El Salvador dice “no” all’aborto, sconfitti New York Times ed Amnesty International

Nonostante una massiccia campagna di pressione da parte di New York Times, CNN, BBC, Human Rights Watch ed Amnesty International, l’uccisione di bambini non ancora nati tramite aborto continuerà a rimanere illegale in El Salvador. Quando queste grandi compagnie di corruzione ideologica falliscono i loro obiettivi è un momento di speranza per un mondo migliore.

I coordinatori di Amnesty International hanno dichiarato furiosi che i «legislatori di El Salvador hanno le mani macchiate di sangue dopo aver rifiutato persino di discutere la proposta di depenalizzazione dell’aborto. La fallita opportunità di porre fine a questa ingiustizia è un duro colpo per i diritti umani in El Salvador». Chi si rifiuta di uccidere avrebbe le “mani macchiate di sangue”. Amnesty International è come Hitler quando dal suo pulpito si indignò moralmente accusando il cristianesimo di aver macchiato di sangue i popoli precristiani.

Sul PanamaPost si legge che «sebbene la decisione sia stata presa a livello legislativo, decisive sono state le dimostrazioni di strada della società civile e la raccolta di decine di migliaia di firme in difesa della vita dei non nati». Davide contro Golia, in pratica.

La costituzione e la legislazione civile di El Salvador -paese che ha comunque risolvere tanti problemi di civiltà al suo interno-,  proibiscono l’interruzione di gravidanza dal momento del concepimento. Semplicemente, almeno in questo caso, sono coerenti con le evidenze dell’embriologia che riconoscono nella fecondazione il momento in cui appare l’essere umano, il quale da quel momento si svilupperà -senza soluzione di continuità- fino all’ultimo stadio della sua esistenza. La legge è fortemente difesa dalla principale associazione medica del paese, che comprende 37 diverse organizzazioni mediche. «Mai un medico può uccidere per azione o omissione», dichiara la legge. «Questo vale anche per l’aborto indotto, che è una grave violazione etica e deontologica. La biologia indica che la persona umana è l’oggetto del diritto assoluto alla vita dal suo concepimento».

Questa è una posizione politica ed etica in linea con la medicina. Osserviamo invece con quali argomenti viene giustificato l’aborto: «Possiamo dire che c’è l’uomo all’atto della fecondazione, alla fine della seconda settimana, alla prima reazione che l’embrione ha ad un disturbo esterno, al primo segnale elettroencefalografico, quando nasce, quando è in grado di ricordare. A noi la scelta» (E. Boncinelli, in Newton, luglio 07). A noi la scelta? Terribile. Comunque, El Salvador ha scelto.

La redazione

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Croazia finalista ai Mondiali. L’allenatore Dalic: «domenica? Come sempre, andrò a Messa»

Per chi segue i Mondiali di calcio, non potrà non essersi stupito di una cenerentola in finale. La Croazia ha infatti battuto l’Inghilterra e, per la prima volta, giocherà l’ultima partita, sfidando la Francia. Ancor più curioso è che l’allenatore della selezione croata sia un perfetto sconosciuto, che fino a ieri allenava, con alterne fortune, squadre albanesi, saudite e degli Emirati Arabi.

Il suo nome è Zlatko Dalic, 51 anni, sposato e padre di due figli. Segno caratteristico: umiltà, che non significa “buonismo”. Dopo la prima partita ha mandato a casa l’attaccante Kalinic rifiutatosi di scendere in campo contro la Nigeria. Un’altra caratteristica del tecnico croato è una genuina fede cattolica. Non tanto per il rosario custodito in tasca durante le partite -abitudine che per molti sportivi in realtà somiglia a mera scaramanzia pagana, una sorta di amuleto-, piuttosto per quanto ha raccontato di sé. «Tutto ciò che ho fatto nella mia vita e nella mia carriera professionale», le parole di Dalic, «lo devo alla mia fede e sono grato per questo al buon Dio».

In una lunga intervista per la rivista Glas Koncila, curata dall’arcivescovo di Zagabria, ha anche parlato della sua infanzia a Livno. «La casa dei miei genitori era la più vicina al monastero francescano. Ero un chierichetto da bambino, felice di andare in chiesa. E’ stata mia madre che mi ha insegnato e trasmesso la fede. Sono sempre stato un credente e ho educato i miei figli alla fede. Ogni domenica faccio di tutto per essere presente all’Eucaristia». Anche domenica prossima, giorno della finale.

Ha forgiato la sua fede nella Jugoslavia comunista: «ognuno porta la sua croce», ha detto ancora Dalic. «Ci sono momenti difficili nella vita e, per quanto mi riguarda, è la fede ad aiutarmi e darmi forza per portare la croce e combattere con essa». Essere stato educato dalla Chiesa, ha aggiunto, gli ha permesso di evitare grandi errori, sopratutto in gioventù. L’allenatore della selezione croata non è l’unico membro della squadra ad aver manifestato profonde convinzioni religiose. Anche il centrocampista del Real Madrid, Mateo Kovacic, si è più volte dichiarato cattolico. Come il suo allenatore, è stato un chierichetto in parrocchia, dove Kovacic incontrò la sua attuale moglie, una delle ragazze del coro. Regolarmente Kovacic si reca a Medjugorje ed in chiesa alla domenica.

