Il suicidio della Femen e il tragico inganno del femminismo

«Sempre più donne vedono il femminismo come irrilevante, se non addirittura dannoso per gli interessi delle donne (e delle famiglie)». Così ha scritto Naomi Schaefer Riley sul New York Post. Il tema torna d’attualità dopo la tragica notizia del suicidio di Oksana Shachko (nella foto), 31 anni, co-fondatrice del movimento femminista Femen.

Un gruppo, quello delle Femen, che ha sfruttato la giusta battaglia culturale per l’equiparazione morale della donna all’uomo, trasformando il femminismo in fascismo rosa. Combattono l’immagine della donna oggetto ma lo fanno denudandosi per dare più forza al loro messaggio, confermando solamente il pregiudizio di chi non ritiene la donna capace di catturare l’attenzione senza scoprire le gambe. Proclamano l’emancipazione radicale dagli uomini, ma sono comandate a bacchetta da Viktor Svyatskiy, il padre-padrone che studia e finanzia i loro cinque minuti di notorietà.

Non si conosce ancora la causa del suicidio per impiccagione della giovane Oksana, a cui vanno le nostre preghiere. Al di là di ciò che l’ha portata a compiere tale terribile gesto ed indipendentemente da questo, la giovane donna  (come le compagne che lascia) è stata una delle tante vittime del femminismo. Ricordiamo l’opposta decisione di una sua collega, l’ex Femen Sara Fernanda Giromini, che ha abbandonato “la setta” delle Femen (come le definisce), denunciando che «il loro lo scopo è di infiammare l’odio contro la religione cristiana, l’odio contro gli uomini, l’odio contro la bellezza delle donne, l’odio contro l’equilibrio delle famiglie. Questo è ciò che il femminismo è, posso garantirlo perché io ci sono stata dentro. Oggi sono molto più felice e sono in grado di aiutare le donne». La stessa donna ha rivelato in queste ore che Oksana era in disaccordo con le leader di Femen, Inna e Sasha Shevchenko, perché usavano la causa femminista e il dolore delle donne ucraine (che soffrono per il turismo e lo sfruttamento sessuale), solo per arricchirsi e diventare famose.

Il «paradosso del declino della felicità femminile», hanno sottolineato le studiose Betsey Stevenson e Justin Wolfers dell’University of Michigan, aumenta all’allontanare l’attenzione dalla famiglia, favorendo l’emancipazione da essa in favore della carriera lavorativa. La sociologa Dana Hamplová, dal canto suo, ha pubblicato uno studio analizzando i dati di oltre 30 paesi europei, concludendo che le donne preferiscono accudire i figli e il lavoro domestico a tempo pieno. Le mamme casalinghe, si legge, sono più felici e più soddisfatte di quelle che lavorano. «Un altro colpo alla narrativa femminista», la conclusione.

Lungi da noi l’immagine stereotipata dell’uomo lavoratore e della donna che lo aspetta lavando, stirando e cucinando. Anzi, siamo più che convinti che in molti settori lavorativi il “genio femminile” merita ruoli di comando e di responsabilità. Ma, trasformare le donne in maschi, illudendole dell’inutilità dell’uomo, del padre e dei figli -come ha preteso fare violentemente il femminismo- è stato un tragico errore, uno snaturamento. Mettere contro la donna alla madre è quel che lo psicoanalista Massimo Recalcati ha chiamato «l’esaltazione narcisistica di se stesse». Il movimento femminista ha trasformato la battaglia culturale per il riscatto della donna in una guerra contro le donne stesse: «Se c’è stato un tempo — quello della cultura patriarcale — dove la madre tendeva ad uccidere la donna», ha continuato Recalcati, «adesso il rischio è l’opposto; è quello che la donna possa sopprimere la madre».

Il femminismo è stato un inganno, che ha individuato il nemico della donna nella famiglia e nella maternità. «Non capisco proprio il femminismo», ammise Alda Merini. «La donna che vuole diventare uomo sovverte tutta la cultura passata. La donna deve essere se stessa». Per la poetessa italiana, «il vero diritto di una donna è quello alla maternità: il figlio è il più grande atto d’amore e il suo mistero resta intatto. L’occasione che la madre dà al suo bambino è ogni volta un miracolo, ed è una bestemmia negare tutto questo in nome di un femminismo che è l’opposto dell’essere femmina, nel senso più alto del termine».

La redazione

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La patria di Lutero è più cattolica che protestante. La crisi delle Chiese riformate.

La patria di Martin Lutero è oggi più cattolica che luterana. Il sorpasso dei primi nei confronti dei protestanti, in Germania, si è verificato nel 2009. Secondo una recente indagine, la crisi dei protestanti è in aumento mentre il numero di cattolici è stabile dal 1950.

La crisi del protestantesimo, dunque, colpisce anche la Germania. Poco tempo fa osservavamo lo stesso fenomeno negli Stati Uniti: crollo dei riformati e sostanziale stabilità del numero dei cattolici. 20,7 milioni di fedeli tedeschi hanno abbandonato il luteranesimo dal 1950, mentre la Chiesa cattolica contava su 23,2 milioni di fedeli nel 1950 e oggi su altrettanti 23,3 milioni. Si mantiene il numero assoluto.

