Qui si svolse il Concilio di Nicea? Una chiesa di 1600 anni rinvenuta in un lago turco

Gli archeologi che stanno esplorando un lago in Turchia hanno scoperto una antica basilica cristiana, risalente a 1.600 anni fa, che potrebbe essere stata la sede del famoso Concilio di Nicea, tenutosi nel 325 d.C.

 

L’archeologo Mustafa Şahin dell’Università Bursa Uludağ, ha scoperto una antica chiesa a tre navate usando fotografie aeree. La basilica è sepolta sotto al lago Iznik vicino all’attuale città di Iznik, che anticamente era conosciuta appunto come Nicea. «Quando ho visto per la prima volta le immagini del lago, sono rimasto piuttosto sorpreso nel vedere una chiara struttura ecclesiale», ha riferito l’archeologo. «Stavo facendo ricerche a Iznik dal 2006 e non avevo mai scoperto una struttura così magnifica».

Un terremoto del 740 d.C. distrusse la chiesa che ora si trova a circa 3 metri sotto al livello dell’acqua e a 50 metri dalla riva dalla riva. All’interno sono state trovate alcune tombe che custodivano monete risalenti agli imperatori romani Valente (che regnò dal 364 al 378 d.C.) e Valentiniano II (dal 375 al 392). Secondo gli studiosi potrebbe trattarsi della sede in cui si volge il Primo Concilio di Nicea, convocato dall’imperatore Costantino nell’anno 325.

Quest’anno sono state effettuate altre scoperte importanti per la storia ebraico-cristiana. Una su tutte: la studiosa Eilat Mazar ha infatti annunciato di avere trovato in scavi nei pressi del Muro del Pianto un piccolo reperto, risalente a 2700 anni fa, che sarebbe appartenuto al profeta Isaia. Se venisse confermata sarebbe una scoperta eccezionale in quanto rappresenterebbe il primo “contatto” fisico con uno dei più grandi profeti della Bibbia.

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Religione vs scienza? «Il caso Galileo non fu quel che tutti pensano»

L’ultimo libro dello storico Yves Gingras, docente presso l’Università del Quebec, si intitola L’Impossible Dialogue. Sciences et religions (Polity Press 2017). Il rapporto tra scienza e religione viene descritto come conflittuale, addirittura in antagonismo, ma il saggio ha ricevuto una pesante stroncatura dallo storico della scienza Peter Harrison, direttore dell’Institute for Advanced Studies in the Humanities presso l’University of Queensland.

«Considerare la religione come un tentativo di offrire una spiegazione scientifica del mondo», ha commentato Harrison, «è come sostenere che un balletto sia un tentativo fallito di correre per prendere un autobus». L’unico modo per parlare di un “conflitto” tra scienza e fede, è quello di credere che «le due imprese intellettive competano per lo stesso territorio esplicativo». E non è affatto così.

Le intenzioni di Gingras di ripristinare un conflitto è in antitesi con quanto affermano «gli storici delle relazioni scienza-religione, i quali oggi parlano abitualmente di “mito del conflitto”, una storiografia distante e screditata che sorse nel diciannovesimo secolo». Il revisionismo dello storico canadese inizia nel 13° secolo, con le tensioni tra università e chierici. Eppure, ha commentato Harrison, «è lo stesso Gingras ad ammettere che fu la Chiesa a fondare le università medievali, in primo luogo» e che «tra il 12° e il 18° secolo, il sostegno materiale e morale della Chiesa cattolica per lo studio dell’astronomia non ha eguali in nessun’altra istituzione». Tuttavia, sono innegabili le tensioni da lui descritte, «ma “religione” e “scienza” erano rappresentate da individui e istituzioni su entrambi i lati della controversia». I “religiosi”, infatti, erano sia i rettori o fondatori delle prime università che gli stessi professori.

La censura è, ovviamente, un cavallo di battaglia di chiunque voglia colpire la storia della Chiesa cattolica, compreso Gingras. Tuttavia, lo storico australiano obietta che tale lettura deriva «dall’incapacità di comprendere l’universalità dei regimi di censura e il loro obiettivo finale. Le restrizioni legislative imposte all’espressione di opinioni religiose, politiche, morali – e, in una piccola minoranza di casi, scientifiche – avevano anche l’obiettivo della conservazione dell’ordine sociale». Ovvero, ai tempi non esisteva un valido sistema legislativo e giudiziario e la garanzia dell’ordine sociale era sulle spalle dell’unica istituzione universalmente riconosciuta, la Chiesa. «Inoltre», ha proseguito Harrison, «le opinioni religiose avevano molta più probabilità, rispetto a quelle scientifiche, di essere sottoposte ai poteri coercitivi dello stato (e della Chiesa, nei casi in cui poteva esercitare il potere temporale). Anche i casi più determinati di resistenza a tali tentativi di controllo erano motivati ​​religiosamente. La storia della censura, quindi, non individua nulla di distintivo nel rapporto tra scienza e nella religione, dal momento che la “religione” stessa era l’obiettivo più comune della censura».

Tutto questo, inevitabilmente, ci conduce al caso Galileo: un pacchetto pronto per chi pone la religione contro la scienza. Ma, anche qui, le cose sono più complesse. «Innanzitutto, la teoria di Galileo mancava di prove e la sua argomentazione delle maree per il moto della Terra era semplicemente sbagliata», ha osservato il docente della Queensland University. «Non solo, ma l’assenza di parallasse stellare osservabile forniva prove apparentemente inattaccabili contro il moto della Terra. Il modello planetario di Tycho Brahe, con i pianeti in orbita attorno al sole ed il sole in orbita attorno a una Terra stazionaria, offriva una buona soluzione al compromesso e spiegava almeno alcune delle osservazioni telescopiche di Galileo senza le difficoltà fisiche di mettere in moto la Terra. In breve, in quel momento non c’era consenso nella comunità scientifica sul fatto che Galileo avesse ragione e, al contrario, vi erano buone ragioni per pensare che avesse torto. Da parte sua, la Chiesa, era ben informata su tutto ciò».

Alla luce della storia della scienza, nata e promossa sotto l’ala della Chiesa medievale, «lo sfortunato processo di Galileo fu l’eccezione piuttosto che la regola», ha concluso lo storico australiano. «Offrire uno status emblematico del caso Galileo è un po’ come proporre, sulla base dell’analisi del processo ed esecuzione di Socrate da parte degli Ateniesi, che gli antichi greci erano implacabilmente opposti alla filosofia». Per questo le argomentazioni di Gingras «non rivelano nulla di nuovo e rafforzano ciò che gli storici della scienza hanno sempre detto: il quadro storico è complicato, e il conflitto tra scienza e religione non è né inevitabile né costituisce uno schema duraturo».

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Lucio Battisti e il brano “L’Aquila”, così autenticamente religioso

Lucio Battisti, le canzoni e la morte. Nel giorno dell’anniversario della sua scomparsa segnaliamo una sua canzone meno conosciuta, “L’Aquila”, ma anche quella più autenticamente religiosa. Cioè, consapevole di un bisogno insoddisfabile.

 

Vent’anni anni fa la morte di Lucio Battisti, era il 9 settembre 1998.

La scomparsa di uno dei più grandi protagonisti della musica italiana, che ha fatto cantare intere generazioni e i cui brani fanno da colonna sonora della vita, della giovinezza, di milioni di persone.

Il perfetto sodalizio formato dai testi di Giulio Rapetti Mogol uniti alla voce e alla musica di Battisti è venuto meno per vicende economiche sulla divisione equa dei diritti, la pressione politica ha invece allontanato Lucio dalle scene.

Mogol lo ha recentemente raccontato: «Glielo consigliai io. Almeno all’inizio. Poi si convinse da solo. Negli anni Settanta fecero piangere De Gregori quando lo accusarono, lui di sinistra, di essere uno sporco miliardario. E il ’68 era stato una follia: o eri falce e martello, Mao Tse-tung o eri un fascista. Gli dissi: “Non andare più in giro, finiranno per sputarti addosso, meglio stare a casa che essere contestato nei concerti”».

