No, la Pasqua non ha alcun legame con il paganesimo

Una breve analisi storica dei simboli pasquali smentisce la loro origine pagana. Né l’usanza delle uova, né quella del coniglio risalgono al paganesimo, nessuna dipendenza nemmeno con le divinità pagane Ishtar, Eostre e Ostara. L’unico collegamento è con la Pesach ebraica.

 
 
 

Tra le non molte certezze della vita, una è che a Pasqua qualcuno sicuramente dirà che ha un’origine pagana.

Nulla a che vedere con l’ondata di immagini social sul “Natale pagano” che si scatena puntualmente ogni dicembre, alla quale abbiamo dedicato un dettagliato dossier storico.

Ma anche la Pasqua cristiana ha i suoi detrattori, tanto che qualche anno fa perfino Scientific American ha sentito il dovere di smentire il collegamento con il paganesimo, limitandosi però a concludere che «devono ancora esserci prove storiche a sostegno di tali affermazioni».

 

La Pasqua cristiana deriva dalla Pesach ebraica.

Innanzitutto occorre sottolineare che la Pasqua cristiana deriva dalla Pasach ebraica, nei vangeli viene scritto che gli apostoli e lo stesso Gesù di Nazareth si recavano annualmente a Gerusalemme per festeggiarla.

Con questa festività veniva festeggiato il passaggio (Pasqua significa “passaggio”) dalla schiavitù egizia alla libertà nella Terra Promessa.

Nel libro biblico del Levitico (23,5), è Dio stesso che chiede che «il primo mese, al decimoquarto giorno, al tramonto del sole sarà la pasqua del Signore», mentre nel libro dell’Esodo (12,12-14) Dio afferma: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne».

Secondo quanto riferito dai vangeli, Gesù di Nazareth morì in croce il venerdì precedente la festa ebraica della Pasqua, che quell’anno cadeva di sabato. La cosiddetta Ultima Cena, nient’altro era che il pasto rituale che celebrava la Pesach ebraica e che Gesù, riunitosi con i suoi apostoli, trasformò per istituire l’Eucarestia, prima di morire in croce e risorgere la domenica successiva.

Gli ebrei suoi discepoli, diventati cristiani, videro nella resurrezione di Gesù un richiamo ed una continuità con la Pesach ebraica, ovvero il passaggio questa volta dalla schiavitù del peccato alla libertà della salvezza. Iniziarono così a celebrare quel giorno come la Pasqua cristiana: non più il venerdì, ma la domenica.

Inoltre, sempre riferendosi alla tradizione biblica, individuarono in Cristo l’agnello pasquale che risparmia la morte. Scrisse San Paolo: «Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità» (1Cor 5,7-8).

 

Pasqua pagana? Nessuna associazione con la dea Ishtar.

Nonostante questa stretta e trasparente dipendenza e continuità tra Pesach ebraica e Pasqua cristiana, soprattutto nei paesi anglofoni si sostiene che la Pasqua avrebbe invece origini pagane.

Il motivo sarebbe la somiglianza fonetica tra il nome inglese per chiamare la Pasqua, cioè Easter e la divinità babilonese Ishtar (o Ištar).

C’è un po’ di antropocentrismo anglofono in questo, dato che nelle altre lingue europee la parola “Pasqua” non c’entra nulla con Ishtar ma è una variante del termine greco Πάσχα, il quale deriva a sua volta dall’ebraico פֶּסַח (Pesach), che significa…Pasqua!

Francese: Paques;
Rumeno: Paşti;
Portoghese: Páscoa;
Italiano: Pasqua;
Spagnolo: Pasqua;
Faroese: Páskir;
Svedese: Påsk;
Islandese: Páskar;
Gallese: Pasg;
Norvegese: Påske;
Danese: Påske;
Olandese: Pasen;

 

Il nome inglese Easter e la dea della primavera Eostre

Un’altra associazione tra la Pasqua ed il paganesimo è che proverrebbe invece dalla divinità Eostre, una “dea della primavera e della fertilità”.

Con grande sicurezza viene scritto su alcuni siti web che questa dea «recava una cesta piena di uova ed era accompagnata da lepri». Ma non viene citata alcuna fonte storica.

L’unica volta che nella storia si riferisce di questa dea Eostre è nell’opera cristiana altomedievale del monaco Beda il Venerabile (725 d.C.), il quale discute dell’uso di diversi calendari, fornendo una breve spiegazione sul nome dei mesi in lingua inglese.

Alcune etimologie nell’inglese antico si riferiscono effettivamente ai cicli agricoli dell’anno, come Weodmonath (agosto) o “mese delle erbacce” o Thrimilcemonath (maggio) “mese delle tre mungiture”, così chiamato perché si mungeva il bestiame tre volte al giorno grazie alla rigogliosa erba primaverile.

Altri mesi, spiega Beda, si riferiscono a pratiche: Halgemonath (settembre) è “mese Santo” perché era un mese di riti sacri, forse associato alla vendemmia, Hrethmonath (marzo) deriverebbe dalla dea Hrêða (Rheda, in italiano), mentre aprile verrebbe da Eostremonath, derivante dalla dea Eostre.

Ecco cosa scrisse precisamente il monaco Beda:

«Eostremonath ha un nome che ora è tradotto con Mese della Pasqua, e che un tempo era chiamato in onore di una loro dea di nome Eostre, per la quale si celebravano feste in quel mese. Ora designano quel tempo pasquale con il suo nome, chiamando le gioie del nuovo rito con il nome secolare dell’antica osservanza»1Beda, De temporum ratione, XV.

Non esistono altri riferimenti espliciti a questa “Eostre” in alcun altra fonte ma lo studioso di inglese antico, Philip A. Shaw, ha sostenuto l’esistenza di luoghi e nomi personali anglosassoni che interpreta come riferiti a questa dea.

Così, probabilmente, il nome di questa dea era conosciuto in Inghilterra e, a differenza del resto d’Europa, gli anglosassoni presero in prestito il nome del suo mese per chiamare la festa cristiana della Pasqua che si celebrava nello stesso periodo dell’anno.

Questo non significa che la Pasqua sia pagana, i cristiani infatti celebravano la resurrezione di Cristo in questo periodo dell’anno almeno dal II secolo d.C., circa 400 anni prima che il cristianesimo arrivasse in Inghilterra e incontrasse qualche adoratore di Eostre.

L’unica cosa che si potrebbe sostenere, prendendo per vero quanto scrive il monaco Beda, è che la dea Eostre abbia “prestato” il suo nome alla Pasqua inglese, ovvero Easter.

La lingua tedesca è l’unica altra lingua europea ad utilizzare una parola germanica per “Pasqua” (Ostern) piuttosto che una variante basata sul greco Πάσχα (Pascha). Anche in questo caso il nome potrebbe derivare dal tedesco antico “Ostara”, una festività celtica primaverile.

Nelle altre lingue germaniche, invece, il nome della Pasqua deriva dall’originale termine greco: Páskir, in faroese; Påsk, in svedese; Páskar, in islandese; Påske, in norvegese; Påske, in danese; Pasen, in olandese.

Inglese e tedesco risultano così le uniche eccezioni che si discostano da tutte le altre lingue europee, concordi nel far derivare la Pasqua dal greco Πάσχα (e quindi dall’ebraico פֶּסַח, Pesach).

Certamente siamo ben lontani da qualunque “prova” di un’origine pagana della festività cristiana, si tratta invece di casistiche locali che hanno seguito un’evoluzione linguistica a sé stante.

Occorre tuttavia segnalare che l’autorevole enciclopedia Britannica ritiene altamente improbabile che la parola inglese Easter, parallela alla parola tedesca Ostern, possano avere un’origine pagana «considerata la determinazione con cui i cristiani hanno combattuto ogni forma di paganesimo».

Viene riferito, piuttosto, che «c’è un consenso diffuso sul fatto che la parola Easter derivi dalla designazione cristiana della settimana di Pasqua come in albis, una frase latina che era intesa come plurale di alba e divenne eostarum nel tedesco antico, precursore del termine tedesco e inglese moderno».

 

Qual è l’origine dell’uovo di Pasqua?

Che dire però dei cosiddetti “simboli pagani” (o almeno così si dice) come l’uovo di Pasqua ed il coniglio?

Come già detto, non esistono prove che colleghino questi simboli a Ishtar e Eostre, rispetto a quest’ultima la singola menzione della sua esistenza da parte del monaco Beda non riferisce nulla di più se non il suo nome.

Come tutti sanno, uova o conigli non appaiono nemmeno nelle narrazioni evangeliche della Pasqua e quindi non sono prettamente definibili “simboli cristiani” (anche se nel tempo sono stati rivestiti di simbologia cristiana).

Questo tuttavia non autorizza a pensare automaticamente che debbano avere origini pagane, anche se ciò non creerebbe alcun problema ai cristiani (anche Babbo Natale, vestito con i colori della Coca-Cola, non è un simbolo cristiano e tuttavia non crea problemi all’origine storica della festività natalizia).

Esiste una spiegazione molto semplice che fa risalire le uova di Pasqua ad un’usanza del cristianesimo medievale.

