Una barbarie infernale, così l’epoca pre-cristiana e quella anti-cristiana

«Io sono greco, non cristiano». Così si definisce il filosofo Umberto Galimberti, amante del continuo confronto tra cultura greca e cristiana: per lui il cristianesimo ha rovinato il paradisiaco mondo greco-romano, tesi copiata da Nietzsche per il quale il dio della natura Dioniso avrebbe dovuto sconfiggere il Dio cristiano della glorificazione della sofferenza.

Ma le cose stanno davvero così? Il prof. Jeremiah J. Johnston, docente di Cristianesimo antico presso la Houston Baptist University ha recentemente pubblicato il saggio Unimaginable: What Our World Would Be Like Without Christianity (Bethany House Publishers 2017), attraverso citazioni, lettere e documenti, ha ben descritto il mondo pre-cristiano e quello anti-cristiano (XVIII – XIX secolo)

«Secondo i nostri odierni standard era l’inferno sulla terra: la povertà, la malattia, la morte prematura, la violenza domestica, l’ingiustizia economica, la schiavitù e la corruzione politica erano il dono della vita», ha spiegato Johnston. Prima del cristianesimo, l’idea della dignità e del valore umano erano completamente inesistenti, tanto che una persona su quattro viveva in schiavitù e quest’ultima era promossa come progresso dalle menti più eccelse: «il possesso è uno strumento per la vita, e l’acquisto è il totale degli strumenti e lo schiavo è un bene animato ed ogni servo è come uno strumento per gli strumenti» (Aristotele, Politica, 1253a – 1253b).

Le leggi romane delle XII tavole (Leges Duodecim Tabularum, V secolo a.C.), comandavano invece ai padri di mettere a morte il loro bambino fosse nato con anomalie: «Il bambino deformato deve essere ucciso immediatamente» (Tabella IV.1). L’età greco-romana era un incubo soprattutto per le donne: una bambina era più probabile che venisse abbandonata o uccisa, le adolescenti subivano frequentemente abusi sessuali o prostituzione forzata, le donne adulte erano completamente controllate dai mariti, che avevano il diritto di abusarne o di abbandonarle. Le vedove morivano di povertà. Di tutto ciò parla un nostro specifico dossier. Come riconobbe Hegel: «Sono già millecinquecento anni che, mediante il cristianesimo, la libertà della persona ha iniziato a fiorire ed è divenuta, in una parte peraltro piccola del genere umano, principio universale» (citato in M. Caleo, Hegel filosofo di babilonia, Guida 2001, p. 145).

L’accademico americano Jeremiah J. Johnston ha anche osservato che questi inumani standard etici sono casualmente ricomparsi laddove si è imposta un’ideologia anticristiana. Tra il XVIII e il XIX secolo, infatti, quando la scena culturale era dominata da Voltaire, Hume, Lombroso, Feuerbach, Marx, Nietzsche e Freud, ecco ricomparire la schiavitù (teorizzata da Thomas Hobbs, John Locke ed Edmund Burke), il razzismo e la denigrazione dell’uomo in quanto essere. «Puoi ottenere ogni cosa dai negri», teorizzava David Hume, «offrendogli qualcosa di forte da bere, e puoi facilmente convincerli a vendere non solo i figli, ma anche mogli e amanti, per una botte di Brandy». E ancora: «I negri sono naturalmente inferiori ai bianchi» (D. Hume, Of National Characters, Cambridge University Press 1994, pp. 78-92).

Una disincantata e disperata visione dell’umanità dominò il pensiero di Nietzsche, per il quale «la maggioranza degli uomini non ha diritto all’esistenza, ma costituisce una disgrazia per gli uomini superiori» (F. Nietzsche, Volontà di potenza, Libro IV: Disciplina e selezione). E così descriveva l’umanità: «Avete percorso il cammino dal verme all’uomo, ma in voi c’è ancora molto del verme. Una volta eravate scimmie, e anche adesso l’uomo è piú scimmia di qualsiasi scimmia al mondo» (F. Nietzsche, Cosí parlò Zarathustra). La sua idea di superuomo ispirò, alla fine, Adolf Hitler: «un pazzo deciso a distruggere la maggior parte dell’umanità per avvantaggiare una razza “superiore”», scrive Johnston. «Rifiutando il cristianesimo, l’ateismo radicale del XX secolo non ha portato l’umanità verso un’utopia illuminata post-cristiana, ma ha semplicemente ripreso la barbarie pre-cristiana». Superfluo continuare citando il comunismo antiteista sovietico.  Così, «l’etica basata sul teismo cristiano è stata sostituita da un’etica” scientista che non ha avuto problemi con esseri umani apparentemente superiori che schiavizzano e uccidono esseri umani apparentemente inferiori. La principale differenza tra l’antichità precristiana e i governi totalitari post-cristiani è che questi ultimi possedettero uno zelo molto più grande e strumenti molto più pericolosi».

Il volume dello storico statunitense risulta prezioso in un momento storico in cui molti credono di volere -ma senza conoscere- un mondo privato del cristianesimo. Puntuale fu il giudizio laico del filosofo della scienza Marcello Pera: «Mai l’Europa ebbe tanto progresso quanto ne produsse al tempo in cui consumò i misfatti dell’Olocausto, dei Lager e dei Gulag. Non è il paganesimo che fonda la democrazia. E non sono l’agnosticismo, il laicismo o l’ateismo che nutrono la libertà. Se si vogliono la pace, la convivenza, il rispetto, occorre credere nei valori da cui tutto ciò dipende. I valori del cristianesimo sono ancora il miglior antidoto alle prevaricazioni di ogni tipo, compreso quelle consumate nel nome degli stessi cristiani» (M. Pera, Perché dobbiamo dirci cristiani, Mondadori 2008, pp. 101, 102).