Forse il grande limite di Battisti-Mogol, almeno a nostro avviso, è non aver toccato temi più profondi, più riflessivi sull’esistenza e sul suo mistero, come invece ha avuto il merito di fare molte volte Vasco Rossi.

 

Battisti e “L’Aquila”, un brano leopardiano.

C’è un’eccezione, però.

Di tutto il repertorio di Battisti, esiste un pezzo a cui siamo particolarmente affezionati e il titolo è L’Aquila.

Un brano che definiamo leopardiano perché, appunto, ricorda seppur alla lontana le vertiginose riflessioni di Giacomo Leopardi. Un uomo che percepisce un bisogno dentro sé, che si guarda attorno e vede solo un mondo indifferente ed incapace di rispondere. E perfino lei, l’amata, non è in grado di farlo.

«Il fiume va, guardo più in là. Un’automobile corre e lascia dietro sé del fumo grigio e me, e questo verde mondo indifferente perché, da troppo tempo ormai apre le braccia a nessuno, come me che ho bisogno di qualche cosa di più che non puoi darmi tu. Un’auto che va, basta già a farmi chiedere se, io vivo»

.

Parole che ricordano quel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, protagonista dell’omonima e stupenda poesia del poeta di Recanati: «E quando miro in cielo arder le stelle; Dico fra me pensando: a che tante facelle? Che fa l’aria infinita, e quel profondo Infinito seren? che vuol dir questa solitudine immensa? ed io che sono?»

Quello raccontato da Battisti e da Leopardi è l’uomo autentico e leale davanti al grande enigma della vita, colui che si accorge lucidamente di una mancanza, di un bisogno, di una tensione verso qualcosa d’ignoto e, allo stesso tempo, drammaticamente comprende che non può rispondersi da se stesso: «ho bisogno di qualche cosa di più, che non puoi darmi tu».

 

L’arte e l’insopprimibile senso religioso

La natura prosegue il suo corso, cinica rispetto al dramma umano, le auto passano e le stelle ardono. Ma a che scopo, se non sono in grado di dare un senso all’esistenza? A che tante facelle? Ed io, che sono? Io, vivo?

E forse Pär Lagerkvist, Nobel nel 1951, fa un passo ulteriore in avanti. «Uno sconosciuto è il mio amico, uno che io non conosco», scrive. «Per lui il mio cuore è pieno di nostalgia. Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza?/ Che colmi tutta la terra della tua assenza (da Uno sconosciuto è il mio amico). Lo scrittore svedese arriva così a dare del “tu” a questo bisogno, a questo ignoto, a questa “x” verso cui l’uomo, tutti gli uomini, ultimamente sono in tensione.

E quel “tu” che compie le attese del cuore, noi cristiani lo testimoniamo, potrà mai essere quell’Uomo che pretese dirsi “via, verità e vita” e che né Battisti, né Leopardi, né Lagerkvist hanno preso realmente in considerazione come risposta (almeno, per quanto è noto)?

 

Benedetto XVI e l’Infinito ricercato dall’uomo.

Crediamo che meglio di Battisti, meglio di Leopardi, meglio di Lagerkvist sia stato nel 2006 Benedetto XVI ad esprimere meglio cosa significhi la “religiosità” dell’uomo:

«L’uomo “sa”, ne ha il confuso e nitido presentimento, di essere fatto per una destinazione infinita, che sola può colmare quello “spazio” che egli sente di avere dentro di sé, uno spazio che chiede di essere riempito. Inquietudine, insoddisfazione, desiderio, impossibilità di acquietarsi nelle mete raggiunte: queste sono le parole che definiscono l’uomo e la legge più vera della sua razionalità. Egli avverte un’ansia di ricerca continua, che vada sempre più in là, sempre oltre ciò che è stato raggiunto. Dio, l’infinito, si è calato nella nostra finitudine per poter essere percepito dai nostri sensi, e così l’infinito ha “raggiunto” la ricerca razionale dell’uomo finito. Sta qui la “rivoluzione” cristiana: Dio Creatore “raggiunge”, oggi e permanentemente, la ricerca razionale dell’uomo tra gli uomini: “Io sono la via, la verità e la vita”»

.

 

Qui sotto il brano “L’Aquila”

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Il Vaticano sapeva di McCarrick dal 2000: cosa c’entra Francesco?

McCarrick e il Vaticano. C’è la conferma che purtroppo la Segreteria di Stato era a conoscenza dal 2000 delle accuse di omosessualità a carico del controverso cardinale, prima che venisse creato cardinale e quando Bergoglio era ancora un lontano vescovo in Argentina. Eppure, per il dossier Viganò, Francesco è il capro espiatorio, l’unico colpevole.

 

Va bene tutto, ma quello che ha detto mons. Viganò è vero, sì o no? Questa è la domanda da porsi e fin da subito lo abbiamo fatto. La risposta è la stessa già data poche ore dopo il suo dossier: il lungo racconto di 11 pagine non è corroborato da prove, soltanto indagini interne potranno fare luce. Tuttavia, la sua accusa al Papa -il cuore del suo intervento e anche il vero scopo dell'”operazione”-, è basata su una menzogna. L’ennesima conferma la si è avuta nelle scorse ore: il Vaticano era a conoscenza delle accuse al card. McCarrick di comportamenti immorali con seminaristi adulti fin dal 2000, quando Bergoglio non era nemmeno cardinale.

«Era evidente che a partire dalla elezione di papa Francesco, McCarrick, ormai sciolto da ogni costrizione, si era sentito libero di viaggiare continuamente, di dare conferenze e interviste, ed era il consigliere più ascoltato in Vaticano per i rapporti con l’amministrazione Obama». Ecco il passaggio chiave del dossier Viganò, dove ci si riferisce al card. McCarrick sul quale gravavano voci di rapporti omosessuali nel passato. Francesco, scrive Viganò, avrebbe disatteso precise direttive ad una vita riservata che Benedetto XVI avrebbe imposto, seppur in ritardo, a McCarrick. Ma la ricostruzione dell’ex nunzio si è dimostrata falsa (come quella sul caso Kim Davis): il cardinale americano faceva beata e tranquilla vita pubblica ben prima dell’inizio del pontificato di Francesco (marzo 2013), partecipando alla vita cattolica di New York e frequentando il Vaticano, al cospetto di Benedetto XVI. Ironia della sorte, lo stesso Viganò lo premiò pubblicamente come “Ambasciatore pontificio”, esprimendogli affetto e celebrando l’Eucarestia con il prelato che sapeva essere un abusatore di seminaristi (abuso di potere).

Dunque, come abbiamo scritto, se Viganò dice il vero, la sua accusa purtroppo coinvolge anche e sopratutto Benedetto XVI. Padre Boniface Ramsey, parroco della chiesa di San Giuseppe Yorkville a New York, ha rivelato che nel 2000 riportò all’allora nunzio apostolico, Gabriel Montalvo, lamentele ricevute da seminaristi nei confronti dell’arcivescovo Theodore E. McCarrick. Non ricevette risposta, se non nel 2006 quando Leonardo Sandri, ex sostituto del Vaticano per gli affari generali, si informò del caso mostrando che la lettera scritta sei anni prima raggiunse Roma.

