«Me l’hanno violentata per quindici anni». Queste le parole di Beppino Englaro non appena da Udine gli arrivò la telefonata che Eluana era “finalmente” morta. A violentarla non era stato chi le aveva sottratto da bere e da mangiare, ma le suore Misericordine di Lecco, cui lui stesso l’aveva affidata due anni dopo l’incidente, nel 1994. Domenica è stato intervistato da Il Corriere della Sera, attaccando ancora una volta le suore di Lecco.
Duro è il giudizio di Lucia Bellaspiga, informata dei fatti anche grazie al lavoro per il suo bellissimo libro “Eluana, i fatti” (Ancora 2009), nell’editoriale su Avvenire. Racconta la disponibilità delle suore: «Ce la lasci, ce ne occupiamo noi». Ma persino questo, nelle parole di Englaro, ha il tono aspro dell’accusa. Come se quel «ce la lasci» non fosse stato un gesto affettuoso di accoglienza, come se quella figlia le suore gliel’avessero presa con la forza, per assisterla – anche per tutta la vita – al posto suo. In realtà Beppino non racconta che in quella clinica di Lecco l’aveva condotta lui stesso, dopo due anni di ricovero a Sondrio, dove venne accolta dalle stesse mani che l’avevano fatta nascere ventun anni prima. E l’odio di Englaro verso questa carità si esprime così: «Le suore avevano visto consumarsi anche la mamma di Eluana accanto al suo letto. Volendola lì con loro, erano state un po’ crudeli con Eluana e con sua madre. E io invece dovevo difendere mia figlia e mia moglie». Crudele – continua la giornalista– è la pervicacia con cui Englaro all’amore risponde col disprezzo, continuando a riversare sulle Misericordine una rabbia incomprensibile. Non capisce cosa sia la tenerezza, non la capiva nemmeno quando anche sua moglie Saturna accudiva quotidianamente e liberamente Eluana, tanto da creare quell'”effetto mamma”, di cui parlano i neurologi. Lo scrissero chiaro i medici di Sondrio: se a stimolarla era la madre, Eluana sembrava «rispondere», obbediva cioè «a ordini semplici». Una notte, appuntano, pronunciò più volte e in modo inconfondibile la parola «mamma». Saturna e le suore, lui no, sono restate accanto a sua figlia, offrendole tutto ciò che in genere manca ad altre persone in stato vegetativo a causa dei costi economici, e ad ammetterlo è stranamente ancora Englaro nella sua intervista: «Eluana ha avuto le cure migliori, i medici migliori, l’assistenza migliore». E ancora: «Per molti versi le suore si sono comportate in maniera splendida, non ci si può augurare cure migliori, più misericordia..». Anche se poi cade nella sua contraddizione: «tutto era inutile». Per poi finire nella discriminazione, offendendo migliaia di persone malate: «Dipendeva in tutto da mani altrui». Come se dipendere da altri fosse una vita indegna di essere vissuta, una vita «inutile». Englaro guarda con orrore quelle mani, e non le sue, mani di un padre che per «rispettarla» avevano scelto di «non toccarla con un dito». Mai. Conclude la giornalista: e invece sono ancora i neurologi a dircelo: toccateli, accarezzateli, parlate con loro, non sappiamo quanto ci ascoltano, sappiamo però che poco o tanto ci percepiscono. E allora, almeno in questo, ha detto bene Englaro quando ha spiegato che lui, a differenza di sua moglie, con Eluana non parlava più: «Sapevo di parlare a me stesso». Sua figlia è morta, spiega, da quando non ha più potuto «percepirla». Lui. Ecco l’egoismo di un padre crudele e assente per rispetto alla figlia, determinato soltanto dalla strumentalizzazione che ha voluto fare del corpo di sua figlia per promuovere ideologicamente la squallida cultura radicale.
Su Libero c’è un altra accusa a quest’uomo. Englaro definisce la suore «un pò crudeli». Alessandro Gnocchi e MarioPalmaro rispondono: «In quel desolato e desolante “un po’” è racchiusa tutta l’incomprensione che il mondo di oggi riserva alla gratuità del bene. Può anche sembrare strano che un mondo impegnato a trovare la giustificazione a qualsiasi tipo di male, chiuda gli occhi davanti alle ragioni di un atto di bontà. Può sembrare strano, ma non lo è perché questo mondo, tenendo lo sguardo costantemente puntato in terra, si priva della possibilità di comprendere la vera ragione del bene, che non è umana. L’uomo, lasciato da solo, difficilmente compie qualcosa di buono. E se lo fa, lo fa per caso. Un mondo senza Dio non può essere un mondo buono: a suo modo, Englaro dà una lezione straordinaria agli atei di tutti i tempi, più efficace di tante argomentazioni apologetiche. E forse, senza volerlo dichiarare, la dà anche a se stesso».