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La voce di Marco Accetti è quella dell’Amerikano?

Marco Accetti e il telefonista l'”Amerikano”. Erano la stessa persona? Nell’ambito del caso di Emanuela Orlandi abbiamo comparato la voce di Marco Fassoni Accetti, auto-accusatosi di essere il regista della sparizione della cittadina vaticana, con quella dell'”Americano“, terzo telefonista che chiamò casa Orlandi nel 1983. Ecco il risultato sorprendente.

 
 

Il caso di Emanuela Orlandi ha preso una svolta nel marzo 2013.

Comparve infatti per la prima volta Marco Accetti, affermando di aver organizzato lui l’allontanamento di Emanuela, per ricattare ambienti vaticani al fine di attenuare la linea dura di Wojtyla contro i Paesi dell’Est e ottenere la liberazione di Alì Agca.

Il reo confesso si è autoaccusò anche di essere stato due dei telefonisti che chiamarono la famiglia nei giorni immediatamente successivi alla sparizione della Orlandi e che, tra i tanti mitomani, dimostrarono di essere in qualche modo realmente coinvolti con la vicenda di Emanuela.

Il riferimento è ai cosiddetti “Mario” e l’“Americano”.

 

Accetti e l’Amerikano: ecco la comparazione delle voci.

Le telefonate vennero registrate con gli strumenti tecnologici di allora, è comunque possibile realizzare un confronto con la voce di Marco Fassoni Accetti, seppur a distanza di oltre trent’anni.

E’ quello che UCCR ha fatto, possedendo interviste inedite con Marco Accetti oltre a spezzoni della sua voce recuperati dal web.

 

Accetti e le somiglianze con l'”Amerikano”.

Il nomignolo l'”Americano” fu attribuito al telefonista dall’avvocato degli Orlandi, Gennaro Egidio, in quanto simulava un accento italo-americano. E’ evidente però che l’uomo fosse italiano, si evidenzia benissimo in alcuni passaggi che abbiamo sottolineato nell’audio qui sopra.

Non abbiamo gli strumenti adeguati per determinare con ragionevole certezza che Accetti e l’Amerikano fossero la stessa persona, tuttavia è piuttosto chiaro che nonostante gli oltre 30 anni di differenza (con tutte le modifiche che avvengono nel tempo alla voce umana) si tratti di due voci piuttosto assimilabili.

Abbiamo avuto modo di dialogare con Marco Accetti per diverse ore e di riascoltare più volte le registrazioni, ci sono dettagli impercettibili in un breve audio e che ci hanno notevolmente sorpreso, se comparati con la voce dell’Amerikano.

Ci riferiamo al suo naturale modo di conversare, lo stesso “sistema” di inserirsi mentre l’interlocutore parla, con voce alta e poi, una volta conquistata la parola, di abbassare il tono e rallentare la velocità. Ritroviamo la stessa modalità di interruzione spazientita nell’Amerikano mentre parla con l’avvocato Egidio.

 

Accetti e l’Amerikano: un’incredibile coincidenza?

Facciamo finta che Marco Accetti stia mentendo. E’ sorprendente, se ci si pensa, la sua “fortuna” nell’avere perfino una voce simile e piuttosto sovrapponibile a quella del telefonista del 1983.

Quanti mitomani, anche dopo anni di duro esercizio, potrebbero “vantare” una timbro di voce così vicino a quello dell’Amerikano?

Un’ennesima coincidenza di Accetti, insomma. Si, perché la biografia dell’uomo, al di là di tutto il suo racconto, è costellata di elementi che lo portano costantemente al centro della scena (le intercettazioni, le sue abitazioni a Roma, le sue frequentazioni, le scuole frequentate ecc.). Le abbiamo elencate ed analizzate nel nostro dossier sul caso Orlandi.

 

Marco Accetti oggi e la sua credibilità

Per accertare una volta per tutte la credibilità di Marco Accetti, ci sarebbero cinque facili e rapide verifiche che andrebbero effettuate. Ne abbiamo parlato qualche tempo fa. Perché nessuna autorità giudiziaria procede a verificare tali riscontri?

E’ un’opportunità sprecata, soprattutto se si pensa quanto denaro inutilmente investito per setacciare i sotterranei della Basilica di Sant’Apollinare dove, per richiesta della moglie, venne sepolto Renatino De Pedis (in terra non consacrata e in un corridoio abbandonato, senza alcun papa o cardinale vicino, al contrario di quanto venne riportato).

 

Per verificare la comparazione della voce tra Marco Accetti e “Mario”, il secondo telefonista, vi invitiamo a consultare l’articolo pubblicato settimana scorsa.

 
La redazione

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Il teologo Antonio Livi condanna Ratzinger: «da sempre tende all’eresia»

Dicono che a condurre la guerra ideologica contro Papa Francesco, oltre a Socci, Tosatti, Cascioli ed altri ex berlusconiani in crisi esistenziale, vi siano anche figure di rilievo.

Non si tratta certo dei cardinali dei dubia, che mai sono stati irrispettosi e hanno espresso legittime domande, alle quali legittimamente ha risposto l’allora prefetto Gerhard L. Müller (incaricato delle diatribe teologiche), assicurando: «Amoris Laetitia è molto chiara nella sua dottrina. I cardinali hanno il diritto di scrivere una lettera al Papa. Mi sono stupito perché questa però è diventata pubblica, costringendo quasi il Papa a dire sì o no. Questo non mi piace. E’ un danno per la Chiesa discutere di queste cose pubblicamente».