Gossip religioso? Non lo amiamo, non ne saremmo interessati. E’, invece, una testimonianza. Sappiamo bene quanto gli eroi sportivi siano seguiti, quasi morbosamente, da schiere di adolescenti (e anche da parecchi adulti). Una vera religione di stato, con i suoi miliardi di fedeli, sacerdoti e ministri, da celebrarsi comunitariamente la domenica in ogni paese del mondo.

Così, riteniamo degno di nota che dall’interno di questo sport emergano, seppur raramente, autorevoli testimoni che sappiano indicare che il dio-calcio, a cui milioni di tifosi affidano ogni giorno tempo, energie, speranze e perfino l’attesa di una felicità che non arriva mai, è un idolo poiché non mantiene la promessa di compimento delle attese del cuore umano. «Guardando il mondo», ha infatti commentato l’allenatore della Croazia, «vediamo il grande impegno per profitti e guadagni. I culti degli uomini sono ovunque e la vita viene dedicata ad essi. Ma quando un uomo si calma, riflette e rimane nel silenzio, ecco che allora arriva la luce di Dio».

La redazione

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Negozi chiusi di domenica: da Di Maio (e dal Papa) una proposta intelligente

Nel 2012 il decreto Salva Italia liberalizzava gli orari di apertura dei negozi e di altri enti pubblici, questo per facilitare il commercio e migliorare il servizio consumatori. Tale azione di governo, atta a rilanciare l’economia dopo la crisi del 2008, cercava di aiutare commercianti e negozianti, cosa che effettivamente è riuscita a fare, almeno in parte. Ma ha anche portato enormi problemi per i dipendenti.

Un caso è recentemente scoppiato al centro commerciale Oriocenter di Bergamo, dove con una circolare si comunicava ai lavoratori gli orari da coprire durante i giorni festivi di Natale e Santo Stefano. E’ scoppiata una protesta che ha visto coinvolti metà dei 3.000 dipendenti, tanto da far arrivare il caso fin in Parlamento. Già all’epoca, il neo ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, si era espresso a favore dei dipendenti, scrivendo che “tutte le famiglie hanno il diritto al riposo anche quelle che posseggono o gestiscono esercizi commerciali. Famiglie più felici sono la premessa di una Italia più forte!”. In questi giorni lo stesso Di Maio ha proposto un cambiamento del decreto, suscitando scontri tra sindacati e le associazioni dei consumatori. Ha quindi aggiunto: «Anche il Santo Padre, del resto, si è espresso più volte sull’importanza del riposo domenicale e festivo. Siamo pronti ad accogliere questo suo invito».

Effettivamente anche Papa Francesco, proprio in quei giorni di proteste, parlando della domenica, fece sentire la sua voce relativamente al significato sacro del giorno domenicale.  Da una parte l’interesse che le famiglie italiane abbiano la possibilità di ritrovare la loro unità nel riposo, dall’altra la sacralità del giorno domenicale: due tensioni che non si escludono, ma che confluiscono nel ricordare all’uomo contemporaneo che la sua realizzazione non si compie solo dentro al contesto lavorativo, ma anche nella sfera relazionale ed affettiva. Come ricordato dal vescovo Giampaolo Crepaldi, il lavoro va inserito al suo giusto posto, considerando l’uomo nella sua totalità, per questa ragione è doveroso salvaguardare quei valori che permettono non solo il riposo per ritemprare le forze, come già nel lontano 1891 Leone XIII ricordava nella sua Rerum Novarum, ma di coltivare anche il rapporto relazionale con i propri cari e soprattutto con Dio, grazie al quale anche la fatica lavorativa trova senso.

Come ricorda anche il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, nei giorni di festa bisognerebbe astenersi dai lavori, per riuscire a dedicare a Dio il giusto tempo, per riflettere, per studiare, formarsi alla vita cristiana, per svolgere le opere di misericordia e tentare di approfondire sempre più intimamente il rapporto con Cristo. Tuttavia, non siamo davanti a un imperativo categorico: sappiamo bene come molte famiglie arrivino con difficoltà alla fine del mese, e la Chiesa comprende questo e aiuta materialmente chi arriva a stento a fine mese. Eppure questo richiamo ci serve come pungolo per non dimenticarci che la nostra vita non gira solo attorno al fare.

È lunga la strada per arrivare a questa consapevolezza, eppure lasciare libero questo giorno dal lavoro potrebbe essere un primo passo per riscoprire la valenza di ciò che la nostra Tradizione ci ha lasciato. Non sono un tifoso del mondo grillino, ma se questa iniziativa dovesse andare in porto, spero possa portare frutti non solo di fede, ma anche di amore familiare, in modo da fortificare le famiglie, già da troppi decenni ferite e lesionate dalle pessime politiche dei nostri governi.

