La fantascienza, un genere letterario nato nel progresso culturale del Medioevo

Libri di fantascienza e Medioevo. Due studiosi descrivono la letteratura medievale che dà origine al filone fantascientifico, tra mondi extraterrestri e alieni dalla pelle verde. Il Medioevo fu un periodo storico pieno di vita, di progresso tecnologico e culturale.

 

Esseri dalla pelle verde, che parlano lingue sconosciute? Sono i protagonisti di molti film moderni, un classico della fantascienza, genere letterario molto apprezzato oggi e ritenuto moderno. Solitamente la sua origine viene individuata nelle riviste pulp dei primi anni del ventesimo secolo o nei romanzi di Jules Verne ed Edgar Allan Poe. Ma in realtà la sua origine può essere fatta risalire al Medioevo.

Un esempio sono proprio i cosiddetti “bambini verdi di Woolpit”, un racconto popolare risalente al XII secolo. Ma anche la storia di Eilmer, un monaco dell’XI secolo che costruì un paio di ali e spiccò il volo dalla cima dell’Abbazia di Malmesbury. Oppure il libro Voynich Manuscript, risalente al XV secolo, pieno di illustrazioni di piante extraterrestri e paesaggi surreali.

Ne hanno parlato recentemente Carl Kears, docente di Old and Middle English al King’s College di Londra e James Paz, docente di Letteratura medievale antica all’Università di Manchester. Nella letteratura medievale pullulano racconti di questo tipo, ma anche storie di robot e mappe che misurano ed esplorano i confini esterni del tempo e dello spazio. E’ il cosiddetto genere “fantasy” che oggi, ironia della sorte, spesso ritorna al periodo medioevale per sfuggire ad una modernità tecnico-scientifica.

Come sanno gli appassionati, la fantascienza ha un grande legame con la scienza in quanto quest’ultima è utilizzata come base razionale per fantasticare. Un esempio su tutti è il grande supporto che ha dato la fisica nella nascita della celebre saga di Star Trek. E l’origine medievale della fantascienza, scrivono i due ricercatori, conferma che «il Medioevo non era un oscuro, statico ed ignorante periodo di magia e superstizione. Fu invece un periodo di enormi progressi nella scienza e nella tecnologia, che gettò le basi per la scienza moderna attraverso la creazione delle università». La cultura letteraria medievale si abbeverò delle novità tecnologiche e della sete di scoperte, che brulicava così intensamente quel periodo storico.

Gli studiosi hanno così iniziato a rivelare la convergenza di scienza, tecnologia e immaginazione nella cultura letteraria medievale, pubblicando il volume Medieval Science Fiction (Kings College London 2016). In esso vengono analizzati i romanzi medievali sulla macchina volante di Alessandro Magno o gli uccelli d’oro automatizzati del famoso viaggiatore medievale Sir John Mandeville.

Esattamente come i moderni, gli scrittori medievali mitigarono il senso di meraviglia con un approccio razionale. Un esempio è Geoffrey Chaucer, che descrisse approfonditamente le procedure e gli strumenti dell’alchimia (una prima forma di chimica), dimostrando di averne avuto un’esperienza pratica, ma manifestando forte scetticismo nel suo Canon’s Yeoman’s Prologue and Tale, dove la definisce una pseudo-scienza e immagina e drammatizza i suoi dannosi effetti nel mondo. Sono noti gli attacchi di Sant’Agostino all’astrologia e ai suoi precetti fatalistici: il celebre storico di Scienza medievale, Edward Grant, ha infatti scritto: «l’astrologia e la magia furono tenute a freno con successo nel Medioevo» (D.C. Lindeberg & R.L. Numbers, Dio e natura, La Nuova Italia 1994, p. 43).

Dunque era chiara la distinzione tra fantasia e realtà in questo periodo storico, ricco di novità tecnologiche e di vita culturale. «E’ opportuno precisare», ha così scritto il grande appassionato di Medioevo, Umberto Eco, «che il Medioevo non è quello che il lettore comune pensa, che molti affrettati manuali scolastici gli hanno fatto credere, che cinema e televisione gli hanno presentato». Infatti, ha proseguito lo storico Alessandro Barbero, ordinario di Storia Medievale presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale, «grandi studiosi come Jacques Le Goff hanno insistito tutta la vita a parlare della luce del Medioevo».

La redazione

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Insegna differenze biologiche tra uomo e donna: neurofisiologo sotto indagine

Gender e differenze tra uomo e donna. Un professore in Svezia ha osato parlare delle differenze biologiche tra uomini e donne ed ora è indagato dalla sua stessa università. Negli Usa, invece, un transessuale insegna liberamente ai bambini la naturalità della famiglia omosessuale. 

 

Germund Hesslow, professore di Neurofisiologia all’Università di Lund, ha annunciato che l’ateneo in cui insegna sta procedendo ad una “investigazione completa” sulle sue osservazioni circa le realtà biologiche che differenziano l’uomo dalla donna.

Hesslow sostiene che il genere non è interamente costruito socialmente perché la ricerca empirica ha trovato differenze statistiche nel comportamento dei due sessi, biologicamente basate. Un’ovvietà, come continuamente mostrano gli studi sul cervello umano, ma nella Svezia gay-friendly è fatto divieto parlarne e si viene accusati di “transfobia”. «I dati scientifici», ha invece spiegato Antonio Federico, ordinario di Neurologia presso l’Università di Siena, «evidenziano chiare e nette differenze tra il cervello femminile e quello maschile, differenze che sono genetiche, ormonali e strutturali anatomo-fisiologiche, con importanti conseguenze sulle funzioni cerebrali e anche su alcune malattie».

Al neurofisiologo svedese è stato chiesto di ritirare e scusarsi in particolare per un’affermazione carpita con un registratore: «le persone gay hanno un orientamento sessuale maschile». Ciò implica che il cambio di sesso è impossibile poiché la sessualità con cui si nasce coincide con la profonda essenza della persona, indipendentemente dal fatto che la sua psicologia la accolga o meno. Ed infatti il prof. Hesslow si è rifiutato di farlo: «Non ho intenzione di aprire ulteriori discussioni su ciò, si tratta di una risposta ad una domanda di uno studente. Penso di aver già fatto abbastanza per spiegare e difendere la mia scelta di parole». Simili polemiche hanno travolto un altro professionista, un celebre psicologo canadese, Jordan Peterson, che si è rifiutato di utilizzare pronomi neutrali (né maschili, né femminili) per indicare gli studenti universitari. 

E’ impressionante ed inquietante come uno stimato scienziato non possa più esprimere dati scientifici in quanto ritenuti “scomodi” e discriminanti per un’inquisizione arcobaleno che pretende di sovvertire la realtà in nome dei suoi capricci. «L’utopia del “neutro”», ha commentato Papa Francesco, «rimuove ad un tempo sia la dignità umana della costituzione sessualmente differente, sia la qualità personale della trasmissione generativa della vita».

Ciò si amplifica pensando che alla Michelle Obama Neighborhood Library di Long Beach, in California, il transessuale Xochi Mochi (nella foto a destra) sta indottrinando ogni settimana i bambini con le cosiddette “teorie gender” mascherate sotto le parole magiche “accettazione” ed “inclusione”. La lezione consiste nella lettura di favole in cui viene presentata come “normale” la famiglia in cui la figura materna/paterna è censurata, sostituita con due padri/madri.

La redazione

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Politico ateo trova Dio, battezzato a 85 anni: «impressionato dalla carità cattolica»

Atei convertiti. L’ex leader del Partito Laburista Australiano, Bill Hayden, ha chiesto il battesimo lo scorso 9 settembre. “Non poteva più negare la realtà di Dio”, ha dichiarato il suo confessore, padre Dillon.