Allora, chi sono questi autorevoli teologi? Il nome che ricorre spesso è quello di Antonio Livi, ex teologo della Pontificia Università Lateranense, collaboratore de La Nuova Bussola Quotidiana e firmatario della Correctio filialis a Papa Bergoglio, in compagnia di lefebriani, sedevacantisti ed anticonciliaristi. La cosa che non viene mai ricordata da chi usa il nome di questo teologico per la sua piccola battaglia ideologica contro Papa Bergoglio è che mons. Livi è stato duro oppositore anche di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, anche se effettivamente durante i precedenti pontificati ha mantenuto un profilo più basso.

 

Mons. Livi: “Ratzinger ha introdotto la teologia progressista”.

Eppure vi sono esempi recenti delle accuse di Antonio Livi ai predecessori di Francesco. «L’egemonia della teologia progressista nelle strutture di magistero e di governo della Chiesa cattolica», ha scritto, ad esempio, pochi mesi fa, «si deve anche e forse soprattutto agli insegnamenti di Joseph Ratzinger professore, che mai sono stati negati e nemmeno superati da Joseph Ratzinger vescovo, cardinale e papa». «Nella teologia di Ratzinger», ha aggiunto, «risulta irrimediabilmente deformata la nozione di base del cristianesimo». Mons. Livi ha promosso ed elogiato il libro di uno storico nemico di Benedetto XVI, il tradizionalista Enrico Maria Radaelli, il quale si è proposto di «controbattere uno per uno gli insegnamenti» di Ratzinger «a partire dal suo metodo storicistico», insegnamenti che ritiene «profondamente erronei, pericolosi per la fede come solo una sintesi delle dottrine moderniste può essere». E se lo dice Radaelli…

 

Dopo il Concilio Vaticano II sarebbe tutto un complotto per distruggere la Chiesa.

Pochi giorni fa il teologo Livi è tornato all’attacco, mettendo prima in discussione l’autorità dell’attuale Pontefice -ma questo è ormai un noioso must-, e buttando nel calderone dell’eresia il Vaticano II, Giovanni XXIII e tutti i Pontefici post-conciliaristi. Ha quindi accusato Bergoglio ed il card. Kasper dei grandi mali del mondo, di voler creare «una Chiesa senza sacerdozio, senza magistero, senza dogmi, senza un’interpretazione ufficiale della Sacra Scrittura», e di tentare di «distruggere la santa messa, il matrimonio, la comunione e il Diritto canonico» (sembra che la Sindone e le vecchiette che recitano il rosario prima delle celebrazioni, invece, l’abbiano scampata).

Mons. Livi si è anche detto certo del complotto -massonico, satanista o omosessualista, non si sa- alla base dell’elezione dell’attuale Papa. E l’argomentazione è curiosa: tutto sarebbe stato orchestrato perché «nessuno ha avanzato una tesi diversa». Lapalissiano. Aggiungendo: «Talvolta si dice invece una cosa assurda: che cioè Papa Francesco sia stato eletto perché l’ha voluto lo Spirito Santo. E’ una sciocchezza. Lo Spirito Santo ispira tutti gli uomini perché facciano il bene, ma non tutti gli uomini fanno quello che ispira loro lo Spirito Santo: certi fanno delle cose buone e certi altri fanno delle cose cattive». Ma chi decide se Francesco fa il bene o il male? Antonio Livi? E chi valuta se Livi fa e dice il bene, seguendo o rinnegando l’inspirazione dello Spirito Santo? A parte questo cortocircuito, il teologo non si accorge che, se anche avesse ragione, non sta affatto confutato che lo Spirito Santo abbia voluto Francesco ma, al massimo, che il Papa non si inspiri allo Spirito Santo. Giudizio che non spetta all’ex teologo della Lateranense.

 

Mons. Livi: “Benedetto XVI si è unito ai teologi eretici e tende all’eresia”.

Infine, è tornato a colpire Ratzinger, accusandolo di essersi «unito ai teologi eretici». Benedetto XVI, afferma Livi, sarebbe «tendente all’eresia», in quanto «ha sempre manifestato della simpatia per il neo-modernismo». Lo ha accusato di «fideismo» e di dire «sciocchezze» e perfino il suo bestseller, Introduzione al Cristianesimo, viene messo all’Indice in quanto scritto «sotto l’influenza della cultura protestante, e nella teologia egli», il card. Ratzinger, «agiva già sulla base della scelta di combattere il neo-tomismo e la neo-scolastica, con i loro preambula fidei e la teologia naturale».

Il vaticanista Andrea Tornielli ha replicato, punto per punto, ai commenti di Antonio Livi. Il quale, espone le sue idee in modo grossolano, mescolando arbitrari riferimenti alla dogmatica con ridicole tesi cospiratorie e citazioni prive di fonte (come il “Si, ci rifletteremo” con cui Ratzinger avrebbe risposto alla richiesta di Hans Kung di modificare il dogma dell’infallibilità). Ma da dove viene tutto questo rancore? Lo rivela lui stesso: la stampa cattolica, si lamenta, ignora da sempre i suoi scritti e le librerie cattoliche filo-vaticane si ostinano a non promuovere in vetrina i libri della sua collana (non fatichiamo a comprenderne i motivi): «un ostracismo verso questa buona dottrina, come se fosse stata prodotta da un folle». Una «“congiura del silenzio” nei confronti degli uomini come me». Ricomincia così un altro complotto fatto di martiri ed eretici.