Anche la confessione cattolica tuttavia non gode di ottima salute: in un anno, ha riferito la Conferenza episcopale tedesca, hanno abbandonato 270.000 fedeli e solo 9.332 sono entrati o rientrati. I vescovi tedeschi hanno già chiuso 515 chiese negli ultimi dieci anni. Uno dei motivi principali di abbandono, unico in tutto il mondo, è la tassa religiosa obbligatoria (l’8-9% dell’imposta sul reddito) che i credenti sono tenuti a destinare alla Chiesa. Molti di coloro che si “disiscrivono” rimangono comunque credenti e cristiani, semplicemente non vogliono pagare una tassa aggiuntiva.

Nonostante si attribuisca il declino del luteranesimo in primo luogo alla piramide demografica, certamente si può dire che è fallito per i protestanti il piano di adeguarsi al mondo secolare per apparire più attraenti. Preti sposati, donne vescovo, approvazione del divorzio, della contraccezione e dell’agenda arcobaleno. Non è servito, sempre più luterani si sono tenuti lontani dalle chiese. Forse anche a causa di questo.

Molto interessante l’intervista concessa da Roger Scruton, l’eminente filosofo anglicano, docente all’Università di Oxford. «Le istituzioni cattoliche», ha spiegato il massimo esponente del conservatorismo contemporaneo, «sono le uniche che offrirebbero apertamente protezione e supporto a qualcuno conservatore come me, e senza necessariamente d’accordo con quel che dico». Non ha seguito l’esempio di Newman, il passaggio al cattolicesimo, per due ragioni: «La prima è che richiede un atto di fede più grande di quello che sono in grado di raggiungere. E l’altra è che, poiché sono divorziato, non potrei mai sposarmi una seconda volta con rito cattolico». Tuttavia, ha concluso, «sono sempre stato attratto dalla Chiesa cattolica per il suo rispetto della tradizione, per la continuità apostolica che rappresenta e per i suoi tentativi di infondere vita ordinaria ai sacramenti».

Il fascino, dunque, per l’autorevolezza della continuità apostolica e l’autorità della Tradizione, ovvero il punto storico fisso che dice la verità su Cristo ed impedisce di soccombere alla confusione e alla liquidità della modernità, nonché a tutte le fugaci interpretazioni umane. Nelle parole nostalgiche di Scruton si scorge la causa principale -almeno per noi- della crisi delle Chiese riformate.

La redazione

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L’esplosione iniziale del cristianesimo: come spiegarla? Il libro di Bart D. Ehrman

Com’è possibile che una minuscola “setta dell’ebraismo”, come viene sociologicamente definita, abbia potuto conquistare l’Impero Romano e dominare il mondo occidentale? Parliamo del cristianesimo e della sua incredibile espansione demografica. Il nuovo ed interessante libro dello studioso Bart D. Ehrman affronta la questione storica, regalando notevoli sorprese.

La risposta più banale alla rapida diffusione della religione cristiana, la spiegazione che arriverebbe da un Corrado Augias qualsiasi (copiando da Voltaire, Gibbon e Burckhardt), per intenderci, chiamerebbe in causa l’appoggio politico dato dall’imperatore Costantino. «Non fu Costantino a convertirsi al cristianesimo, ma il cristianesimo a trasformarsi in religione imperiale», scrive l’ex conduttore televisivo Augias in Disputa su Dio e dintorni (Mondadori 2010). Ovvero, quella dell’imperatore non sarebbe stata una vera conversione religiosa ma una mossa politica per servirsi del cristianesimo come “strumento di governo”. Dall’altra parte, la religione cristiana avrebbe beneficiato del sostegno imperiale per diffondersi a macchia d’olio.

Di tutt’altro avviso l’agnostico B.D. Ehrman, esperto di cristianesimo primitivo e docente presso l’Università della Carolina del Nord. Uno studioso interessante a cui prestiamo molta attenzione, non solo per la rilevanza del suo profilo accademico ma anche per la sua frequente onestà intellettuale. Da non credente si è posto l’obiettivo di sfidare due estremismi: quello ateo-miticista che non crede all’esistenza storica di Gesù e quello protestante-letteralista, per il quale la Bibbia è un libro storico-scientifico, immacolato da errori ed invenzioni.

In The Triumph of Christianity. How a Forbidden Religion Swept the World (Simon & Schuster 2018), Ehrman si è occupato del “trionfo del cristianesimo”, cioè la spiegazione della sua esplosione numerica nei primi secoli. Non ha potuto chiaramente tralasciare il ruolo dell’imperatore Costantino e della sua conversione cristiana, celebrato addirittura come santo in molte chiese orientali. Il biblista statunitense arriva alla sorprendente conclusione che Costantino abbia realmente avuto un sogno o una visione (o, almeno, così l’ha interpretata) che lo ha convinto ad abbandonare il paganesimo per aderire al Dio cristiano.

