Un’etica atea che fondamenta può avere? Il libro Il paesaggio morale di Sam Harris (uno degli ultimi nuovi atei), seppur cerchi di dimostrare il contrario, mostra l’impossibilità per chi rifiuta un Assoluto di allontanarsi dal mero relativismo e dal soggettivismo etico.
The Moral Landscape è uno dei libri più famosi del filosofo Sam Harris, nonché uno dei tentativi più audaci di definire i confini di una morale laica (o atea). Fallimentare, tuttavia, come vedremo. Lo dimostrano anche le numerose critiche ricevute anche in ambito ateista, come quelle del filosofo Massimo Pigliucci.
Certamente Harris ha cambiato le carte in tavola in quanto, fin dal principio del suo volume (tradotto in italiano con il titolo Il paesaggio morale. Come la scienza determina i valori umani), ha voluto combattere l’idea che un ateo possa soltanto essere un puro relativista e debba abbracciare l’amoralità, in quanto privo di un fondamento razionale su cui definire il Bene e il Male. Nient’affatto, il filosofo statunitense rivendica l’oggettività dei valori e dei doveri morali, ovvero validi e vincolanti indipendentemente dall’opinione umana. L’Olocausto è stato un Male oggettivo, anche se alcuni (i nazisti) lo ritennero un bene e sarebbe rimasto un Male anche se i tedeschi avessero vinto e convinto il mondo intero della bontà delle loro azioni.
E’ quindi inevitabile lo stupore. Cosa rende certe azioni oggettivamente buone o cattive, giuste o sbagliate? Un credente ritiene che l’uomo abbia un insito codice morale, dono del Creatore, a cui fare affidamento, tanto che anche chi sbaglia -se la ragione non è completamente obnubilata- è consapevole di sbagliare. Ma come conciliare la non esistenza di Dio con l’esistenza oggettiva del Bene ed il Male, cioè preesistenti l’uomo stesso? Questo non significa affatto che l’ateo è un essere immorale, ma solamente che le tante azioni buone che compie non sembrano avere un coerente fondamento razionale nel pensiero ateo.
Harris ha quindi imboccato una strada davvero ardua. Dal punto di vista ateo, gli esseri umani sono solo prodotti accidentali dell’evoluzione biologica ed il loro benessere non dovrebbe valere di più di quello degli insetti, dei ratti o dei serpenti, a meno di abbracciare un ingiustificato antropocentrismo. I valori morali altro non sono che sottoprodotti comportamentali della selezione naturale e del condizionamento sociale. L’homo-sapiens, pressato socio-biologicamente- avrebbe casualmente evoluto una sorta di “moralità” che lo aiuta nella perpetuazione della specie, ma nulla rende tale carattere genetico una morale oggettivamente vera. Infatti, il divulgatore scientifico (ateo) Michael Ruse afferma: «La moralità è un adattamento biologico non meno di mani, piedi e denti. L’etica è illusoria: mi rendo conto che quando qualcuno dice: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, pensa di riferirsi ad un codice al di sopra di sé, tuttavia tale riferimento è veramente senza fondamento, la moralità è solo un aiuto alla sopravvivenza e alla riproduzione e ogni significato più profondo è illusorio» (M. Ruse, in The Darwinian Paradigm, Routledge 1989, pp. 262, 268, 289).
Sempre in un paradigma ateo, pensare che gli esseri umani siano speciali e confidare nella verità del nostro codice morale è un pregiudizio ingiustificato verso la propria specie. Specismo, direbbero i vegani. Senza Dio, non c’è una base al di fuori dell’uomo per definire oggettivamente vera la moralità umana, dato che l’uomo altro non è che una accidentale creatura scimmiesca casualmente apparsa su un minuscolo frammento di polvere del cosmo. Dal suo punto di vista, Richard Dawkins dice il vero: «Non c’è in fondo alcun progetto, nessuno scopo, niente di male, niente di buono, nulla, solo indifferenza insensata. Siamo macchine per propagare il DNA, è l’unica ragione d’essere di ogni oggetto vivente» (R. Dawkins, Unweaving the Rainbow, Allen Lane 1998).
Come pensa, quindi, di uscirne Sam Harris? Il suo trucco è quello di ridefinire il significato di “bene” e “male” in termini non morali, equiparando il Bene a tutto ciò che conduce verso il «benessere delle creature coscienti». «Il bene e il male devono consistere solo in questo: miseria contro benessere […]. Parlando di “verità morale”, sto dicendo che ci devono essere fatti riguardanti il benessere umano e animale» (p. 198). È evidente che si tratta di un mero gioco di parole: Harris ha sostituito i valori morali con ciò che è favorevole alla prosperità della vita senziente su questo pianeta.
Ma qui nascono i problemi: secondo il ragionamento di Harris (che non è un neuroscienziato, avendo solo un dottorato in neuroscienze!), l’uccisione degli esseri umani è ovviamente contro al benessere umano e quindi immorale. Tuttavia, in una società di cannibali, il cannibalismo equivarrebbe alla prosperità umana e, dunque, l’omicidio diverrebbe il Bene. L’approccio naturalistico di Harris, quindi, ritorna ad essere figlio del relativismo che intende combattere. Il benessere umano non sempre coincide con la bontà morale e se lo si vuol far coincidere a tutti i costi allora crolla l’impianto anti-relativistico di Harris. Il filosofo ateo non fornisce infatti alcuna giustificazione o spiegazione del perché l’ateismo dovrebbe appoggiarsi su valori morali oggettivi, se non escogitando un trucco semantico per fornire una ridefinizione arbitraria e idiosincratica delle parole “buono” e “cattivo” in termini non morali.
Il ricorso di Harris al naturalismo scientifico sopravvaluta le potenzialità della scienza. Essa, come ha ben spiegato il filosofo William Lane Craig, ci dice solo ciò che è, non ciò che dovrebbe essere. Sopratutto non ci dice affatto che abbiamo l’obbligo morale di intraprendere azioni che favoriscano il benessere umano. Dal punto di vista naturalistico gli uomini sono animali e gli animali non hanno obblighi morali gli uni verso gli altri: quando lo squalo bianco copula a forza con una femmina, non la sta violentando poiché non c’è una dimensione morale in tali azioni. Né divieti, né obblighi.
Da dove arrivano gli obblighi morali, senza Dio? Chi li impone all’uomo? Tuttalpiù sono un’impressione soggettiva ed arbitraria: i nazisti ritengono un bene l’Olocausto, gli ebrei sono del parere opposto. Niente di più. Se non esiste un Legislatore morale, allora non esiste una legge morale oggettiva; e se non esiste una legge morale oggettiva, allora non abbiamo obblighi morali oggettivi.
«La visione naturalistica di Sam Harris», ha concluso Lain Craig, «non fornisce una solida base per i valori e i doveri morali oggettivi. Se Dio non esiste, siamo intrappolati in un mondo moralmente privo di valore in cui nulla è proibito. L’ateismo di Harris si trova quindi malato di soggettivismo etico. Ciò che il teista offre a Sam Harris non è una nuova serie di valori morali -in linea di massima condividiamo un’ampia gamma di posizioni di etica applicata- piuttosto ciò che possiamo offrire è una solida base per i valori e i doveri morali che entrambi riteniamo cari».
La redazione