Lo stesso Viganò nel suo dossier ha dichiarato che la Segreteria di Stato venne informata già nel 2000 delle accuse all’arcivescovo McCarrick, che «ha condiviso il suo letto con i seminaristi». L’informazione dell’ex nunzio è stata quindi confermata. Peccato che, poche ore prima, su LifeSiteNews, Viganò -oltre a sostenere che l’ex portavoce di Benedetto XVI, padre Federico Lombardi, sarebbe un bugiardo- è tornato ad attaccare Francesco: «i media devono continuare ad affrontare il vero problema: che Francesco ha coperto McCarrick per cinque anni, permettendogli di mietere altre vittime». Una ennesima bugia: non ci sono state altre vittime di McCarrick tra il 2013 e il 2018, ma nel 2018 si è conclusa un’indagine da parte dell’arcidiocesi di New York che ha ritenuto “credibile” un’accusa di atti pedofili risalente agli anni 1971-1972, in seguito alla quale il Papa gli ha immediatamente tolto la berretta cardinalizia.

Non si capisce perché Viganò sia ossessionato con Francesco quando il Vaticano conosceva il passato di McCarrick dal 2000, moltissimo tempo prima. Nel novembre 2000 venne nominato arcivescovo di Washington, il 3 gennaio 2001 fu nominato cardinale da Giovanni Paolo II, nel 2005 partecipò al Conclave che elesse Benedetto XVI, nel 2006 rassegnò le dimissioni per il raggiungimento dei 75 anni e tuttavia continuò a presenziare ad eventi pubblici, a celebrazioni eucaristiche in Saint Patrick’s Cathedral, nel 2012 venne ricevuto in udienza dal Papa emerito, partecipò al suo compleanno, celebrò messa sulla Tomba di Pietro ecc. Solo nel 2013 fu eletto Papa Francesco. Il quale, però, è l’unico a venire incolpato di “coperture” da mons. Viganò, nonostante un trascorso di 13 anni in cui le alte gerarchie sapevano e Francesco era un semplice vescovo (e poi cardinale) argentino.

E’ amara l’evidenza che l’operazione Viganò, al di là degli abbondanti sforzi di usare l’attuale Papa come capro espiatorio di tutto, si è trasformata in un atto d’accusa ai pontificati precedenti, di come sia stato gestito male questo caso (che comunque non ha gravi risvolti penali, poiché si tratta di un prelato accusato di molestie verso adulti e di atti omosessuali in passato): il dossier «ha condotto, non molto sorprendentemente, ad una riconsiderazione del ruolo svolto dai due papi precedenti nel mantenere segreto il comportamento di McCarrick», è stato scritto. «Francesco è il primo papa che non solo ha preso una pubblica azione contro McCarrick, ma ha anche “accettato” le dimissioni di alcuni vescovi colpevoli di aver nascosto sacerdoti sessualmente violenti. C’è voluta meno di una settimana – tra il 26 agosto e l’1 settembre – ai giornalisti per iniziare a riempire il quadro reale dietro la “testimonianza” di Viganò: se un violentatore sessuale è stato autorizzato a diventare cardinale e arcivescovo di Washington, è a causa di ciò che l’intero sistema ecclesiastico sotto i papati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI ha fatto e non ha fatto».

Il solo presentimento che “l’operazione Viganò” potesse portare Benedetto XVI sul banco degli imputati ha risvegliato il suo storico hater mediatico italiano, il vaticanista de Il Fatto Quotidiano, Marco Politi. Dopo anni di silenzio è tornato a scrivere, a sostegno dell’ex nunzio, per colpire Ratzinger e Wojtyla: «Si può solo immaginare che il neo-eletto papa Francesco abbia esitato nel rendere palese che la struttura di comando dei suoi due predecessori – Benedetto XVI e Giovanni Paolo II – aveva sistematicamente protetto un personaggio che aveva commesso “abuso di potere e di coscienza”».

Nei giorni scorsi, il vaticanista Edward Pentin ha riportato le parole di uno stretto collaboratore di Papa Ratzinger, che ha smentito l’ex nunzio Viganò sulla presunta sanzione imposta al card. McCarrick. Niente di tutto ciò, ha detto, «nessun decreto formale, solo una richiesta privata a tenere un basso profilo». La fonte ratzingeriana avrebbe anche commentato la mancata severità della sanzione con queste parole: «Talvolta è meglio che ciò che dorme sia lasciato dormire», osservando che dopo l’essere andato in pensione come arcivescovo di Washington DC, McCarrick ha continuato a essere «molto presente» e «influente ai massimi livelli – ecclesiastico, culturale e politico». Ma come? Non era proprio Viganò ad aver scritto che McCarrick divenne influente e libero di costrizioni soltanto “a partire” dall’elezione di Bergoglio?

«Se lo scopo di mons. Viganò era di concorrere alla pulizia nella chiesa questa non è la strada», ha commentato il filosofo Massimo Borghesi. «Il vero scopo è, in realtà, il finale della sua lettera: la richiesta di dimissioni del Papa. Una cosa enorme che presuppone colpe gravissime. Viganò non vuole la riforma della chiesa, vuole la caduta del Papa! Il resto è palesemente strumentale a questo obiettivo». E tuttavia, continua Borghesi, «Francesco è sotto il fuoco dei riflettori per colpe che risalgono a ben prima del suo pontificato. La chiesa statunitense, quella che negli ultimi 40 non si era accorta di nulla riguardo agli abusi sessuali del clero, ora, d’improvviso, si sveglia e non trova di meglio da fare che riversare sul Papa la responsabilità delle proprie colpe».

 

AGGIORNAMENTO ore 20:00
Viene ulteriormente confermata la notizia che mons. Viganò ha protetto l’arcivescovo conservatore Nienstedt, accusato di pedofilia. Si legge su Religion Digital: «Un’altra prova della totale mancanza di credibilità dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, che intende accusare il Papa di insabbiamento dei reati dell’ex cardinale Theodore McCarrick». Non siamo d’accordo: non è l’oscuro passato di Viganò a rendere automaticamente non credibili le sue accuse: l’ex nunzio potrebbe raccontare fatti veri anche se fosse un insabbiatore, come sembra emergere più chiaramente giorno dopo giorno, e anche se è il primo ad aver onorato pubblicamente McCarrick, come è stato dimostrato. L’ipocrisia è dilagante negli accusatori del Papa e non è una novità. Tuttavia, è solo prendendo sul serio il suo dossier che emergono le sue omissioni, ed è solo così che crolla il suo impianto accusatorio verso Francesco.

 

AGGIORNAMENTO 09/09/18
Il giornalista Carlo Tecce de Il Fatto Quotidiano ha scritto di una conferma della Santa Sede su un’indagine interna disposta da Francesco per far luce sul passato del card. McCarrick e per capire come abbia potuto fare carriera negli ultimi 18 anni. L’opinionista anticlericale ammette anche che le prove «scoperte dai bergogliani», intesi come i difensori del Papa, «assolvono Francesco» dalle accuse di Viganò. Anche il Washington Post ha preso atto che Viganò, dopo che il suo racconto si è rivelato falso in quanto McCarrick frequentava il Vaticano ben prima di Francesco, «ha modificato la sua storia per dire che mentre le misure di Benedetto erano in vigore, McCarrick “non ha obbedito” ad esse e Vigano non è stato in grado di farle rispettare». Ne avevamo parlato anche noi. E ancora: «Il conservatore National Catholic Register, citando qualcuno vicino a Benedetto XVI, ha riferito che il Papa emerito non ha potuto ricordare come ha gestito la questione, ma che non c’era alcun decreto formale contro McCarrick , “solo una richiesta privata” a mantenere un basso profilo. Se fosse vero, ciò minerebbe l’accusa principale di Vigano secondo cui Francesco avrebbe riabilitato McCarrick da precise sanzioni canoniche».

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Don Page, il fisico che cercò di convertire il suo amico Hawking

Stephen Hawking e la religione. E’ curiosa l’esperienza vissuta dal prof. Don Page: vivere a casa del più grande scienziato vivente, Stephen Hawking, e cercare di annunciargli il messaggio cristiano.