La prima prova del precetto di digiuno di 40 giorni prima della Pasqua (detta Quaresima) praticata dai cristiani è nella lettera di Atanasio del 330 d.C. (usanza confermata da Socrate Scolastico nel V secolo), esso comportava l’astensione dalla carne e richiedeva di evitare tutti i prodotti alimentari di origine animale, tra cui formaggio, burro e uova.

Durante il Concilio in Trullo (detto anche Concilio Quinisesto), che si tenne a Costantinopoli nel 692, si raccomandò anche che «tutta la Chiesa di Dio, in tutto il mondo, segua una regola e osservi perfettamente il digiuno, e come si astenga da tutto ciò che viene ucciso, così anche dalle uova e dal formaggio, che sono il frutto di quegli animali dai quali ci asteniamo».

Nel Medioevo, divenne abituale nell’Europa occidentale l’astensione dalle uova nei giorni di digiuno e, soprattutto, in Quaresima, preferendo un’alimentazione umile a base di pane, verdure e pesce.

Tommaso d’Aquino ne spiegò il significato in questo modo:

«Uova e cibi a base di latte sono vietati a chi digiuna, in quanto provengono da animali che ci forniscono carne […]. Anche in questo caso il digiuno quaresimale è il più solenne di tutti, sia perché è tenuto ad imitazione di Cristo, sia perché ci dispone a celebrare devotamente i misteri della nostra redenzione. Per questo è vietato mangiare carne in ogni digiuno, mentre il digiuno quaresimale prevede un divieto generale anche sulle uova e sui latticini»2Tommaso d’Aquino, Summa Teologica, II.2. 127

Così, il digiuno diede origine a due tipi di usanze: il mangiare “abbondantemente” (frittelle e pasticci) durante il cosiddetto “martedì grasso”, prima dell’inizio della Quaresima e mangiare uova la domenica di Pasqua, al termine del digiuno. Infatti, le galline continuavano a produrne uova anche durante la Quaresima così, alla fine del periodo di digiuno, la gente ne trovava da consumare in abbondanza.

Non potendole consumare tutte, con il tempo si iniziò anche a decorarle e nel XIII compaiono i primi riferimenti storici di questo anche se tale pratica potrebbe essere iniziata molto prima.

Se ne trova traccia, ad esempio, nei libri contabili di re Edoardo I d’Inghilterra, i quali registrano la commissione di ben 450 uova rivestite d’oro e decorate da donare per la Pasqua. Nei paesi ortodossi ed orientali si usa ancora oggi colorare le uova.

Ma, ancora prima, nel 1176, in occasione delle festività pasquali, il superiore dell’abbazia di St. Germaindes-Pres donò a re Luigi VII, rientrato a Parigi dopo aver partecipato alla II crociata, alcuni prodotti delle sue terre, come appunto delle uova.

Nel tempo i cristiani hanno “rivestito” le uova di una simbologia religiosa, vedendo nel loro guscio il sepolcro dal quale Cristo è risorto.

La spiegazione più attestata e semplice dell’usanza dell’uovo di Pasqua deriva dunque dalla pratica cristiana del digiuno quaresimale in cui questo alimento, facilmente disponibile, non veniva mangiato.

Quello che non esiste in alcuna fonte storica, invece, è un riferimento ad una festa primaverile pagana che coinvolga le uova.

 

Perché a Pasqua si mangia il coniglio o l’agnello?

Che dire del “coniglio di Pasqua“?

Anche in questo caso non esistono prove di un’origine pagana, si tratta di una versione moderna e commerciale dell’usanza nordeuropea di alimentarsi con le lepri (non i conigli) per festeggiare la Pasqua.

Con l’inizio della primavera, in vista dell’accoppiamento, le lepri diventano più socievoli e verso marzo, nella maggior parte del nord Europa, i maschi si contengono le femmine formando veri e propri  gruppi.

La loro presenza venne usata dalle popolazioni rurali, prive di calendario, per indicare l’inizio della primavera e la vicinanza della Pasqua.

Da qui deriva la tradizione tedesca e olandese della Easter Hare (la lepre di Pasqua) che negli Stati Uniti si trasformò nel Easter Bunny (coniglietto di Pasqua), diffondendosi con il tempo nel resto del mondo come usanza commerciale per vendere dolci.

Diversa invece la tradizione di consumare l’agnello, molto presente in Italia.

Questa usanza deriva direttamente dalla Pasqua ebraica, riferendosi alle parole bibliche nel Libro dell’Esodo (12, 1-9) con cui Dio chiese al popolo d’Israele di marcare le loro porte in terra d’Egitto con del sangue d’agnello. Esisteva anche un comandamento riguardo la Pasqua ebraica che prevedeva l’offerta dell’agnello il giorno 14 del mese ebraico di Nisan.

Con il cristianesimo, l’usanza ebraica dell’agnello assunse la simbologia del sacrificio per eccellenza e simboleggiò l’agnello immolato per la salvezza di tutti, cioè Gesù Cristo. Già nei vangeli avviene questo accostamento: «Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato dal mondo» (Gv 1, 29-34).

 

Chi inventò i collegamenti tra la Pasqua ed il paganesimo.

L’origine dei collegamenti tra la Pasqua ed il paganesimo sembra provenire da Alexander Hislop, un pastore protestante dell’Ottocento appartenente alla Chiesa Libera di Scozia.

Noto per essere stato un veemente critico di qualsiasi cosa avesse a che fare con il cattolicesimo, si convinse la Chiesa cattolica era in realtà l’antico culto misterico babilonese di Nimrod, un’oscura figura pagana menzionata alcune volte nell’Antico Testamento.

Secondo Hislop, Satana permise all’imperatore Costantino (un nome frequente quando si parla di leggende) di dirottare la vera fede cristiana e di condurla al culto degli idoli, solo riconoscendo gli errori dei papisti romani si sarebbe potuti tornare al vero cristianesimo.

Il suo libro The Two Babylons: The Papal Worship Proved to Be the Worship of Nimrod and His Wifenel (1858) è un concentrato di miti e leggende come quelle descritte finora (aggiunse anche che le mitre indossate dai vescovi cattolici prenderebbero la forma dai “cappelli a testa di pesce” indossati dagli antichi sacerdoti del dio Dagon, senza sapere che assunsero tale forma soltanto dal X secolo).

 

Concludendo questo breve excursus, la dea Ishtar non ha niente a che fare con la Pasqua, mentre la dea pagana Eostre può aver “ceduto” il suo nome alla festa cristiana in lingua inglese anche se l’enciclopedia Britannica, come abbiamo visto, ritiene il nome inglese Easter un’antica denominazione cristiana, slegata da Eostre.

Nemmeno le uova ed il coniglietto di Pasqua risultano essere simboli pagani.

L’unico collegamento documentato è quello tra la Pesach ebraica e la Pasqua cristiana.

 
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Avviso
La redazione UCCR augura a tutti una buona e santa Pasqua!
Domenica 17/04 pubblicheremo un dossier storico sulla resurrezione di Cristo e, dopo un breve periodo di vacanza, torneremo ad aggiornare il sito web venerdì 22 aprile 2022.

 

La redazione

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“Senza oneri per lo Stato”: non vieta di finanziare le paritarie

Il finanziamento delle scuole paritarie è contrario alla Costituzione? L’articolo 33 recita infatti il “senza oneri per lo Stato”. Ma è sbagliata l’interpretazione: i padri costituenti si riferivano alla creazione di nuove scuole non alla loro gestione una volta create ed infatti previdero l’aiuto statale agli enti privati.

 
 
 

Mentre nel 2015 l’ex presidente americano Barack Obama trasformava in legge l’Every Student Succeeds Act che garantiva un ulteriore incremento del finanziamento statale agli istituti privati, in Italia nel 2022 dobbiamo ancora fare i conti con i residui del marxismo statalista.

L’indomabile Corrado Augias, sulle colonne di Repubblica ha pensato di scrivere chissà quali tesi innovativa per nutrire l’immortale campagna contro le scuole paritarie.

 

Le scuole paritarie sono scuole pubbliche, non private

Già il titolo dell’articolo di Augias è tutto un programma: “Prima la scuola pubblica”. Eppure risale a vent’anni fa la legge che ha stabilì che le scuole paritarie sono scuole pubbliche e che la differenza è, semmai, tra statali e non statali, entrambe in funzione di un servizio pubblico.

Autore della legge 60 del 2000 fu il prodiano e dalemiano ex ministro Luigi Berlinguer, cugino dello storico segretario del Partito Comunista Italiano.

E’ proprio lui a guardare divertito il teatrino italiano, ricordando che «la contrapposizione tra pubblico-privato, fuori dall’Italia, è considerato con sufficienza. In Europa l’attività scolastica è pubblica per sua natura, chiunque la faccia. E tutti i Paesi, nessuno escluso, sono impegnati con finanziamenti statali di tutta la scuola (in Olanda il 70% delle scuole è privato)».

Dicevamo di Augias, dunque.

Il noto conduttore televisivo si lamenta del fatto che «le scuole paritarie, dopo il flagello del Covid 19, chiedono l’aiuto finanziario dello Stato. Più precisamente chiedono detrazioni fiscali per pagare le costose rette delle scuole paritarie (in maggioranza cattoliche) mentre le scuole pubbliche sono giustamente semi-gratuite».

