Non c’è misoginia nella Bibbia e in San Paolo: a dirlo le teologhe femministe

Bibbia donne e misoginia. Uno studio realizzato da teologhe femministe ha riletto i passi biblici più contestati smentendo le accuse di sottomissione della donna.

 

Teologhe, femministe ed, in gran parte, protestanti. Sono una ventina le autrici francofone di Una bibbia di donne (Labor et Fides 2018), libro presentato pochi giorni fa a Ginevra in una conferenza dal titolo “Né sante né sottomesse”. Si parla per l’appunto di Bibbia, sottomissione, misoginia, femminismo e figure femminili nella storia cristiana, coordinate dalle prof.sse Pierrette Daviau, Elisabeth Parmentier e Lauriane Savoy.

Un’occasione imperdibile quindi per rilanciare le tesi sulla misoginia biblica. Ed invece no, anche loro, rileggendo l’Antico Testamento, concludono all’opposto. E’ vero, si utilizzano vocaboli maschili per riferirsi solitamente a Dio (Padre, Figlio, Signore, Creatore, Onnipotente ecc.) ma fanno notare che lo Spirito creatore in ebraico è femminile, la Saggezza divina è sempre incarnata da donne e Dio è sovente paragonato ad una madre che mette al mondo, una levatrice. Le teologhe femministe rilevano anche «una relazione equilibrata» nella creazione divina tra Adamo ed Eva, così come non accettano la versione di chi vede le donne bibliche “sottomesse”. Se alcuni brani biblici intimano alle donne di tacere, nell’Antico Testamento troviamo numerose profetesse e messaggere di Dio. Ad esempio Debora (che è anche giudice), poi Olda, dalla quale si consulta re Giosia, Maria, Noadia ecc.

Il Nuovo Testamento, ancor di più, pullula di donne e in ruoli fondamentali. Una su tutte Maria di Nazareth, la madre del Cristo attraverso il cui all’angelo Gabriele la salvezza ha avuto inizio, è lei la regina della Chiesa in quanto eccelle su tutte le creature, in santità: «In lei s’aduna quantunque in creatura è di bontade» (Divina Commedia). Da considerare anche Maria Maddalena, la cui fama di prostituta è completamente falsa e leggendaria. I Vangeli la presentano come una donna ricca ed indipendente, probabilmente vedova, e mentre gli uomini scappano o si nascondono lei assiste alla crocifissione. E’ a lei che appare per prima su tutti Cristo risorto ed è lei ad essere mandata ad annunciare la buona novella ai discepoli. Una figura centrale.

Allora cosa dire delle lettere di San Paolo? Un indomito misogino secondo alcuni lettori della Prima lettera a Timoteo, in cui l’apostolo scrive che «la donna impari in silenzio, in piena sottomissione». Come abbiamo già spiegato in passato, gli studiosi non ritengono il passo autentico ma un’introduzione successiva da parte di un anonimo della scuola paolina. E vi sono generali dubbi sulla paternità di Paolo dell’intera lettera, anche se ciò non inficia in alcun modo la validità salvifica del suo messaggio.

Rispetto all’altro brano spesse volte finito sotto agli artigli delle femministe, la Lettera agli Efesini, sono le teologhe francofone a rispondere a chi si limita a considerare questo passo: «Donne, siate sottomesse ai vostri mariti!». Paolo sta comunicando ai cristiani che devono far fronte all’ostilità popolare nella città greca di Efeso, dove la legge dell’Impero romano assoggetta le donne agli uomini. Innanzitutto, scrivono, «la traduzione più precisa è “subordinata” e non sottomessa», inoltre il versetto precedente invita le coppie a rendere grazie a Dio «subordinandovi gli uni agli altri nel rispetto di Cristo». Si tratta di reciprocità. In secondo luogo si legge anche che «come la chiesa è subordinata a Cristo, così anche le mogli devono essere subordinate ai loro mariti in ogni cosa». Le mogli sono quindi paragonate alla Chiesa e questo dimostra che nelle intenzioni di Paolo in alcun modo poteva esserci un’idea dispregiativa della “subordinazione”. «Quel versetto non giustifica certo una sottomissione», annotano le autrici. Terzo appunto: la reciprocità si svela anche nel compito dato ai mariti: «Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei. Allo stesso modo anche i mariti devono amare le loro mogli, come la loro propria persona. Chi ama sua moglie ama se stesso».