 

Don Page, professore di Fisica all’Università di Alberta (Canada), è stato uno degli ex studenti, amici e colleghi più vicini al celebre fisico e cosmologo britannico, affetto da Sclerosi laterale amiotrofica, deceduto nel marzo 2018. Assieme ad Hawking ha firmato diversi studi scientifici, essendo uno dei maggiori esperti mondiali di fisica gravitazionale teorica e di cosmologia quantistica. L’eminente fisico canadese, al contrario di Hawking, è anche un devoto cristiano che ama argomentare razionalmente il suo teismo.

«Dal momento che per me la totalità dei dati, incluse le prove storiche per la Risurrezione di Gesù», ha scritto ad esempio in una lettera aperta rivolta a Sean Carroll e a William Lane Craig, «si spiega semplicemente postulando che c’è un Dio che è il Creatore dell’universo, credo per fede che Dio è davvero la causa dell’universo. In considerazione di tanti argomenti, inclusa l’eleganza delle leggi della fisica, l’esistenza di esperienze senzienti ordinate e l’evidenza storicistica, credo che Dio esista e penso che il mondo sia più semplice se contiene Dio, rispetto al contrario. Per questo non credo affatto che il naturalismo sia più semplice del teismo».

Tra il 1976 e il 1979 Don Page visse con Hawking e sua moglie, Jane Wilde Hawking (anche lei cristiana), in quanto la coppia -prima della pubblicazione del bestseller Dal Big Bang ai buchi neri. Una breve storia del tempo– non era finanziariamente benestante. Come ha raccontato il chimico Henry F. Schaefer, nel libro che Page ha scritto sul film dedicato a Stephen Hawking, il fisico canadese ha raccontato a proposito dell’esperienza a casa Hawking: «Di solito mi alzavo alle 7:15 o alle 7:30 del mattino, facevo una doccia, leggevo la mia Bibbia e pregavo, poi scendevo alle 8:15 e andavo a trovare Stephen. A colazione avrei spesso voluto raccontargli quello che avevo letto nella Bibbia, sperando che questo avrebbe avuto qualche influenza su di lui. Ricordo che un giorno ho raccontato a Stephen una storia di come Gesù aveva incontrato un uomo impazzito, indemoniato e Gesù cacciò i demoni in un branco di maiali i quali si precipitarono oltre il bordo della scogliera. Stephen ha risposto: “Beh, la Società per la prevenzione dalla crudeltà verso gli animali non gradirebbe quella storia!”».

Certamente il racconto di Page è ironico e puramente aneddòtico, probabilmente anche lui sa che non basta raccontare i passi biblici per condividere l’esperienza cristiana con chi cristiano non è. L’unica cosa che davvero converte è l’incontro con una umanità carica di attrattiva, perché lieta e felice. E’ così che il cristianesimo si è diffuso a macchia d’occhio nei secoli. E’ proprio questo incontro che, forse, è mancato ad Hawking, una persona che ha sempre dimostrato di avere una ragione aperta -nonostante i suoi grandi errori filosofici- e da sempre interessato alle questioni ultime dell’esistenza e dell’universo.

Rimane interessante l’amicizia tra Hawking e il suo ex studente Page e abbiamo colto l’occasione per far conoscere tale eminente fisico, già inserito nel nostro elenco dei principali scienziati credenti ed in quello sulle loro citazioni. Tra cui questa: «Sono un cristiano e credo che Dio abbia creato l’intero universo. Certo, come fisico sto cercando di capire un po’ di più su come l’ha creato o in quale stato lo ha creato. Ma penso che le leggi fisiche dimostrino la fedeltà di Dio e gli schemi che ha usato. D’altra parte, non penso che tali leggi siano vincolanti per lui, è una Sua scelta creare attraverso esse». E ancora: «Cerco di prendere sul serio la Bibbia. Certo, so che alcune parti non sono pensate per essere lette letteralmente, quindi non sono proprio un letteralista. Ma cerco di credere nel significato che trasmettono, penso che il punto principale della Bibbia sia come Dio ha creato l’uomo a sua immagine, e l’uomo è caduto e si è ribellato a Dio, e poi Dio ha offerto la via di riconciliazione attraverso Cristo e la sua morte in croce. Penso che probabilmente si concentri principalmente sulla relazione dell’uomo con Dio, senza tentare di rispondere a domande come quelle se Dio avesse avuto altri scopi nel creare l’universo».

La redazione

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Unioni civili per lo 0,02% della popolazione. E la Cirinnà strillava: «Sono urgenti!»

Unioni civili in Italia e la legge Cirinnà. I dati evidenziano l’inutilità di una legge ideologica imposta dopo due anni di furiose battaglie che bloccarono il Paese, cercando di convincerci che fosse una necessità impellente ed urgente richiesta dal popolo.

 

«Mi state dicendo che abbiamo bloccato il Paese per due anni per lo 0,02% della popolazione? E poi ci lamentiamo della natalità, delle politiche familiari assenti, del fatto che i giovani non hanno futuro». Così Gigi De Palo, presidente del Forum delle famiglie, ha commentato la conferma di ciò che già tutti sapevamo: al 1° gennaio 2018 coloro che hanno beneficiato delle unioni civili sono lo 0,02% della popolazione italiana. Sono crollati i matrimoni, mentre aumentano i divorziati.

Lo ha certificato l’Istat, segnalando anche che gli uniti civilmente hanno un’età media di 49,5 anni se maschi e di 45,9 anni se femmine. «Le unioni civili sono urgenti!», ripeteva instancabilmente la senatrice Monica Cirinnà, autrice della discussa legge sulle unioni civili. E, a pappagallo, ripetevano a ruota anche i cosiddetti “cattodem”, i cattolici militanti nel Partito Democratico (ma anche gran parte dei cattolici di Forza Italia). «Questa legge è urgente», diceva il senatore Giorgio Tonini. Nel frattempo Papa Francesco ripeteva che «non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione», aggiungendo, che le convivenze «sono nuove forme, totalmente distruttive e limitative della grandezza dell’amore del matrimonio».

I Grasso, le Boldrini, le Cirinnà e i Matteo Renzi crearono una bagarre ideologica a favore di 13mila persone, abbandonando 29 milioni di coniugati: «Chi voleva mettere su famiglia è stato trascurato e abbandonato. Chi, invece, è riuscito nell’impresa di sposarsi, è stato condannato all’indigenza, a non arrivare fino alla fine del mese», ancora il commento di De Palo. «Uno Stato che costringe le giovani coppie ad andare all’estero, perché qui non è possibile fare un figlio, è uno Stato che ha perso la sua dimensione umana». E la vera urgenza è sempre stata una seria politica a favore della famiglia.

Sembra che nemmeno l’attuale governo abbia molta premura da questo punto di vista, anche considerando che il ministro Fontana è privo di portafoglio. Le recenti dichiarazioni della fidanzata di Salvini, Elisa Isoardi, sulla necessità dello Stato di occuparsi dei “diritti civili” (e sappiamo tutti che dietro a questa formula si nasconde l’arcobaleno), vanno proprio nella direzione opposta.

La redazione

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Il card. Carlo Caffarra: «chi è contro al Papa se ne vada, perderà se stesso»

Il card. Caffarra, i dubia e Papa Francesco. A un anno dalla morte dell’ex arcivescovo di Bologna, in tanti lo stanno ricordando. Tra essi anche i contestatori del Papa, che lo hanno esaltato dopo le perplessità manifestate in seguito ad Amoris Laetitia. Ma tre anni prima della scomparsa don Carlo impartì un insegnamento su cui molti hanno evitato di riflettere.