Luca Bernardi

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Bestemmiava contro le Sentinelle in Piedi, condannato il “Nazista dell’Illinois”

Mentre i suoi “colleghi” picchiavano le Sentinelle in Piedi durante le manifestazioni contro la legge bavaglio sull’omofobia, lui, Giampietro Belotti, si travestiva da nazista dell’Illinois, con tanto di Mein Kampf e cartellone con la scritta: “I nazisti dell’Illinois stanno con le Sentinelle”.

«Sono sempre stato appassionato di feste in maschera e costumi assurdi», ha spiegato Belotti. Certo, ognuno ha gli hobby che meglio soddisfano la propria maturità intellettiva, tuttavia l’esibizione non è servita a nulla: la legge sul reato d’opinione è rimasta sepolta, i picchiatori Lgbt sono stati condannati (sei mesi di reclusione e 10mila euro di multa) e a lui hanno ritirato il porto d’armi. Ha impugnato il decreto del prefetto, ma il Tar gli ha dato torto. Non potrà più usare i suoi 12 fucili: «La vivo come un’ingiustizia, non sono un violento», ha dichiarato.

La Prefettura, però, la pensa diversamente e ha giustificato l’atto affermando che la «messinscena» di Belotti contro le Sentinelle, ha causato «un pericolo per la sicurezza pubblica», era «intenzionalmente provocatoria nei confronti di manifestanti e diretta a turbare il regolare svolgimento del raduno». L’appassionato di feste in maschera Lgbt, ha scritto ancora il prefetto, vive di «atteggiamenti offensivi e indisponenti» e «comportamenti ripetuti suscettibili di innescare conflitti e tensioni con conseguente allarme sociale». Da qui i «ragionevoli dubbi sul requisito della affidabilità che in una materia delicata come quella delle armi deve sussistere in materia piena e limpida».

Oltre alle armi e alle feste di Carnevale, Giampietro Belotti ha la passione per le bestemmie. Le usa non come manifestazioni di rabbia verso Dio, ma con chiari intenti offensivi verso i credenti. Lo ha fatto nel 2016, appena salito sul palco del Gay Pride di Varese. Dopo trenta secondi se n’è uscito così: «Ho scelto di salire sul palco senza una birra in mano perché ci tengo ad essere un esempio anche per i più piccoli», terminando la frase con una bestemmia e racimolando qualche risata e applauso dai presenti.

E’ così, nuovamente, intervenne la Prefettura, che lo ha condannato a 103€ di multa per blasfemia. Belotti non la prese affatto bene e rivendicò il suo diritto di offendere. E’ sbagliato bestemmiare? «No, seriamente, fottetevi fra di voi, a sangue», ha replicato. «Fino a che non sarete tanto stanchi da non poter blaterare a proposito di ulteriori cazzate. Possibilmente evitando di procreare che se c’è qualcosa che questo pianeta non ha bisogno è il vostro materiale genetico bacato e di scarto». A nulla è valso il supporto legale e logistico dell’UAAR (atei razionalistici), della Rete Lenford (avvocati Lgbt) e della Chiesa Pastafariana (pagliacci d’ogni risma).

Un breve resoconto che aiuta a rendere l’idea del pacifico mondo Lgbt e del livello dei personaggi che gravitano nell’orbita anti-Family Day. A proposito, pare invece fruttuosa l’iniziativa di Generazione Famiglia – La Manif Italia di presentare numerosi esposti in altrettante prefetture contro l’iscrizione all’anagrafe dei figli di “due padri” o due “madri”. Numerosi procuratori stanno infatti intervenendo per ripristinare la legalità. Con lo stesso metodo, gli avvocati pro-family si stanno attivando con ulteriori esposti per verificare la legittimità di patrocinare e finanziare con fondi pubblici manifestazioni come i Gay Pride che promuovono apertamente l’utero in affitto.

La redazione

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Nuovo studio: se è l’ateismo ad essere rassicurazione di fronte alla morte…

Risale a Epi­curo e Lucrezio, prima, e Sigmund Freud, David Hume e Bertrand Russell, poi, la “tesi del comfort”, secondo cui la fede religiosa è un’invenzione di rassicurazione, di compensazione, di scongiuro di fronte alla paura dell’ignoto e della morte. Oggi, però, uno studio ha certificato il contrario: l’oppio dei popoli sarebbe anche l’ateismo, la mancanza di fede.

Piccola premessa: nemmeno lo stesso padre della psicanalisi credeva molto nella sua stessa interpretazione della fede, tanto che formulò a se stesso un’obiezione: «se la religione fosse davvero riuscita a rendere felice la maggioranza degli uomini, a consolarli, a riconciliarli con la vita, a nessuno verrebbe in mente di aspirare ad un mutamento dell’attuale situazione» (S. Freud, L’avvenire di un’illusione, Boringhieri 1990, p.74). Invece il cuore dell’uomo rimane inquieto, in ricerca. Ed anche il credente ha bisogno di approfondire ogni giorno il rapporto con il Padre, la sete di significato non si esaurisce con l’incontro cristiano ma, anzi, è potenziata di fronte ad una Presenza e una risposta che è già e non ancora.

