto da parte degli operatori sanitari di elogiare la sua veridicità. Anzi, si dovrebbero incoraggiare tutte le parti coinvolte nella promozione dell’assistenza sanitaria a rivalutare il modo in cui il messaggio viene consegnato».

Viene così riabilitata “scientificamente”, ancora una volta, la visione morale sulla sessualità promossa dalla Chiesa cattolica, basata sull’educazione all’amore per l’altro, senza scissioni con il sesso. Perciò, il valore della castità, dell’astinenza prima del matrimonio e della fedeltà coniugale. Comportamenti che, come si dimostra, risultano essere anche salutari e consigliati come prevenzione dalle malattie sessualmente trasmissibili.

Rose Busingye, presidente del Meeting Point Kampala Association, che si occupa quotidianamente della cura di pazienti affetti da HIV/AIDS, ha infatti spiegato: «La nostra salvezza non sta dentro un pezzo di plastica. Il preservativo non serve a nulla se non si cambia prima il metodo, la vita. Applicare uno strumento e non cambiare la vita non porta a niente. Dobbiamo chiederci che senso ha il sesso. Oggi è come se fosse la cosa più importante del mondo. È l’esaltazione di un idolo. Il vero problema è educare la persona a comprendere che ha un valore più grande, di cui è responsabile. La questione vera è il riconoscere il valore di sé stessi».

La redazione

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La Rivoluzione francese inspirata dall’ideologia massonica

Un interessante saggio di Fulvio Conti, professore di Storia contemporanea presso l’Università di Firenze, ha mostrato la rilevante parte che ebbe la massoneria durante la Rivoluzione francese.

Lo storico, nel suo Dalla condanna al dialogo: tre secoli di relazioni tra Chiesa e massoneria, ben recensito da Paolo Mieli, ricostruisce le condanne della Chiesa alla massoneria a partire dalla lettera apostolica In eminenti (1738), con la quale papa Clemente XII stabiliva il divieto, pena la scomunica, di affiliazione alla massoneria e ad altre associazioni dello stesso tipo.

Ne emerge anche l’evidenza di una sovrapposizione di idee tra la massoneria l’Illuminismo. Diverse logge europee, infatti, si riempirono la bocca con le parole “democrazia” e “libertà repubblicana”, lo stesso Voltaire -affiliato alla loggia parigina Noef Soeurs- presentò gli appartenenti come «cittadini della democrazia massonica». Ma, esattamente come gli illuministi, i membri delle logge europee più si credevano progressisti utilizzando tali terminologie e più si comportavano come «vere e proprie strutture terroristiche» dirette a favorire la conquista francese dei Paesi confinanti.

L’influenza della massoneria sulla Rivoluzione francese, scrive lo storico italiano, «appare indubbia, sia dal punto di vista ideologico (basti pensare all’apporto dato dalle logge alla diffusione dell’idea egualitaria e alla sperimentazione di forme di rappresentanza democratica), sia sotto il profilo organizzativo, con molte figure del mondo liberomuratorio che rivestirono contemporaneamente ruoli direttivi durante l’esperienza rivoluzionaria o nel giacobinismo europeo». Non è un caso -come ha notato Franco Della Peruta in La massoneria nella storia d’Italia (Atanòr) — tutti quelli che raccolsero le bandiere della rivoluzione fecero propri metodi organizzativi e simboli massonici. Ma, secondo Della Peruta, i rivoluzionari si differenziavano dalla massoneria per la pratica attivistica e cospiratoria. Sotto questo aspetto «il terreno sul quale germinarono non è tanto quello delle logge dei Franchi muratori quanto piuttosto quello delle congiure repubblicane del 1794-95, delle cospirazioni patriottico-unitarie del 1798-99, delle esperienze giacobine». Conti accredita le stime secondo cui «nei territori italiani a egemonia francese si contarono circa ventimila affiliati, in larga parte funzionari civili e militari», che frequentarono le logge assieme ai rappresentanti dei ceti emergenti dei commerci, delle imprese e delle professioni.