 

Creato cardinale dal Benedetto XVI nel 2006, il Carlo Caffarra è sempre stato un lucido testimone, un riferimento internazionale di teologia morale. «Un grande maestro», lo ha definito ieri mons. Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, durante la Messa in suffragio, celebrata da Matteo Zuppi, attuale arcivescovo di Bologna. «Il suo compito innanzitutto come teologo, poi come vescovo, è stato quello di abbeverarsi continuamente alla verità di Dio per trasmetterla al popolo che gli era affidato. Ha saputo coniugare continuamente la ragione con le ragioni della fede, ci ha mostrato i sentieri che la ragione può percorrere e quelli che solo la fede sa illuminare. Sono contento di aver conosciuto don Carlo, di aver potuto vivere con lui tanti momenti della mia maturità e della mia incipiente vecchiaia, di essere stato testimone del suo infinito amore per la Chiesa e per il papa».

Un finale non casuale, quello del vescovo Camisasca, dato che per molti il nome Caffarra è ridotto ad uno dei cardinali dei dubia, le cinque questioni formali poste al Papa e alla Congregazione per la Dottrina della Fede in merito ad un capitolo dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia. Richieste di chiarimento che da subito abbiamo considerato legittime, seppur condividendo con l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller, la perplessità nella scelta di renderle pubbliche. Una decisione che, con il senno di poi, non ha aiutato a molto se non a trasformare il tutto -al di là delle genuine intenzioni dei cardinali- in un esacerbante ricatto pubblico. «Non mi è piaciuto. E’ un danno per la Chiesa discutere di queste cose pubblicamente», commentò Müller. Dubia criticati anche recentemente dal card. Angelo Scola, ex arcivescovo di Milano: «rivelano un’impostazione intellettualistica dove la teologia e la morale sono concepiti in termini deduttivistici. Inoltre i “dubia”, a mio avviso, non mettono in sufficiente rilievo la natura sponsale dell’Eucarestia come fondamento del matrimonio, che è all’origine della sua rilevanza ecclesiale» (A. Scola, L. Geninazzi, Ho scommesso sulla libertà, Solferino edizioni 2018).

Crediamo che non sarebbe piaciuto al cardinale sapere che gli atti di un convegno in suo onore sono appena stati pubblicati dall’editore veronese Fede & Cultura, che nonostante alcuni buoni libri editati, negli ultimi anni purtroppo è diventato lo sponsor più accanito di Alessandro Minutella, prete sospeso a divinis, ed organizzatore dei raduni veronesi del santone tradizionalista che inneggia lo scisma nella Chiesa. Giovanni Zenone, presidente di Fede&Cultura e fedelissimo di don Minutella –difeso da La Nuova Bussola Quotidiana come “difensore della retta dottrina cattolica”-, è stato estromesso dall’insegnamento di religione nelle scuole dal vescovo Zenti, sia perché alcuni genitori si lamentarono dell’uso del Catechismo di san Pio X (piuttosto che l’attuale), sia per la frenetica attività di blogger antipapista. Non solo verso Francesco, ma anche contro Pio IX e Benedetto XVI il quale, ha scritto Zenone, è «infestato dal vizio della viltà spacciata per prudenza».

Dato che il buon nome del card. Caffarra è oggi usato da realtà che hanno poco a vedere con il cattolicesimo, è utile riprendere un insegnamento dell’ex arcivescovo di Bologna quando nel 2014 qualcuno lo definì “avversario” di Papa Francesco. «E’ una cosa che mi ha profondamente amareggiato, perché è calunniosa», rispose Caffarra, soppesando ogni parola. «Io sono nato papista, sono vissuto da papista e voglio morire da papista! Se un vescovo ha un pensiero contrario a quello del Papa», concluse, «se ne deve andare, ma proprio se ne deve andare dalla diocesi. Perché condurrebbe i fedeli su una strada che non è più quella di Gesù Cristo. Quindi perderebbe se stesso eternamente e rischierebbe la perdita eterna dei fedeli».

Un avvertimento ben poco ascoltato, quello di Caffarra. Parole per nulla diplomatiche, non tirò fuori il diritto (relativista) di criticare il Papa quando sbaglia o i paginoni sulle eccezioni all’infallibilità papale, giustificazioni che sempre si leggono a difesa di ogni tipo di insulto o volgarità nei confronti dell'”eretico” Pontefice. Opporsi frontalmente, resistere pregiudizialmente, tenacemente ed orgogliosamente al Successore di Pietro significa per Caffarra incamminarsi sulla strada della perdizione eterna. Se le domande su Amoris Laetitia furono diffuse nel 2016, nell’aprile 2017 Caffarra e Bergolio si incontrarono nel Duomo di Carpi, abbracciandosi fraternamente. Cinque mesi dopo il Signore chiamò a sé l’amato arcivescovo emiliano e quel pubblico gesto di affetto parlò più tanti dubia.

 

Qui sotto il video in cui il card. Caffarra prese le distanze dagli antipapisti (pubblicato sul nostro canale Youtube)

 
La redazione

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Le risposte della giovane novizia abbagliano il giornalista ateo


 
di Jordi Llorca
intervista pubblicata su Vice, 09/05/18

 

Ci sono persone che sono esseri di luce. Non parlo di connessioni con qualche Dio, non fraintendermi, ma sono persone con un io abbagliante, che hanno lavorato così tanto sulla loro psiche, sul loro modo di vivere, che quando ci si parla provocano una tale catarsi da far barcollare la tua miserabile esistenza.

È successo a me con Carla Vilallonga, una giovane novizia di 31 anni. La sua particolare vocazione, la sua sofferenza prima di trovare risposte, i suoi anni di eccessi, la sua mentalità aperta, il suo desiderio, la sua curiosità e, soprattutto, la sua fede hanno affascinato il mio ateismo, ricordandomi che il modo in cui interpreto la realtà è solo uno dei tanti all’interno del disorientamento generale.

Lei è una novizia da 4 anni e appartiene all’Associazione Memores Domini, fondata da Luigi Giussani e approvata dalla Santa Sede nel 1988, dove povertà, celibato e obbedienza sono vissute nell’ambito del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione, avendo come campo di apostolato il mondo del lavoro.

 

Ciao, Carla. Siamo nel 2018 e solo il 3,4% dei giovani tra i 18 e i 24 anni è un cattolico praticante. Come sei diventata una novizia dei Memores Domini a 31 anni?
Ho ricevuto un’educazione cattolica e fin da piccola mi sono sempre chiesta il significato della mia esistenza. Era qualcosa che mi ossessionava. Sembrava che i miei amici non avessero quel “problema”. Inoltre, a scuola mi hanno parlato di Gesù di Nazareth, ma nessuno mi ha detto come viverlo ogni giorno. Questo mi ha portato ad avere una fede molto personale, una relazione con Dio, ma senza partecipare a parrocchie o gruppi, anche se ogni domenica andavo in chiesa.

Aspettavo che accadesse qualcosa di speciale nella mia vita ma non è mai arrivato, così all’età di 17 anni ho deciso di rinunciare a quell’attesa. Ho iniziato a vivere come i giovani intorno a me. Dai 17 ai 21 anni, uscire di notte è diventata la mia attività principale: ho usato la festa come ribellione perché non trovavo una risposta dentro o fuori casa. Ero solita tornare all’alba perché non sopportavo il vuoto di uscire di casa e di tornare senza aver trovato risposte. Avevo un grido dentro di me che mi ha angosciava molto.

E dove hai ricevuto la chiamata?
Ho frequentato l’università per un lungo periodo, dove ho ottenuto una doppia laurea in giornalismo e comunicazione audiovisiva. Avevo 22 anni ed in quel momento credevo che la Chiesa fosse un’istituzione punitiva che non mi avrebbe mai accettato, che mi avrebbe giudicato per tutte le cose cattive che avevo fatto. Pensavo fosse un’istituzione malvagia e mi è persino venuto in mente che sarebbe stato meglio che la Chiesa non esistesse.