In secondo luogo, per quanto riguarda la teoria del confort sulla religione, non si mette affatto in dubbio né che l’esistenza di un limite ultimo, insuperabile, sia la grande occasione data all’uomo per riflettere di più sul mistero e sull’immeritato dono della vita, né che una fede pienamente vissuta porti a considerare anche la morte come “sorella”, come recita il Cantico delle Creature di San Francesco. Ma questo, come abbiamo già sottolineato, andrebbe visto come uno dei tanti effetti -e non, la causa– del concepire la realtà come disegno buono del Creatore. Ad esempio, spesso è stato rilevato che le persone religiose sono anche le più caritatevoli, ma nessuno sosterrebbe mai che la generosità è la causa della religione: semmai è, anch’essa, una delle conseguenze.

Il tutto andrebbe infine rivisto alla luce di una meta-analisi, pubblicata sulla rivista Religion, Brain and Behavior, sulla relazione tra ansia da morte e credo religioso. I ricercatori hanno analizzato 100 articoli peer-review pubblicati tra il 1961 e il 2014, contenenti informazioni su circa 26.000 persone in tutto il mondo. I risultati hanno mostrato che sia le persone altamente religiose che coloro che si identificavano come atee, avevano meno paura della morte.

Il dott. Jonathan Jong, ricercatore presso l’Institute of Cognitive and Evolutionary Anthropology della Coventry University e uno degli autori dell’indagine, ha dichiarato: «Questo complica sicuramente la vecchia visione secondo la quale le persone religiose hanno meno paura della morte rispetto alle persone non religiose. Potrebbe anche essere che l’ateismo fornisce un conforto dalla morte, o che le persone che non hanno paura della morte non sono costrette a cercare la religione».

Emerge un’altra volta l’inadeguatezza della tesi che vorrebbe ridurre la religione a mero rifugio consolatorio al problema della morte anche perché, secondo tale studio, sarebbe in buona compagnia con la non religiosità. Annullando così la tesi illuminista. Per quanto ci riguarda, è vero esattamente l’opposto: la fede è la soluzione più adeguata al problema della vita, al qui e ora, poiché l’ultimo passo della ragione è riconoscere ed ammettere che l’esistenza rimanda continuamente ad un Mistero, senza il quale la realtà stessa si consuma nella sua effimerità e non ha in sé un senso razionalmente ed umanamente all’altezza delle radicali esigenze umane di compiutezza e felicità. E questo rimane vero sia con la morte in fondo al cammino che in una ipotetica esistenza priva di limiti temporali. Il problema dell’uomo non è tanto la morte, quanto la vita.

La redazione

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Trump nomina giudice “pro-life” alla Corte Suprema: il vento cambia?

Poteva andare meglio, ma il bicchiere è mezzo pieno. Da giorni attendevamo l’importantissima nomina del successore del giudice Anthony Kennedy alla Corte suprema degli Stati Uniti, le cui sentenze spesso creano importanti precedenti per tutto il resto del mondo. Sopratutto sui temi etici. Il presidente Donald Trump ha scelto Brett Kavanaugh, repubblicano conservatore, collaboratore di Kennedy e George W Bush.

Storico nemico di Bill Clinton, attraverso Kavanaugh il presidente Trump afferma di aver mantenuto la sua promessa in campagna elettorale, quando annunciò: «Io sono pro-life e i giudici che nominerò saranno pro-life». Ed infatti gli equilibri si sono ribaltati. I giudici sono 9: cinque “conservatori” nominati da Bush (John G. Roberts, presidente, Clarence Thomas e Samuel A. Alito) e Trump (Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh) e quattro “progressisti” nominati da Clinton (Stephen G. Breyer e Ruth Bader Ginsburg) e da Obama (Elena Kagan e Sonia Sotomayor).

Esistono tuttavia alcune riserve sul cattolico Kavanaugh, che presta opere di carità ai senzatetto presso la Catholic Charities, è un ex chierichetto e fa parte della comunità cattolica di Washington. E’ sempre stato molto cauto nelle dichiarazioni e alcuni sono preoccupati poiché le sue decisioni in alcuni casi significhi «non sono state così solidamente a favore della vita come ci saremmo aspettati». Trump aveva a disposizione candidati molto più schierati, come il giudice Amy Coney Barrett, cattolico praticante che sottoscrisse pubblicamente «il valore della vita umana dal concepimento alla morte naturale», e affermò che la famiglia e il matrimonio sono «fondati sull’impegno indissolubile di un uomo e una donna».