A tutto questo andrebbe ovviamente premessa la richiesta di contestualizzare storicamente e culturalmente gli scritti biblici e neotestamentari, in un ambiente in cui la considerazione della donna era molto scarsa. Come abbiamo dimostrato nel nostro apposito dossier, è stato proprio grazie all’avvento cristiano che si è iniziato a riconsiderare il valore femminile, «è la tradizione cristiana ad aver gettato il seme dell’emancipazione femminile in Occidente», ha scritto la femminista e storica Lucetta Scaraffia. «Occorre vedere i testi biblici come una risorsa nella lotta per la liberazione dall’oppressione patriarcale», le ha fatto eco la femminista Elisabeth Schùssler Fiorenza (citata in C.M. Martini, Guida alla lettura della Bibbia p. 57).

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Un elogio ai parroci trevigiani disponibili a confessare durante il mercato cittadino

Confessioni a Treviso. I parroci di Vittorio Veneto apriranno le chiese nell’orario del mercato, mentre qualcuno sarà tra le bancarelle. Una “chiesa in uscita”, che prende l’iniziativa verso uomini e donne, presente nel mondo laddove Cristo è stato allontanato.

 

«Se la montagna non viene a Maometto, Maometto va alla montagna». Un detto adeguato anche a descrivere l’iniziativa dei parroci della diocesi di Vittorio Veneto (Treviso) di rendersi disponibili ogni lunedì, durante il mercato cittadino, per uomini e donne che desiderano confessarsi.

Una scelta meritoria, la Chiesa in uscita che va incontro al mondo e si fa presente agli uomini laddove essi vivono il quotidiano, laddove Cristo è stato allontanato. Sacerdoti pronti ad interessarsi alla vita reale e non dietro a scrivanie o introvabili nelle sacrestie delle città.

I dati dicono che pochi cattolici in Italia accedono al sacramento della Confessione, molti preferiscono inondare i social network con i loro consigli al mondo piuttosto che sentirsi uomini bisognosi. E a volte basta anche incrociare lo sguardo con un sacerdote, laddove non ti aspettavi di incontrarlo, per tornare ad udire la voce della coscienza, anche al mercato. La scelta è piaciuta anche ad alcuni parroci di Padova e si attende il via libera del vescovo.

L’iniziativa sembra aver funzionato, tanto che c’è chi ha ripreso a frequentare in parrocchia. In realtà la decisione presa, per ora è ,stata quella di aprire le chiese nelle mattinate di mercato, anziché aspettare i fedeli il sabato pomeriggio o la domenica. Anche se c’è effettivamente qualche prete che è presente tra le bancarelle e si reca in un luogo più silenzioso con chi coglie l’occasione di aprirsi a Dio, riconoscendosi peccatore e percependo vivo il desiderio di perdono. Il confessionale è nato soltanto nel XVI secolo, prima il sacramento avveniva sulle panche o le sedie della chiesa, oppure in altri luoghi. L’importante è che si preservi l’intimità e la sacralità del sacramento, differente da un semplice colloquio.

 

Ma perché confessarsi davanti ad un prete e non direttamente con Dio? Innanzitutto perché lo stesso Gesù Cristo ha indicato che fosse così, istruendo gli apostoli (e i loro successori): «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,23). Molto bella la spiegazione del teologo Angelo Bellon: «Con la condizione di confessare i propri peccati al ministro della Chiesa, il Signore vuole ricordare che i nostri peccati, anche i più personali ed intimi, non danneggiano soltanto noi stessi, ma impoveriscono e in qualche modo danneggiano anche la Chiesa. Per questo Giovanni Paolo II ha detto “che in virtù di una solidarietà umana tanto misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta, il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo sugli altri […]. Non c’è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette. Ogni peccato si ripercuote, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull’intera famiglia umana” (Reconciliatio et paenitentia, 16)». Per cui c’è una necessità di essere riconciliati anche con la Chiesa.

Un’altra ragione è quella che chi evita di recarsi in un confessionale lo fa spesso per vergogna o remora nel pronunciare le proprie mancanze, per questo ritiene più facile sbrigare la faccenda intimamente. Ma l’umiltà è proprio la chiave evangelica che permette di rinascere, così come l’accettazione del sacrificio e della vergogna. Totalmente assenti in una “confessione privata” con Dio.