Augias confronta le scuole paritarie con quelle pubbliche, ma semmai avrebbe dovuto metterle a confronto quelle statali.

Scrive che le paritarie sono in maggioranza cattoliche. E’ probabilmente vero…, proprio questo è il punto che spiega il suo accanimento.

 

Augias: “Le scuole paritarie violano la laicità”

Dopo queste sviste su pubblico, statale e paritario, Augias sostiene che le paritarie non sarebbero «in linea con il dettato costituzionale» in quanto, secondo lui, violerebbero la laicità.

Come prova, racconta l’esempio ipotetico di un professore di un istituto paritario che verrebbe probabilmente licenziato se sostenesse che Gesù aveva fratelli e sorelle «come scritto nei vangeli».

Vorremmo tranquillizzare che se tale ipotetico professore insegnasse questo verrebbe al massimo informato che il dibattito accademico sui “fratelli” di Gesù non risulta concluso, tanto che il più importante biblista vivente, J.P. Meier, pur propendendo alla probabilità che Gesù avesse effettivamente fratelli e sorelle carnali, ricorda che «l’idea che i fratelli di Gesù fossero affini o parenti in senso largo certamente non è esclusa»1J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 1, Queriniana 2008, p. 325.

Piuttosto che perdersi negli esempi fantasiosi, Augias dovrebbe prendere atto che da anni è certificato che gli istituti paritari occupano quasi sempre i primi posti delle classifiche sulle migliori e più preformanti scuole italiane.

 

“Senza oneri per lo Stato”, parola ai padri costituenti.

La seconda tesi di Augias è un classico tormentone: «La richiesta di un finanziamento pubblico permanente si scontra anche con un altro comma della Costituzione: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato“. La legge, nel fissare diritti ed obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, -continua Augias- garantisce piena libertà ed un trattamento definito equipollente per gli alunni».

Curiosamente ora definisce le scuole paritarie non più “non pubbliche” ma, correttamente, “non statali”: questo solo perché Augias sta citando, senza virgolettarlo, il proseguo dell’articolo costituzionale stesso (un vecchio vizio, il copiare, che in passato gli ha causato diversi guai e che, evidentemente, non ha ancora perso).

Ci si sta riferendo all’articolo 33 della Costituzione, da decenni sbandierato come prova della presunta incostituzionalità di sovvenzioni pubbliche alle scuole paritarie.

Lo studioso Lorenzo Ettorre ha ripercorso la storia del dibattito dell’Assemblea costituente che portò alla nascita di tale articolo il 29 aprile 1947, giorno in cui «per la prima volta si superava il monopolio statale in materia scolastica tanto caro alla borghesia liberale ottocentesca».

A promuovere il “senza oneri per lo Stato”, citato da Augias, fu il liberale Epicarmo Corbino il quale si affrettò però a precisare: «Noi non diciamo — disse rivolto ai democristiani — che lo Stato non potrà mai intervenire a favore di istituti privati; diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato».

Ecco, quindi, che i Padri costituenti si riferivano -com’è esplicitato nell’articolo 27- di creazione di scuole e istituti che avrebbero dovuto essere “senza oneri per lo Stato”, non del loro “funzionamento”, una volta istituite.

Conclude Ettorre: «Era loro chiaro che se scuole e istituti non statali, istituiti senza oneri per lo Stato, mostrassero di essere strumenti educativi validi al pari delle scuole statali, nulla poteva vietare allo Stato, in vista del bene comune dell’educazione, di aiutarle economicamente per un migliore funzionamento. Era chiara la volontà dei costituenti».

Nel 2013, in occasione del referendum consultivo sul finanziamento delle paritarie da parte del comune di Bologna, anche Stefano Zamagni, ordinario di Economia presso l’Università di Bologna, intervenne sulla questione ricordando:

«Nella Costituzione si parla di istituire, e non di gestire una realtà già esistente, nessuno ha mai chiesto al Comune finanziamenti per creare nuove scuole materne». Anche a Bologna, come in ogni città italiana, «il Comune eroga annualmente alle scuole paritarie un milione di euro, ricevendo dalle stesse un contributo in termini di posti pari a sei milioni. Siamo di fronte a un caso plateale in cui è la società civile che finanzia l’ente pubblico e non il contrario».

La redazione

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Alla fine, cosa ce ne facciamo del cristianesimo?

A cosa serve il cristianesimo? Una bella riflessione di Ubaldo Casotto, la riprendiamo integralmente. Il cristianesimo non è una dottrina tra le altre, resiste nel tempo solo perché ha qualcosa da dire a me.

 

di Ubaldo Casotto*
* giornalista

da Il Foglio, 14/01/22
 
 
 

«Le nostre società non sanno che farsene del cristianesimo».

Queste le parole di Alfonso Berardinelli in prima pagina su Il Foglio dell’8 gennaio scorso.

E poi, scrive ancora nell’incipit: «Se si volesse parlare chiaro, si dovrebbe cominciare a dire, per prima cosa, che il mondo attuale, o meglio l’occidente, cioè le nostre società e il nostro modo di vivere e di pensare, la nostra economia, tecnologia e politica, non sanno che farsene del cristianesimo».

 

All’uomo moderno, cosa serve una dottrina in più?

Berardinelli non cade nell’equivoco, in cui incorrono invece molti cattolici (e non solo) di identificare il cristianesimo con la cristianità, cioè con la civiltà (morale civile e sociale, ideologia, politica…) che ne è nata, ma che è ormai esperienza passata. Certo non liquidabile con sprezzatura (la cancel culture non è di casa in Vaticano, Francesco l’ha detto chiaro), però non è qui il cuore della questione.

Berardinelli ci invita alla lettura di Cristianesimo e modernità di Guglielmo Forni Rosa – lo farò – ed evidenzia la domanda a cui il libro vuole rispondere: in questa società una qualche forma di cristianesimo potrà ancora sopravvivere?

La forma individuata da Forni Rosa, che la deduce dalla lettura dell’Evangelii gaudium di Papa Francesco sarebbe quella di un «umanesimo fondato sul Vangelo», il quale «dovrebbe misurarsi con un cambiamento più o meno radicale dell’economia mondiale», che inevitabilmente implicherebbe, richiederebbe non solo un’etica ma una politica adeguatamente attiva, cioè una lotta.

Sono cresciuto con la convinzione che “militia est vita homini super terram”, non mi sono tirato indietro in università negli anni del terrorismo, né in seguito in battaglie culturali, politiche, giornalistiche e civili, ma non credo che fosse quella citata la lotta a cui si riferisce Giobbe. Per nominarla non trovo definizione migliore delle parole di Gesù Cristo riportate dall’evangelista Matteo “Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde sé stesso? Che darà l’uomo in cambio di sé stesso?”.

Il dramma, la lotta, sta qui. E sta qui – a mio parere – anche il possibile interesse del cristianesimo per l’uomo di oggi. La domanda di Berardinelli-Forni, d’altronde, era già quella di Fëdor Dostoevskij, che più di centocinquant’anni fa si chiedeva: Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, può credere, credere proprio, alla divinità del Figlio di Dio, Gesù Cristo?”.

 

Il cristianesimo vive finché risponde alle esigenze ultime.

Può – ha risposto Joseph Ratzinger – finché il cristianesimo avrà qualcosa da dire di corrispondente. Oggi come in passato, alle domande ultime dell’uomo. Quelle domande che inevitabilmente riemergono nel più laico dei pensieri e nel più agnostico degli uomini, bucando la patina di cinismo o di nichilismo con cui ci proteggiamo dagli eventi.

Ad esempio, sulla giustizia. «Non me ne importa niente della prova dell’esistenza di Dio. Però, come Monod, ho questo sasso sullo stomaco: non accetto volentieri l’idea che il carnefice e la vittima scompaiano insieme nel nulla», ha scritto il filosofo Paolo Rossi.

Ad esempio, sulla speranza. «Io ero entrato in una notte senza fine, eppure nella parte più profonda di me persisteva qualcosa, molto meno di una speranza, diciamo un’incertezza […] persisteva l’idea che qualcosa nel cielo riprenderà la situazione in mano», come scrive in Serotonina Michel Houellebecq.

Ad esempio, sulla sofferenza e la morte, tornate protagoniste dei nostri timori negli ultimi due anni: come ricordatoci da una copertina dell’Espresso del dicembre 2020. «Avere paura del morire significa sapere che c’è qualcosa che trascende la nostra esistenza individuale. Un Fine. E gli Eredi».

Ad esempio, sulla felicità. «Sei felice in questo mondo moderno? O ti serve di più? C’è qualcos’altro che stai cercando?», come canta Lady Gaga.

La tentazione di vivere facendo a meno di Dio è vecchia come l’uomo, i primi a pensarlo e a farne una prassi sono stati Adamo ed Eva. Pilato fu campione di indifferenza con il suo beffardo “che cos’è la verità?”.