 

Ex governatore generale dell’Australia, dal 1989 al 1996, ex Ministro degli affari esteri ed ateo per tutta la vita. Ma Bill Hayden ha sorprendentemente chiesto il battesimo cattolico il 9 settembre scorso. Ha 85 anni.

The Australian ha riportato che, secondo le sue parole, Hayden «è stato spinto nella sua decisione dopo aver assistito a così tanti atti di compassione da parte dei cristiani cattolici durante la sua vita». In particolare, oltre alla fede della madre, sembra abbia influito una recente visita a Suor Angela Mary Doyle, una religiosa di 93 anni famosa in Australia per la sua lunga vicinanza ai poveri. «Mi sono sempre sentito abbracciato e amato dal suo esempio cristiano», ha detto il politico. «Il mattino dopo averla incontrata ha avuto la forte sensazione di essere stato in presenza di una donna santa. Così, dopo essermi soffermato su questo, ho trovato la via per tornare al nocciolo di quella fede: la Chiesa».

Hayden si è sempre identificato come umanista anche se da tempo stava sperimentando «un dolore lancinante nel cuore e nell’anima riguardo a quale sia il significato della mia vita». La vecchiaia offre proprio questa grazia: davanti alla vita che lentamente se ne va, poter guardarsi in modo puro e originale e trovare il coraggio di mettere da parte steccati e muri ideologici o pregiudizievoli che hanno ostacolato durante tutta la vita. Così, ad esempio, è accaduto al più celebre ateo britannico, il filosofo Antony Flew.

«Qual è il mio ruolo in questo mondo?», è stata la domanda che ha tormentato Bill Hayden nell’ultimo periodo. «La risposta ha richiesto troppo tempo, ora sarò coerente», ha affermato, annunciando la sua conversione. «Da questo giorno in avanti sarò fedele a Dio». Padre Peter Dillon, il prete cattolico che lo ha battezzato, ha detto che l’ex leader del Partito Laburista Australiano ha maturato la sua decisione diversi mesi fa. «E’ stata una cosa importante per lui, un atto di sottomissione al fatto che non poteva più negare che Dio è reale e che lo aveva incontrato», ha spiegato il sacerdote. Per quanto riguarda i suoi progetti, Hayden ha detto che vorrebbe svolgere un ruolo attivo nella St, Vincent de Paul Society, una delle principali organizzazioni di beneficenza cattoliche del paese.

L’Australia è uno dei paesi colpiti dal fenomeno della pedofilia clericale, anche in questo caso sono fatti che risalgono al lontano passato ma che giustamente scuotono i fedeli. Eppure, come mostra questo caso emblematico, c’è chi, grazie a Dio, riesce a distinguere la Chiesa come istituzione storica, umana e divina, che prosegue la presenza di Cristo nel mondo, dai suoi fragili membri. Che sa guardare ai santi, dividendoli dalle mele marce. Che si lascia stupire ed interrogare anche nell’immenso male commesso da alcuni. E forse è questa la notizia più importante.

La redazione

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«Aver chiesto le dimissioni al Papa? Un errore di Viganò»: i blogger si arrendono

Il dossier Viganò e le dimissioni a Francesco. Per settimane i blogger antipapisti hanno provato a sostenere l’impeachment papale ma ora tradiscono l’ex nunzio, riconoscendo che la richiesta di dimissioni al Papa non è sostenibile.

 

Le accuse al Papa contenute nel dossier Viganò erano apparse fin da subito risibili. Il primo ad averlo ammesso è il più famoso blog anti-bergoglio in lingua spagnola, InfoVaticana, il quale ha ripubblicato queste parole: «E’ arrivato il momento di abbassare i toni? E’ stato un errore di mons. Viganò chiedere le dimissioni di Papa Francesco». Perché questa presa di distanza da Viganò dopo giorni di ricatti morali (“o rispondi o ti dimetti”) al Pontefice, trattato come un manager d’azienda? Perfino l’ex stratega di Donald Trump, Steve Bannonsi è stupito dell'”eretica” concezione della Chiesa manifestata dall’ex nunzio e dai suoi blogger di fiducia: «Il Papa, attraverso una catena ininterrotta, è il Vicario di Cristo in terra. Non puoi semplicemente sederti lì e dirgli: “Penso che ti dovresti dimettere”».

La verità è che i maldestri vaticanisti a cui l’arcivescovo si è affidato, non hanno calcolato la debolezza dell’impianto accusatorio e sono riusciti a far puntare i riflettori su qualcosa che non avrebbero mai voluto illuminare. L’operazione si è infatti trasformata in atto d’accusa ai precedenti pontefici: com’è stata possibile la carriera dell’abusatore omosessuale McCarrick (ritiratosi in pensione prima dell’elezione di Francesco)? La Nación, ha infatti scritto: «La lettera di Viganò diventa un boomerang per il settore che attacca papa Francesco. Se analizzata in profondità, danneggia fortemente il pontificato di Benedetto XVI e quello del suo predecessore, Giovanni Paolo II, per come hanno gestito lo scandalo degli abusi. Ed è un boomerang per i settori ultraconservatori e tradizionalisti che hanno cercato di attaccare Francesco sfruttando lo scandalo degli abusi sessuali nel clero».

Appare ormai assurdo incolpare Francesco di aver “riabilitato” un cardinale che non era mai stato bandito (essendo un habitué del Vaticano fino alla sua elezione) e di aver disatteso una precisa direttiva a vita privata emessa da Benedetto XVI nei confronti di McCarrick, scoperta però essere stata solo «una richiesta privata», disattesa dal cardinale e dallo stesso Papa emerito che lo accolse fino all’ultimo giorno (il 23 febbraio) in Vaticano. Un caso gestito male nel passato che i turiferari della resistenza hanno però tentato di addossare all’ultimo arrivato, Papa Francesco, l’unico che ha oltretutto preso provvedimenti pubblici contro McCarrick. Perfino l’anticlericale Emiliano Fittipaldi ha ammesso: «L’accusa principale di Viganò appare assai debole. Non solo perché non suffragata da alcuna prova, ma anche perché il rapporto è pieno di omissioni: in primis proprio l’ex nunzio, dopo la sua denuncia al Papa, ha in più occasioni incontrato McCarrick in assoluta cordialità, tanto da presentare il molestatore ad una conferenza pubblica come “un uomo molto amato da tutti noi”. Elementi che compromettono l’assunto con cui l’arcivescovo giustifica il suo sfogo: “io agisco perché la verità emerga”» (E. Fittipaldi, Francesco, Papa fragile, L’Espresso 09/10/18, p. 50)

E lo hanno capito tutti, cattolici e non. Da buon esperto di scandalismo, Dagospia ha cavalcato l’onda Viganò ma alla fine ha allargato le accuse: «Tre Papi con le spalle al muro sugli abusi del cardinale McCarrick. Un segreto di Pulcinella nascosto per oltre 18 anni». Il Washington Post ha puntato il dito contro Giovanni Paolo II, mentre Aldo Cazzullo ha osservato che «la richiesta di dimissioni è una forzatura polemica. I fatti sono di gran lunga antecedenti al papato di Francesco. McCarrick è stato fatto cardinale da Wojytla, coperto da Bertone, segretario di Stato di Ratzinger -almeno stando all’accusa di Viganò-, ed è stato costretto alle dimissioni da Bergoglio». Il National Catholic Reporter ha scritto: «gli accusatori non agiscono in buona fede. Perché fanno richieste al Papa ma non chiedono nulla a Viganò. Perché non dovrebbe essere invitato a produrre prove? Perché non dovrebbe essere invitato a spiegare il suo comportamento con McCarrick? Ripetono l’ovvia falsità che Francesco avrebbe promosso McCarrick, quando fu Giovanni Paolo II a promuovere questo predatore».