Sono andata in Erasmus in Germania e una domenica ho accompagnato un amico a messa. Era la prima volta da quando avevo 19 anni. Mentre ero lì, “qualcosa” è accaduto che avrebbe cambiato tutto in me. Quel “qualcosa” mi ha detto: “Ecco quello che stai cercando”. Non era nessuno, era una cosa che veniva da fuori e me lo diceva. Avevo tanta voglia di piangere. Quando sono tornata a Madrid, al battesimo di un cugino, mi è successa la stessa cosa: “Ecco la verità della vita”. Mi sono arrabbiata molto perché improvvisamente mi sono resa conto che avevo bisogno che Dio vivesse.

Sapevi già di voler consacrare la tua vita a Dio o c’è stato bisogno di qualche altra detonazione?
In seguito ho iniziato a conoscere, per “caso”, molti credenti: all’università, ad un matrimonio… In tutti loro una luce speciale brillava, ma poi quella luce non è rimasta e ho iniziato ad arrabbiarmi con Dio. Era come se un’onda del mare ti accarezzasse sulla riva e poi ti lasciasse. Pensavo: “Ti ho incontrato, ma preferirei non averlo fatto: o resti o te ne vai, ma non esitare”.

Ho così continuato a cercare in mille modi diversi, fino a quando ho incontrato un bellissimo ragazzo di Comunione e Liberazione (CL) che mi ha invitato ad un evento culturale chiamato EncuentroMadrid (EM). Mi aspettavo che ci saremmo innamorati, ma quello che è successo là è stato definitivo per me.

Il bel ragazzo mi stava presentando a molte persone e mi sono resa conto che non c’era motivo di aspettare che sorgesse l’amore. All’improvviso mi ha presentato Carmen, una donna italiana, e si è poi girato a parlare con altre persone. Ho deciso di essere presente davanti a lei invece di lamentarmi, e questa donna mi ha guardato con uno sguardo che mi ha completamente trafitto. Nessuno mi ha aveva mai guardato in quel modo; Era come una calamita e sentivo che sapeva tutto di me. Non ho capito come, ma non mi importava. Quando sono tornata a casa ho scritto nel mio blog, riferendomi a me stessa, in terza persona: “Sì, ora era finalmente lei”. Finalmente ero me stessa.

Il giorno seguente sono andata ad un altro incontro di CL in una parrocchia in cui un gruppo di persone parlava di se stessa come fossero alcolisti anonimi. Sono andata in crollo nuovamente: “Non può essere che l’onda del mare si sia allontanata di nuovo!”. In quel momento Carmen, la signora italiana, ha preso la parola senza sapere che ero lì. Ha iniziato a parlare di come si era sentita guardata da me! Ho capito tutto quando ha detto: “Cos’altro può accadere tra noi se Cristo non fosse presente?”. Lì ho deciso che sarei rimasta in quel posto per sempre. Ho anche saputo che lei era dei Memores Domini .

Dopo alcuni mesi, una ragazza con cui avevo fatto amicizia e che, anche lei, aveva un bagliore speciale, mi disse che stava per iniziare il noviziato proprio nei Memores Domini. In quel momento sentii che Dio era lì e mi diceva: “Questo è per te”. Ecco quando l’ho visto chiaramente.

Che viaggio! La verità è che sto empatizzando molto con te nonostante il mio ateismo, perché questo vivere al massimo la postmodernità lascia un vuoto enorme. Cos’hanno detto i tuoi amici e la tua famiglia quando glielo hai annunciato?
Distinguerei due momenti. Il primo è quando ho incontrato questo movimento. Per molto tempo ero riluttante e rinchiusa in casa ed, improvvisamente, ero felice. Mio padre mi ha detto: “O è una setta o è la verità”. Altri amici volevano parlare con me perché erano preoccupati. Erano abituati a vedermi sempre insoddisfatta e alla ricerca.

Con la notizia della vocazione è stato bello, tutti erano molto felici. C’erano persone che dicevano di non capire nulla, ma poiché mi vedevano felice, erano felici. Un’altra persona della mia famiglia mi ha anche detto che avrebbe voluto trovare, come me, “qualcuno che mi salvi”. Tranne per due zie, tutti mi hanno supportato.

Mi hai detto che hai vissuto un periodo di dissolutezza. Hai avuto esperienze sessuali?
Beh diciamo che in quella epoca uscivo con diversi ragazzi e, soprattutto, è stato un tempo che andavo da un fiore all’altro per cercare di coprire la mia ferita. Ma non voglio entrare nei dettagli.

Ho conosciuto un affetto che mi ha riempito così tanto che, da quando mi ha incontrato nel 2011, non ho più sentito la nostalgia di avere un uomo al mio fianco. Quando improvvisamente vedi che un amore così immenso entra nella tua vita ed è la cosa più reale che hai mai sentito, allora smetti di pensare come facevi prima. Ho conosciuto la verità, anche se non la possiedo. Ora sento Dio attraverso le persone. Non l’ho visto, ma l’ho sentito. Ora lo sento e so che è Lui. Il modo in cui si relaziona a te diventa familiare. Tu dici: “Ok, questo sei stato Tu; anche se non ti vedo, so sei stato Tu”. 

Com’è il tuo noviziato, giorno per giorno?
Il noviziato dura almeno cinque anni e serve per discernere se si è nel posto giusto. Nessuno qui vuole aggiungere ingrossare le file aggiungendo un membro dietro l’altro. Non è un’azienda. Da un anno e mezzo vivo in una casa dove siamo dieci donne tra i 31 e i 62 anni. Sono la più giovane e l’unica novizia perché le altre hanno già fatto la professione, che è il momento in cui, alla presenza di tutta la comunità, l’impegno vocazionale è assunto in modo permanente.

Nella casa seguiamo la regola di San Benedetto. Abbiamo quattro momenti di preghiera al giorno e dopo l’ultima preghiera, di notte, andiamo a dormire in silenzio. Durante il giorno si può parlare, ma resta un clima di silenzio. È molto bello perché, come dice un inno, “nel silenzio parla il Mistero”, cioè “quello” che ci ha unite. Facciamo anche un’ora quotidiana di lettura e preghiera personale e la domenica, concretamente, condividiamo tra noi quello che abbiamo vissuto durante la settimana alla luce della fede.

Infine, tutti i novizi d’Europa (circa 120) si recano una volta al mese in Italia per un ritiro spirituale con Julián Carrón, attuale presidente di CL. Lì presentiamo le nostre preoccupazioni e lui, assieme ad altri sacerdoti e Memores Domini, ci aiutano. È fantastico perché vedi altri giovani che vivono come te.

Ed il resto del tempo? Lavori?
Sì, lavoro per le relazioni internazionali dell’Università di Madrid. Per don Giussani la nostra vocazione è svolta principalmente nel mondo del lavoro. Da un lato, siamo chiamate ad essere ad immagine di Dio, che è “l’eterno lavoratore”. Dall’altro, Giussani ha detto che è il posto migliore dove possiamo essere perché oggi è facile soffocare idolatrando il lavoro, misurandoci l’un l’altro solo in termini di successo lavorativo. Ecco perché conoscere persone che vivono la memoria di Cristo al lavoro è qualcosa che serve a tutti in un mondo in cui Dio non ha più posto. Mi piace anche scrivere e disegnare, e seguo lezioni di teatro, che adoro.

Molte volte rifletto su come sarei se fossi cresciuto in un altro contesto. Come sarebbe Carla se fosse stata educata senza religione?
Beh, non lo so, ma prima del mio incontro la vita stava cominciando a sembrare un gioco macabro, come un vicolo cieco. Non so cosa mi sarebbe successo, questa cosa mi avrebbe fatto impazzire. È anche vero che quello che mi è successo è un mistero e una grazia. Probabilmente ci sono persone che vivono con questo dolore per tutta la vita.