Gli illuministi, sulla scia di Kant – che ammetteva che «si può tranquillamente riconoscere che se il Vangelo non avesse insegnato le norme morali universali nella loro pura integralità, la ragione non li avrebbe conosciuti nella loro pienezza. Però, una volta che esistono, ciascuno può convincersi della loro validità attraverso la sola ragione» – tentarono di preservare i valori cristiani (alcuni sì altri meno) staccandoli dalla loro radice e forzando l’“etsi Deus non daretur” di Ugo Grozio.

I positivisti esclusero drasticamente Dio dall’orizzonte della ragione umana. I laicisti contemporanei concedono che possa esistere, ma “se c’è, non c’entra”, come icasticamente sentenziò Cornelio Fabro.

Invece c’entra. Non come dottrina che abbia la sua da dire in opposizione ad altre dottrine, ma perché ha qualcosa da dire a me.

Papa Francesco ripete spesso una frase: «Il cristianesimo non si propaga per proselitismo ma per attrazione». L’attrazione è un fatto umano. Occorre incontrare un uomo, o una donna, che si dice cristiano. Il grande regista russo Andrej Tarkovskij lo dice in modo forse insuperabile: «Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno – uno sguardo umano – ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice».

E’ un metodo lento, ma pare sia quello scelto da Dio: un’ininterrotta catena di incontri che ha attraversato e continua ad attraversare la storia.

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L’UE punisce anche i rifugiati ucraini in nome dell’agenda Lgbt

I burocrati europei impongono pesanti restrizioni economiche a Polonia ed Ungheria per aver rifiutato l’agenda Lgbt, si tratta però dei paesi che hanno accolto finora più profughi ucraini e che necessiterebbero di aiuto economico, non di punizioni morali ed economiche.

 
 
 

Secondo le Nazioni Unite, già 1,3 milioni di ucraini sono stati accolte in Polonia e 203.000 Ungheria. L’esodo sembra è aumentato dopo l’orrore delle fosse comuni di Bucha.

Ebbene, invece di aiutarli, il Parlamento europeo ha deciso di sostenere sanzioni economiche nei confronti di entrambi i paesi per non essersi sottomessi ai dettami ideologici dominanti.

L’anno scorso, infatti, l’Ungheria ha adottato una legge che vieta la promozione ai bambini di informazioni sul gender e sull’identità di genere, esattamente come è stato deciso all’unanimità, poche settimane fa in Florida.

In Polonia, invece, negli ultimi anni, quasi 100 comuni hanno adottato risoluzioni che definiscono il matrimonio come l’unione di un uomo e una donna e la Corte suprema ha vietato l’interruzione di gravidanza (salvo in caso di incesto, stupro o pericolo per la vita della madre) ritenendola affiliata all’eugenetica.

 

L’UE impone restrizioni economiche a Polonia ed Ungheria.

Così, con 478 voti favorevoli, 155 contrari e 29 astenuti, infatti, i parlamentari europei hanno varato restrizioni economiche che si ripercuoteranno a breve anche sui tanti profughi ucraini che stanno cercando di ricostruire la loro vita nei Paesi che gli hanno generosamente accolti.

E’ curioso che tra i gruppi europei che hanno approvato la scure contro Polonia ed Ungheria, oltra alla maggioranza del PPE (Partito Popolare Europeo), vi sono anche i Socialisti Europei ed i Verdi, gli stessi che lo scorso anno si sono opposti ad una risoluzione che condannava la repressione comunista a Cuba.

Anche la Sinistra Unitaria Europea ha approvato le sanzioni economiche, nonostante al suo interno ospiti partiti spagnoli come Izquierda Unida e EH Bilbu che si sono rifiutati di condannare l’invasione russa dell’Ucraina (capeggiati dai comunisti Miguel Urbán Crespo, Manuel Pineda Marín e Sira Rego).

Non si possono non condividere in questo caso le parole di Santiago Abascal, leader del partito spagnolo Vox, quando denuncia che «Bruxelles intende accoltellare nuovamente la Polonia, il paese più solidale con l’Ucraina nell’intera Ue. Farlo in questo momento, quando ospita più di un milione di profughi, passa da miserabile a criminale».

Anche il Center for Family & Human Rights ha dichiarato: «Gli stati dell’Europa centrale a corto di liquidità, Polonia e Ungheria, hanno chiesto alla Commissione europea di intervenire in loro favore per ricevere quasi 45 miliardi di dollari di assistenza attualmente trattenuta perché non hanno opinioni liberali su omosessualità e transgenderismo. Ciò sta accadendo anche se Polonia e Ungheria stanno sopportando il peso maggiore del primo impatto dei rifugiati ucraini».

 

Costituzione ucraina riconosce solo matrimonio naturale.

E’ pur vero che l’interruzione di gravidanza in Ucraina è più liberalizzata rispetto a Polonia ed Ungheria, essendo ancora immutata la legislatura imposta dall’Unione Sovietica (Germania nazista e Unione Sovietica furono i primi paesi al mondo a varare leggi a favore dell’aborto).

Nessuno però ricordi ai burocrati europei che nel 2009 l’Ucraina negò la richiesta di Elton John e compagno di adottare un bimbo, indirizzando il piccolo ad una coppia di marito e moglie.

Ancora più grave, agli occhi della Commissione europea, quel che osa dire la Costituzione ucraina.

Tramite l’articolo 51 ritiene infatti che il matrimonio «si basa sul libero consenso di una donna e di un uomo. Ciascuno dei coniugi ha uguali diritti e doveri nel matrimonio e nella famiglia. La famiglia, l’infanzia, la maternità e la paternità sono sotto la tutela dello Stato».

Una totale ed intollerabile violazione dell’agenda Lgbt che la Commissione Europea sicuramente punirà, prima o poi. Aspettano solo che la guerra finisca?

La redazione

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I migliori libri pubblicati tra gennaio e marzo 2022

I migliori libri pubblicati tra gennaio e marzo 2022, i nostri consigli per la lettura. Un elenco delle migliori e principali pubblicazioni, accompagnate da una breve recensione.

 
 
 

La nostra rubrica trimestrale sulle migliori novità editoriali.

Molti di questi libri andranno ad integrare la nostra biblioteca virtuale. La cultura alimenta la fede, leggere fa bene alla ragione!

Qui sotto elenchiamo i migliori libri pubblicati tra gennaio e marzo 2022.

 
 

I migliori libri di Gennaio 2022

 

I papi che hanno cambiato la storia di Giovanni Paolo Tesei (Newton & Compton 2022)
La Chiesa è sempre stato il principale committente per pittori, scultori ed architetti, creando, modificando e abbellendo la fisionomia di Roma e non solo. In un libro (scritto da un architetto) viene ricostruito questo ininterrotto legame tra il papato e l’arte.

 
 

La verità nell’abisso. L’amicizia necessaria tra cosmologia e teologia di Antonio Nasuto (La Fontana di Siloe 2022)
Una ricostruzione della storia del legame fra fisica e teologia nel pensiero occidentale, dai filosofi presocratici alla moderna cosmologia sperimentale. Una feconda amicizia, necessaria alla scienza per mantenere aperto il suo orizzonte epistemologico e alla teologia per rinnovare il suo linguaggio e per aggiornare il suo sistema categoriale.

 
 

Testimoniare la verità. Come la Chiesa rinnova il mondo di Georg Gänswein (Ares Edizioni 2022)
L’arcivescovo tedesco, segretario personale di Benedetto XVI, presenta una appassionata difesa della fede cattolica e della tradizione cristiana, esponendo nello stesso tempo profonde osservazioni sullo stato della Chiesa e sul suo ruolo indispensabile, in una società sempre più laica, come forza civilizzatrice nella cultura.

 
 

La nostalgia del sacro. Il ritorno della religione nelle società postmoderne di Michel Maffesoli (Armando Editore 2022)
Il noto sociologo francese (Université de Paris V) decifra la “religiosità postmoderna”, un percorso in cui propone una rinascita del cattolicesimo ed una comprensione della trascendenza, non trascurando l’ancoraggio alla tradizione.

 
 
 

I migliori libri di Febbraio 2022

 

Io so chi sono se so di chi sono. Un percorso alla ricerca di sé di Agostino Tisselli (Ares Edizioni 2022)
Un testo semplice ma profondo, destinato agli adolescenti, agli educatori, agli insegnanti di religione e a chiunque abbia a cuore l’educazione. Brevi lezioni di don Agostino, sacerdote ed educatore che da anni incontra i giovani della riviera romagnola.

 
 

Grazie a Dio. Come la fede promuove la civiltà, il progresso, la pace, la famiglia e la salute di Giuliano Guzzo (Lindau 2022)
Un ricco e ben documentato saggio sociologico in difesa dalla verità da leggende e miti. Vi abbiamo pubblicato una recensione dettagliata.

 
 

La breccia di Porta Pia. Raccolta di Studi nel 150° anniversario di Francesco Anghelone, Pierantonio Piatti e Emilio Tirone (Libreria Editrice Vaticana 2022)
L’editore del Vaticano pubblica una raccolta di Studi a 150 anni dalla “breccia di Porta Pia”, scandagliando le conseguenze di un evento che mutò definitivamente il rapporto tra il Papa e il mondo, portando ad essere il romano pontefice un Padre universale, libero da ogni interesse particolare legato ad un suo Stato, e proteso verso l’umanità tutta.