Se Kavanaugh dovesse essere confermato, certamente l’ago della bilancia cadrebbe ancora più “a destra” -dopo la prima nomina del giudice Neil Gorsuch- di quanto fosse prima dato che il giudice di Trump è molto più conservatore del centralista Kennedy. Gran parte del mondo “pro-life”, tuttavia, ha esultato alla nomina, ritenendolo un autorevole alleato della libertà religiosa e un pro-life friendly. Non a torto, in quanto il nuovo giudice della Corte Suprema sfidò l’Obamacare e l’obbligo per i datori di lavoro di fornire ai propri dipendenti contraccettivi e farmaci abortivi. Per Kavanaugh ciò «grava sostanzialmente sull’esercizio della religione da parte delle organizzazioni religiose perché questi regolamenti richiedono di intraprendere un’azione contraria alle loro credenze religiose, minacciate di pagare pene pecuniarie significative». Un altro caso importante su cui ha legiferato riguardò un’adolescente in una struttura di detenzione che aveva presentato una petizione per il diritto di accedere all’aborto: il giudice Kavanaugh rifiutò poiché avrebbe reso il governo “complice” in qualcosa che è moralmente discutibile. Infine, il giudice Kavanaugh ha recentemente difeso il diritto dell’arcidiocesi cattolica di Washington di pubblicare un annuncio sul Natale nella metropolitana.

Altre notizie rassicuranti sono i pronunciamenti contrari alla nomina da parte del mondo “no-life”, come Planned Parenthood e National Abortion Federation, i quali hanno annunciato che per la prima volta la legge che regolamenta l’interruzione di gravidanza negli Stati Uniti (Roe vs. Wade) è fortemente minacciata. Curiosamente -e questo fa preoccupare, invece- il New York Times ha elogiato il profilo del nuovo giudice della Corte Suprema: «La nomina del giudice Brett Kavanaugh è l’ora più bella del presidente Trump, la sua mossa più elegante. La settimana scorsa il presidente ha promesso di selezionare “qualcuno con credenziali impeccabili, grande intelletto, giudizio imparziale e profonda riverenza per le leggi e per la Costituzione degli Stati Uniti.” Nello scegliere l giudice Kavanaugh, ha fatto proprio questo».

“Caro presidente Trump, rispetterai le promesse pro-life e pro-famiglia?”, ci domandavamo nel gennaio 2017. In un anno e mezzo certamente l’amministrazione Obama ha subito forti picconate sui temi etici, sembra così che l’attuale presidente americano stia mantenendo la parola. Solo pochi giorni fa, infatti, abbiamo raccontato la vittoria del pasticcere di Denver che negò una torta artistica ad un matrimonio omosessuale, venendo tutelato proprio dalla Corte Suprema, certamente influenzata dalla posizione apertamente favorevole di Trump. Bicchiere mezzo pieno e cauto ottimismo.

La redazione

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La Cirinnà in maglietta rossa, ma niente migranti: «Sa, la mia casa è così piccola…»

Il tormentone del weekend sono state le magliette rosse indossate da vip ed altri nullafacenti a favore dell’accoglienza dei migranti. Contenuto certamente condivisibile ma strumentalizzato da una inutile iniziativa della sinistra a cui ormai sono rimasti solo i colori, dal viola antiberlusconiano all’arcobaleno, preferendo il rosso, appena può.

Boldrini, Saviano, Vauro, Gad Lerner…tutti si sono puntualmente riciclati per l’occasione. Precisazione: non crediamo affatto al ricatto morale che alcuni rivolgono a chi sensibilizza le coscienze sull’accoglienza: “perché non li prendi a casa tua?”, in quanto non sarebbe comunque la soluzione adeguata ad un problema che rimane e non si può risolvere con la chiusura delle frontiere. Ben vengano i richiami all’accoglienza fraterna -purché prudente e misurata alle possibilità del Paese, come ricorda la Chiesa- ma condividiamo il disappunto che la lezione morale arrivi da vip e borghesi che giocano all’accodarsi agli appelli mentre rimangono estranei alla vita quotidiana degli italiani.

Tra questi ultimi anche la coppia di fatto Monica Cirinnà ed Esterino Montino, la prima, icona italiana dei diritti Lgbt ed il secondo, senatore del Partito Democratico ed ex sindaco di Fiumicino. Anche loro hanno indossato maglietta rossa -lui sfoggiando una polo Lacoste (dai 60 ai 100€), il Rolex non si vede- sostenendo l’appello ad accogliere chi sbarca sulle nostre coste, ad integrare i profughi nelle nostre città, a farli vivere come se fosse “casa loro”. Slogan ed insegnamenti di vita, quando però c’è da implicarsi in prima persona…

Montino&Cirinnà sono stati infatti contattati da una finta ONG -la International Open Blue Sea– che sondava la reale disponibilità dei personaggi famosi a fare quel passo in avanti che i due -assieme a tanti altri- chiedono agli italiani di compiere: accogliere gli immigrati. Non una famiglia intera ma, solo per qualche tempo, uno solo di loro in difficoltà, si sarebbe trattato di un gesto utile non solo alla persona ospitata ma anche all’opinione pubblica, sensibilizzando maggiormente le coscienze. Dietro alla finta ONG, però, c’erano i giornalisti de Il Tempo, quotidiano della destra romana.