Così, l’altro giorno, anche il blogger Marco Tosatti, ha gettato la spugna: «lasciamo perdere le dimissioni del Papa», ha scritto. Spostando l’attenzione sul fatto che comunque Bergoglio continua a non rispondere (anche se tutti sanno che è in preparazione un contro-dossier vaticano e che il Papa ha scelto di sottrarsi dal ricatto, consapevole che l’accusa è viziata da bugie e omissioni). Per questo, ha proseguito Tosatti, Francesco avrebbe perso «credibilità personale». Forse il blogger italiano dovrebbe riflettere sulla sua di credibilità (e quella dei suoi amici immaginari “Super ex” e “Pezzo grosso”, gli pseudonimi usati per firmare gli articoli più diffamanti), dato che ha insabbiato il grave tentativo dello stesso ex nunzio Viganò di ostacolare le indagini su un conservatore suo amico, l’arcivescovo John Nienstedt, accusato di molestie sessuali e omosessuali e collaboratore di Timothy Busch, l’avvocato che ha coadiuvato l’operazione del recente “dossier”. Al di là della smentita di Viganò, nei giorni scorsi l’accusa è stata confermata da Dan Griffith (mediatore tra l’arcidiocesi di Minneapolis e lo studio legale che conduceva l’indagine), il vescovo ausiliare Andrew Cozzen e
l’arcivescovo Bernard Hebda, successore di Nienstedt. Ma Viganò non risponde e i suoi blogger tacciono sulle gravi accuse a suo carico.

Proporzionalmente allo sgonfiarsi dell'”operazione Viganò” è cresciuta l’insofferenza di Tosatti verso i giornalisti che ne hanno scoperto le enormi falle. Vi confidava molto, non essendo riuscito a macchiare il Pontefice con le sue fake-news, l’ultima in ordine di tempo l’invenzione di una commissione segreta bergogliana per modificare Humanae Vitae. Se l’è così presa con Luis Badilla, direttore de Il Sismografo, di cui ha cristianamente scritto: “ex-esule cileno allendista”, “di fumante c’è solo il suo cervello”, “ex esule dal Cile”, “esule dalla realtà”, “sbocco di pus”, “il suo livello è troppo basso”, “vomita sui colleghi”. Tosatti ha preso a male parole anche Stefania Farlasca, di Avvenire, lanciando una frecciata malevola anche verso Ratzinger («Benedetto cerca di tacere il più possibile»). Più interessante come il blogger ha risposto al dilagante dubbio dei suoi stessi lettori sul comportamento di mons. Viganò, il quale accusa il Papa mentre è stato il primo ad aver omaggiato pubblicamente McCarrick. Alcuni lo spronano a proseguire la battaglia «contro il pastore-idolo, il falso pastore che sta spianando la strada all’Anticristo», mentre c’è chi riconosce che «alcune obiezioni meritano di essere più puntualmente confutate». Un altro commentatore è più esplicito: «Io continuo a non capire perché se ciò che m. Viganò ha scritto corrisponde al vero, lui è stato il primo a non fare un bel nulla per far rispettare le sanzioni a McCarrick». Domanda schiacciante alla quale Tosatti, imbarazzato, risponde: «Viganò era il Nunzio in Usa, immagino che avesse anche un paio di cose da fare». Eccome no! Ad esempio, doveva premiare McCarrick come “ambasciatore pontificio”, esprimergli il suo affetto a nome del Papa e celebrare messa assieme, consapevole del suo passato e delle “sanzioni papali”. Il “c’aveva altro da fare” è il perfetto finale tragicomico.

Ancora peggio, forse, ha fatto l’altro depositario del dossier, il vaticanista Aldo Maria Valli, figlio spirituale del card. Martini e i cui ultimi libri contro la Chiesa vengono coerentemente introdotti dall’anticlericale Corrado Augias. «A mio avviso non prova nulla», ha scritto analizzando il video in cui l’ex nunzio rende omaggio a McCarrick e che, invece, ha così turbato i fedelissimi di Tosatti. «Si trovava a una delle sue prime uscite pubbliche come ambasciatore della Santa Sede. Che cosa avrebbe dovuto fare il nunzio Viganò? Ignorare McCarrick? Oppure dire pubblicamente: “Eminenza, dovrei salutarla ma non lo faccio, perché lei è un mascalzone?” È chiaro che in un’occasione simile il nunzio, il rappresentante del papa, fa il nunzio: cioè non mette in piazza ciò che sa e ciò che sente dentro di sé. Viganò dice a proposito di McCarrick che “tutti noi gli vogliamo bene”. E non è proprio questo che fa il cristiano? Voler bene al peccatore, nonostante il peccato?». Se non avesse elogiato McCarrick, conclude Valli, mons. Viganò «avrebbe tradito la fiducia del papa». Mai avremmo immaginato che una persona d’esperienza potesse cadere così in basso: far rispettare coraggiosamente la sanzione del Papa diventa all’improvviso “tradire la fiducia del Papa”, l’elogio pubblico verso McCarrick è giustificato dal fatto che Viganò “era alla prima uscita come nunzio” (e perché anche nella terza o decima uscita non ha mai fatto comunque nulla?), per arrivare a scrivere che è giusto apprezzare pubblicamente un abusatore sessuale perché il cristiano “vuol bene al peccatore, nonostante il peccato”. E’ l’apoteosi dell’ambiguità, accusa tanto cara ai detrattori di Francesco. Valli gioca la carta diplomazia per salvare Viganò? Sarebbe allora bastato un discorso più sobrio, senza parlare di “affetto”. Avrebbe potuto disdire l’invito inventandosi, diplomaticamente, un impegno improvviso o, come chiunque altro al suo posto, avrebbe tentato di far presente in privato agli organizzatori della non opportunità di tale onorificenza. Ma l’organizzatore, padre Andrew Small, ha testimoniato che Viganò non ha mai cercato di dissuaderlo dall’onorare pubblicamente il cardinale che sapeva essere abusatore.

Nel frattempo i vescovi di tutto il mondo si stanno stringendo attorno al Papa con comunicati di vicinanza e affetto (Polonia, Brasile, Portogallo, Germania, Porto Rico, Austria, Honduras, India, Uruguay, Asia ecc.) e torna alla mente il 2010, quando scoppiò per la prima volta pubblicamente il “caso pedofilia” nella Chiesa e si accusò Benedetto XVI di aver coperto il pedofilo padre Murphy. Fu addirittura denunciato alla Corte penale internazionale per aver «tollerato abusi e molestie su minori e protetto i responsabili per anni» e diversi intellettuali cercarono di farlo arrestare per «crimini contro l’umanità». Si disse anche che le sue dimissioni erano dovute per scappare all’arresto, una bufala che contribuimmo a smontare. Quando nel 2012 vennero archiviate le accuse a Ratzinger, il vaticanista Marco Politi, che ne chiese le dimissioni, non scrisse nulla e si ritirò nel silenzio (almeno fino a pochi giorni fa, appena ha intuito che il dossier Viganò è una bomba contro Benedetto XVI, non più contro Francesco).

Proprio in quei giorni, mons. Luigi Negri, allora vescovo di San Marino e Montefeltro, scrisse una lettera pubblica a Benedetto XVI, riportata alla memoria in questi giorni dal vaticanista Andrea Tornielli:

«Santità, la menzogna e la violenza diabolica si avventano, ogni giorno, sulla Sua Sacra Persona. Lei vive di fronte a tutta la Chiesa una singolarissima partecipazione alla Passione del Signore Gesù Cristo. Un grandissimo e comune amico, il Presidente Marcello Pera, mi ha scritto in questi giorni: com’è possibile che un miliardo di cristiani assistano in silenzio ed impotenti al tentativo di distruggere il Papa, senza rendersi conto che dopo questo non ci sarà più salvezza per nessuno. Santità, è necessario che tutti noi lavoriamo, sotto di Lei, ad una grande riforma dell’intelligenza e del cuore della Chiesa, fondata sull’adesione incondizionata al Suo Magistero. Troppe cattive teologie, troppi vacui esegetismi, molte volte in polemica esplicita con il suo Magistero, avviliscono oggi la cultura della Chiesa. Santità Lei conosce i nostri cuori, sa che ci stringeremo in un abbraccio alla Sua Persona, pronti a morire per Lei e per la Chiesa» (27 marzo 2010).