 
 

I 21. Viaggio nella terra dei martiri copti di Martin Mosebach (Cantagalli 2022)
Il racconto del più grande martirio cristiano dei tempi moderni, i Ventuno giovani cristiani copti decapitati dall’Isis il 15 febbraio del 2015. Abbiamo pubblicato la prefazione al libro del card. Robert Sarah.

 
 

Fuochi accesi. I ragazzi di Portofranco, un’esperienza di educazione e integrazione di Davide Perillo (San Paolo 2022)
La storia di Portofranco, una bellissima opera cattolica italiana formata da 800 volontari in tutta Italia che ogni settimana incontrano 4.000 giovani studenti delle superiori di ogni etnia per aiutarli nei compiti scolastici, stringendo con loro rapporti d’amicizia e dando vita a storie che meritano di essere raccontate.

 
 
 

I migliori libri di Marzo 2022

 

Suicidio occidentale. Perché è sbagliato processare la nostra storia e cancellare i nostri valori di Federico Rampini (Mondadori 2022)
Una critica serrata da parte del noto editorialista ed inviato di “Repubblica” al politicamente corretto e all’ideologia progressista che ammorba l’Occidente. Un modello in cui solo le minoranze etniche e sessuali hanno diritti da far valere e nessun dovere da rispettare, provocando censure e mettendo a rischio il libero pensiero.

 
 

Tolleranza? Meglio il dialogo. Il caso Andalusia e il confronto tra le fedi di Adrien Candiard (Libreria Editrice Vaticana 2022)
L’autore è un teologo e tra gli scrittori più venduti in Francia, i cui libri raggiungono sempre le classifiche dei più venduti. Il suo pensiero, ben espresso nel libro, è che l’indebolimento della concezione religiosa della verità non favorisce, anzi ostacola la tolleranza.

 
 

Perché la sindone non è un falso? di Alessandro Piana (Mauro Pagliai editore 2022)
Un viaggio tra laboratori di ricerca e nelle pieghe della storia, tra dubbi, certezze e conferme. La Sindone ancora oggi non smette di interrogare.

 
 

I secoli luminosi. La sorprendente storia della scienza medievale di Seb Falk (Ponte delle Grazie 2022)
L’autore, docente di Storia medievale e Storia della scienza all’Università di Cambridge, ricostruisce la vita culturale nell’Europa smentendo la leggenda illuminista dei “secoli bui”. Dalla nascita delle università agli occhiali da vista e gli orologi meccanici, i pensatori medievali hanno sviluppato le basi della cultura scientifica.

 
 

Il caso o Dio? Una scelta razionale di Agostino Migliorini (Sempre Editore 2022)
Con un linguaggio semplice, seguendo il metodo della coerenza logica tipico dell’approccio filosofico, l’autore contesta la scientificità di certe tesi che vorrebbero far derivare l’ordine dal caso, e rivendica la solidità di un’altra spiegazione: Dio esiste. Un approccio razionale alla fede che non disdegna di affrontare temi considerati tabù.

 
 

La crepa e la luce. Sulla strada del perdono. La mia storia di Gemma Calabresi Milite (Mondadori 2022)
La ricostruzione dell’omicidio del commissario Calabresi visto dagli occhi della moglie, la vedova Gemma Calabresi. Un racconto anche di fede, come abbiamo scritto nella dettagliata recensione da noi pubblicata.

 
 

La fede che verrà. Credere altrimenti di Battista Borsato (Gabrielli 2022)
Il cristianesimo del futuro sarà meno di massa e più di convinzione, una decisione libera senza il condizionamento di fattori esterni. Non più un’adesione scontata e dovuta al cristianesimo. E’ la condivisibilissima tesi dell’autore, sacerdote della diocesi di Vicenza.

La redazione

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L’identità cattolica ostacola il dialogo? Il Papa corregge Vito Mancuso

Il teologo Vito Mancuso sostiene che qualificarsi come “cristiano” ostacola la fratellanza e il dialogo, proponendo di dichiararsi semplicemente “uomini”. Un abbaglio relativistico corretto da Papa Francesco che, al contrario, ritiene l’identità cristiana la condizione indispensabile per incontrare il mondo.

 
 
 

Il tema dell’identità è all’ordine del giorno, la moda prevalente è la liquidità e Vito Mancuso si accoda.

Il noto teologo progressista è sempre al passo con i tempi e su La Stampa firma un editoriale invocando «una nuova identità di credente», cioè «planetario e postcristiano».

Riprendendo il pensiero del presbitero Ernesto Balducci, di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita, Mancuso inciampa nello storico abbaglio del pensare che l’identità sia in contrasto con il dialogo e la fratellanza tra gli uomini.

Non si limita solo a ricordare e valorizzare Balducci, l’intenzione politica è colpire alcuni leader della destra, come Trump, Bolsonaro, Orban, il polacco Morawiecki legandoli a doppia mandata con Vladimir Putin (e, velatamente, nientemeno che con il nazismo).

E’ il noto modus operandi di Mancuso, sfruttare e strumentalizzare il pensiero religioso-teologico per denigrare gli avversari politici.

 

Mancuso: «La qualifica di cristiano impedisce fratellanza»

Per Balducci, scrive Mancuso, «ogni qualifica identitaria portava alla divisione degli esseri umani». Per questo evitava la qualifica di cristiano, preferendo dire «non sono che un uomo: ecco un’espressione neotestamentaria in cui la mia fede meglio si esprime».

O, meglio, uomo planetario cioè «l’uomo postcristiano», volendo abbattere tutte le barriere che «impediscono all’uomo di essere fratello dell’uomo».

Confessiamo di non conoscere bene il pensiero di Balducci e non sapremmo dire se Mancuso lo stia strumentalizzando, così come fece ad esempio con il suo padre spirituale, Carlo Maria Martini, quando scrisse che sarebbe morto chiedendo l’eutanasia. Una bugia utile però a puntellare una legge a proposito.

 

Gesù anti-relativista: “Io sono la via, la verità e la vita”.

Certamente risulta ben difficile reclutare in questa visione Gesù e Papa Francesco, come Mancuso tenta di fare.

La famosa espressione «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,1-12) è tutt’altro che la manifestazione di una identità liquida.

Per non parlare dei versetti successivi: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto […]. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,1-8).

Quando Vito Mancuso sostiene che la visione postcristiana nemica dell’identità sarebbe «veramente fedele al messaggio» di Gesù, cosa intende esattamente? A quale Gesù si riferisce? Certamente non quello dei vangeli, non a caso ha ammesso di riferirsi più a quelli apocrifi che ai sinottici (la cui lettura, dice, sarebbe «impedita» da parte del Vaticano!).

 

Tolleranza e identità: il pensiero del teologo Candiard

Consigliamo a Mancuso di approfondire il pensiero di un (vero) teologo, Adrien Candiard, un autore apprezzato in Francia e i cui libri sono ormai costantemente in cima alle classifiche dei più venduti. La Libreria Editrice Vaticana ha appena tradotto il suo Tolleranza? Meglio il dialogo (LEV 2022).

Candiard sostiene infatti che sono proprio il sincretismo interreligioso, l’arrendevolezza identitaria e l’indebolimento della concezione religiosa della verità ad ostacolare la tolleranza ed il dialogo tra fedi diverse. Non il contrario.

 

Cancellare la propria identità cattolica definendosi soltanto “uomini” per trovare un denominatore comune e favorire così la fratellanza tra gli uomini è un errore relativistico drammatico.

Il dialogo vero inizia quando ognuno degli interlocutori parte dalla propria identità per meglio comprendere, rispettare e prendere sul serio quella altrui.

Annacquare l’identità significa semplicemente non saper dialogare con l’altro, prendendolo in giro.

Se Mancuso fosse coerente non dovrebbe nemmeno presentarsi come teologo, anche questa è un’etichetta di identità (una superba superiorità intellettuale?) che, secondo il suo pensiero, crea una barriera con chi teologo non è.

Inoltre, il pensiero femminista radicale potrebbe rimproverare a Mancuso anche di definirsi semplicemente “un uomo” (come consiglia Balducci), creerebbe infatti ostacoli nel dialogo con il mondo femminile. A ben vedere, una così chiara identità biologica potrebbe far arrabbiare anche i sostenitori dei gender studies.

Lasciamo a Mancuso trovare la soluzione più idonea e più politicamente corretta.

 

Cosa dice Papa Francesco sull’identità cristiana.

Altro che “uomo postcristiano”, Papa Francesco ha più volte chiesto la necessità di brandire la propria identità cristiana per incontrare realmente gli uomini del mondo.

Nella sua Evangelii Gaudium, ad esempio, Francesco smentisce clamorosamente il pensiero relativistico:

«Un sincretismo conciliante sarebbe in ultima analisi un totalitarismo di quanti pretendono di conciliare prescindendo da valori che li trascendono e di cui non sono padroni. La vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa, ma aperti a comprendere quelle dell’altro e sapendo che il dialogo può arricchire ognuno. Non ci serve un’apertura diplomatica, che dice sì a tutto per evitare i problemi, perché sarebbe un modo di ingannare l’altro e di negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente. L’evangelizzazione e il dialogo interreligioso, lungi dall’opporsi tra loro, si sostengono e si alimentano reciprocamente»

Nel suo messaggio al Forum mondiale dell’ecumenismo 2018, il Papa ribadiva ancora che «un dialogo non significa rinunciare alla propria identità, bensì essere disposti ad andare incontro all’altro, a capire le sue ragioni, a saper intessere rapporti umani rispettosi, con la convinzione chiara e ferma che ascoltare chi la pensa in modo diverso è prima di tutto un’occasione di arricchimento reciproco e di crescita nella fraternità».