Soltanto 4 su 100 dei vip pro-accoglienza contattati hanno accettato di essere coerenti, tutti gli altri no. Chi tergiversando, chi chiedendo tutele legali, chi accampando scuse di lavori in corso a casa (Leo Gullotta), chi di ospitare già familiari e suocere (Dario Vergassola), chi dicendo di non essere minimamente interessato (Paolo Ruffini), chi di non possedere una camera per gli ospiti (Valeria Fedeli). Quando il telefono ha squillato a casa Montino&Cirinnà, ha risposto l’ex sindaco che ha declinato la proposta sostenendo di avere una casa troppo piccola.

Si può immaginare in quali spazi angusti siano costretti a vivere i due politici di punta del Partito Democratico (la Cirinnà vive di questo dal 1993!), tra stipendi parlamentari, indennità, diaria, rimborso per spese di mandato, rimborsi telefonici e per trasporti è già tanto se abbiano trovato qualche moneta per acquistare le magliette con cui farsi fotografare. Sicuramente non sono riusciti a trovare nemmeno un divano-letto nella tenuta di 140 ettari che possiedono a Capalbio (Grosseto), dove producono vino prelibato, olio e marmellate. Tre giorni a settimana, i due, si dedicano alla campagna per riposarsi dalle dilanianti fatiche del Parlamento, dove Montino si diletta nella sua passione, ovvero la caccia, mentre Cirinnà coltiva frutta e verdura dichiarandosi vegetariana militante e le capita di urlare: «Chi mangia pesce e carne fa i conti con la propria coscienza, io dico che sono dei cannibali!». Compagno a parte, ovviamente.

C’è da dire che Monica Cirinnà è perseguitata dalla sfortuna quando si parla di case. Certamente a sua insaputa, per 12 anni ha vissuto in un appartamento di proprietà di Propaganda Fide al centro di Roma, sborsando “ben” 360€ mensili di affitto. Ancora oggi minaccia querele a Fittipaldi e a tutti coloro che riportano a galla la vicenda, tenendo a precisare che non erano 360€ ma si trattava della spropositata cifra di 950€ per un appartamento a due piani accanto ad uno dei luoghi più belli d’Italia, Piazza Navona. Un vero furto di diritti civili!

Parlando seriamente di coerenza e di buon cuore, occorre sottolineare che spesso sono di casa tra molti sacerdoti. In tutta Italia, a partire dall’interno delle alte mure del Vaticano, nella parrocchia di Sant’Anna, sono ospitati profughi e migranti. In Lombardia, sopratutto, dove l’arcivescovo emerito di Milano, il ratzingeriano Angelo Scola, ha chiesto un impegno in prima persona ai suoi preti. E tanti hanno aperto case e canoniche mentre, nello stesso tempo, sostengono concretamente centinaia di italiani (prima gli italiani!! No, precedenza a chi a bisogno, indifferentemente), tramite fondi lavoro, fondi famiglia, pasti caldi alla Caritas ai padri divorziati e, perfino, assegni papali a chi vive in grosse difficoltà economiche. In prima persona, senza slogan e magliette pubblicitarie.

La redazione

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Alexander Núñez non è più gay, ora è perseguitato dagli “anti-omofobia”

In Cile è un volto noto di programmi televisivi rivolti ai giovani. Il suo nome è Alexander Nunez, conosciuto anche come “Arenito”: presentatore e ballerino. Famosa era anche la sua omosessualità. Per un certo periodo è sparito dalla scena pubblica per tornare, recentemente, profondamente cambiato.

Intervistato durante un programma televisivo molto seguito, Núñez ha raccontato dei suoi anni giovanili tra televisione e vita gay. Fino a che, ad un certo punto, nel 2013 ha dovuto occuparsi della madre Ruth Valencia, malata di cancro uterino, la quale è morta poco dopo. Questo fatto ha portato Alexander a grandi riflessioni sulla sua vita, riprendendo quei valori cristiani che la madre aveva testimoniato fin da quando era piccolo.

Il cammino è sfociato in una conversione, scoprendo quel che chiama la sua «identità in Cristo». Davanti a milioni di telespettatori, circondato da opinionisti apertamente contrari alle sue parole, Nunez ha serenamente affermato: «L’omosessualità è una delle cose che il Signore ha cambiato in me», oggi sogna di avere una moglie «per dargli le cure di cui una donna ha bisogno». E ancora: «Non credo nell’amore tra uomo e uomo, ero omosessuale e non ho mai provato amore per un uomo, sentivo attrazione, certamente c’era qualcosa di fisico, ma era dovuto al disordine emotivo che vivevo».