 

La correctio filialis di Ariel Levi di Gualdo: “mons. Livi? Dottrina fuorviante”.

Curiosamente, anche tale don Ariel Levi di Gualdo, uno dei co-fondatori assieme allo stesso Antonio Livi e a padre Giovanni Cavalcoli, del blog L’Isola di Patmos, ha già in passato commentato che «mons. Livi non è nuovo a certe sparate a raffica pericolose e fuorvianti proprio sul piano dottrinario», accusando il volutamente ambiguo teologo tradizionalista -nonché suo ex collaboratore- di combattere Papa Francesco attraverso un «meschino parlare ed esprimersi, dal nome “processo alle intenzioni”». Una «penosa vicenda», quella «di Mons. Antonio Livi», si conclude. Chi di correctio filialis ferisce, di correctio filialis perisce.

La redazione

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L’esistenza di extraterrestri, nessuna crisi per il cristianesimo

«Finora le conoscenze scientifiche hanno sempre escluso che vi sia traccia di altri esseri pensanti nell’universo», ha affermato Papa Francesco. «Dovremmo attenerci a quanto dicono gli scienziati, pur sempre coscienti che il Creatore è infinitamente più grande delle nostre conoscenze». In questa affermazione è racchiusa la posizione della Chiesa cattolica sulla vita extraterrestre.

E’ un campo interamente scientifico e su cui l’astrobiologia ha la prima e l’ultima parola, tuttavia teologi e persone di fede da tempo stanno riflettendo sulle conseguenze religiose della eventuale scoperta di altre forme di vita nell’Universo. Per molti, l’esistenza stessa delle attuali religioni ne risulterebbe gravemente minacciata. Ma le cose non stanno così.

Il direttore della Specola vaticana, l’astronomo gesuita statunitense Guy Consolmagno, ha infatti spiegato: «L’idea che nello spazio ci siano altre forme di vita intelligente non è in contrasto con il pensiero tradizionale cristiano. Per noi credenti, lo studio dell’universo è una meravigliosa avventura che ci riempie di stupore. Non possiamo pensare che Dio sia così limitato da aver creato esseri intelligenti solo sulla Terra. L’universo potrebbe benissimo contenere altri mondi con esseri creati dal suo stesso amore. Credete che ci sia vita in qualche altra parte dell’universo? E’ una domanda che agli astronomi viene posta in continuazione. Ed è la domanda giusta: la vita nell’universo è, finora, una questione di fede. Non abbiamo dati a indicare che una tale vita esista. Ma la nostra fiducia nel fatto che la vita esiste è abbastanza forte da renderci disponibili a fare lo sforzo di cercarla».

Teoricamente ci sono diversi argomenti a favore dell’esistenza di vita extraterrestre, ma altrettanti ve ne sono a favore della nostra solitudine. Howard Alan Smith, astrofisico dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, è autore di un interessante riflessione con cui spiega quanto sia unica ed eccezionale la nascita della vita sulla Terra. Talmente improbabile, quasi impossibile (si direbbe, un “miracolo”) che il fisico Fred Hoyle è arrivato a sostenere la famosa frase: «credere che una cellula sia nata spontaneamente e per caso sulla Terra ha la stessa probabilità che un tornado, passando su un deposito di rottami, ne tiri fuori un Boeing 747 perfettamente funzionante» (Evolution, Nature, Vol. 294, 12/11/81, p. 105). E ciò tenendo comunque in considerazione i 13,82 miliardi di anni dell’Universo. Per questo, ha concluso Smith, è davvero arduo ipotizzare che tale incredibile “fortuna” possa esservi verificata una seconda (o terza, o quarta) volta su un altro pianeta.

In ogni caso, come abbiamo già avuto modo di citare, il teologo Athos Turchi, docente di filosofia alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, ha spiegato: «sia che come esseri intelligenti fossimo soli ed unici, sia che nell’universo vi siano altri esseri intelligenti più o meno simili a noi, non cambia il concetto di Dio creatore, perché non è un Dio dalle vedute ristrette».

La redazione

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Il DNA dell’embrione attivo dalla fecondazione, chi lo dice agli abortisti?

Il Dna dell’embrione inizia, appena dopo la fecondazione, a dirigere autonomamente il processo di formazione dell’organismo umano. Una scoperta rivoluzionaria apparsa su Nature dimostra che il codice genetico non viene tradotto in un secondo momento o stadio come invece si pensava.

«Abbiamo fatto luce su ciò che attiva il programma genetico che ci fa diventare ciò che siamo», ha commentato uno degli autori, il ricercatore del Politecnico di Losanna, Didier Trono. Una conferma scientifica in più, dunque, sul fatto che la vita umana inizia pienamente al concepimento. Nessuna “entità in atto“, nessuna “entità iniziale” o “progetto di umanità”, il tutto è già in essere, in sviluppo fin dall’inizio: dall’embrione all’ultimo stadio, la morte, senza soluzione di continuità.

Il programma genetico riceve il “calcio di inizio” del processo di crescita grazie ad una famiglia di proteine chiamata Dux e la scoperta viene considerata una pietra miliare della biologia dello sviluppo. Per questo abbiamo deciso di citarla nel nostro dossier sulle evidenze scientifiche della personalità dell’embrione umano.