Nel 2014, il Santo Padre valorizzava l’identità come condizione per un fruttuoso dialogo con gli altri: «Proprio il dialogo è possibile solo a partire dalla propria identità», disse.

Nel 2013, infine, Francesco ricordava che «il futuro sta nella convivenza rispettosa delle diversità, non nell’omologazione ad un pensiero unico teoricamente neutrale».

La redazione

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Le Iene sorprese da Medjugorje: accade qualcosa di inatteso

Il servizio de “Le Iene” su Medjugorje voleva essere scandalistico ma ha catturato due eventi singolari. Un membro stesso della troupe delle Iene ha testimoniato di aver assistito ad un evento inspiegabile ed è avvenuta una piccola conversione in diretta.

 
 
 

Doveva essere uno dei tanti servizi “scandalistici” su Medjugorje.

Non solo non ci sono riusciti, ma sotto ai loro occhi sono avvenuti due piccoli “prodigi” o comunque due eventi certamente inattesi e non comuni.

Parliamo delle Iene, noto programma televisivo d’inchiesta di Italia Uno, mai tenero né particolarmente oggettivo su tematiche etiche e soprattutto religiose.

 

Le Iene e Brosio a Medjugorje: il servizio scandalistico.

Nel marzo scorso l’inviato Gaston Zama ha ideato un servizio con l’idea di ironizzare sulla spiccata fede mariana del giornalista Paolo Brosio in contrasto con lo scetticismo dichiarato della sua giovane fidanzata, la showgirl Maria Laura De Vitis (si sono lasciati nell’agosto 2021).

Il tutto suggellato da un viaggio a Medjugorje, luogo di (presunte) apparizioni mariane dal 1981, che avrebbe ancor di più amplificato la dicotomia tra i due.

 

La posizione della Chiesa su Medjugorje.

Premettiamo che la Santa Sede, tramite la commissione istituita nel 2010 da Benedetto XVI e presieduta dal card. Camillo Ruini, ha riconosciuto soprannaturali le prime 7 apparizioni, sospendendo il giudizio (e ponendo diversi dubbi) su quelle avvenute in seguito, fino ad oggi.

Tuttavia, è indubbio che alcuni fenomeni particolari accadono tuttora in quel luogo.

Non parliamo solo delle centinaia di conversioni ogni anno di pellegrini di ogni credo (e, soprattutto, senza credo), ma, ad esempio, del cosiddetto “sole pulsante”, di cui abbiamo parlato in un video raccontando l’inchiesta de La storia siamo noi (Rai2).

Tra i testimoni oculari quel giorno, la giornalista Elisabetta Castana e la psicoterapeuta Fausta Marsicano, la quale ha escluso una suggestione di massa.

 

Un tecnico de Le Iene ed il “profumo di rose”.

La troupe de Le Iene ha così accompagnato Paolo Brosio e Maria Laura sul monte Podbrdo (o monte delle apparizioni) di Medjugorje, luogo impervio su cui i sei giovanissimi veggenti dissero di aver visto la Madonna per la prima volta.

Una volta rientrati in città, Brosio racconta al giornalista Gaston Zama che alcuni pellegrini che si recano sul Podbrdo riferiscono di percepire nettamente un profumo molto intenso di rose, considerato segno della presenza della Madonna in quanto da sempre è il fiore mariano per eccellenza (Maria è anche detta “rosa mistica”).

Un odore molto intenso e sorprendente poiché la montagna è priva di fiori e la vegetazione che si incontra è quasi esclusivamente composta da cespugli di rovi.

Mentre Brosio sta raccontando, un membro della troupe de Le Iene interviene con gli occhi sgranati giurando di aver percepito proprio quel forte odore di rosa mentre si trovavano sul monte.

L’inviato Gaston Zama, allibito, pensa che il suo tecnico (di nome Landi) stia scherzando. Ma non è così, l’uomo ha gli occhi lucidi e giura sui suoi figli, non può negare ciò che ha distintamente percepito sul Podbrdo (viene confermato anche da un aiuto tecnico).

 

La conversione della scettica Maria Laura De Vitis.

Dopo qualche settimana dal viaggio, Le Iene intervistano nuovamente Maria Laura, allora fidanzata di Brosio. Li aspetta una seconda sorpresa.

La ragazza è nettamente cambiata, non è più sarcastica e scettica come prima della partenza anzi, racconta che dopo cinque anni ha deciso per la prima volta di recarsi al cimitero a trovare suo padre. Un’idea sorta proprio durante il pellegrinaggio. Inoltre, svela di aver pregato di nascosto la Madonna quando si trovava a Medjugorje.

Il volto della giovane è sereno e commosso, qualcosa nel cuore è cambiato. Un piccolo esempio di quanto avviene a tanti pellegrini che ogni ogni anno si recano in questo piccolo paese della Bosnia-Erzegovina.

E’ giusta l’interpretazione offerta da Brosio: ci sono conversioni fulminanti, mentre altre sono semi che crescono e maturano nel tempo, anche se potranno non sbocciare mai senza il coinvolgimento della libertà, della ragione e della volontà della persona a coltivare l’esperienza vissuta.

Il cambiamento del cuore è il vero (e più interessante) miracolo di Lourdes, Fatima e Medjugorje. D’altra parte, anche i prodigi più inspiegabili (ammesso che ce ne siano) sono solamente segni utili a confermare la fede o spezzare le catene dello scetticismo, lasciando però sempre abbastanza luce per chi vuol credere ed abbastanza ombra per chi non vuole.

 

Qui sotto la sintesi del servizio de le Iene (video pubblicato anche sul nostro canale Vimeo):

La redazione

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Josè Mourinho. In piazza San Pietro, di notte, a pregare

Una bella intervista a Josè Mourinho, allenatore della Roma calcio, sull’Osservatore Romano. Si parla di sport, di etica sportiva, del calcio come educazione al senso della vita e della fede.

 
 
 

Non è la prima volta che parliamo di Josè Mourinho.

L’attuale allenatore della Roma e uno dei migliori tecnici degli ultimi 30 anni non ha mai nascosto la sua devozione, il legame con Fatima (è portoghese) e con la preghiera.

Ancora però non era accaduto che il suo nome comparisse sull’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede.

 

Mourinho in Vaticano, tra calcio e senso della vita.

Qualche giorno fa, infatti, sul giornale vaticano è apparsa un’intervista a Mourinho in occasione del lungo dialogo avuto con il suo connazionale card. Josè Tolentino, arcivescovo e teologo, nel Vestibolo della Biblioteca Apostolica Vaticana.

Hanno parlato di sport e di etica, soprattutto del maestro di Mourinho, il filosofo Manuel Sérgio, che ha dedicato al calcio, allo sport ed alla motricità interessanti riflessioni, legandole al senso della vita.

«Chi capisce soltanto di calcio, di calcio non capisce nulla» è il primo insegnamento che Sérgio diede a Mourinho al loro primo incontro, che oggi vive il suo ruolo di allenatore giocando sull’empatia e sull’umanità nel rapporto con i calciatori.

Al di là del discorso tecnico, «a livello umano, ogni giorno è un giorno nuovo», spiega Mourinho, «e ogni persona è una persona nuova. Io mi rifiuto sempre di fare paragoni tra giocatori».

Il suo obbiettivo è umanizzare il calcio, «lo sport più industrializzato a tutti i livelli, ha qualcosa di crudele». E’ noto il suo dedicarsi ai giovani calciatori e ciò che più odia è «lo spreco di talento», che però riconoscere essere «legato al percorso di vita che alcuni giocatori hanno avuto, e in questo senso dobbiamo cercare di essere pedagoghi fino in fondo».

Anche lui sta cambiando, spiega. Se prima la vittoria era per sé oggi vuole vincere con la stessa intensità «ma non più per me, ma per i giocatori che non hanno mai vinto, voglio aiutarli. Penso molto di più al tifoso comune che sorride perché la sua squadra ha vinto, alla sua settimana che sarà migliore perché la sua squadra ha vinto».

E’ molto bella l’intuizione quando riconosce che «il tifoso comune, quando si reca allo stadio, non ci va soltanto per dimenticare, per festeggiare, non è soltanto alla ricerca di una piccola allegria, ma in qualche modo è presente l’ambizione di toccare qualcosa, di andare più lontano, di comprendere il mistero della vita, il suo significato».

Una passione così sfrenata, omnicomprensiva, quasi religiosa per milioni di persone, come quella calcistica, ha sempre dentro un aspetto identitario di ricerca di sé, della propria sussistenza. Ha ragione Mourinho.