L’intervista non è certo passata inosservata tanto che il canale televisivo National Television Council (CNTV) ha ricevuto ben 74 denunce, con questa motivazione: «Le parole dell’ospite Alexander Nunez sulla sua conversione all’eterosessualità sono omofobe, offensive e contrario ai diritti umani». Tuttavia, il Consejo Nacional de Televisión (CNTV) ha concluso che «secondo l’analisi dei contenuti non è possibile dedurre l’esistenza di violazioni di precetti costituzionali, legali e regolamentari che disciplinano il contenuto delle trasmissioni di servizi televisivi».

Anche l’associazione Lgbt Movimiento de Liberación e Integración Homosexual (Movilh) ha definito “apertamente omofobe” le parole di Nunez. Ma talmente troppe volte si è gridato “al lupo, al lupo” che ormai nessuno più bada a tali scandalismi. Anche perché, come ha ben chiarito l’avvocato Cristobal Aguilera, «la cosa paradossale è che quando l’associazionismo gay accusa di discriminazione, alla fine a discriminare sono loro. Quando promuovono la tolleranza, le loro posizioni sono in definitiva le più intolleranti. L’unica cosa pericolosa non sono le opinioni di Alexander Nunez, ma offendere coloro che pensano in modo diverso e cercare, con forza, di metterli a tacere. Che è ciò che esattamente fanno tali organizzazioni Lgbt».

La redazione

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La lucidità di Massimo Fini: «La felicità è impossibile, ci manca l’infinito»

«Lanciare la Festa della felicità è un’idiozia. Meglio quella del nulla». Come non essere d’accordo con Massimo Fini, scrittore ed opinionista. Anarchico, anticlericale ma segnato dalla vita, profondamente interessato alla realtà.

Non solo Fini sta ultimamente esprimendo una visione parallela alla nostra su tematiche etiche come utero in affitto, adozioni Lgbt ed unioni civili, ma anche una vicinanza di pensieri esistenziali. Commentando la sciocchezza delle varie Giornate dedicate a qualunque cosa, si è soffermato appunto su quella dedicata alla Felicità (20 marzo).

«Sono stati gli americani con il loro consueto ed ottuso ottimismo ad avere l’ardire di inserire nella Dichiarazione di Indipendenza del 1776 “il diritto alla ricerca della felicità”, che però è stato quasi subito tradotto dall’edonismo straccione contemporaneo in un vero e proprio ‘diritto alla felicità’. Diritti di questo genere non esistono». E celebrare questa fantoccia felicità ha proseguito Fini, «significa rendere l’uomo, per ciò stesso, infelice». Perfettamente d’accordo, sopratutto per la motivazione che l’editorialista de Il Fatto Quotidiano utilizza: «quel che ci manca non ha limiti, non si può essere “felici mai. Solo la Superintelligenza illuminista, dei Kant, degli Hegel and company, poteva attingere a simili livelli di cretineria».

Che grande intuizione quella di Fini: l’uomo è esistenzialmente infelice perché vive di una mancanza, percepisce in sé un vuoto che non riesce a colmare. Ovvero, aspira l’Infinito. Così l’anarchico si avvicina a Sant’Agostino: «Il nostro cuore è inquieto, finché non trova riposo in Te, o Signore». Ecco l’Infinito a cui l’uomo, gran parte delle volte inconsapevolmente, aspira, cercando inutilmente di appagare tale sete tuffandosi in infiniti più piccoli e menzogneri: il denaro, il progresso, il sesso…qualunque cosa da cui gli esseri umani sperano arrivi questa agognata risposta al desiderio di felicità che abita in loro. La Bibbia e Papa Francesco li definiscono “idoli”: «Il denaro, il piacere, il successo abbagliano, ma poi deludono», ha ricordato il Papa.

Proprio Agostino vedeva in questo senso religioso una prova dell’esistenza di Dio poiché, come ha ben spiegato il filosofo francese Philippe Nemo, «l’uomo non può più accontentarsi del fatto che la sua vita individuale e sociale non abbia altro fine se non quello di “vivere”. “Vivere” non è ciò che fanno anche gli animali e i batteri. “Esistere” non è ciò che fanno anche le pietre e la polvere di stelle? L’intima coscienza di ogni uomo sa che questa mancanza di senso è un errore» (La bella morte dell’ateismo moderno, Rubettino 2017, p. 131). Un Senso dev’esserci, tanto che questa inestirpabile e nient’affatto illusoria domanda di felicità non permette all’uomo di abbassare lo sguardo e accontentarsi di ciò che, in fondo, mai lo soddisferà. E’ una griffe del Creatore impressa nella coscienza della sua creatura. «Quello che l’uomo cerca nel piacere è un infinito e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di raggiungere questo infinito» (Cesare Pavese).