Il prof. Roberto Colombo, eminente docente di neurobiologia e genetica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore scientifico del nuovo Centro per lo Studio delle Malattie Ereditarie Rare presso l’Ospedale Niguarda di Milano, ha commentato: «Questa scoperta fornisce una preziosa conferma scientifica – come ricorda l’enciclica Evangelium vitae (1995) – che “dal primo istante si trova fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: una persona, questa persona individua con le sue note caratteristiche già ben determinate. Fin dalla fecondazione è iniziata l’avventura di una vita umana, di cui ciascuna delle grandi capacità richiede tempo, per impostarsi e per trovarsi pronta ad agire”».

La redazione

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Gesù nacque da una vergine. E no, non è un mito precristiano.

Che molti cadano nella bufala dell’equiparare il cristianesimo alle religioni pre-cristiane è un dato di fatto, se però ci casca anche un editorialista di Repubblica allora urgono dei chiarimenti. Per Michele Serra, infatti, il concepimento virginale di Gesù ricalcherebbe un mito precristiano (cfr. L’indiscutibilità dei miti religiosi fa male ai miti, 02/02/18).

Spesso affrontiamo il tema della storicità e della vita di Gesù, ma oggi non è questa la nostra intenzione. Appurato che la perpetua verginità di Maria è verità di fede definita per la Chiesa, gli studiosi hanno avanzato argomenti a favore e contro la plausibilità storica di tale avvenimento che, in ogni caso, richiede un intervento divino impossibile da certificare con i criteri della storia e della scienza (a parte un poco convincente tentativo di Frank Tipler nel suo La fisica del cristianesimo, ma questo è un altro discorso).

Semplicemente vorremmo ricordare che non ci sono argomenti per sostenere che la storia di Gesù sia una falsariga degli uomini-dei dell’antichità. Anzi, ce ne sono e in opposizione a questa tesi. Per quanto riguarda specificamente la nascita da una vergine, i miticisti -tra cui il teologo Rudolf Bultmann- spesso citano il parallelismo con Apollonio di Tiana e Mitra, due divinità pagane. Il problema è che non esiste alcuna testimonianza sulle loro vicissitudini e, per quanto riguarda Apollonio, l’unica fonte è quella di Filostrato, scritta dopo i Vangeli (III sec. d.C., più precisamente 217-220 d.C.) e «ritenuta dagli studiosi inattendibile per “la misura notevole di invenzione, finzione e falsità storica”» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Volume 2, Queriniana 2003, p. 959).

L’agnostico Bart D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento e presidente del Dipartimento di studi religiosi dell’Università della Carolina del Nord, ha più volte affrontato queste strampalate teorie: «E’ una pura invenzione!». Coloro che sostengono questi parallelismi, come il già citato Michele Serra, «non citano alcuna fonte pervenutaci dal mondo antico che sia possibile verificare. Gli studiosi dei misteri mitraici non hanno difficoltà ad ammettere che, come per la maggior parte delle religioni misteriche, non sappiamo molto del mitraismo. Non abbiamo testi mitraici, e tanto meno testimonianze secondo cui il dio Mitra sarebbe nato da una vergine il 25 dicembre e sarebbe morto per espiare i peccati, per poi risorgere di domenica» (B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012). Senza contare che secondo l’iconografia romana, Mitra nasce già adulto da una roccia, la petra genetrix.

Il noto studioso americano ha aggiunto: «Quando i cristiani sostennero che Gesù era nato da una vergine, per esempio, intesero affermare che la madre di Gesù non aveva mai avuto rapporti sessuali. Nel caso degli uomini divini, invece, il cui padre era un dio e la madre una mortale, c’è quasi sempre di mezzo un rapporto sessuale. Il bambino è, alla lettera, in parte un essere umano e in parte una divinità. La donna mortale non è una vergine: ha avuto un rapporto sessuale divino» (B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 218). Per quanto riguarda i presunti parallelismi con Horus, Krishna e Dioniso rimandiamo a questo rapido ma ben argomentato debunking.

L’editorialista di Repubblica, il già citato Michele Serra, ha concluso dicendo di non credere «che esista “la parola di Dio”. Penso si tratti di parole umane (alcune delle quali affascinanti, importanti) attribuite al Padre per ragioni» varie. Ha tutto il diritto di crederlo, avrebbe invece il dovere di argomentare se vuole parlare di storia e di presunti (ed inesistenti) plagi del cristianesimo. Consigliamo, infine, l’articolo del teologo Angelo Bellon a chi volesse approfondire la storia del dogma cattolico della verginità perpetua di Maria, che risale al secondo Concilio di Costantinopoli (553 d.C.).

La redazione

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Il boom di vocazioni sacerdotali nella cittadina dell’Indiana: ecco il segreto

Quest’anno sono 33 seminaristi per un diocesi di 160mila battezzati cattolici. Il seminario di Fort Wayne (Indiana, Stati Uniti) da diversi anni sta osservando un vero boom vocazionale. Nelle prossime settimane, ha riferito il vescovo Kevin Rhoades, cinque giovani riceveranno l’ordinazione, il più anziano ha 43 anni.

In questa città dell’Indiana i cattolici raggiungono a malapena il 13%, si conferma dunque ciò che spesso diciamo quando si parla di numeri e statistiche. Le comunità più piccole sono anche quelle più vive e feconde. Ma c’è dell’altro che può spiegare questo bellissimo record, iniziato almeno 15 anni fa.