Mons. Negri non si stava riferendo a un Papa, in quel caso Benedetto XVI. Ma al Papa, cioè, in generale, all’autorità del Successore di Pietro, garante dell’unità e punto storico di riferimento che assicura la sequela di Cristo. «Chi ascolta voi, ascolta me, chi disprezza voi, disprezza me», disse Gesù Cristo investendo gli apostoli del potere di governare la Chiesa (Lc 10,16). Per questo, scrisse giustamente mons. Negri, «distruggere il Papa» significa che «dopo questo non ci sarà più salvezza per nessuno». Speriamo che queste parole -le quali motivano i nostri interventi in questa vicenda- vengano tenute a mente da tutti, anche oggi.

La redazione

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Preghiera bandita allo stadio? Il popolo risponde con il “Padre nostro” prima delle partite

In un distretto dell’Alabama è stata bandita la recita di una preghiera prima delle partite di football. Gli abitanti del quartiere ne hanno tratto un bene maggiore. Una notizia locale utile come simbolo internazionale.

 

Una risposta intelligente. Un distretto scolastico dell’Alabama ha ceduto alle pressioni del gruppo ateo Freedom From Religion Foundation e ha vietato la recita della tradizionale preghiera prima dell’inizio delle partite di football. Ma i genitori dei ragazzi e gli abitanti hanno replicato presentandosi alle partite con indosso una maglietta con la scritta “We believe” (“Crediamo”)

La nuova politica, in vigore dal 21 settembre scorso, sostituisce la preghiera con un momento di silenzio. Un vuoto che viene ritenuto più “laico”. Ma i cittadini del distretto scolastico della contea di Blount hanno deciso di “rompere” il silenzio (video più sotto) recitando pubblicamente e coralmente il tanto fastidioso “Padre nostro”.

Solitamente a recitare la preghiera era una voce dall’altoparlante dello stadio. «Credo che se ci sono 1.000 persone in quelle gradinate a recitare la Preghiera del Signore, probabilmente sarà un un po’ più commovente di una sola persona che prega», ha commentato un genitore, guardando il lato positivo della vicenda. Le magliette “We believe” sono state distribuite gratuitamente e pagate dalle cinque chiese della zona. Sono andate a ruba, così ne verranno distribuite molte di più per i prossimi eventi.

Uno dei giovani atleti, Kayla, intervistato, ha detto: «Queste magliette significano che difendiamo il nostro cristianesimo e che nessuno può davvero fermarci. Anche se provano a farci una causa, non significa nulla». Il ragazzo ha ragione, ne parlavamo qualche settimana fa riportando le parole del celebre storico delle religioni, Philip Jenkis. Il cristianesimo può essere combattuto o censurato, «ma rinasce sempre. E’ come la resurrezione». La vicenda, pur locale, è simbolica e mostra come i tentativi di reprimere l’identità cristiana rischino di risultare controproducenti. Così avvenne in Italia, ad esempio, quando un gruppo ateo cercò di vietare i crocifissi nelle scuole: come risposta, ne apparvero migliaia in più anche laddove i muri erano rimasti “vuoti”.

Una risposta condivisibile, quella di questi genitori. All’imposizione di un vuoto laico -simbolico del “nulla che ha da dire l’ateismo”- non si sono dati per vinti. Anzi, ne hanno tratto un bene maggiore, coinvolgendo tutto il quartiere e aumentando la portata della celebrazione che è divenuta espressione di popolo. Forse più cosciente, più partecipata e più voluta di quanto lo fosse prima, pronunciata da un asettico altoparlante.

 

Qui sotto il video realizzato dai genitori degli atleti

La redazione

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Vaticano-Cina, il vescovo “clandestino” Wei Fu: «siamo gioiosi per l’accordo»

Lo storico accordo tra Cina e Vaticano è stato salutato con gioia dai cattolici cinesi, dai vescovi clandestini e dai missionari che davvero conoscono la situazione. Ascoltiamo cos’hanno da dire.

 

Ogni azione, ogni discorso, ogni decisione di Papa Francesco riceve ormai la sua preventiva dose di critiche velenose da parte dei noti blogger pseudocattolici che si improvvisano, a seconda, teologi, diplomatici, storici o esperti di politica internazionale. Così è avvenuto per lo storico accordo tra Santa Sede e governo cinese del 22 settembre scorso. Ma hanno tralasciato l’accoglienza entusiasta da parte dei cattolici cinesi “clandestini” ed il fatto che tale intesa venne auspicata a lungo da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Si è parlato di “tradimento” della chiesa clandestina, non riconosciuta dal governo, senza però verificare il giudizio degli stessi cattolici clandestini. «Se uno critica il Papa di essersi arreso al governo cinese sulla nomina dei vescovi cinesi, può fare questo solo perché non ha la fede e quindi non può sapere cosa è davvero la Chiesa. E io, a uno così, lascerei dire quello che vuole, può dire quello che gli pare, tanto non sa di cosa parla». Così ha risposto Giuseppe Wei Fu, vescovo “clandestino” della diocesi di Baoding, che ha vissuto diversi periodi di detenzione e di restrizione delle libertà personali («A livello personale», ha detto, «per me non ha grande importanza se il governo mi riconosce o non mi riconosce come vescovo. Gesù non era riconosciuto dal governo di allora. E anche gli apostoli non erano “riconosciuti” come apostoli dal governo di allora»).

Wei Fu si sta rivolgendo indirettamente anche ad uno dei pochi titolati ad operare giudizi sul caso, il vescovo emerito di Hong Kong, Joseph Zen, che da sempre vede con sfavore questo inizio di dialogo tra la Santa Sede e l’impero cinese: è bastato questo per farlo diventare improvvisamente il nuovo pupillo degli “anti-bergogliani” ma, come ha scritto Michael Sainsbury, «non ci sono altri segni sul fatto che il card. Zen sia un oppositore del Papa, di cui parla pubblicamente e in privato con grande rispetto e gentilezza nei suoi confronti, anche se si sta rapidamente ritrovando con sostenitori forse indesiderati». Il vescovo Wei Fu ha comunque respinto le preoccupazioni: «La mia fiducia cresce con il tempo, è riposta nello Spirito Santo, che guida la Chiesa. Con la firma dell’accordo, non ci saranno più tante preoccupazioni e problemi su come far nascere nuovi vescovi nella Chiesa in Cina. La disunione della Chiesa può essere superata e diventare un fatto del passato. Le operazioni per mettere in difficoltà e in cattiva luce la Chiesa saranno meno insidiose. Naturalmente ci vuole tempo perché possano guarire le ferite della disunione. Ma non esiste più un fattore che provocava e alimentava la disunione».

Una posizione realista, seppur i dettagli dell’accordo non sono stati svelati per garantire una necessaria tutela tra le parti. E’ un primo contatto, perfettibile. Però meglio qualcosa rispetto al nulla, ovvero: se prima i vescovi “patriottici” erano designati dal governo senza la necessaria autorizzazione papale -con la creazione di un perseguitato episcopato clandestino, fedele a Roma- ora il Papa ha acquisito il diritto di nomina, seppur dovendo scegliere tra una rosa di nomi proposta dalle comunità ecclesiali ed autorità civili. Un grande passo in avanti. Da parte sua, la Santa Sede ha riconosciuto gli otto vescovi nominati illecitamente negli ultimi anni. Il vescovo Wei Fu porta la voce di tanti altri fratelli cinesi “clandestini”: «I fedeli e sacerdoti che io conosco speravano tutti del miglioramento del rapporto tra Cina e Vaticano. Non solo, pregavano con perseveranza per questo. La firma dell’accordo rappresenta un miglioramento consistente. Per questo tutti lo accolgono e gli danno il benvenuto con grande gioia».