Fu una conversione sincera o una manovra politica? Ehrman non ha dubbi, la sua conversione fu autentica, tanto che confuta abbastanza facilmente le tesi di chi afferma l’opposto. Costantino ha posto fine alla persecuzione dei cristiani, elargito benefici e donazioni al clero cristiano, finanziato la costruzione di numerose chiese, commissionato venti costose copie della Bibbia, è intervenuto personalmente per risolvere le controversie tra donatisti ed ariani. Questo certifica il suo personale e spirituale interesse ed i pagani erano piuttosto certi che lui fosse diventato cristiano. L’idea che non fosse sincero, ha concluso Ehrman, non è semplicemente sostenibile.

Rispondendo alla cruciale domanda sull’esplosione demografica del cristianesimo in soli quattro secoli (passò da 3,5-4 milioni nel 312 d.C. ai 25-35 milioni della fine del IV secolo), lo studioso statunitense ha negato decisamente che ciò sia dovuto alla conversione di Costantino. Innanzitutto perché non sarebbe affatto stata una mossa politica azzeccata: al momento della sua conversione, infatti, i cristiani rappresentavano una piccola percentuale della popolazione. Ehrman opta per stime leggermente inferiori rispetto a quelle di Adolf von Harnack e Rodeny Stark, arrivando a considerare che la popolazione cristiana era il 6-7% del totale, fortemente oggetto di satira. Così, l’idea che Costantino avrebbe adottato il cristianesimo per ragioni politiche, è chiaramente priva di senso. Non ne ottenne nulla dal punto di vista politico. Anche se Costantino non si fosse convertito, ha aggiunto Ehrman, la cristianità sarebbe comunque cresciuta esponenzialmente e demograficamente. Il motivo sarebbe stata l’esclusività della fede in un unico Dio, rispetto al politeismo pagano, ed i racconti dei miracoli compiuti da lui e dai primi discepoli. La spiegazione dello studioso, in questo caso, non sembra così chiara e comprovata ed infatti ha ricevuto critiche dallo scrittore Tom Holland e dallo storico Larry Hurtado.

Molto più documentata, invece, è la spiegazione del sociologo Rodney Stark nel suo Ascesa e affermazione del cristianesimo (Lindau 2007). Innanzitutto, l’evangelizzazione degli ebrei ebbe un successo di lunga durata, in secondo luogo il paganesimo (diretto “concorrente” del cristianesimo) -al contrario del cristianesimo- mostrò tutta la sua incapacità di affrontare spiritualmente ed umanamente le due disastrose epide­mie (165 d.C., la prima, e 260 d.C., la seconda) che colpirono l’Impero. «L’assistenza e la solidarietà dei cristiani furono di per sé una grande opportunità di formare nuovi legami», sopratutto quando curarono membri di altre religioni che, spesso, si convertirono. Terzo motivo addotto da Stark è la prevalenza numerica di donne, grazie alla migliore condizione sociale che trovarono nel cristianesimo, in aggiunta alla proibizione di infanticidio ed aborto.

Tornando al recente lavoro di B.D. Ehrman, è degno di nota la sua negazione di un’altra possibile spiegazione della crescita demografica cristiana: la conversione forzata dei pagani. Citando Gregorio di Naziano, il quale scriveva che «non considero una buona pratica costringere le persone invece che persuaderle», lo studioso del cristianesimo primitivo arriva alla stessa conclusione della maggior parte degli storici: il cristianesimo non ha “vinto” a causa della violenza e della coercizione. Salvo qualche parte più confusa, il noto studioso agnostico ha pubblicato un altro libro degno di nota. Con la speranza che arrivi presto anche in Italia.

La redazione

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Gay Pride tra i bimbi del centro estivo. La Chiesa non tace.

Incredibile l’iniziativa dell’asilo Meridiana di Casalecchio (Bologna), gestito dalla cooperativa Dolce, dove le educatrici (si far per dire) hanno festeggiato il Gay Pride cittadino truccando i bambini, scrivendo cartelloni sull’amore gay e leggendo il “Piccolo uovo“. Senza coinvolgere le famiglie che, arrabbiate, hanno fatto scoppiare il caso.

In tanti hanno già commentato, avviato interrogazioni parlamentari e criticato l’iniziativa, tra essi anche il filosofo omosessuale Gianni Vattimo. Qualche amico cattolico sedicente confuso, che vede ambiguità e complicità clericale dappertutto, non ha perso tempo e ci ha regalato il puntuale e affrettato commento: “E la Chiesa tace!”.

Eppure constatiamo che anche in questo caso il silenzio non c’è. La Curia bolognese, guidata dal “bergogliano” mons. Matteo Zuppi, ha infatti subito emesso un comunicato«La Chiesa di Bologna ha appreso con sconcerto» la notizia, invitando a «maggiori cautele e col coinvolgimento pieno delle famiglie, prime responsabili dell’educazione dei figli. Immaginiamo che i genitori non avessero dato mandato alle educatrici di affrontare queste tematiche». 