Don Andrew Budzinski, direttore delle vocazioni della diocesi, ha segnalato che -coincidenza o no-, nella città di Fort Wayne non esiste nessun centro dove si pratica l’aborto. Molti dei seminaristi provengono da parrocchie dove il sacerdote è rimasto per tanto tempo: quando un giovane cresce con lo stesso riferimento spirituale è possibile che ciò abbia un maggior impatto nella sua vita. Tanti di essi provengono da famiglie che praticano attivamente la fede, vanno a messa insieme, pregano insieme ecc., sono stati coinvolti nella parrocchia fin da giovani e sempre hanno incontrato e condiviso momenti con i giovani seminaristi, formandosi l’idea che non è affatto “strana” la vocazione sacerdotale. Anzi, sul profilo twitter di padre Budzinski compaiono spesso video ed immagini scherzose sui suoi confratelli, proprio a sottolineare la normalità di questa scelta di vita.

Un altro fattore importante è la presenza di scuola cattolica focalizzata sull’evangelizzazione. Tanto che, tre dei cinque seminaristi che saranno ordinati sacerdoti, erano compagni dello stesso istituto, la Bishop Dwenger High School, che sul suo sito web sta chiedendo di pregare per gli ex alunni futuri sacerdoti. Bandito il politicamente corretto, il doveroso rispetto per alunni di altre fedi non si tramuta in cancellazione della propria identità. Questa scuola è cattolica e la proposta (libera, ci mancherebbe) è pregare per i sacerdoti. Punto.

Il vescovo Rhoades –estimatore del pontificato di Francesco-, ha anche avviato intelligentemente un programma di cinque anni, nei quali lui stesso, ed altri sacerdoti, si incontreranno più volte con i nuovi preti per accompagnarli nel momento più delicato, appunto quello subito successivo all’ordinazione. Già dopo il terzo anno di seminario, inoltre, i giovani iniziano a trascorrere le loro estati aiutando concretamente una parrocchia della diocesi per maturare un’esperienza di vita reale e discernere in modo concreto se questa è realmente la vocazione adatta a loro.

L’augurio è che il “metodo” di Fort Wayne, basato sulla semplicità, si diffonda a macchia d’olio. E’ una missione urgente ed esaltante, perché tanti uomini non aspettano altro che Lui, incontrabile nei volti di questi successori dei discepoli di Cristo.

La redazione

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Gay Pride? Il giornalista gay: «il mondo Lgbt è infelice. E l’omofobia non c’entra»

E’ tempo di Gay Pride, stucchevole carnevalata di un’orgogliosa felicità che, in realtà, sembra essere tanto meno reale quanto più ci si sforza di esibirla. Lo rivela un’altra testimonianza super-partes: «Nel corso degli anni ho controllato la divergenza tra i miei amici eterosessuali ed i miei amici gay. Mentre la prima metà della mia cerchia sociale è impegnata in relazioni, bambini e famiglia, l’altra è immersa nella solitudine, nell’ansia e nelle droghe pesanti». A riferirlo è il giornalista omosessuale Michael Hobbes, 34 anni e redattore dell’Huffington Post.

Hobbes non attribuisce affatto la colpa dello stile di vita dei suoi amici gay alla fantomatica omofobia sociale, lui stesso si definisce così: «Non ho mai conosciuto nessuno che sia morto di AIDS, non ho mai subito discriminazioni dirette e ho fatto coming out in un mondo in cui il matrimonio, non erano solo fattibile, ma erano previsto per legge». E di tutte le persone gay di cui parla, nessuno di loro «è cresciuto nel bullismo o è stato rifiutato dalla sua famiglia. Nessuno ricorda mai essere stato chiamato “frocio”». Alcuni sono cresciuti con un genitore omosessuale e nel periodo in cui «la comunità gay ha fatto più progressi in accettazione legale e sociale rispetto a qualsiasi altro gruppo demografico nella storia». Ieri «il matrimonio gay era un’aspirazione lontana, qualcosa che i giornali mettevano tra virgolette. Oggi è stato sancito dalla legge grazie alla Corte Suprema». Eppure, ha proseguito, «anche mentre celebriamo la velocità di questo cambiamento, i tassi di depressione, solitudine e abuso di sostanze nella comunità gay rimangono bloccati nello stesso posto dove sono stati per decenni».

Questa sensazione di vuoto, si scopre, non è solo un fenomeno americano. Nei Paesi Bassi, dove il matrimonio gay è legale dal 2001 ed è il paradiso gay-friendly europeo, gli uomini gay hanno tre volte più probabilità di soffrire di un disturbo dell’umore rispetto al resto della popolazione e 10 volte più probabilità di praticare “autolesionismo suicida”. In Svezia, un’altra terra arcobaleno, in cui le unioni civili esistono dal 1995 e il matrimonio omosessuale è permesso dal 2009, gli uomini sposati con uomini hanno tre volte il tasso di suicidi di uomini sposati con donne. In Canada, dove le pretese della comunità LGBT hanno trovato pienamente accoglienza, le persone omosessuali muoiono più per suicidio che per AIDS. A New York, capitale internazionale del mondo gay, tre quarti delle persone omosessuali ha sofferto di ansia, depressione, abuso di droghe o alcol.

La denuncia di Hobbes prosegue: tutto ciò «non sta accadendo solo in aree macchiate dall’omofobia. Gli omosessuali ovunque, ad ogni età, hanno tassi più alti di malattie cardiovascolari, cancro, incontinenza, disfunzione erettile, ⁠allergie e asma: nominate qualche malattia, noi ce l’abbiamo». «Vediamo uomini gay che non sono mai stati sessualmente o fisicamente aggrediti», dice Alex Keuroghlian, psichiatra presso il Fenway Institute’s Center for Population Research in LGBT Health. «Quando si chiede loro il motivo per cui hanno cercato di uccidersi, la maggior parte non menziona di essere gay. Riferisce problemi di relazione, di carriera, di soldi. «Non percepiscono la loro sessualità come causa del loro disagio, eppure hanno molta più probabilità di uccidere se stessi».