Un’altra voce autorevole è quella di padre Antonio Sergianni, missionario del Pime a Taiwan e Cina per 24 anni e molto stimato da Benedetto XVI. Anche lui ha confermato l’accoglienza entusiasta dell’intesa da parte dei cattolici cinesi: «Sì, l’accordo è stato accolto dalla gioia dei fedeli». Invitiamo a leggere il suo contributo del 2015 per conoscere approfonditamente la situazione e capire che «sul nodo ancora irrisolto delle nomine episcopali è stato Papa Benedetto ad auspicare apertis verbis un accordo con il governo cinese». Infatti, nella Lettera del 2007, il Papa emerito esprimeva l’auspicio «che si trovi una accordo con il Governo per risolvere alcune questioni riguardanti la scelta dei candidati all’episcopato» (n. 9). La continuità con Benedetto XVI è stata confermata anche da padre Federico Lombardi, ex portavoce di Ratzinger. Il missionario in Cina ha commentato: «E’ un accordo importante che aumenterà il clima di fiducia, la conoscenza reciproca, gli scambi di informazione, la circolazione dei vescovi e certamente farà crescere la Chiesa cattolica. Non è un tocco di bacchetta magica che risolve tutti i problemi immediatamente, ma alla lunga farà crescere la Chiesa. Questa firma è un anello, un passo: è l’anello di una catena, di un processo, che poi deve svilupparsi piano piano.».

La bontà dell’intesa si è manifestata concretamente in modo immediato dato che, per la prima volta, due vescovi cinesi saranno autorizzati a partecipare Sinodo dei giovani. Una secca smentita ai gufi che tifavano per una svolta negativa dell’accordo (solamente per poter corroborare la loro ossessione: incolpare l’odiato Pontefice). Altra figura autorevole ad essere intervenuto è Francesco Sisci, il primo straniero ammesso alla Scuola superiore dell’Accademia cinese delle scienze sociali di Pechino, già direttore dell’Istituto italiano di cultura di Pechino ed consulente straniero del più prestigioso bimestrale cinese di politica e cultura: «E’ un momento che la Chiesa cinese aspettava da molto tempo», ha dichiarato. «La grandissima parte dei fedeli, dei sacerdoti, dei vescovi sognava da molti anni di tornare pienamente a sentirsi cinesi e cattolici, insieme. Non sarà la fine dei problemi. Vecchie ruggini e rancori sono stati lasciati correre per troppo tempo. Ma finalmente nella Chiesa le divisioni sono finite». Inoltre, per la prima volta in Cina, c’è «l’ammissione di un principio di divisione tra politica e religione. Il partito comunista cinese ha ammesso di non avere autorità religiosa, e la Santa Sede ha detto di non avere autorità politica. L’accordo comincia a coprire le zone grigie in maniera rispettosa delle competenze di ciascuno».

Un’altra voce autorevole, seppur più critica, è quella di Bernardo Cervellera, missionario del Pime e direttore di Asia News. Si è posto a metà strada tra ottimisti e pessimisti, guardando «il positivo e il negativo presente in questo fragile e “provvisorio” accordo». Anche Pietro Lin Jiashan è un vescovo cattolico clandestino, incarcerato poiché ordinato senza il permesso degli apparati politici. Eppure –ha rivelato Gianni Valente- ringrazia Dio per l’accordo tra Cina e Vaticano, e prega che possa diventare «una nuova pietra miliare per l’unità di tutta la Chiesa cattolica cinese». Lo stesso il vescovo Joseph Xu Honggen: l’accordo tra Cina e Vaticano potrà «produrre un risultato “win-win”, con un guadagno da tutte e due le parti». E così tanti altri.

Ascoltando dunque le persone sufficientemente informate sulla situazione cinese e le uniche autorizzate a rilasciare commenti contestualizzati, è evidente come prevalga un giudizio positivo e lungamente atteso sull’intesa tra Vaticano e Cina, ampiamente auspicato dai predecessori di Francesco. Anche considerando l’ovvia perfettibilità di questo primo accordo, l’ottimismo vince sul pessimismo, almeno per chi crede che la storia sia guidata dallo Spirito Santo. Piccolo dettaglio che i blogger conservatori hanno ormai dimenticato, alleandosi con gli anticlericali del peggior livello.

La redazione

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«Neuroscienze? L’uomo e il suo mistero sono a loro inaccessibili».

Neuroscienze e determinismo. Il neuroscienziato italiano Vittorio Gallese, co-scopritore dei neuroni specchio, spiega perché la scienza ha bisogno delle scienze umane per poter parlare dell’essere umano.

 

«La scienza risponde a tutte le domande e dà risposte più attendibili della religione. Lo scopo del mondo è un problema inventato, è una domanda vuota». Così si esprimeva l’anziano zoologo Richard Dawkins nel suo libro più famoso, L’Illusione di Dio. E il predominio della scienza come unica fonte di verità è ancora oggi un dogma sostenuto da tanti, troppi.

Tra i più irriducibili scientisti, almeno per un periodo della sua vita, vi fu il matematico Bertrand Russell, per il quale «qualunque conoscenza sia conseguibile, deve essere conseguita con metodi scientifici; e ciò che la scienza non può scoprire, l’umanità non può conoscere». Una emerita sciocchezza poiché tutte le più alte conoscenze a cui gli esseri umani giungono nella loro vita avvengono al di fuori di un laboratorio ed in assenza di metodi scientifici. Che suo figlio gli voglia bene, che il marito/moglie provi reale affetto e non sia interessato/a all’eredità, che la madre non metta del veleno nella cena, che l’amore esista, che il bene sia desiderato da ognuno per sé ecc., sono tutte conoscenze a cui l’uomo giunge nel corso della sua vita e che si tramutano spesso in certezza morale, senza ovviamente necessità di una prova scientifica. Anzi, paradossalmente assumono un grado di certezza maggiore piuttosto che la composizione delle stelle.

«Se pure tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero nemmeno sfiorati», affermò acutmente Ludwig Wittgenstein (Tractatus logico-philosophicus, 6,52). «In ambito scientifico cresce l’insofferenza per la filosofia», scrisse il filosofo italiano Emanuele Severino, rispondendo ad un amico di Dawkins, il fisico ateista e scientista Lawrence Krauss, autore di Un universo dal nulla, in cui anch’egli considera spazzatura tutto ciò che non si piega alla dimostrazione scientifica. Severino è ironico: «Accade anche, però, che insieme all’insofferenza cresca anche, nella scienza, l’interesse per i problemi che sono sempre stati propri del pensiero filosofico. Relativamente ai quali essa crede di poter andare molto più a fondo».

Ma non può farlo. Non perché non ne è capace o perché è ancora troppo presto, piuttosto perché esulano dal suo campo d’azione. Molti aspetti chiave della vita (come l’etica: ciò che è bene e ciò che è male, e l’estetica: ciò che è bello e ciò che è brutto) si trovano infatti al di fuori del dominio della ricerca scientifica: la scienza può dire che tipo di circostanze porteranno all’estinzione degli orsi polari, o anzi, dell’umanità, ma non ha nulla da dire sul fatto se questo sia un fatto buono o cattivo. Sulla soluzione del tema immigratorio o del terrorismo internazionale il metodo scientifico ha meno risposte di un bambino. Ancora peggio quando gli scienziati provano a spiegare i valori e gli esseri umani, riducendoli in termini di neuroscienze.