Gli amici confusi avevano criticato la diocesi bolognese anche per il presunto silenzio quando scoppiò il caso Fà-afafine, lo spettacolo pro-gender. “Nuovo corso bergogliano”, scrissero ironici. Anche allora la reazione era disinformata. Non solo l’arcivescovo Matteo Zuppi mobilitò la società bolognese contro lo spettacolo, ma riuscì anche a fermare l’iniziativa, incassando i complimenti del Popolo della Famiglia locale.

Restando in tema, segnaliamo anche che un mese fa, in Canada, gli unici due cardinali presenti alla Marcia Pro-Life sono stati Thomas Collins (Toronto) e Gérald Cyprien Lacroix (Quebec), i quali sono anche intervenuti dal palco davanti a 200mila persone, manifestando la vicinanza della Chiesa all’iniziativa. Coincidenza vuole che sia Lacroix che Collins, per usare etichette vaticaniste che non condividiamo, sono “il nuovo volto della Chiesa di Francesco”. Il primo è stato creato cardinale proprio dall’attuale Pontefice, nonché promosso nel 2016 a membro della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Il secondo, il card. Collins, è stato nominato personalmente da Francesco come membro della Commissione cardinalizia di vigilanza sullo I.O.R. e membro della Congregazione per le Chiese orientali.

Rimanendo sull’attualità, facciamo un salto in Scozia, dove è stato aperto il primo centro pro-life a Edimburgo, volto a coordinare una campagna a favore della vita. L’iniziativa è partita direttamente dall’arcivescovo di Saint Andrews and Edinburgh, Leo William Cushley,  anch’egli “bergogliano dalla prima ora”. Proprio Papa Francesco, ancora una volta, nel luglio 2014 lo ha nominato arcivescovo di questa diocesi, promuovendolo come primate di Scozia.

Potremmo continuare ma riteniamo queste notizie piuttosto scontate e non interessanti, non tocca a noi riportarle. Le tante eccezioni sono giustificate dal fatto che troviamo incompatibile difendere la ragionevolezza della fede cattolica ignorando i numerosi attacchi cattolici al Santo Padre e ai suoi collaboratori, quasi sempre dettati da disinformazione (e altri motivi, sui quali meglio tacere). Come scrisse il card. Ratzinger, il Papa «è la roccia che, contro l’arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio». Anche quando non lo capiamo o non siamo d’accordo con lui. Ed il recente, caloroso ed affettuoso abbraccio tra Francesco e Benedetto XVI, vale più di mille dubia.

 

 

La redazione

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Il popolo argentino è contro l’aborto: in maggioranza le donne (52% vs 39%)

Prosegue in Argentina, al Senato, il dibattito sulla legalizzazione dell’aborto. Alla Camera c’è già stato il voto favorevole, si attende il risultato finale l’8 agosto. Un momento storico e delicato per il popolo argentino che, secondo un recente sondaggio, è maggiormente contrario alla legalizzazione. Donne e giovani, in particolare.

L’indagine è stata realizzata da Ipsos: il 49% degli intervistati ha espresso la propria opposizione alla legalizzazione dell’interruzione di gravidanza, mentre il 40% si è mostrato favorevole. L’11% non ha scelto né l’una, né l’altra opzione.

Il rifiuto della legalizzazione, si legge anche, è maggiore tra le donne rispetto agli uomini. Tra le persone con redditi più bassi, tra i giovani, tra gli abitanti dell’interno del Paese rispetto a quelli dell’area metropolitana e tra coloro che approvano il mandato del presidente cattolico Mauricio Macri rispetto a chi lo disapprova. Presidente che ha risposto negativamente alla richiesta della Conferenza Episcopale Argentina di porre il veto in caso di vittoria del “si”. E un sacerdote lo ha, per questo, minacciato di scomunica. La Chiesa argentina, guidata da mons. Víctor Fernández, nuovo arcivescovo di La Plata e definito “teologo di Papa Francesco”, sta sensibilizzando con coraggio le coscienze in favore della vita, chiedendo la protezione della madre e del bambino.

Entriamo nel dettaglio di due dati importanti: il 52% delle donne argentine è contraria alla legalizzazione dell’aborto, contro il 39% che ha espresso parere favorevole. Tra i giovani compresi tra 18-29 anni, la contrarietà alla legalizzazione è del 52%, così come del 45% di coloro che avevano dai 30 ai 44 anni. In caso di vittoria dei no-life, l’aborto sarà liberalizzato fino alla 14 settimana di gravidanza. Nessun limite di tempo, invece, in caso di stupro, pericolo di vita della donna e impossibilità di vita extrauterina del feto.

