Il dossier Viganò e le dimissioni a Francesco. Per settimane i blogger antipapisti hanno provato a sostenere l’impeachment papale ma ora tradiscono l’ex nunzio, riconoscendo che la richiesta di dimissioni al Papa non è sostenibile.
Le accuse al Papa contenute nel dossier Viganò erano apparse fin da subito risibili. Il primo ad averlo ammesso è il più famoso blog anti-bergoglio in lingua spagnola, InfoVaticana, il quale ha ripubblicato queste parole: «E’ arrivato il momento di abbassare i toni? E’ stato un errore di mons. Viganò chiedere le dimissioni di Papa Francesco». Perché questa presa di distanza da Viganò dopo giorni di ricatti morali (“o rispondi o ti dimetti”) al Pontefice, trattato come un manager d’azienda? Perfino l’ex stratega di Donald Trump, Steve Bannon, si è stupito dell'”eretica” concezione della Chiesa manifestata dall’ex nunzio e dai suoi blogger di fiducia: «Il Papa, attraverso una catena ininterrotta, è il Vicario di Cristo in terra. Non puoi semplicemente sederti lì e dirgli: “Penso che ti dovresti dimettere”».
La verità è che i maldestri vaticanisti a cui l’arcivescovo si è affidato, non hanno calcolato la debolezza dell’impianto accusatorio e sono riusciti a far puntare i riflettori su qualcosa che non avrebbero mai voluto illuminare. L’operazione si è infatti trasformata in atto d’accusa ai precedenti pontefici: com’è stata possibile la carriera dell’abusatore omosessuale McCarrick (ritiratosi in pensione prima dell’elezione di Francesco)? La Nación, ha infatti scritto: «La lettera di Viganò diventa un boomerang per il settore che attacca papa Francesco. Se analizzata in profondità, danneggia fortemente il pontificato di Benedetto XVI e quello del suo predecessore, Giovanni Paolo II, per come hanno gestito lo scandalo degli abusi. Ed è un boomerang per i settori ultraconservatori e tradizionalisti che hanno cercato di attaccare Francesco sfruttando lo scandalo degli abusi sessuali nel clero».
Appare ormai assurdo incolpare Francesco di aver “riabilitato” un cardinale che non era mai stato bandito (essendo un habitué del Vaticano fino alla sua elezione) e di aver disatteso una precisa direttiva a vita privata emessa da Benedetto XVI nei confronti di McCarrick, scoperta però essere stata solo «una richiesta privata», disattesa dal cardinale e dallo stesso Papa emerito che lo accolse fino all’ultimo giorno (il 23 febbraio) in Vaticano. Un caso gestito male nel passato che i turiferari della resistenza hanno però tentato di addossare all’ultimo arrivato, Papa Francesco, l’unico che ha oltretutto preso provvedimenti pubblici contro McCarrick. Perfino l’anticlericale Emiliano Fittipaldi ha ammesso: «L’accusa principale di Viganò appare assai debole. Non solo perché non suffragata da alcuna prova, ma anche perché il rapporto è pieno di omissioni: in primis proprio l’ex nunzio, dopo la sua denuncia al Papa, ha in più occasioni incontrato McCarrick in assoluta cordialità, tanto da presentare il molestatore ad una conferenza pubblica come “un uomo molto amato da tutti noi”. Elementi che compromettono l’assunto con cui l’arcivescovo giustifica il suo sfogo: “io agisco perché la verità emerga”» (E. Fittipaldi, Francesco, Papa fragile, L’Espresso 09/10/18, p. 50).
E lo hanno capito tutti, cattolici e non. Da buon esperto di scandalismo, Dagospia ha cavalcato l’onda Viganò ma alla fine ha allargato le accuse: «Tre Papi con le spalle al muro sugli abusi del cardinale McCarrick. Un segreto di Pulcinella nascosto per oltre 18 anni». Il Washington Post ha puntato il dito contro Giovanni Paolo II, mentre Aldo Cazzullo ha osservato che «la richiesta di dimissioni è una forzatura polemica. I fatti sono di gran lunga antecedenti al papato di Francesco. McCarrick è stato fatto cardinale da Wojytla, coperto da Bertone, segretario di Stato di Ratzinger -almeno stando all’accusa di Viganò-, ed è stato costretto alle dimissioni da Bergoglio». Il National Catholic Reporter ha scritto: «gli accusatori non agiscono in buona fede. Perché fanno richieste al Papa ma non chiedono nulla a Viganò. Perché non dovrebbe essere invitato a produrre prove? Perché non dovrebbe essere invitato a spiegare il suo comportamento con McCarrick? Ripetono l’ovvia falsità che Francesco avrebbe promosso McCarrick, quando fu Giovanni Paolo II a promuovere questo predatore».