 

«Il santuario di Fatima e San Pietro, sempre di notte»

Per Mourinho la fede in Dio non è un fatto personalistico o spirituale, ma è legata al rapporto tra gli uomini, tra quelli che il cristianesimo chiama “testimoni”, nei quali si riflette il volto di Cristo.

A causa della sua notorietà svela anche di visitare il santuario di Fatima di notte, «anche a Roma visito spesso San Pietro di notte, la mascherina aiuta, l’oscurità della notte anche. Sono in silenzio, ma converso molto. Il calcio è l’ultima cosa di cui parlo, è l’ultima cosa a cui penso, l’ultima cosa per la quale chiedo qualcosa. Cercare di essere un buon padre, un buon marito, figlio, un buon amico, questo tentativo è la maggiore motivazione che una persona può avere nel quotidiano».

Infine, racconta la sua stima per Papa Francesco. «È fonte di ispirazione per me perché riesco a guardarlo e, senza aver avuto l’onore di conoscerlo, lo ascolto e non mi stanco di ascoltarlo. Seguo l’Angelus domenicale attraverso la televisione e penso che se lo avessi nella “mia” chiesa a Setúbal, lo ascolterei allo stesso modo. Quest’uomo “non è il Papa”, è un padre, un parroco di una nostra piccola parrocchia del nostro piccolo Portogallo».

La redazione

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Adriana Valerio, errori storici nei suoi libri su donne e Chiesa

Nell’ultimo libro di Adriana Valerio (Eretiche. Donne che riflettono, osano, resistono), un’accozzaglia di luoghi comuni: dalle beghine ad Ipazia d’Alessandria, fino alla leggendaria Papessa. La teologa femminista ripete i soliti errori già presenti nei suoi libri con l’obbiettivo di denunciare la presunta misoginia del cristianesimo.

 
 
 

Onestamente cominciavamo a sentire la mancanza di certi attacchi alla storia cristiana.

Certo, paradossalmente ce lo saremmo aspettati da Adriana Valerio, teologa e femminista militante, molto meno dal laico e solitamente oggettivo storico Paolo Mieli.

Si chiama Eretiche. Donne che riflettono, osano, resistono (Il Mulino 2022) l’ultimo libro di Valerio, sponsorizzato sul Corriere da Mieli.

Come già il titolo fa supporre, si tratta di un’accozzaglia di luoghi comuni con l’antico e mai sopito scopo ideologico di dipingere come misogina la storia del cristianesimo e della Chiesa.

 

Adriana Valerio: donne e chiesa, smentita da femministe

L’intento apologetico di Valerio è trasparente fin dall’inizio quando esalta il vescovo dissidente Romulo Antonio Braschi, fondatore di una “Chiesa cattolica” indipendente che ordinò sacerdoti 7 femministe, costringendo l’intervento dell’allora prefetto Joseph Ratzinger e di Giovanni Paolo II.

Oggi queste donne (come Gisela Forster e Christine Mayr-Lumetzberger), scomunicate dalla Chiesa, si trovano in Germania e stanno spingendo i vescovi progressisti ad uno scisma con Roma.

Altrettante teologhe femministe, come la svedese (ed ex protestante) Madeleine Fredell, hanno già chiarito che la mancata ordinazione delle donne nella Chiesa cattolica non è una scelta discriminatoria ma di fedeltà alla decisione originaria di Gesù verso 12 discepoli e, spiega, ciò non le impedisce di sentirsi «perfettamente inclusa».

Dove sarebbe, allora, la discriminazione, cara Valerio?

 

Le beghine perseguite? Non certo perché donne.

Per sostenere la misoginia del cristianesimo, Adriana Valerio pesca dalla storia delle beghine, pie donne esponenti di una spiritualità individualistica emersa nel XIII e XIV secolo.

Le beghine decli­narono i voti tradizionali ed il matrimonio, vivendo dei loro beni e scrivendo spesso trattati mistici. Adriana Valerio gioca con la storia e sostiene che la Chiesa le avrebbe perseguite in quanto «eretiche, nemiche della fede».

Uno storico serio, l’eminente AS Turberville (Leeds University), ricostruì la storia delle beghine in maniera oggettiva ricordando innanzitutto la protezione ecclesiale verso loro (e verso i begardi). Pur manifestando un credo disallineato da quello della Chiesa, scrisse, «la loro soppressione fu impedita da alcune costituzioni papali sollecitate in vista della loro protezione»1Arthur Stanley Turberville, Medieval Heresy & the Inquisition, Cornell University Library 1920, p. 50, 51.

La giovane storica Jennifer Kolpacoff Deane, medievalista dell’University of Minnesota, ha a sua volta trattato il tema delle beghine ricordando che nel 1318 papa Giovanni XXII «emise un altro decreto, ordinando al clero di proteggere tutte le beghine che conducevano una vita stabile, donne che non contestavano la Trinità, l’essenza divina o i sacramenti della Chiesa»2Jennifer Kolpacoff Deane, A History of Medieval Heresy and Inquisition, Rowman & Littlefield Publishers 2011, p. 172.

Nel 1321, scrive ancora Deane, il pontefice permise di proseguire il loro stile di vita e la dottrina nonostante i sospetti verso questa nuova e sconosciuta forma di laicato femminile, scrivendo: «Non intendiamo in alcun modo vietare alle donne fedeli, che promettano o meno la castità, di vivere onestamente nelle loro dimore, di fare penitenza e di servire il Signore con spirito di umiltà»3citato in Jennifer Kolpacoff Deane, A History of Medieval Heresy and Inquisition, Rowman & Littlefield Publishers 2011, p. 170.

Lo stesso, indica AS Turberville, fecero i suoi successori: Gregorio XI e Bonifacio IX. Nel 1431, anche Eugenio IV intervenne direttamente in aiuto delle Beghine e le protesse4Arthur Stanley Turberville, Medieval Heresy & the Inquisition, Cornell University Library 1920, p. 50, 51.

Nel suo Donne moderne nel Medioevo. Il movimento delle beghine, il domenicano francese Dieudonné Dufrasne spiega giustamente che alcune beghine vennero tuttavia perseguite, ma non certo per il fatto di essere “donne pensanti”, come sostiene Adriana Valerio. La realtà, come sempre, è più complessa delle teorie ideologiche.

Fu un periodo storico in cui fiorirono sette socialmente pericolose e violente come i Mani­chei, i Catari, gli Albigesi ed i Flagellanti le quali non misero a repentaglio solo l’ortodossia della religione ma, spiega l’antropologo Norman Cohn, il loro millenarismo «fu violento, anarchico, ed a volte veramente rivoluzionario»5Norman Cohn, The Pursuit of the Millennium. Revolutionary Millenarians and Mystical Anarchists of the Middle Ages, Oxford University Press 1970, p. 16.

La stabilità sociale (prima che religiosa) fu messa seriamente in pericolo dalle eresie medievali, «il mondo dell’esaltazione millenaria e quello del disordine sociale», ha proseguito Cohn, «si sovrapponeva, i malvagi vennero identificati con gli ebrei, il clero o i ricchi, e dovevano essere sterminati»6Norman Cohn, The Pursuit of the Millennium. Revolutionary Millenarians and Mystical Anarchists of the Middle Ages, Oxford University Press 1970, p. 16-17.

La Chiesa e i principi secolari dovettero così intervenire per frenare le orde millenaristiche, tanto che perfino il polemista protestante (e anti-cattolico) Henry Charles Lea riconobbe che «qualunque orrore possano ispirarci i mezzi impiegati per combatterli, qual che sia la pietà che dobbiamo provare per quelli che morirono vittime delle loro convinzioni, riconosciamo senza esitare che la causa dell’ortodossia non era altro che quella della civiltà e del progresso. Se il Catarismo fosse divenuto dominante o anche soltanto uguale al cattolicesimo, non si può dubitare che la sua influenza sarebbe stata disastrosa»7Henry Charles Lea, A History of the Inquisition of the Middle Ages, CreateSpace Independent Publishing 2017, p. 142.

Ecco che nella lotte a queste eresie, spiega Dieudonné Dufrasne, a «farne le spese» furono anche «alcune beghine». Ma non certo perché donne, purtroppo in quanto «nel clima genera­le di eretica confusione»8D. Dufrasne, Donne moderne nel Medioevo. Il movimento delle beghine, Jaca Book 2009 si faticò a distinguerle dagli eretici “classici”.

Alla fine del suo studio, Dufrasne mette in guardia proprio dalle attiviste femministe moderne: «Questo movimen­to non ha mancato, sfortunata­mente, di essere etichettato e fret­tolosamente interpretato da ideo­logi contemporanei, che si sono appoggiati alle beghine per pun­tellare le rivendicazioni femmini­ste moderne e per regolare i conti con l’attuale istituzione ecclesiale. Questo libro, se mai giungerà nelle loro mani, li deluderà»9D. Dufrasne, Donne moderne nel Medioevo. Il movimento delle beghine, Jaca Book 2009.

 

Il mito di Ipazia: non la uccise Cirillo, nessuna gelosia.

Dopo le beghine, Adriana Valerio si occupa con la stessa superficialità del classico mito femminista di Ipazia d’Alessandria.