Ampia diffusione ha avuto il coraggioso intervento del deputato di sinistra Luis Gustavo Contigiani, del Frente Progresista Cívico y Social, che ha invitato i suoi colleghi ad opporsi alla legalizzazione: «non c’è nessun argomento, nessun motivo per eliminare una vita in Argentina. Non può essere una nostra decisione. Non posso dissociare la mia lotta per la giustizia sociale, per lo sviluppo del nostro paese, per i più deboli per l’uguaglianza delle opportunità da quella per il diritto alla vita di chi si trova nel ventre di una madre. Io pretendo di essere coerente! Non c’è un atto più rivoluzionario che difendere la vita».

La redazione

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«Le campane delle chiese sono bellissime». Dawkins sorprende ancora.

«Sto ascoltando le bellissime campane di Winchester, una delle nostre grandi cattedrali medievali». Questo l’ultimo tweet dell’ateo fondamentalista più famoso del mondo, Richard Dawkins, autore di God Delusion. Si è battuto per anni per annientare “il virus della religione cristiana” ma oggi, un po’ invecchiato, è seduto su una panchina ammirando la Winchester Cathedral. Chi l’avrebbe mai detto?

Dawkins, appurato di «aver fallito» la propaganda dell’ateismo -come ammise già nel 2008- sta maturando un ripensamento della sua posizione. I temi sull’inesistenza del Creatore hanno lasciato spazio a quelli più politici (anti-Trump, anti-Brexit ecc.) e sempre più frequentemente si mostra preoccupato dell’avanzata dell’islam in Europa, riscoprendosi per reazione «culturalmente cristiano», come si definì nel 2013.

Nel recente tweet che stiamo commentando infatti, ha aggiunto: «Le campane sono molto più belle dell’aggressivo “Allahu Akhbar”. O è solo la mia educazione culturale?». Dopo essere stato inondato di critiche ed insulti (quelli che mai ha ricevuto quando faceva l’haters dei cristiani), ha puntualizzato: «Le campane delle chiese sono bellissime. Anche la chiamata alla preghiera del muezzin può esserlo, ma “Allah Akbar” è l’ultima cosa che senti prima che il kamikaze si faccia saltare in aria». E via altre accuse di islamofobia. Come ha scritto Giulio Meotti: «L’ateo si porta sempre molto quando attacca Joseph Ratzinger, sant’Agostino e i polverosi arnesi giudeocristiani. Ma se tocca l’islam, è un’altra storia».

Un mese fa commentavamo proprio questa rivalutazione del cristianesimo da parte dell’evoluzionista ateo (o, meglio, agnostico come si è voluto definire), osservando come curiosamente Dawkins non stia scegliendo e proponendo un ateismo duro, razionalista e positivista come “baluardo” della società di fronte all’islamismo, come avrebbe fatto fino a pochi anni fa. Affatto. Ha optato per riabilitare il cristianesimo e non era affatto scontato.

Così, l’ultima è aver apprezzato le «bellissime» campane delle chiese cristiane, facendosi fotografare a pochi metri dall’ingresso della cattedrale di Winchester. Chissà se tra qualche mese si deciderà a varcare la soglia e dare un’occhiata all’interno…

La redazione

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Scontrino omofobo a Roma? Ma la coppia gay smentisce l'”emergenza omofobia”

«No pecorino. Si frocio». Questa la scritta apparsa sullo scontrino di un ristorante romano quando una coppia gay ha chiesto il conto. Il cameriere che ha battuto la scritta è stato licenziato, il conto non è stato fatto pagare ma la coppia ha immediatamente segnalato l’episodio a Fabrizio Marrazzo di Gay Help Center, il quale ha avvisato l’amico cronista di Repubblica che ha rapidamente creato l’indignazione nazionale.

E’ così stata coordinata una enorme shitstorm ai danni del locale, ovvero la distruzione della reputazione del famoso ristorante romano, tramite recensioni negative sui social network, boicottaggi e minacce fisiche ai proprietari. E’ la tipica reazione del mondo Lgbt, la stessa che investì Guido Barilla, reo di aver orientato la pubblicità della pasta alla “famiglia tradizionale”, il quale riuscì ad uscirne umiliandosi, facendosi rieducare e diventando, a denti strettissimi, gay-friendly.

L’episodio in ogni caso è stato disdicevole e di cattivo gusto per la coppia omosessuale romana, anche se la reazione della comunità gay appare ben più violenta. In ogni caso lo scoop di Repubblica è controproducente, almeno per coloro che hanno già invocato la riabilitazione della legge sull’omofobia, che venne affossata dopo l’ultimo Family Day.

Se si legge la ricostruzione dei fatti descritta dal giornalista, infatti, uno dei ragazzi omosessuali si è scagliato contro il cameriere dicendo: «Guarda nessuno sta ridendo, sei una persona infantile, nessuno si è mai permesso di trattarmi in questo modo nella mia vita». La coppia gay, quindi, si è indignata ed ha confessato che era la prima volta che subiva una qualunque forma di discriminazione, oltretutto lieve. Ma come, l’omofobia non era un’emergenza nazionale? Una fonte di depressione e suicidio per tutte le persone gay d’Italia? No. Grazie al resoconto di Repubblica abbiamo la conferma che non è così.