Infine, la ragione più importante, scritta da San Francesco di Sales: durante la Confessione «si riceve non solo l’assoluzione dei peccati, ma anche una forza per evitarli nell’avvenire, una luce più viva a ben distinguerli e una grazia abbondante per rimediare ai danni causati. Fortifica le virtù dell’umiltà, dell’obbedienza, della semplicità e della carità; di modo che con una sola confessione si faranno più atti di virtù che in qualsiasi altro esercizio di pietà» (Filotea, cap. 19).

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Sinodo dei giovani, il documento finale e l’ambiguità che non c’è

Sinodo e il documento finale. Agenda Lgbt e sdoganamento dell’omosessualità? Non si legge nulla di tutto ciò nonostante le profezie catastrofiste dei “persecutori della Chiesa”. Ecco i paragrafi sui temi più delicati.

 

Così è arrivato anche il documento finale del Sinodo sui giovani. Un documento pastorale che sarà utile sopratutto ai sacerdoti come aiuto nell’impostare il lavoro quotidiano di relazione educativa con i bambini e gli adolescenti.

Purtroppo, i “persecutori della Chiesa”, come li ha chiamati ieri il Pontefice, si sono coalizzati per settimane nel gettare fango su questo evento, focalizzando l’attenzione sul presunto sdoganamento dell’omosessualità e delle tematiche Lgbt da parte dei padri sinodali, che sarebbero manipolati ed in collusione con la lobby gay.

Abbiamo già citato le sciocchezze scritte da La Nuova Bussola Quotidiana, in particolare da Riccardo Cascioli, Lorenzo Bertocchi e Stefano Fontana, eccone alcune: «il Sinodo dimostrerà che la lobby gay agisce all’interno della Chiesa per arrivare al cambiamento della dottrina». E ancora: «il Sinodo dei giovani sta diventando il pretesto per sdoganare l’omosessualità nella Chiesa». Se Aldo Maria Valli, figlio spirituale del card. Martini, è sempre stato piuttosto d’accordo con l’agenda gay, Marco Tosatti ha picchiato duro con le fanta-profezie: «Sul Sinodo avanza a piccoli passi la normalizzazione dei rapporti omosessuali» (17/10/18). Ma il meglio lo ha dato con: «L’agenda per la Chiesa: normalità di adulterio, omosessualità, sesso libero e nozze gay» (18/09/18). I blogger italiani citati sono comunque poco originali in quanto tutte le loro tesi sono state copiate da LifeSiteNews, il portale a cui l’ex nunzio Carlo Maria Viganò ha chiesto di pubblicare i suoi dossier antipapisti.

 

 

Ma analizziamo i paragrafi del documento finale, 167 in tutto, che toccano gli argomenti più sensibili.

 

OMOSESSUALITA’
La parola omosessualità è citata due volte. La prima volta è per prendere atto che i giovani «esprimono più particolarmente un esplicito desiderio di confronto sulle questioni relative alla differenza tra identità maschile e femminile, alla reciprocità tra uomini e donne, all’omosessualità» (n° 39). In un successivo paragrafo i padri sinodali scrivono:

«Esistono già in molte comunità cristiane cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali: il Sinodo raccomanda di favorire tali percorsi. In questi cammini le persone sono aiutate a leggere la propria storia; ad aderire con libertà e responsabilità alla propria chiamata battesimale; a riconoscere il desiderio di appartenere e contribuire alla vita della comunità; a discernere le migliori forme per realizzarlo. In questo modo si aiuta ogni giovane, nessuno escluso, a integrare sempre più la dimensione sessuale nella propria personalità, crescendo nella qualità delle relazioni e camminando verso il dono di sé». (n° 150).

 

RAPPORTI PREMATRIMONIALI, SESSUALITA’ E CASTITA’.
Sul tema della sessualità i padri sinodali si sono soffermati più a lungo, essendo un tema molto sensibile e di contrasto con le nuove generazioni. Viene tuttavia ribadito:

«In alcuni contesti giovanili si diffonde il fascino per comportamenti a rischio come strumento per esplorare se stessi, ricercare emozioni forti e ottenere riconoscimento. Insieme al permanere di fenomeni antichi, come la sessualità precoce, la promiscuità, il turismo sessuale, il culto esagerato dell’aspetto fisico, si constata oggi la diffusione pervasiva della pornografia digitale e l’esibizione del proprio corpo on line. Tali fenomeni, a cui le nuove generazioni sono esposte, costituiscono un ostacolo per una serena maturazione. Essi indicano dinamiche sociali inedite, che influenzano le esperienze e le scelte personali, rendendole territorio di una sorta di colonizzazione ideologica» (n° 37).