Raggiungere la felicità è impossibile perché “quel che ci manca non ha limiti”, ci ha ricordato lucidamente il laicissimo Massimo Fini. Benedetto XVI invitò, però, ad andare oltre la constatazione della finitudine umana, invitando la ragione dell’uomo a compiere l’ultimo passo, l’apertura al Mistero: «Inquietudine, insoddisfazione, desiderio, impossibilità di acquietarsi nelle mete raggiunte: queste sono le parole che definiscono l’uomo e la legge più vera della sua razionalità. Egli avverte un’ansia di ricerca continua, che vada sempre più in là, sempre oltre ciò che è stato raggiunto. Dio, l’infinito, si è calato nella nostra finitudine per poter essere percepito dai nostri sensi, e così l’infinito ha “raggiunto” la ricerca razionale dell’uomo finito. Sta qui la “rivoluzione” cristiana: Dio Creatore “raggiunge”, oggi e permanentemente, la ricerca razionale dell’uomo tra gli uomini: “Io sono la via, la verità e la vita”».

La redazione

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Stipendio dei preti, quanto guadagnano? Quei “faraonici” 1000€ al mese

Stipendio dei preti e suore, chi paga? I soldi degli italiani sono usati per pagare gli stipendi faraonici dei sacerdoti? Se si cerca sul web ancora capita di leggere un vecchio e non corretto articolo di Curzio Maltese di Repubblica, da sempre impegnato a gonfiare i costi della Chiesa e, contemporaneamente, però –si è scoperto– a beneficiare di un lauto doppio stipendio (di cui uno, quello sì, pagato profumatamente con i soldi degli italiani).

Dai 900 ai 1200 euro al mese, a seconda delle responsabilità (1000 euro, nella media). Questo è lo stipendio base di un prete, come ha verificato recentemente Studio Cataldi, sito web di informazioni di giurisprudenza. Pagato da chi? Per il 10% dalle offerte dei fedeli e per il restante, in Italia, dal reddito in caso di insegnamento nelle scuole e, per la gran parte, dall’Istituto centrale per il sostentamento del clero (ICSC), ovvero la Conferenza episcopale italiana (Cei), che ha il compito appunto di gestire gli stipendi di parroci, preti, vescovi, cardinali e di garantire loro il supporto previdenziale e assistenziale.

Da dove prende questi soldi la Cei? Dall’8×1000, ovvero la destinazione volontaria -volontaria!- di una quota delle tasse già dovute dai cittadini allo Stato. Come già abbiamo spiegato, il tanto criticato meccanismo di ripartizione funziona (come in politica) in modo che “chi firma decide anche per chi non firma”: la quota dei contribuenti che non ha firmato viene suddivisa tra i destinatari secondo la proporzione risultante dalle scelte espresse. Questo meccanismo avvantaggia chi ha avuto la maggiore quota di preferenze e, dato che la Chiesa cattolica riceve la maggioranza delle preferenze dei contribuenti che esprimono una scelta (che scelgono lei piuttosto che lo Stato, i valdesi ecc.), beneficia anche di gran parte della quota dell’8×1000.

Dunque, al contrario di quanto scritto da Curzio Maltese (oggi è saltato sul carro di Sinistra Ecologia Libertà dopo il fallimento della Lista Tsipras), la remunerazione dei sacerdoti, che guidano le 27 mila parrocchie presenti in Italia, non grava affatto sulle spalle dei cittadini. Sia perché l’8×1000 sono tasse già dovute, sia perché la destinazione dei fondi alla Chiesa cattolica è una scelta volontaria, in uno scenario di “competizione” tra lo Stato e le principali confessioni religiose.

Più si cresce nella scala gerarchica del clero e più aumentano le responsabilità (spirituali e di gestione curiale), proporzionalmente aumenta anche lo stipendio percepito che, comunque, risulta nettamente inferiore se lo si paragona a quello di sindaci e rappresentati di governo. Va anche considerato, tuttavia, come vescovi e cardinali siano spesso benefattori di tasca loro di opere di carità la quale, per essere realmente pura gratuità, rimane nascosta ai riflettori. Salvo numerose eccezioni, sopratutto notizie che arrivano sui media alla loro morte come accadde per il card. Tettamanzi, il quale si scoprì che donò di tasca sua oltre un milione di euro alle famiglie dei disoccupati. A fare notizia oggi, giustamente, c’è il neo-cardinale Konrad Krajewski, che ha fatto della carità il suo stile di vita e, attraverso lui, Papa Francesco sta aiutando economicamente migliaia di persone in situazioni critiche. Appare maggiormente complessa e non chiara la retribuzione delle suore e religiose, in quanto percepirebbero una remunerazione molto più modesta rispetto ai sacerdoti.

«L’immagine di una gerarchia opulenta non corrisponde alla realtà», si commenta su Il Messaggero. Indossare l’abito talare non è affatto una scelta economicamente attraente. L’unico motivo per abbracciare tale vocazione è sentire la chiamata di Dio ad «abitare in mezzo agli uomini e permettere a Gesù di farlo, prestandogli la mia carne», come disse don Andrea Santoro, prima di essere assassinato a Trebisonda (Turchia).

La redazione

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