Così, l’altro giorno, anche il blogger Marco Tosatti, ha gettato la spugna: «lasciamo perdere le dimissioni del Papa», ha scritto. Spostando l’attenzione sul fatto che comunque Bergoglio continua a non rispondere (anche se tutti sanno che è in preparazione un contro-dossier vaticano e che il Papa ha scelto di sottrarsi dal ricatto, consapevole che l’accusa è viziata da bugie e omissioni). Per questo, ha proseguito Tosatti, Francesco avrebbe perso «credibilità personale». Forse il blogger italiano dovrebbe riflettere sulla sua di credibilità (e quella dei suoi amici immaginari “Super ex” e “Pezzo grosso”, gli pseudonimi usati per firmare gli articoli più diffamanti), dato che ha insabbiato il grave tentativo dello stesso ex nunzio Viganò di ostacolare le indagini su un conservatore suo amico, l’arcivescovo John Nienstedt, accusato di molestie sessuali e omosessuali e collaboratore di Timothy Busch, l’avvocato che ha coadiuvato l’operazione del recente “dossier”. Al di là della smentita di Viganò, nei giorni scorsi l’accusa è stata confermata da Dan Griffith (mediatore tra l’arcidiocesi di Minneapolis e lo studio legale che conduceva l’indagine), il vescovo ausiliare Andrew Cozzen e
l’arcivescovo Bernard Hebda, successore di Nienstedt. Ma Viganò non risponde e i suoi blogger tacciono sulle gravi accuse a suo carico.
Proporzionalmente allo sgonfiarsi dell'”operazione Viganò” è cresciuta l’insofferenza di Tosatti verso i giornalisti che ne hanno scoperto le enormi falle. Vi confidava molto, non essendo riuscito a macchiare il Pontefice con le sue fake-news, l’ultima in ordine di tempo l’invenzione di una commissione segreta bergogliana per modificare Humanae Vitae. Se l’è così presa con Luis Badilla, direttore de Il Sismografo, di cui ha cristianamente scritto: “ex-esule cileno allendista”, “di fumante c’è solo il suo cervello”, “ex esule dal Cile”, “esule dalla realtà”, “sbocco di pus”, “il suo livello è troppo basso”, “vomita sui colleghi”. Tosatti ha preso a male parole anche Stefania Farlasca, di Avvenire, lanciando una frecciata malevola anche verso Ratzinger («Benedetto cerca di tacere il più possibile»). Più interessante come il blogger ha risposto al dilagante dubbio dei suoi stessi lettori sul comportamento di mons. Viganò, il quale accusa il Papa mentre è stato il primo ad aver omaggiato pubblicamente McCarrick. Alcuni lo spronano a proseguire la battaglia «contro il pastore-idolo, il falso pastore che sta spianando la strada all’Anticristo», mentre c’è chi riconosce che «alcune obiezioni meritano di essere più puntualmente confutate». Un altro commentatore è più esplicito: «Io continuo a non capire perché se ciò che m. Viganò ha scritto corrisponde al vero, lui è stato il primo a non fare un bel nulla per far rispettare le sanzioni a McCarrick». Domanda schiacciante alla quale Tosatti, imbarazzato, risponde: «Viganò era il Nunzio in Usa, immagino che avesse anche un paio di cose da fare». Eccome no! Ad esempio, doveva premiare McCarrick come “ambasciatore pontificio”, esprimergli il suo affetto a nome del Papa e celebrare messa assieme, consapevole del suo passato e delle “sanzioni papali”. Il “c’aveva altro da fare” è il perfetto finale tragicomico.