Proprio in questi giorni il celebre neuroscienziato italiano, Vittorio Gallese, uno degli scopritori dei neuroni specchio, ha affermato: «Il riduzionismo delle neuroscienze deve fare i conti con la realtà di ciò che significa essere umani. Occorre enfatizzare i temi della relazione e del ruolo costitutivo della socialità nel farci divenire chi siamo e mettere l’accento sulla centralità della nozione di esperienza. Le macchine eseguono computazioni, gli esseri viventi fanno costantemente esperienza del proprio incontro col mondo fisico e con il mondo degli altri. Lo studio della dimensione esperienziale della cognizione sta fortunatamente divenendo uno degli snodi centrali nello studio del cervello-corpo. Le neuroscienze non possono fare a meno di un costante dialogo con le scienze umane, se ambiscono a comprendere la nostra natura senza sacrificare nulla della sua meravigliosa ed enigmatica complessità» (da Il corpo e la mente non hanno confini, Il Corriere La Lettura, 23.9.18).

E, a proposito di neuroni specchio, anche l’altro co-scopritore, Giacomo Rizzolati, ha qualcosa da dire in merito: «Noi scienziati andiamo molto più per approssimazione. Il filosofo cerca di vedere le cose in modo raffinato, trova subito l’errore, dice che non è del tutto convincente, che gli manca questa prova». Così, la filosofia «è molto più precisa della scienza. E’ vero che i dati della scienza sono incontrovertibili, ma il filosofo è molto utile per trovare quali sono i punti deboli nella speculazione successiva ai dati. I dati sono dati, però poi si devono interpretare. Cosa significano? Cosa portano di nuovo come conoscenza? E’ su questo qualcosa di nuovo che il filosofo ti critica e ti mette in discussione, mette in dubbio certe cose, ed è molto utile».

Testimonianze di scienziati mentalmente aperti e realisti, che rispettano la metodologia propria ed importantissima delle scienze empiriche ma senza disprezzare, anzi valorizzando, quelle degli altri saperi, come filosofia e teologia. Ben sapendo che l’essere umano porta in sé una “meravigliosa ed enigmatica complessità”, che impedisce di essere ridotto ai suoi antecedenti biologici o chimici.

La redazione

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Il Papa in Lituania, dove inginocchiarsi significava sfidare l’ateismo del KGB

Il viaggio del Papa in Lituania, tra i corridoi della follia ateo-comunista. Ma «nessuna repressione del KGB è riuscita a sopprimere la fede», ha detto la presidente lituana, Dalia Grybauskaitė.

 

L’altro ieri Papa Francesco faceva il suo ingresso nell’ex sede del Kgb durante l’occupazione sovietica della Lituania, oggi Museo delle Occupazioni e delle lotte per la libertà. Accompagnato dal vescovo di Vilnius, mons. Gintaras Grusas, si è addentrato nelle stanze delle torture, dove i membri della resistenza venivano interrogati, detenuti, seviziati.

Il 20% del clero del paese, tra il 1944 e il 1960 fu arrestato, deportato o ucciso, condividendo così il destino di migliaia di concittadini. Si opponeva ad un regime ateo e ostile, che negava Dio e l’uomo. Francesco ha oltrepassato la soglia della stanza dove avvenivano le esecuzioni, attraversato i luoghi del sacrificio dei tanti martiri per la libertà e la giustizia (140.000 lituani furono vittime delle deportazioni decretate da Stalin) e firmato il libro d’onore, invocando il dono della pace e della riconciliazione per la Lituania. La veste bianca del Papa ha sfiorato le anime massacrate dalla follia dell’odio, restituendo uno dei momenti più intensi e commoventi della visita nei paesi baltici.

Vi furono notti di urla e torture in quella stanza di morte, prima utilizzata dai nazisti e poi dal Kgb. E’ improbabile che qualcuno avrebbe mai immaginato la presenza del capo della Chiesa cattolica in quei corridoi. Dominio russo, occupazione nazista e poi quella sovietica: l’indipendenza della Lituania fu davvero vista come una liberazione. «Nessuna repressione del KGB è riuscita a sopprimere la fede», ha detto la presidente lituana, Dalia Grybauskaitė, accogliendo il Pontefice. «La Santa Sede ha sempre appoggiato l’idea della Lituania libera. È stato tra i primi a riconoscere la nostra indipendenza incoraggiando così anche altri stati a farlo. Poi, negli anni dell’occupazione, ha preservato l’ambasciata della Lituania indipendente, auspicio e promessa della libertà. E così la speranza si è realizzata».

Più che la Gestapo, il KGB era ben infiltrato e talvolta ascoltava le confessioni dei fedeli. È uno dei motivi per cui questo sacramento è stato impopolare fino a poco tempo fa. All’Università di Vilnius c’era una cattedra di ateismo scientifico ed il dipartimento è ancora oggi di lingua russa. Padre Sigitas Tamkevicius è stato rinchiuso, 35 anni fa, in quel seminterrato del KGB poiché accusato di diffondere propaganda antisovietica attraverso una rivista clandestina. Sopravvisse ad un campo di lavoro forzato in Siberia e dopo l’indipendenza lituana, fu nominato arcivescovo. «Il tuo viaggio è un omaggio al sacrificio per la libertà», ha detto al Papa.

In Lituania l’89% sono cristiani e il 77%di essi sono cattolici. In Estonia, il 75% della popolazione afferma di non avere religione. La Lettonia è diversa, con grandi percentuali di ortodossi e protestanti, con un dettaglio in comune: nonni e nipoti hanno conosciuto la fede fin dall’infanzia, mentre per i genitori è sempre stata assente. Secondo la Costituzione sovietica, era legale rimuovere la patria potestà sui figli se i genitori non educavano all’ateismo, sebbene questa disposizione fosse applicata in modo molto selettivo.

«E’ il venerdì santo del dolore e dell’amarezza», ha affermato sommessamente Francesco, «della desolazione e dell’impotenza, della crudeltà e del non senso». Il “non senso”, cioè quando -ha detto Benedetto XVI- «Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini. E con lo spegnersi della luce proveniente da Dio, l’umanità viene colta da una mancanza di orientamento i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più» (Ultime conversazioni, 2016).

La redazione

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Caso Galileo: così il filosofo Feyerabend difese la Chiesa

Galileo, Bellarmino e la Chiesa. E’ stata ritrovata pochi giorni fa a Londra la più antica versione della «Lettera a Benedetto Castelli» di Galilei, datata 1613, ed il caso Galileo è tornato a far notizia. Ne approfittiamo per pubblicare una riflessione del filosofo Feyerabend, la cui citazione costò nel 2008 a Benedetto XVI la censura da parte di alcuni professori dell’Università La Sapienza. Paul Feyerabend fu docente nelle principali università europee, ad eccezione dell’Università della California. Il suo approccio, come si evince, è assolutamente laico.

 
di Paul Feyerabend*
*filosofo della scienza
 

La Chiesa all’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione. […].