Paura dell’impegno, estrema individualità, mancanza di valori e riferimenti effimeri. Cosa ne pensi della società in cui viviamo?
In Spagna ci educano secondo i valori cristiani, ma si perdono perché vengono vissuti senza Cristo. Succede anche all’interno della stessa Chiesa: dimentichiamo Dio e finiamo per fare cose buone, per puro volontarismo. Questo è inutile, è vuoto. Penso che affinché la nostra società possa rigenerarsi, ognuno dovrebbe ascoltare di più il proprio cuore, che è il nostro miglior alleato. Dobbiamo aiutarci l’un l’altro ad andare in fondo alla nostra tristezza, alla nostra gioia, al nostro dolore, al nostro entusiasmo. Solo allora cominceremo a vivere senza una paura di fondo che ci paralizza e solo allora ci saranno dei valori che dureranno.

Cosa pensi del femminismo? La Chiesa ha un sistema gerarchico in cui gli uomini accedono ad alcune cose e le donne no, come il sacerdozio.
La Chiesa sostiene la donna sin dall’inizio: se notate, Gesù, una volta risorto, è apparso per la prima volta ad una donna, Maria Maddalena. È un passo enorme, perché nel mondo ebraico la parola della donna non aveva validità. Tuttavia, per Gesù, sì. Così tanto, che ne sceglie una per dire a tutti che è risorto.

Per quanto riguarda il motivo per cui non ci sono donne sacerdote, di recente ho sentito che la figura del sacerdote è una chiamata molto particolare perché deve essere Gesù, letteralmente, attraverso l’Eucaristia; Gesù sceglie alcuni che siano come Lui. Ha senso che siano uomini perché sono chiamati a vivere come Gesù, e Gesù è un uomo, non una donna. Va bene così. Io personalmente non mi sento di meno per non essere un prete, perché so che Dio ti chiama dove ti renderà felice e seguendolo darai una testimonianza più grande al mondo. Non mi preoccupo.

Grazie, Carla. La tua storia è incredibile.
Grazie a te.

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Chiesa e abusi sessuali, drasticamente diminuiti dal 2002

Pedofilia e chiesa: un’analisi oggettiva del report del Grand Jury della Pennsylvania mostra che un cambiamento serio di tolleranza zero nella Chiesa americana è già avvenuto da anni. Le accuse di abusi sessuali non sono scomparse ma sono molto meno comuni, sopratutto rispetto ad altri ambiti sociali (scuola, sport, famiglia ecc.). 

 

Le notizie di abusi sessuali su minori da parte di diversi esponenti del clero cattolico stanno comprensibilmente e particolarmente colpendo gli Stati Uniti, mentre in Italia fatichiamo a capirne la portata. Il recente report realizzato dal Grand Jury della Pennsylvania ha fatto deflagrale la bomba e il “dossier Viganò” è stato pensato proprio per sfruttarne la scia e cercare di indirizzare le colpe verso l’attuale Papa (seppur l’unica accusa a Francesco è quella di non aver preso provvedimenti su un cardinale dalla passata vita omosessuale, il quale però venne lasciato libero da qualunque restrizione da Papa Benedetto e perfino dall’accusatore stesso di Bergoglio, l’ex nunzio Viganò, che lo elogiò pubblicamente e celebrò messa con lui).

In tanti stanno chiedendo a Papa Francesco una risposta concreta, un cambiamento radicale per sradicare dalla Chiesa gli abusi e gli abusatori. Tuttavia, in pochi sanno che è già stato fatto, la comunità cattolica ha già attuato una efficace risposta a partire sopratutto da Benedetto XVI. E, a dirlo, è proprio il già citato rapporto firmato dal Procuratore generale della Pennsylvania, Josh Shapiro. Qualche settimana fa lo avevamo già fatto presente dopo aver letto integralmente il report, ma la questione è rimasta in ombra anche perché gran parte dei media sta presentando come attuale il fenomeno pedofilia e relative coperture degli ecclesiastici. In queste ore è arrivata anche la dichiarazione del presidente americano Donald Trump, secondo cui Papa Francesco ha gestito la crisi «come meglio non si poteva».

Innanzitutto un chiarimento: il report del Grand Jury riporta le accuse, non le condanne. Espone il materiale che dovrà avviare un processo, non sono le conclusioni di un’indagine. In secondo luogo segnaliamo l’intervista ad Alessandra Campo, coordinatrice del Centre for Child Protection, che promuove la prevenzione degli abusi su minori. «Un’importante novità negli ultimi anni esiste, la prevenzione», ha affermato. «Sugli abusi sessuali su minori la Chiesa si è mossa spezzando un’omertà che ha ramificazioni più ampie dei suoi orizzonti». Il dossier Viganò parla di “resistenze”, ma la Campo risponde: «Le resistenze esistono, ma sono piuttosto passive. Accanto ad esse c’è una consapevolezza molto cresciuta e un innegabile impegno da parte di tanti. Papa Francesco ha fatto molto. Ha soprattutto contribuito a creare un contesto per cui dell’abuso, finalmente, si parla. E questo è fondamentale per creare uno spazio in cui le vittime, che sono il cuore del nostro lavoro, si sentano ascoltate e accolte».

Dunque, c’è già stato un cambiamento nella Chiesa. Ieri lo ha ribadito il Center for Applied Research in the Apostolate (CARA), affiliato alla Georgetown University. Anche questo centro studi ha scelto di raccontare la verità del già citato report sugli abusi dei preti cattolici, in cui il procuratore americano scrive chiaramente: «Sappiamo che la maggior parte della discussione di questo rapporto riguarda eventi accaduti prima degli inizi degli anni 2000». Molti dei sacerdoti imputati (44%), infatti, sono già morti ed, in media, quelli accusati di abusi sono nati nel 1933 ed ordinati sacerdoti nel 1961. La stessa conclusione venne raggiunta dalla più grande ed attendibile ricerca sugli abusi in casa cattolica, effettuata dal John Jay College of Criminal Justice. Già allora vi si notava che il decennio di nascita più comune per i presunti molestatori (sono accuse, non condanne) è stato negli anni ’30 e il decennio più l’ordinazione era degli anni ’60.

Nessuna nuova ondata di abusi è emersa negli Stati Uniti negli ultimi anni. Questo è il punto raggiunto dal Grand Jury della Pennsylvania e dal Center for Applied Research in the Apostolate. Il “gioco di coperture” delle diocesi di quegli anni fu qualcosa di orribile e terribile ed il procuratore Shapiro ha avuto il merito di raccontarlo nel dettaglio, pur aggiungendo che tale strategia non fu diversa da quanto avveniva nelle scuole pubbliche, nell’atletica giovanile, nei gruppi scout e in qualunque altra istituzione che avesse rapporto con i giovani adulti. I ricercatori del John Jay College notarono: «La vittimizzazione sessuale dei bambini è una questione seria e pervasiva nella società. È presente nelle famiglie e non è insolito nelle istituzioni in cui si coltivano relazioni con adolescenti, tra cui scuole e organizzazioni religiose, sportive e sociali» (p. 5). La chiesa fallì nel rispondere alle accuse di abuso, così come fallì tutta la società nel sottovalutarle.

La svolta negli Stati Uniti avvenne nel 2002 grazie alla cosiddetta “Dallas Charter”, che «ha mosso le cose nella giusta direzione» (p. 302). Posto il fatto che un solo abuso è già eccessivo, negli ultimi anni le denunce non sono scomparse del tutto ma si sono fortemente ridotte: 22 accuse di pedofilia in tre anni, durante il periodo 2015-2017. Una media di circa 7 all’anno (accuse, non condanne). Senza prenderla come scusante, si contestualizzi il fenomeno osservando cosa accade al di fuori delle parrocchie: solo nel 2017, 42 insegnanti nel solo stato della Pennsylvania sono stati condannati (condanne, non accuse) per crimini sessuali. Nel distretto di Los Angeles, solo nel 2015, sono stati 65 gli insegnanti accusati di abusi sessuali o molestie. E senza contare che nessun’altra istituzione ha intrapreso indagini approfondite interne, come dichiararono  i ricercatori del John Jay College: «Nessun’altra istituzione ha intrapreso uno studio pubblico sugli abusi sessuali e, di conseguenza, non ci sono dati comparabili a quelli raccolti e segnalati dalla Chiesa cattolica» (p. 5).