Qual è allora la causa? Secondo l’indagine del giornalista omosessuale, si tratta dello stile di vita gay e della comunità Lgbt. Racconta la storia di Adam che ha fatto coming out sperando chissà quale “liberazione” e ha trovato soltanto aridità e sessualità compulsiva. «Ho fatto coming out quando avevo 17 anni, e non ho visto un posto per me nella scena gay», dice Paul, uno sviluppatore di software. «Volevo innamorarmi come ho visto fare nei film. Ma mi sentivo solo un pezzo di carne. È andata così male che mi recavo al supermercato più lontano soltanto per non passare per la strada più gay della città». Si parla di “re-traumatizzazione”: «gli uomini gay e bisessuali parlano della comunità gay come una fonte significativa di stress nelle loro vite», afferma John Pachankis, ricercatore alla Yale University. Uno dei motivi, spiega, è che «le sfide della mascolinità si amplificano in una comunità di soli uomini».

Colpisce la lucidità di una persona intervistata dal redattore gay: «Tra noi omosessuali, ci siamo sempre detti che quando l’epidemia di AIDS sarebbe finita, allora saremmo stati bene. Poi ci siamo detti che quando avremmo potuto sposarci allora saremmo stati bene. Ora è lo stesso, ci diciamo che quando il bullismo si fermerà, allora staremo bene. Continuiamo ad aspettare il momento in cui sentiremo di non essere diversi dagli altri», a rimandare il momento di essere felici. E’ uscito anche in Italia il libro di Daniel Mattson, il cui titolo dice già tutto: Perché non mi definisco gay. Come mi sono riappropriato della mia realtà sessuale e ho trovato la pace (Cantagalli 2018). Una reale contro-proposta alla finzione esorcizzante dei Gay Pride, più tristi che colorati.

La redazione

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Caro Balotelli, corri dietro al pallone che del Medioevo se ne occupano gli storici. Grazie.

«Di periodi come il Medioevo ce ne sono stati pochissimi. Quello tra l’XI e la fine del XIII secolo fu uno dei momenti in cui si visse meglio in Europa. Fu l’epoca in cui nacquero le lingue, le nazioni, le banche ed i comuni», gli ospedali e le università. A dirlo è lo storico Franco Cardini, ordinario di Storia medievale presso l’Università di Firenze. Mario Balotelli, tra un cross ed un calcio d’angolo, ne ha mai sentito parlare?

L’attaccante azzurro è il neo-testimonial dei Mondiali antirazzisti che si svolgeranno il mese prossimo tra Modena e Bologna. Iniziativa certamente benemerita se fosse anche solo minimamente utile, ma già tutti sanno che si tratta di un’operazione di marketing politico rosso, sfruttando un tema tanto delicato. Balotelli se n’è uscito dicendo: «Purtroppo anche nello sport che amiamo, il calcio, il razzismo è presente. Compito di tutti è isolare queste persone, rendere ridicolo il loro pensiero medievale». Il calciatore è spesso bersagliato dai “buu” di tifosi effettivamente razzisti, comprendiamo la sua esasperazione, ma cosa c’entra il Medioevo?

Il Medioevo «non è quello che il lettore comune pensa», ha ricordato Umberto Eco, che non è il terzino destro del Battipaglia ma un accademico di alto profilo, grande ammiratore di questo periodo storico. Da esso, continuò Eco, nasce «quella che chiamiamo oggi Europa, con le sue nazioni, le lingue che ancora parliamo e le istituzioni che, sia pure attraverso cambiamenti e rivoluzioni, sono ancora le nostre». Purtroppo, ha aggiunto Régine Pernoud, una delle principali storiche francesi del Medioevo, «vi sono ancora sacche di resistenza dove si continuano a veicolare pregiudizi e sciocchezze sul Medioevo. Ma la cultura accademica, bene o male, ormai sa che il Medioevo non è un’epoca di sottosviluppo, di oscurantismo, di ignoranza e ancora meno di tirannia» (R. Pernoud, Luce del Medioevo, Gribaudi 2000).

«Il Medioevo è stato un passaggio soprattutto di sviluppo e progresso, progressi straordinari ci sono stati in tutti i campi», ha aggiunto Jacques Le Goff, tra i più autorevoli studiosi della storia e della sociologia del Medioevo. «Il XIV secolo ed il tardo Medioevo sono stati un periodo eccezionale nella storia delle relazioni tra la scienza e la teologia nel mondo culturale occidentale», ha invece scritto Edward Grant, storico di Scienza medievale all’Università di Harvard (in Dio e natura, La Nuova Italia 1994, p. 62). La storica italiana Chiara Frugoni, docente di Storia medievale all’Università di Roma Tor Vergata, ha dedicato un originale studio al progresso civile e tecnologico: «un omaggio al Medioevo, ai tanti miglioramenti introdotti di cui ancora oggi godiamo» (C. Frugoni, Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali, Laterza 2001, p. 6).