Il processo a Galileo fu uno dei tanti. Non ebbe alcuna caratteristica speciale, se non forse il fatto che Galileo fu trattato con una certa moderazione, nonostante le sue bugie e i suoi sotterfugi. Ma una piccola conventicola di intellettuali, con l’aiuto di scrittori sempre alla ricerca dello scandalo, sono riusciti a montarlo enormemente, così quel che in fondo era solo un contrasto tra un esperto e un’istituzione che difendeva una visione più ampia delle cose ora sembra quasi una battaglia tra paradiso e inferno. Il cosiddetto processo di Galileo consistette di due procedimenti, o processi, separati. Il primo si tenne nel 1616. Fu esaminata e criticata la dottrina copernicana. Galileo ricevette un’ingiunzione, ma non fu punito. Il secondo processo si tenne nel 1632-33. Questa volta il punto principale non era più la dottrina copernicana. Fu invece esaminata la questione se Galileo avesse obbedito all’ordine che gli era stato impartito nel primo processo e se avesse ingannato gli inquisitori facendo loro credere che l’ordine non fosse mai stato promulgato. Gli atti di entrambi i processi sono stati pubblicati da Antonio Favaro nel vol. 19 dell’Edizione Nazionale delle opere di Galileo. L’idea, piuttosto diffusa nel XIX secolo, che gli atti contenessero documenti falsificati e che quindi il secondo processo fosse una farsa, non sembra più accettabile.

Il primo processo fu preceduto da voci e denunce in cui ebbero una parte avidità e invidia, come in molti altri processi. Si ordinò ad alcuni esperti di dare un parere su due enunciazioni che contenevano una descrizione più o meno corretta della dottrina copernicana. La loro conclusione toccava due punti: quel che oggi chiameremmo il contenuto scientifico della dottrina, e le sue implicazioni etiche (sociali). Riguardo al primo punto, gli esperti definirono la dottrina «insensata e assurda in filosofia» o, usando termini moderni, la dichiararono non scientifica. Questo giudizio fu dato senza far riferimento alla fede o alla dottrina della Chiesa, ma fu basato esclusivamente sulla situazione scientifica del tempo. Fu condiviso da molti scienziati illustri — ed era corretto fondandosi sui fatti, le teorie e gli standard del tempo. Messa a confronto con quei fatti, teorie e standard, l’idea del movimento della Terra era assurda. Uno scienziato moderno non ha alternative in proposito. Non può attenersi ai suoi standard rigorosi e nello stesso tempo lodare Galileo per aver difeso Copernico. Deve o accettare la prim a parte del giudizio degli esperti della Chiesa o ammettere che gli standard, i fatti e le leggi non decidano mai di un caso e che una dottrina non fondata, opaca e incoerente possa essere presentata come una verità fondamentale. Solo pochi ammiratori di Galileo si rendono conto di questa situazione. La situazione diviene ancor più complessa quando si considera che i copernicani hanno cambiato non solo le idee, ma anche gli standard per giudicarle. Gli aristotelici, non diversi in questo dai moderni studiosi che insistono sulla necessità di esaminare vasti campioni statistici o di effettuare “precisi passi sperimentali”, chiedevano una chiara conferma empirica, mentre i galileiani si accontentavano di teorie di vasta portata, non dimostrate e parzialmente confutate. Non li critico per questo, al contrario, condivido l’atteggiamento di Niels Bohr, «questo non è abbastanza folle». Voglio solo mostrare la contraddizione di coloro che approvano Galileo e condannano la Chiesa, ma poi verso il lavoro dei loro contemporanei sono rigorosi come lo era la Chiesa ai tempi di Galileo.

Riguardo al secondo punto, le implicazioni sociali (etiche), gli esperti affermarono che la dottrina copernicana era “formalmente eretica”. Questo significa che contraddiceva le Sacre Scritture così come erano interpretate dalla Chiesa, e lo faceva con piena consapevolezza della situazione, non involontariamente. Il secondo punto si fonda su una serie di assunti, tra cui quello che le Scritture siano un’importante condizione limite dell’esistenza umana e, quindi, della ricerca. Questa tesi era condivisa da tutti i grandi scienziati, tra cui Copernico, Keplero e Newton. Secondo Newton la conoscenza scaturisce da due fonti: la parola di Dio, la Bibbia, e le opere di Dio, la Natura, ed egli postulò l’intervento divino nel sistema planetario.

La Chiesa romana sosteneva inoltre di possedere un diritto esclusivo sullo studio, l’interpretazione e la messa in atto delle Sacre Scritture. I laici, secondo la Chiesa, non avevano né le conoscenze né l’autorità per occuparsi delle Scritture ed era loro proibito farlo. Questa norma non dovrebbe sorprendere chi conosce i comportamenti delle istituzioni che esercitano un potere. L’atteggiamento dell’American Medical Association verso i professionisti che non ne fanno parte è rigido come quello della Chiesa verso gli esegeti laici e ha la benedizione della legge. Esperti, o ignoranti che hanno acquisito il riconoscimento formale di una competenza, hanno sempre cercato, spesso con successo, di assicurarsi diritti esclusivi in ambiti particolari. Qualsiasi critica al rigore della Chiesa romana è valida anche nei confronti dei suoi moderni successori che hanno a che fare con la scienza.

Passando ora dalla forma e dai presupposti amministrativi dell’obiezione al suo contenuto, notiamo che esso riguarda un argomento che sta diventando sempre più importante nel nostro tempo: la qualità dell’esistenza umana. L’eresia, intesa in senso lato, denotava una deviazione da comportamenti, atteggiamenti e idee che garantivano una vita equilibrata e santificata. Questa deviazione poteva essere incoraggiata dalla ricerca scientifica, e a volte lo era. Di conseguenza, era necessario esaminare le implicazioni eretiche degli sviluppi della scienza. In questo atteggiamento sono presenti due idee. Anzitutto, si dà per scontato che la qualità della vita possa essere definita indipendentemente dalla scienza, che essa possa trovarsi in conflitto con esigenze che gli scienziati considerano naturali componenti della loro attività, e che conseguentemente sia la scienza a dover essere modificata. In secondo luogo, si dà per scontato che le Sacre Scritture, così come interpretate dalla Chiesa, indichino una forma corretta di vita piena e santificata. Il secondo assunto può essere rifiutato senza negare che la Bibbia sia assai più ricca di lezioni per l’umanità di qualsiasi cosa la scienza possa produrre. I risultati scientifici e l’ethos scientifico (se esiste) sono fondamenta troppo esili per dare un senso alla vita. Molti scienziati condividono questa opinione. Si trovano d’accordo sul fatto che la qualità della vita si possa definire indipendentemente dalla scienza, che è la prima parte del primo assunto. Ai tempi di Galileo vi era un’istituzione — la Chiesa romana — che soprintendeva a questa qualità nei modi che le erano propri. Dobbiamo concludere che il secondo punto — vale a dire che Copernico fosse “formalmente eretico” — aveva a che fare con idee di cui c’è molto bisogno oggi.

La Chiesa era sulla strada giusta. Ma si sbagliava, forse, rifiutando opinioni scientifiche in contrasto con la sua idea di Buona Vita? Ho sostenuto che la conoscenza ha bisogno di una pluralità di idee, che anche le teorie più radicate non sono mai così forti da determinare la scomparsa di metodi alternativi, e che la difesa di queste alternative (quasi l’unico modo di scoprire gli errori presenti in posizioni molto rispettate) è necessaria anche da parte di una filosofia limitata come l’empirismo. Se essa risultasse necessaria anche per ragioni etiche, allora avremmo una ragione in più, anziché un conflitto con la “scienza”.