In obbedienza alla leggenda la definisce “matematica” ed “astronoma“, senza certamente avere mai approfondito il suo pensiero. Oltre a non essere una matematica (si limitò a commentare alcuni scritti di pensatori precedenti), Ipazia più che astronoma fu astrologa, almeno considerando la sua discussione degli Oracoli caldei e della sapienza egizia, così come il testo astrologico di Almagesto di Tolomeo.

Come prevedibile la ritiene vittima del vescovo Cirillo, che l’avrebbe uccisa accecato dall’«insofferenza per il prestigio culturale di una donna che insegnava in luoghi pubblici — davanti ai templi pagani demoliti dalla nuova religione — per la sua libertà di pensiero e per quella sapienza femminile non disposta a sottomettersi al potere istituzionale maschile».

In poche parole ha incanalato un compenso di orrori storici. Innanzitutto Valerio, copiando da chissà quali altri sostenitori del mito di Ipazia, con i “templi pagani demoliti” si riferisce probabilmente alla Grande Biblioteca di Alessandria, la quale però non esisteva più da oltre un secolo.

In secondo luogo, non sa che Ipazia non fu né la prima né l’ultima studiosa donna che insegnava in pubblico, prima di lei vi furono studiose come Aspasia, Diotima, Arete, Ipparchia e Panfila di Epidauro, Sosipatra. Dopo di lei venne la neoplatonista Asclepigenia, che insegnò proprio ad Alessandria senza turbare nessuno. Seguaci di Ipazia, inoltre, furono diversi cristiani e tra essi uno diventò pure vescovo, Sinesio di Cirene (continuando a stimarla dopo l’ordinazione).

Difensore ed amico di Ipazia, infine, fu il prefetto della città e rappresentante di Costantinopoli, Oreste. Anch’egli, come Cirillo, era un devoto cristiano. La povera Ipazia fu uccisa non certo perché “donna che osava”, ma perché venne coinvolta nella faida tra i seguaci di Oreste e quelli di Cirillo e l’unica fonte contemporanea ai fatti, Socrate Scolastico (favorevole al partito di Oreste e Ipazia), non addossa alcuna colpa diretta né indiretta al vescovo.

Su questa vicenda è disponibile un nostro dossier storico, molto dettagliato.

 

Adriana Valerio e la papessa Giovanna: un’altra leggenda.

Adriana Valerio si dedica anche ad un altro mito femminista, la storia di una donna eletta Papa (rimasta incinta durante il pontificato). Si appoggia allo studio di Alain Boureau, intitolato per l’appunto: La papessa Giovanna. Storia di una leggenda medievale (Einaudi 1991) e fortunatamente lei stessa ammette che si tratta di una leggenda priva di riscontri storici.

Dopo aver citato l’ammonimento del card. Gianfranco Ravasi a quegli «sprovveduti» che credono a questa storia, trasformandola in un «una sorta di monito per il tema del sacerdozio femminile», la teologa usa queste parole di buon senso come dichiarazioni contro la pretesa femminile di esercitare un potere nella Chiesa.

A ben vedere si tratta tuttalpiù di parole contro la falsificazione della storia, ma è evidente che l’approccio oggettivo non è il primo obbiettivo di Adriana Valerio.

 

Guglielma da Milano, inquisitori ed il fanatismo dei seguaci

Un’altra protagonista del romanzo (altro non può essere) di Adriana Valerio è Guglielma di Milano, anch’essa notoriamente un mito femminista.

Secondo la teologa fu un’altra vittima del potere maschio (bianco eterosessuale, aggiungerebbero nelle università progressiste anglofone) in quanto l’Inquisizione l’avrebbe trasformata da santa in eretica dopo la sua morte, impedendone il culto.

Effettivamente il tribunale inquisitorio, tramite i frati predicatori di S. Eustorgio, dovette intervenire (anche duramente) dopo la sua morte (nel 1284, 1296 ed in maniera continuativa dal 1300) per placare il fanatismo che esplose in suo favore, identificando Guglielma addirittura con lo Spirito Santo e facendo confluire alla tomba di Chiaravalle pellegrinaggi di ogni tipo, dove si proclamavano miracoli ed apparizioni.

Come riferisce la storica Marina Benedetti, la stessa Guglielma quand’era in vita, ammonì severamente i suoi fanatici ammiratori che le chiedevano miracoli per essere alleviati da dolori e che cercavano le stimmate nel suo corpo. «Voi credevate di vedere ciò che non vedrete a causa della vostra incredulità», rispose duramente Guglielma, ammonendoli di «finire all’inferno» se avessero continuatocitata in M. Benedetti, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 60, 2003.

Ancora una volta, Adriana Valerio confonde i piani e banalizza. L’Inquisizione non intervenne “contro una donna che riflette e resiste”, bensì frenò la religiosità fanatica dei suoi seguaci (monaci, in gran parte). Si può discutere dell’opportunità, del metodo e dei modi, ma non si dovrebbe falsificare la storia.

L’unico rammarico, come già detto, è che Paolo Mieli abbia sponsorizzato questa ricostruzione fantasiosa della storia. E’ il vero mistero di tutta la vicenda.

La redazione

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Quanto guadagna il Papa? Lo rivela lui stesso

In un’intervista Francesco dichiara quanto guadagna al mese: niente. Ha rinunciato infatti al piccolo stipendio previsto per il suo ruolo, attingendo all’Obolo di San Pietro solo in occasione di importanti gesti di carità, com’è accaduto di recente per gli aiuti umanitari in Ucraina.

 
 
 

Con il pontificato di Papa Francesco sembra terminata la stagione di guerra mediatica al Vaticano.

Addirittura c’è chi, non senza ragioni, legge uno scivolamento filo-papista della stampa italiana, salvo censurare il Papa quando risulta particolarmente scomodo.

Accade quando, in continuità con il suo predecessore, condanna fermamente i falsi miti del progresso (aborto, eutanasia, gender) -o, per lo meno, i media lo censuravano nei primi anni, oggi molto meno- e quando avanza tesi scomode all’ideologia dominante, come accaduto pochi giorni fa a proposito della sua esplicitata vergogna per i Paesi che intendono aumentare le spese militari.

 

Il Vaticano ed il denaro: le vecchie campagne anticlericali.

Chi non si ricorda la campagna di Repubblica sulle presunte scarpe Prada di Benedetto XVI e l’anello d’oro che avrebbe sfamato l’intera Africa?

Chi non ricorda gli infuocati articoli di Curzio Maltese sugli (fantomatici) stipendi faraonici dei preti? Che dire delle bugie de Il Giornale sulle pensioni d’oro dei cardinali? Qualcuno ha dimenticato la propaganda de Il Fatto Quotidiano contro l’8×1000?

Oggi sembra di essere in un’altra era geologica. Era tutto falso, è bastato un pontificato illusoriamente più in sintonia con i grandi direttori che il bullismo si è fermato o, più probabilmente, soltanto interrotto.

 

Il libro con le risposte del Papa, anche sul denaro.

Il prossimo primo aprile l’associazione francese Lazare, impegnata nel sostenere giovani lavoratori ed indigenti, pubblicherà un libro con la  trascrizione delle 100 risposte di Papa Francesco date nel maggio 2020 a persone provenienti da tutto il mondo (dalle baraccopoli del Brasile ai senzatetto di India, Iran e Madagascar).

Il Papa ha risposto a questioni personali e anche alle domande più scomode («gli abbiamo dato un campanello da usare nei casi in cui non voleva rispondere, non l’ha mai suonato», ha detto Loïc Luisetto, direttore di Lazare).

Nel libro, pubblicato in tre lingue (francese, italiano e tedesco), il pontefice fa spesso autocritica: «Sono una persona impaziente», confessa, ad esempio, «a volte prendo decisioni di fretta, con una certa autosufficienza».

Jorge Mario Bergoglio ammette che a volte si addormenta durante la preghiera serale, parla della sua famiglia, dei suoi gusti, della sveglia alle 4 del mattino, della sua vocazione di sacerdote e anche del giorno dell’elezione nel 2013.

Il Papa ha anche affrontato il tema economico.

 

Ecco lo stipendio di Papa Francesco e di Sergio Mattarella.

Oltre a sottolineare la testimonianza negativa per quegli uomini di Chiesa quando cadono nel lusso, Francesco ha risposto anche sul suo stipendio:

«Io non guadagno niente. Niente di niente! Mi danno da mangiare e se ho bisogno di qualcosa lo chiedo».

Un’informazione in coerenza con quanto scrivevamo anche noi nel 2016.

Francesco, infatti, ha rinunciato totalmente al suo stipendio anche se può attingere liberamente dalle donazioni ricevute dai fedeli tramite l’Obolo di San Pietro.

Lo ha fatto proprio qualche settimana fa, destinando migliaia di euro all’elemosiniere pontificio, il card. Konrad Krajeweski, per pagare la benzina degli aiuti umanitari in direzione dell’Ucraina.

Papa Ratzinger riceveva invece uno stipendio di 2.500€, nulla in confronto a quanto prende Sergio Mattarella.

All’inizio del suo secondo mandato, avvenuto pochi mesi fa, il capo dello Stato si è tagliato lo stipendio e ora riceve circa 15.000€ mensili.

La redazione

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