Non è un’eccezione. Nel nostro dossier sull’omofobia -in cui abbiamo raccolto dati, sondaggi e testimonianze- tantissimi testimoni omosessuali ammettono che non vivono alcuna discriminazione. «Nessuno si è mostrato disgustato e inorridito», ha ammesso una coppia a Il Mattino. «Non vedo il pregiudizio negli occhi nostri vicini di casa e dei nostri amici. Tutti sanno la nostra storia, abitiamo in un piccolo paesino di provincia», hanno ribadito due omosessuali di Treviso. «La società da questo punto di vista è più avanti delle leggi», ha testimoniato una donna lesbica. L’omofobia? Non esiste.

Le citazioni sarebbero infinite, dimostrano che l’Italia -a parte rare eccezioni, come avviene purtroppo per tutte le minoranze- non è un paese che discrimina le persone, seppur la contrarietà verso unioni/matrimoni/adozioni tra omosessuali rimane alta. Ed in particolare verso l’agenda Lgbt. Che il “vento stia cambiando” lo suggerisce la recente decisione di sempre più sindaci e amministrazioni comunali di uscire dalla rete Re.a.dy, il braccio lobbystico e politico della comunità arcobaleno: pochi giorni fa ha abbandonato Udine, prima ancora l’intera regione Friuli Venezia Giulia e i comuni di Pistoia, Trieste, Piacenza e Sesto San Giovanni.

 
AGGIORNAMENTO 24 LUGLIO
L’attivista LGBT, Imma Battaglia, ha spiegato che, quanto accaduto nel ristorante romano, «più che discriminazione è un gesto di cattiva educazione e di mancanza di professionalità. Gli atteggiamenti della comunità LGBT sono a volte esasperati».

La redazione

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Mondiali, il croato Kovacic in finale con la bandiera della sua parrocchia

La Croazia non ha vinto il Campionato del mondo in Russia, ma certamente ha conquistato il tifo di molti. Non abbiamo particolarmente condiviso il trascendere una banale partita di calcio per arrivare a vedere improbabili messaggi divini o mariani, come purtroppo alcuni hanno fatto. Tuttavia la selezione croata, anche per la sua umiltà, ha riscosso una meritata simpatia.

Avevamo già colto la testimonianza dell’allenatore, Zlatko Dalic, che ogni domenica, nonostante gli impegni sportivi, fa «di tutto per essere presente all’Eucaristia». Da un mondo dove tutto è sotto ai riflettori e dal quale provengono spesso messaggi poco edificanti ed educativi, siamo contenti di segnalare le positive eccezioni, almeno per noi.

Avevamo anche accennato al centrocampista del Real Madrid e della Croazia, Mateo Kovacic (classe 1994). Durante la finale disputata con la Francia, ha voluto portare con sé -nel giorno più importante della sua vita professionale-, la bandiera della sua parrocchia di Sesvete, dedicata a Sant’Antonio da Padova. Con addosso la bandiera è stato premiato con la medaglia d’argento, volendo mostrare al mondo che, nonostante il successo ed il denaro, non dimentica la sua origine ed il fatto che la sua vita è ancorata alla fede.

Con la sua famiglia, ha raccontato l’ex giocatore dell’Inter, è fuggito nei Balcani a causa dalla guerra, ritornandovi nel 2007. La famiglia Kovacic si stabilì a Sesvete, dove arrivarono molti cattolici di origine croata dalla Bosnia. Nel 1991 iniziò la costruzione della parrocchia, che serviva 900 famiglie. Oggi ce ne sono 2.340: il 99% dei suoi concittadini viene battezzato e le messe domenicali raccolgono più di 3.000 fedeli. Diversi giovani, inoltre, cresciuti a Sesvete sono già stati ordinati.

La redazione

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Migranti, il vescovo di Ventimiglia parla come Salvini? No, «ripeto le parole del Papa»

Un sacerdote in queste ore viene indicato come “eroe” dai quotidiani di destra: mons. Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia. Autore di una lettera aperta in risposta ad un’appello di 600 firmatari rivolto alla Conferenza episcopale Italiana, in cui è stato chiesto ai vescovi di prendere una posizione più ferma a favore dei migranti, mettendo in guardia da una «cultura ostile venata da esclusione, razzismo e xenofobia».

Mons. Suetta ha condiviso molte osservazioni dei firmatari, aggiungendo però che accogliere ed aiutare i tanti che sbarcano «non può bastare per risolvere un problema di proporzioni sempre più gravi». E  nemmeno è compito della Chiesa trovare soluzioni di natura economico-politica, la quale «ha il compito di indicare principi morali perché le comunità cristiane possano svolgere il loro ruolo di mediatrici nella ricerca di soluzioni concrete adeguate alle realtà locali».