Bisogna migliorare, agire più tempestivamente, parlare di crimini non solo di peccati, fare prevenzione e prendere sul serio l’altro dato importante emerso: il 60% dei preti abusatori si rivolgono a maschi adolescenti (e da qui arriva il divieto di Papa Francesco agli omosessuali in seminario). Ma, come notano gli autori del tanto citato report, la Chiesa è cambiata negli ultimi 15 anni e ad oggi non si sono verificate nuove ondate di accuse simili al passato. Si parla di casi già emersi e analizzati, seppur in modo meno dettagliato di quanto è stato fatto oggi. Gli errori non affrontati anni fa giustamente ritornano e purtroppo vengono fatti passare, per ignoranza o per malafede, come casi d’attualità.

 

AGGIORNAMENTO 17:23
Giungono notizie di una conferma che l’ex nunzio Carlo Maria Viganò, al contrario di quanto da lui smentito pochi giorni fa, effettivamente si intromise nelle indagini a carico dell’arcivescovo conservatore John Nienstedt, accusato di molestie sessuali e omosessuali e collaboratore di Timothy Busch, l’avvocato che ha coadiuvato l’operazione del recente “dossier Viganò”. Dan Griffith, che durante le indagini era il collegamento tra l’arcidiocesi di Minneapolis e lo studio legale che conduceva l’indagine, ha infatti ri-confermato la sua versione e l’accusa a mons. Viganò: «ordinò agli avvocati di intervistare rapidamente l’arcivescovo Nienstedt e concludere l’indagine», senza ascoltare ulteriori testimoni, non considerando gravi le accuse a carico di Nienstedt. Il vescovo ausiliare Andrew Cozzen ha confermato l’intromissione indebita di Viganò, lo stesso ha fatto l’arcivescovo Bernard Hebda, successore di Nienstedt, che ha dichiarato come le indagini a carico del prelato conservatore si sono bruscamente fermate dopo la riunione con l’allora nunzio Viganò. La vicenda è affrontata oggi sul National Catholic Reporter».

 

AGGIORNAMENTO 07/09/18
Conferma di quanto scritto nell’articolo arriva da padre Hans Zollner, presidente del Centro per la protezione dell’infanzia presso l’Università Gregoriana di Roma: «Ci sono pochissime statistiche e ricerche affidabili in corso. Solo da alcuni paesi, uno è l’Australia, un altro gli Stati Uniti. Si parla più o meno di circa tre, cinque, sei per cento di sacerdoti abusatori in un determinato periodo di tempo, principalmente dal 1950 al 2010. Considerando anche che negli ultimi 10-20 anni, a seconda dei paesi, i numeri sono scesi quasi a zero. Laddove la Chiesa ha deciso di introdurre misure di salvaguardia, e codici di condotta e linee guida per attuarle, le cose hanno funzionato […]. Non c’è altra istituzione, non c’è altra denominazione o religione cristiana, che è stata investigata a fondo come la Chiesa cattolica, quindi non abbiamo dati affidabili per confrontare il numero di preti cattolici con l’intera popolazione di una particolare professione (psicologi, medici, polizia, musicisti o allenatori sportivi). Tuttavia sappiamo che di gran lunga la maggior parte degli abusi sessuali dei minori avviene nel contesto familiare».

La redazione

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Ma la lobby gay odia Bergoglio: “omofobo”, “medievale”, “retrivo”

“La famiglia come immagine di Dio, uomo e donna, è una solaˮ, “la teoria del gender è un colonizzazione ideologicaˮ, “il diritto dei bambini a crescere con un papà e una mammaˮ, “figli gay? Provare con la psichiatriaˮ, “se c’è il dubbio di omosessualità, meglio non far entrare in seminarioˮ. Questi ed altri i più famosi giudizi che Papa Francesco ha ribadito molte volte, senza alcuna ambiguità (mettendo spesso in imbarazzo i cronisti dei grandi giornali).

Ciò contraddice con i fatti l’accusa teorica di “complicità” verso l’omoeresia che gli viene rinfacciata in queste ore. Eppure, chiedetelo alla lobby gay (clericale e non) se Francesco davvero strizza l’occhio al grande idolo arcobaleno.

La Chiesa omofoba di papa Bergoglio si intitola l’articolo su Micromega (4/2018, pp. 70-80) del teologo polacco Krzystof Charamsa, che nel 2015 venne immediatamente sospeso a divinis e rimosso dalla segreteria della Commissione teologica internazionale presso la Congregazione per la dottrina della fede, dopo il suo coming out. Charamsa è duro con il Papa, sopratutto con l’esortazione apostolica Amoris laetitia, nella quale si afferma a chiare lettere che «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Sempre nel 2015, Papa Francesco ha cacciato anche il teologo tedesco David Berger, togliendogli la cattedra di insegnamento nelle scuole, dopo l’annuncio pubblico di essere omosessuale. Oggi Berger scrive: «Come cattolico gay continuo a sentirmi discriminato da Papa Francesco».

«Dopo le sue aperture largamente di apparenza ma sostanzialmente molto limitate ai diritti delle persone omosessuali (il famoso e fin troppo frainteso “chi sono io per giudicare un gay”)», scrive invece il Partito Marxista Leninista Italiano, «Bergoglio ha voluto rimettere i puntini sulle i, confermare la linea patriarcale, eteronormativa e familista del Vaticano e zittire le voci più progressiste all’interno della sua stessa Chiesa». Il cattolico Aurelio Mancuso, presidente Equality Italia, ha confermato: «Come i monaci di quel tempo, che definivano demoniaco tutto ciò che non comprendevano, Francesco ha voluto immergersi nella tradizione cattolica più retriva, quella che da secoli nega ogni relazione e progetti di vita che non siano conformi alle leggi canoniche lontane dal messaggio evangelico. Mi domando come il sommo pontefice, definito troppe volte amorevole e attento ai mutamenti sociali, non voglia discernere rispetto a una cultura colpevole di aver causato tanto dolore a milioni di persone e famiglie omosessuali».

«Non c’è nulla di sorprendente nelle parole omofobe e sessiste di Bergoglio», si legge invece su un blog ateo. «Sono esattamente le stesse posizioni che la Chiesa e lui stesso hanno sempre ribadito. L’unica cosa incomprensibile è come possa continuare ancora il mito di Bergoglio dopo questa ennesima dimostrazione». Nel 2014 su Gay oggi viene scritto: «Grave, gravissima ingerenza quella di Papa Francesco. Non solo Bergoglio ha tenuto a precisare con chiarezza che le coppie gay non sono una famiglia, ma ha anche bocciato nettamente le iniziative contro l’omofobia nelle scuole. Nel fare ciò, ha usato proprio quelli che sono gli slogan tanto cari agli omofobi cattolici di professione, con tanto di accusa di nazi-fascismo e dittatura del pensiero unico. Tirando in ballo la “dittatura del pensiero unico”, Bergoglio boccia indirettamente anche il DDL contro l’omofobia in discussione in Parlamento».

Mentre Il Fatto Quotidiano combatteva Papa Ratzinger attraverso Marco Politi, dall’elezione di Francesco il testimone dell’hater è passato a Marco Marzano: «Sugli effetti della presenza dei gay nel clero, il Papa non sembra pensarla molto diversamente da Viganò», ha scritto. «Certo, non ha mai usato i toni esplicitamente omofobi adottati dell’estrema destra, ma in compenso ha parlato più di una volta della “lobby gay” ribadendo ai vescovi italiani e a quelli cileni che l’omosessualità può intrecciarsi con il tema degli abusi e che in ogni caso va sradicata totalmente dai seminari».

La redazione

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