Non stupiscono affatto questi legami, ben si conoscono infatti gli spiriti anticattolici dei rivoluzionari francesi e saperli inspirati da un fenomeno come la massoneria rende ragione al giudizio del noto filosofo francese Philippe Nemo: «Pur definendosi atee – la massoneria francese ha escluso formalmente l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima, i socialisti hanno lanciato lo slogan “né Dio né padrone”, il marxismo difendeva il materialismo ateo – queste dottrine hanno assunto la funzione di surrogati religiosi. In effetti, hanno conquistato i popoli europei, già predisposti a prestare fede a chi promette l’avvento del Regno, sfruttando proprio i valori morali del cristianesimo: l’amore per il prossimo, la solidarietà, il disinteresse, il senso del sacrificio. La rigorosa intolleranza con cui i movimenti millenaristi atei hanno attaccato la Chiesa e il cristianesimo è stata perfettamente spiegata da Anatole Leroy-Beaulieu: poiché la Rivoluzione trasformerà completamente il mondo, occorre che tutti credano che il mondo così com’è sia completamente insopportabile. Non si può quindi permettere che permangano, rischiando di influenzare le persone, forme di sapienza che ci ricordano che il mondo è accettabile nonostante tutti i suoi difetti, che esso va migliorato ma non distrutto. Per questo motivo, dovunque questi movimenti hanno conquistato sufficiente potere, hanno lottato con tutte le loro forze contro il cristianesimo, tentando, ove possibile, di “sradicarlo” completamente dalla coscienza europea» (P. Nemo, La bella morte dell’ateismo moderno, Rubbettino 2016, pp. 13, 14).

La redazione

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Un anno senza Rodotà: «sono laico, non laicista. Giusto che Chiesa influenzi politica»

«La fede ha natura pubblica, senza dubbio». Ne era convinto il compianto giurista Stefano Rodotà, morto il 23 giugno di un anno fa ad 84 anni. Quasi tutto ci separava da lui e molto spesso abbiamo argomentato le nostre idee in contraddizione alle sue. Ma era un autentico laico, aderiva cioè a quella laicità positiva di cui parlava Benedetto XVI, capace di rispettare il contributo della religione in campo etico, sociale e politico.

Rodotà era nemico della libertà di obiezione di coscienza da parte dei medici, chiedendone addirittura l’eliminazione. Non tollerava le scuole paritarie, ci mise la faccia e tutto il suo peso mediatico durante il referendum bolognese del 2013, ma venne sonoramente sconfitto. Gli ultimi anni li spese, quasi ossessivamente, a favore del matrimonio omosessuale, usando in modo scellerato il diritto che, purtuttavia, conosceva bene. Rimase male quando, nel 2010, la Corte Costituzionale definì incostituzionali le nozze gay: «anche loro si piegano al codice che parla soltanto di matrimoni tra uomini e donne», dovette ammettere.

Aveva anche dei pregi, comunque. E tanti. Seguiamo come sempre il principio paolino di “vagliare tutto e trattenere ciò che vale” e tratteniamo di Rodotà il fatto di essere una persona autorevole e rispettabile, di ricca cultura, ma sopratutto di aver saputo quasi sempre affermare una sana idea di laicità, nulla di scontato se si tiene conto del mondo laicista ed anticlericale di cui era l’eroe indiscusso. Il suo libro, Perché laico (Laterza 2009), andrebbe fatto leggere alle tante Boldrine d’Italia, peraltro sue sedicenti estimatrici. «La mia laicità non significa ostilità pregiudiziale ed immotivata alla Chiesa, al mondo cattolico e alla fede, quello si chiama laicismo», affermò in un’intervista. «Credo fermamente nella divisione tra Stato e Chiesa, precetto per altro detto e scritto nel Vangelo. Ma l’essere laico non significa osteggiare ed essere ostile alla Chiesa ed in genere alla fede. In quel caso possiamo serenamente parlare di laicismo. Il laicismo è un atteggiamento culturale estremista, che tende a disprezzare e dimostrare ostilità alla Chiesa. Un vero laico, pur non condividendo, rispetta e divide con sapienza tra Stato e Chiesa».

«Non è affatto vero e non sta scritto da nessuna parte che un laico ed un credente debbano litigare», proseguì il giurista di Repubblica. «Ci sono principi generali che ci accomunano nel diritto naturale. La fede non è un affare esclusivamente privato che attiene alla sfera personale dell’uomo. Insomma ritengo che non sia giusto voler relegare il cattolico nella sacrestia. Il cattolico, al pari di chi professa altre idee o culture, ha tutto il diritto a portare nel vissuto sociale le sue idee. Pretendere di chiudere il cattolico nella Chiesa, o nella cappelletta questo sì che fa parte di visioni laiciste e superate della cultura e della storia. Del resto se noi vogliamo una Chiesa aperta al mondo, quella che ha saputo distinguere con umanità e saggezza errore ed errante, anche il mondo deve accettare, sia pur criticamente, la Chiesa. Quando parlo di laicità intendo dire che la Chiesa non può fare politica attiva, cioè non influire nelle cose concrete dei partiti. Ma ritengo che i religiosi e i vescovi abbiano la facoltà di opinare su temi pastorali con implicazioni sociali ed anche indirettamente politiche».

La redazione

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