Il vescovo ha così sottolineato la dolorosa esperienza dell’emigrazione, per chi lascia la propria terra ma anche per «le difficoltà dei popoli occidentali nel realizzare una difficile integrazione, spesso preoccupati – non sempre senza ragione – di preservare la loro sicurezza e la loro identità culturale e religiosa». Qui il riferimento al «difficile tema dell’immigrazione islamica, che pone un grave problema di integrazione con la nostra cultura occidentale e cristiana». Temendo anche «una sostituzione etnica, involontaria o meno che sia». Così, ha proseguito mons. Suetta, «mentre affermiamo con Papa Francesco il dovere dell’accoglienza di chi bussa alla nostra porta in condizioni di grave emergenza, occorre anche impegnarsi, forse più di quanto non sia stato fatto, per garantire ai popoli la possibilità di “non emigrare”, di vivere nella propria terra e di offrire là dove si è nati il proprio contributo al miglioramento sociale».

La lettera di mons. Suetta è arrivata agli occhi del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che ha commentato: «Meno male che nella Chiesa c’è qualcuno che ci difende». Oltre al fatto che questo “qualcuno” è lo stesso vescovo contro cui Salvini si scagliò due anni fa, accusandolo di essere «complice degli scafisti e nemico dei milioni di italiani» (ricevendo invece una lettera di stima da Papa Francesco per la carità evangelica mostrata verso i migranti), il leader della Lega non si è probabilmente accorto che il vescovo di Ventimiglia sta semplicemente riproponendo la posizione più volte espressa dai vertici della Chiesa e da Papa Francesco.

Proprio il Pontefice, d’altra parte, ha “creato” come vescovo mons. Suetta nel 2014, affidandogli la diocesi di Ventimiglia. E lo stesso “eroe di Salvini”, come viene apostrofato in queste ore il sacerdote, nella sua lettera usa a suo supporto le parole di Bergoglio: «Anche Papa Francesco», ha infatti scritto, «ha sempre riconosciuto che la politica dell’accoglienza deve coniugarsi con la difficile opera dell’integrazione “che non lasci ai margini chi arriva sul nostro territorio” e proprio pochi giorni fa ha precisato che l’accoglienza va fatta compatibilmente con la possibilità di integrare».

Il vescovo ha pienamente ragione: «Non siamo in grado di aprire le porte in modo irrazionale!», ha infatti ricordato Francesco, accanto ai suoi numerosi e doverosi appelli all’accoglienza cristiana e contro il disumano disinteresse verso i profughi (le citazioni sono raccolte nel nostro dossier). A patto, però che sia «prudente», ovvero che «valuti con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio Paese è in grado, senza ledere il bene comune dei cittadini, di offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che hanno effettivo bisogno di protezione». Sostiene il diritto all’emigrazione ma aggiunge che «nello stesso tempo occorre garantire che i popoli che li accolgono non sentano minacciata la propria sicurezza, la propria identità culturale e i propri equilibri politico-sociali. D’altra parte, gli stessi migranti non devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti». Le stesse riflessioni riprese da mons. Suetta.

Ed in quanto all'”aiutiamoli a casa loro”, espresso dal vescovo di Ventimiglia, prima di lui ha invitato a farlo Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna. E chi lo ha messo concretamente in pratica è stata proprio la Conferenza Episcopale Italiana attraverso la campagna “Liberi di partire, liberi di restare”, stanziando 30 milioni di euro per progetti nei Paesi di provenienza (di transito e di accoglienza dei migranti) per «permettere a chi soffre di migrare e trovare accoglienza in altri Paesi o scegliere di restare nella propria terra».

 

AGGIORNAMENTO ORE 17:00
L’organo di stampa della Santa Sede, Vatican News, ha ripreso le parole del vescovo di Ventimiglia, dando loro visibilità ancora maggiore e intervistandolo telefonicamente.

La redazione

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L’incredibile discorso del deputato progressista: «credo nel socialismo, voterò contro l’aborto»

Dopo l’approvazione alla Camera, in Argentina, qualche giorno fa è iniziato al Senato il dibattito sulla legalizzazione dell’aborto. Il presidente argentino, Mauricio Macri, pur dichiarandosi contrario ha annuciato che non metterà il veto in caso di votazione positiva.

Il presidente ha così risposto negativamente alla richiesta di veto arrivata da mons. Víctor Fernández, nuovo arcivescovo di La Plata ed ex rettore dell’Università Cattolica, definito il “teologo di Papa Francesco” in quanto ha collaborato con lui alla stesura di documenti fondamentali dell’attuale pontificato. E proprio Fernández sta guidando con coraggio la battaglia della Conferenza Episcopale Argentina in favore della vita e contro all’apertura all’interruzione di gravidanza.

Parallelamente alla posizione della Chiesa si è schierato anche un deputato del Frente Progresista Cívico y Social, partito socialista di sinistra. Il suo nome è Luis Gustavo Contigiani e attraverso il suo emozionante intervento alla Camera, con la voce rotta dall’emozione della preoccupazione per un momento storico tanto delicato, ha annunciato il suo voto contrario all’aborto. L’essersi esposto gli è costato critiche e richieste di dimissioni da parte dei suoi stessi colleghi di partito. Ma sembra che ciò non lo abbia turbato più di tanto.