Inoltre la Chiesa era assai più moderata. Non diceva: quel che è in contraddizione con la Bibbia interpretata da noi deve scomparire, per quanto siano forti le ragioni scientifiche in suo favore. Una verità sostenuta da un ragionamento scientifico non era respinta. Era usata per rivedere l’interpretazione di passi della Bibbia apparentemente incoerenti con essa. Molti passi biblici sembrano suggerire che la Terra sia piatta. Tuttavia la Chiesa ha accettato senza problemi che la Terra sia sferica. Dall’altro lato la Chiesa non era pronta a cambiare solo perché qualcuno aveva fornito delle vaghe ipotesi. Voleva prove scientifiche. In questo agì in modo non dissimile dalle istituzioni scientifiche moderne, che di solito aspettano a lungo prima di incorporare nuove idee nei loro programmi. Ma allora non c’era ancora una dimostrazione convincente della dottrina copernicana. Per questo fu consigliato a Galileo di insegnare Copernico come ipotesi; gli fu proibito di insegnarlo come verità. Questa distinzione è sopravvissuta fino a oggi. Ma mentre la Chiesa era preparata ad ammettere che certe teorie potessero essere vere e anche che Copernico potesse avere ragione, se sostenuto da prove adeguate, ci sono ora molti scienziati che considerano tutte le teorie strumenti predittivi e rifiutano le discussioni sulla verità degli assunti. La loro motivazione è che gli strumenti che usano sono così palesemente progettati a fini di calcolo e che i metodi teoretici dipendono in modo così evidente da considerazioni sull’eleganza e sulla facile applicabilità, che una tale generalizzazione sembra ragionevole. Inoltre, le proprietà formali delle “approssimazioni” differiscono spesso da quelle dei principi di base, molte teorie sono primi passi verso un nuovo punto di vista che in un qualche tempo futuro potrebbe renderle approssimazioni, e un’inferenza diretta dalla teoria alla realtà è, pertanto, piuttosto ingenua.

Tutto questo era noto agli scienziati del XVI e XVII secolo. Il punto di vista copernicano era interpretato dai più come un modello interessante, nuovo e piuttosto efficiente. La Chiesa chiedeva che Galileo accettasse questa interpretazione. Considerate le difficoltà che quel modello aveva ad essere considerato una descrizione della realtà, dobbiamo ammettere che «la logica era dalla parte di Bellarmino e non dalla parte di Galileo», come scriveva lo storico della scienza e fisico Pierre Duhem.

Riassumendo: il giudizio degli esperti della Chiesa era scientificamente corretto e aveva la giusta intenzione sociale, vale a dire proteggere la gente dalle macchinazioni degli specialisti. Voleva proteggere la gente dall’essere corrotta da un’ideologia ristretta che potesse funzionare in ambiti ristretti, ma che fosse incapace di contribuire a una vita armoniosa. Una revisione di quel giudizio potrebbe procurare alla Chiesa qualche amico tra gli scienziati, ma indebolirebbe gravemente la sua funzione di custode di importanti valori umani e superumani.

tratto da Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza (Feltrinelli 2013)

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Chiesa e sessualità, il Papa smonta i falsi miti in un solo discorso

La Chiesa ed il sesso: Papa Francesco ristabilisce l’autentico pensiero cattolico smentendo il mito di un’opposizione fobica alla sessualità.

 
 

La Chiesa è davvero sessuofoba, come viene spesso descritta?

Un antico pregiudizio venutosi a creare perché nell’insegnamento cattolico il sesso non è libertino ma, essendo un dono di Dio, va custodito e non svenduto.

 

Il mito della Chiesa sessuofoba.

In un discorso “a braccio”, Papa Francesco ha smontato in un solo colpo due falsi miti e ha riproposto l’insegnamento cattolico sulla sessualità. Sintetizziamo e schematizziamo i punti toccati nel suo intervento:

1) E’ falsa l’equazione sesso = peccato.
2) E’ falsa idea che la Chiesa accetti il sesso solo per procreare.
3) La sessualità va custodita e vissuta all’interno del matrimonio.
4) La sessualità non va scissa dall’amore.
5) La sessualità di cui parlano la Chiesa e Dio è solamente tra uomo e donna.

 

Papa Bergoglio: «Sesso è dono di Dio, nel matrimonio».

Ecco un estratto delle parole del Papa:

«La sessualità, il sesso, è un dono di Dio. Niente tabù. È un dono di Dio, un dono che il Signore ci dà. Ha due scopi: amarsi e generare vita. Gesù dice: per questo l’uomo, e anche la donna, lascerà suo padre e sua madre e si uniranno e saranno… una sola persona?…, una sola identità?…, una sola fede di matrimonio?… Una sola carne: questa è la grandezza della sessualità. E si deve parlare della sessualità così. E si deve vivere la sessualità così, in questa dimensione: dell’amore tra uomo e donna per tutta la vita. È vero che le nostre debolezze, le nostre cadute spirituali, ci portano a usare la sessualità al di fuori di questa strada tanto bella, dell’amore tra l’uomo e la donna. Ma sono cadute, come tutti i peccati. La bugia, l’ira, la gola… Sono peccati: peccati capitali. Ma questa non è la sessualità dell’amore: è la sessualità “cosificata”, staccata dall’amore e usata per divertimento. un’industria della sessualità staccata dall’amore, l’hai vista? Sì! Tanti soldi si guadagnano con l’industria della pornografia, per esempio. E’ una degenerazione rispetto al livello dove Dio l’ha posta. Custodite la vostra dimensione sessuale, la vostra identità sessuale. Custoditela bene. E preparatela per l’amore, per inserirla in quell’amore che vi accompagnerà tutta la vita. In Piazza San Pietro una volta c’erano due persone anziane che celebravano il sessantesimo di matrimonio. Erano luminosi! E io ho chiesto: “Avete litigato tanto?” – “Mah, alle volte…” – “E vale la pena questo, il matrimonio?” – E questi due, che mi guardavano, si sono guardati tra loro e poi sono tornati a guardare me, e avevano gli occhi bagnati, e mi hanno detto: “Siamo innamorati”. Dopo 60 anni! E poi volevo dirvi: una volta un anziano – molto anziano, con la moglie anziana – mi ha detto: “Noi ci amiamo tanto, tanto e a volte ci abbracciamo. Noi non possiamo fare l’amore alla nostra età, ma ci abbracciamo, ci baciamo… Questa è la sessualità vera. Mai staccarla dal posto tanto bello dell’amore. Bisogna parlare così della sessualità.

 

Le parole di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II sul sesso

Non si tratta di un’innovazione di Francesco. Anche Benedetto XVI aveva ricordato che «la sessualità è un dono del Creatore, ma anche un compito che riguarda lo sviluppo del proprio essere umano. Quando non è integrata nella persona, la sessualità diventa banale e distruttiva allo stesso tempo».

Ed in un altro discorso: «L’unione in una sola carne si fa allora unione di tutta la vita, finché uomo e donna diventano anche un solo spirito. Non è un “no” ai piaceri e alla gioia della vita, ma il grande “sí” all’amore come comunicazione profonda tra le persone, che richiede il tempo e il rispetto, come cammino insieme verso la pienezza e come amore che diventa capace di generare vita e di accogliere generosamente la vita nuova che nasce».

 

La Chiesa e i metodi naturali per regolare la fertilità.

Qualcuno crede ancora che la dottrina cattolica accolga il sesso solo per fini procreativi?

Non si è accorto che la Chiesa insegna da decenni l’uso dei metodi naturali per la regolamentazione della fertilità?

Leggete questo esplicito discorso di Giovanni Paolo II:

«Il pensiero cattolico è sovente equivocato, come se la Chiesa sostenesse un’ideologia della fecondità ad oltranza, spingendo i coniugi a procreare senza alcun discernimento e alcuna progettualità. Ma basta un’attenta lettura dei pronunciamenti del Magistero per constatare che non è così. Nel prendere la decisione di generare o di non generare gli sposi devono lasciarsi ispirare non dall’egoismo né dalla leggerezza ma da una generosità prudente e consapevole, che valuta le possibilità e le circostanze, e soprattutto che sa porre al centro il bene stesso del nascituro. Quando dunque si ha motivo per non procreare questa scelta è lecita, e potrebbe persino essere doverosa. Resta però anche il dovere di realizzarla con criteri e metodi che rispettino la verità totale dell’incontro coniugale nella sua dimensione unitiva e procreativa, quale è sapientamente regolata dalla natura stessa nei suoi ritmi biologici».

La redazione

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