Ludovico Gatto, ordinario di Storia alla Sapienza di Roma, ha a sua volta studiato approfonditamente i secoli medioevali, concludendo: «queste cose conto siano almeno emerse: la grande vitalità di un’epoca che, lungi dall’essere oscura, barbarica e intrisa di fanatismo, come molti pretesero, brillò per più motivi di luce propria e dette vita ad una civiltà completa e complessa che ha lasciato di sé orme indelebili. Infatti, le lingue, di cui ancora oggi ci serviamo, sono sorte allora e così gli ordinamenti giuridici e gli istituti che ci governano a livello sovranazionale, nazionale e locale (assise parlamentari e comunali)». In questi secoli «sono nati gli ordinamenti universitari in buona sostanza ancora adesso vigenti, e così la maggior parte delle città di cui ci vantiamo con i loro capolavori, i fastosi palazzi e le tortuose strade dei nostri centri storici sono cresciute lungo l’età medievale, assumendo l’aspetto che tuttora riconosciamo loro» (L. Gatto, Il Medioevo, Edizioni Newton 1994, p. 82).

Potremmo continuare a lungo, evidenziando lo scarto tra la credenza popolare ed il sapere accademico su questo argomento. Inoltre, a voler proprio essere “storici”, il pensiero dei razzisti è quello illuminista e non medioevale. Infatti, come abbiamo mostrato nel nostro dossier, il razzismo guadagnò consenso nella culla illuminista, coltivando le «nuove idee antropologiche del XVIII secolo, in quanto un Buffon, un Voltaire, un Hume o un Kant, ciascuno a suo modo, preparano il terreno alle gerarchie razziali del secolo successivo» (L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 370-372). Nel suo Storia dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo, lo storico Massimo Ghiretti annota che «fra il Settecento e la prima metà del secolo successivo era sorto il concetto di disuguaglianza razziale basato sull’ereditarietà naturale», e i principi fondamentali del «razzismo moderno», per esempio «i concetti di superiorità o inferiorità, invariabilità e continuità delle caratteristiche razziali o la ricerca della loro origine, vennero elaborati all’interno della culla illuministica. Hume, Diderot, Voltaire, Kant e altri» (M. Ghiretti, Storia dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo, Mondadori 2002, p. 164).

Non ci aspettiamo certo che SuperMario Balotelli porti con sé in ritiro a Nizza uno dei libri di questi studiosi citati, ma almeno ci aspetteremmo che sapesse di non sapere nulla dei collegamenti storici che vuol tracciare. Perciò pensi ai calci di rigore, abbiamo già chi si occupa di Medioevo. Grazie.

La redazione

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Tiene il figlio di uno stupro: «Mi ricorda che il bene trionfa sempre sul male»

Molte persone che si definiscono “pro-vita” accettano eccezioni all’aborto, come in caso di stupro o incesto. «Questo è il massimo dell’ipocrisia e significa che in realtà non si è a favore della vita. Al massimo, di alcune vite». Così dice Jennifer Christie (nella foto), una madre che ha subito una violenza sessuale dalla quale è nato il suo quinto figlio.

«Se la vita davvero ha un valore, allora non ci possono essere eccezioni». Parole sante e coerenti, rispettate addirittura dalla tuttologa abortista (o “no-life”) Chiara Lalli. Jennifer non ha voluto reagire alla violenza subita, con un’altra. «Nel 2014 mi trovavo in viaggio d’affari e alloggiavo in un piccolo hotel», ha raccontato in un’intervista. «In una fredda mattina, un uomo mi ha seguito ed a causa del rumore del vento e della fretta di arrivare nella mia stanza per riscaldarmi, non mi sono accorta di lui. Mi ha aggredito, picchiato e stuprato».

Dopo alcuni mesi, la notizia: «Quando ho scoperto di essere rimasta incinta, ho dovuto spiegare ai miei genitori e ai miei suoceri le circostanze. I genitori di mio marito ci hanno totalmente supportato nella scelta di tenere il bambino, ma i miei non erano così convinti. Aveva paura che far nascere un figlio di uno stupro avrebbe significato che non mi sarei mai ripresa da quell’aggressione». Una parte decisiva nella scelta l‘ha giocata il marito che, da grand’uomo, ha sostenuto Jennifer fin dall’inizio. «Non so se è possibile guarire completamente da uno stupro prima di raggiungere il Cielo. Ti trasforma per sempre. Non intendo dire che non si torna ad essere la persona di prima, ma resterà sempre una cicatrice. Il perdono può essere raggiunto, ma mai senza il Signore. Io, almeno, sento il bisogno di perdonare l’uomo che mi ha violentato ogni giorno, ogni ora. E lo faccio per non diventare una donna cupa, amara o cinica e per essere la donna che merita mio marito, la madre di cui i miei figli hanno bisogno e la donna che Dio voleva che io fossi».

Solitamente si dice che il figlio concepito durante uno stupro è un “promemoria” di quel terribile evento. Ma la stessa Jennifer, in contatto con tante altre donne dalla stessa esperienza, replica: «Non ho mai sentito una madre il cui figlio è stato concepito in uno stupro affermare che le ha ricordato l’aggressione subita. Mio figlio, semplicemente, mi ricorda che il bene trionfa sempre sul male, che l’amore è più forte dell’odio e che la nostra umanità non è determinata dal modo in cui siamo stati concepiti».

Una testimonianza importante. Sopratutto oggi, quando la gravidanza a seguito di uno stupro è il grimaldello ideologico usato per la legalizzazione dell’interruzione di gravidanza in molti paesi. Cioè, ha proseguito la donna, «si parla dell’1% dei bambini -quelli concepiti in seguito ad una violenza sessuale- per creare una legge che massacri il restante 99% . Si pensa che il bambino porti il “gene dello stupro”: ma la violenza non è genetica. Gli stupratori sono il prodotto di un ambiente violento e misogino».

La redazione

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