Contigiani ha chiarito di non parlare nel nome del suo partito ma «a nome della libertà di coscienza». Ed in nome della coerenza: il socialismo, ha detto, dice di battersi per «profonde idee sulla vita umana, sulla giustizia, sulla difesa di chi ha meno», per questo «non posso dissociare questa lotta a quella per il diritto alla vita di colui che si trova nel ventre di una madre».

L’intervento di Contigiani è talmente drammatico e sorprendente che lo abbiamo tradotto e lo pubblichiamo qui sotto (quasi) integralmente.  Il video (in lingua spagnola), è visionabile in fondo all’articolo:

Signor presidente, voglio iniziare facendo un dichiarazione breve. Non parlerò a nome del partito socialista dell’Argentina, il quale ha una posizione su questa tematica più che centenaria per la legalizzazione dell’aborto, e la rispetto. Sono un legislatore che è stato votato tra le file del Frente Progresista Cívico y Social della provincia di Santa Fe per otto partiti, e ci sono diverse opinioni all’interno di questo Frente. Però le dico anche che parlerò a nome della libertà di coscienza e non della linea ideologica. Sono addolorato di distaccarmi dai miei compagni di cammino nella strada della giustizia ma siamo arrivati ad un punto critico.

Signor presidente, sono una persona limitata, di base, umile e con molte contraddizioni. Però ho una profonda e semplice convinzione umana: la vita va difesa e non c’è nessun argomento, nessun motivo per eliminare una vita in Argentina. Non può essere una nostra decisione, non può essere una decisione della politica. Mi ribello di fronte a questo. Non c’è un atto più rivoluzionario che difendere la vita e la giustizia sociale per la patria. Questo è il tema di fondo.

Siamo di fronte a due vite perfettamente individualizzate, non voglio parlare di scienza biologica perché è un’ovvietà che la genetica e la biologia già dicono, che la madre e l’embrione sono due vite individualizzate. Voglio salute pubblica per entrambe queste vite! I miei colleghi a favore della depenalizzazione mi dicono che il rischio delle donne è la clandestinità dell’aborto e mi angoscia questo problema, ma guardiamo l’altro lato della questione: che cosa gettiamo in quel sacchetto della spazzatura? E’ un embrione di 14 settimane e lei sa, signor presidente, che cos’è un embrione di 14 settimane? Ha occhi che si chiudono quando la madre dorme, ha un’identità genetica, è una vita, una creatura, un essere umano. Una nazione non può non difendere anche la salute pubblica di questo essere umano! Signor presidente, questo è un dibattito che tocca la fibra più profonda di un essere umano. Non posso dissociare la mia lotta per la giustizia sociale, per lo sviluppo del nostro paese, per l’uguaglianza delle opportunità. Non posso dissociare questo alla lotta per ciò che si trova nel ventre di una madre, che ha lo stesso diritto di vivere della madre da cui è nato. Siamo tutti giustizieri nel campo dell’economia, sono il primo che difende il lavoro, che difende i poveri, però nel campo della vita siamo privatisti, ci doniamo al mercato, non c’è più interesse pubblico, nessuno che difende nessuno. Io pretendo di essere coerente, signor presidente!

Quel che difendo nel campo della politica, dell’economia e del sociale lo difendo anche nel campo del ventre di una donna perché lì c’è qualcuno da difendere! Come possiamo, come nazione, non prenderci carico di questa vita, garantire i diritti con più vita, non con meno. Perché non ci mobilitiamo per questo? L’Argentina ha problemi di corruzione, di povertà, di ingiustizia: risolviamo questi problemi e non possiamo far pagare con la vita la nostra frustrazione che abbiamo come Paese. Altrimenti diciamo che la vita non ci interessa, che la giustizia non ci interessa! Attiviamoci come paese a sostenere le donne incinte, a fornire alimenti alle centinaia di donne che muoiono di fame! Non è facile per me prendere una posizione nel contesto politico e sociale che abbiamo vissuto nelle ultime settimane e chi vuole linciarmi per questo, che mi linci, anche sui social network, non ho problemi! Ho coscienza dei miei limiti e delle mie contraddizioni, non ho problemi per questo. Passerà alla storia se l’Argentina e i suoi partiti politici sapranno unirsi per difendere la vita e la salute non solo per la donna ma anche per quell’embrione di 14 settimane, perché dopo non c’è più lotta, non c’è più battaglia, non c’è più niente da fare se ignoriamo il mandato ultimo della politica, di uno Stato, di un Paese che è la lotta per la vita. Mi potranno dire che sto sbagliando, lo accetto, che sto dicendo il falso, lo accetto, che sono un retrogrado, lo accetto, non ho problemi. Però voglio che la mia voce suoni per il futuro dell’Argentina quando si parla di dignità umana perché sono una persona coerente con la difesa della vita, della giustizia e la dignità della persona. Luis Gustavo Contigiani.

 

 
Chi volesse ringraziare e manifestare vicinanza e solidarietà a Luis Gustavo Contigiani può farlo tramite i suoi account Twitter e Facebook.

La redazione

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