Ancora peggio, forse, ha fatto l’altro depositario del dossier, il vaticanista Aldo Maria Valli, figlio spirituale del card. Martini e i cui ultimi libri contro la Chiesa vengono coerentemente introdotti dall’anticlericale Corrado Augias. «A mio avviso non prova nulla», ha scritto analizzando il video in cui l’ex nunzio rende omaggio a McCarrick e che, invece, ha così turbato i fedelissimi di Tosatti. «Si trovava a una delle sue prime uscite pubbliche come ambasciatore della Santa Sede. Che cosa avrebbe dovuto fare il nunzio Viganò? Ignorare McCarrick? Oppure dire pubblicamente: “Eminenza, dovrei salutarla ma non lo faccio, perché lei è un mascalzone?” È chiaro che in un’occasione simile il nunzio, il rappresentante del papa, fa il nunzio: cioè non mette in piazza ciò che sa e ciò che sente dentro di sé. Viganò dice a proposito di McCarrick che “tutti noi gli vogliamo bene”. E non è proprio questo che fa il cristiano? Voler bene al peccatore, nonostante il peccato?». Se non avesse elogiato McCarrick, conclude Valli, mons. Viganò «avrebbe tradito la fiducia del papa». Mai avremmo immaginato che una persona d’esperienza potesse cadere così in basso: far rispettare coraggiosamente la sanzione del Papa diventa all’improvviso “tradire la fiducia del Papa”, l’elogio pubblico verso McCarrick è giustificato dal fatto che Viganò “era alla prima uscita come nunzio” (e perché anche nella terza o decima uscita non ha mai fatto comunque nulla?), per arrivare a scrivere che è giusto apprezzare pubblicamente un abusatore sessuale perché il cristiano “vuol bene al peccatore, nonostante il peccato”. E’ l’apoteosi dell’ambiguità, accusa tanto cara ai detrattori di Francesco. Valli gioca la carta diplomazia per salvare Viganò? Sarebbe allora bastato un discorso più sobrio, senza parlare di “affetto”. Avrebbe potuto disdire l’invito inventandosi, diplomaticamente, un impegno improvviso o, come chiunque altro al suo posto, avrebbe tentato di far presente in privato agli organizzatori della non opportunità di tale onorificenza. Ma l’organizzatore, padre Andrew Small, ha testimoniato che Viganò non ha mai cercato di dissuaderlo dall’onorare pubblicamente il cardinale che sapeva essere abusatore.
Nel frattempo i vescovi di tutto il mondo si stanno stringendo attorno al Papa con comunicati di vicinanza e affetto (Polonia, Brasile, Portogallo, Germania, Porto Rico, Austria, Honduras, India, Uruguay, Asia ecc.) e torna alla mente il 2010, quando scoppiò per la prima volta pubblicamente il “caso pedofilia” nella Chiesa e si accusò Benedetto XVI di aver coperto il pedofilo padre Murphy. Fu addirittura denunciato alla Corte penale internazionale per aver «tollerato abusi e molestie su minori e protetto i responsabili per anni» e diversi intellettuali cercarono di farlo arrestare per «crimini contro l’umanità». Si disse anche che le sue dimissioni erano dovute per scappare all’arresto, una bufala che contribuimmo a smontare. Quando nel 2012 vennero archiviate le accuse a Ratzinger, il vaticanista Marco Politi, che ne chiese le dimissioni, non scrisse nulla e si ritirò nel silenzio (almeno fino a pochi giorni fa, appena ha intuito che il dossier Viganò è una bomba contro Benedetto XVI, non più contro Francesco).
Proprio in quei giorni, mons. Luigi Negri, allora vescovo di San Marino e Montefeltro, scrisse una lettera pubblica a Benedetto XVI, riportata alla memoria in questi giorni dal vaticanista Andrea Tornielli:
«Santità, la menzogna e la violenza diabolica si avventano, ogni giorno, sulla Sua Sacra Persona. Lei vive di fronte a tutta la Chiesa una singolarissima partecipazione alla Passione del Signore Gesù Cristo. Un grandissimo e comune amico, il Presidente Marcello Pera, mi ha scritto in questi giorni: com’è possibile che un miliardo di cristiani assistano in silenzio ed impotenti al tentativo di distruggere il Papa, senza rendersi conto che dopo questo non ci sarà più salvezza per nessuno. Santità, è necessario che tutti noi lavoriamo, sotto di Lei, ad una grande riforma dell’intelligenza e del cuore della Chiesa, fondata sull’adesione incondizionata al Suo Magistero. Troppe cattive teologie, troppi vacui esegetismi, molte volte in polemica esplicita con il suo Magistero, avviliscono oggi la cultura della Chiesa. Santità Lei conosce i nostri cuori, sa che ci stringeremo in un abbraccio alla Sua Persona, pronti a morire per Lei e per la Chiesa» (27 marzo 2010).
Mons. Negri non si stava riferendo a un Papa, in quel caso Benedetto XVI. Ma al Papa, cioè, in generale, all’autorità del Successore di Pietro, garante dell’unità e punto storico di riferimento che assicura la sequela di Cristo. «Chi ascolta voi, ascolta me, chi disprezza voi, disprezza me», disse Gesù Cristo investendo gli apostoli del potere di governare la Chiesa (Lc 10,16). Per questo, scrisse giustamente mons. Negri, «distruggere il Papa» significa che «dopo questo non ci sarà più salvezza per nessuno». Speriamo che queste parole -le quali motivano i nostri interventi in questa vicenda- vengano tenute a mente da tutti, anche oggi.
La redazione