«Nell’attuale contesto culturale la Chiesa fatica a trasmettere la bellezza della visione cristiana della corporeità e della sessualità, così come emerge dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero degli ultimi Papi. Appare quindi urgente una ricerca di modalità più adeguate, che si traducano concretamente nell’elaborazione di cammini formativi rinnovati. Occorre proporre ai giovani un’antropologia dell’affettività e della sessualità capace anche di dare il giusto valore alla castità, mostrandone con saggezza pedagogica il significato più autentico per la crescita della persona, in tutti gli stati di vita. Per questo occorre curare la formazione di operatori pastorali che risultino credibili, a partire dalla maturazione delle proprie dimensioni affettive e sessuali» (n° 149).

 

MIGRANTI E AIUTO A RESTARE NEI PROPRI PAESI.
Il paragrafo 147 è dedicato al tema dell’immigrazione, dato che molti migranti sono giovani. I Padri sinodali sottolineano come essi possano «offrire risorse spirituali, pastorali e missionarie alle comunità che li accolgono», ma evidenziano anche:

«Le risorse della Chiesa cattolica sono un elemento vitale nella lotta al traffico di esseri umani, come risulta chiaro nell’opera di molte religiose. Non vanno tralasciati l’impegno per garantire il diritto effettivo di rimanere nel proprio Paese per le persone che non vorrebbero migrare ma sono costrette a farlo e il sostegno alle comunità cristiane che le migrazioni minacciano di svuotare» (n° 147).

 

DONNE NELLA CHIESA.
Viene chiesta un’opera di conversione culturale sul tema delle donne e sulla necessità della loro partecipazione:

«Un ambito di particolare importanza a questo riguardo è quello della presenza femminile negli organi ecclesiali a tutti i livelli, anche in funzioni di responsabilità, e della partecipazione femminile ai processi decisionali ecclesiali nel rispetto del ruolo del ministero ordinato. Si tratta di un dovere di giustizia, che trova ispirazione tanto nel modo in cui Gesù si è relazionato con uomini e donne del suo tempo, quanto nell’importanza del ruolo di alcune figure femminili nella Bibbia, nella storia della salvezza e nella vita della Chiesa» (n° 148).

«Emerge anche tra i giovani la richiesta che vi sia un maggiore riconoscimento e valorizzazione delle donne nella società e nella Chiesa. Molte donne svolgono un ruolo insostituibile nelle comunità cristiane, ma in molti luoghi si fatica a dare loro spazio nei processi decisionali, anche quando essi non richiedono specifiche responsabilità ministeriali» (n° 55).

 

DIFFERENZE TRA IDENTITA’ MASCHILI E FEMMINILI.
Sempre nell’ambito della sessualità, i padri sinodali hanno citato il famoso documento firmato dall’allora card. Joseph Ratzinger:

«Emergono in particolare la differenza e armonia tra identità maschile e femminile e le inclinazioni sessuali. A questo riguardo il Sinodo ribadisce che Dio ama ogni persona e così fa la Chiesa, rinnovando il suo impegno contro ogni discriminazione e violenza su base sessuale. Ugualmente riafferma la determinante rilevanza antropologica della differenza e reciprocità tra l’uomo e la donna e ritiene riduttivo definire l’identità delle persone a partire unicamente dal loro “orientamento sessuale” (cfr. Congregazione per la dottrina della fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1 ottobre 1986). (n° 150)

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Stephen Hawking. Grande scienziato, mediocre filosofo.

 
di Santiago Ramos*
*docente di Filosofia presso il Boston College.

da Commonweal Magazine, 24/04/18

 

«L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante», afferma Blaise Pascal. «Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l’universo ha su di lui; l’universo non sa nulla».

Insegnavo la filosofia di Pascal in università una settimana prima della morte di Stephen Hawking. Quando ho saputo della sua scomparsa, la prima cosa che mi è venuta in mente è stato questo passaggio dei Pensieri. Ci sono stati probabilmente dei momenti nella vita di Hawking che si sentì fisicamente schiacciato dall’universo. Ma la malattia che ha paralizzato il suo corpo non lo ha tenuto lontano dalla consapevolezza descritta da Pascal. Hawking sapeva bene quanto era schiacciato dall’universo: ne conosceva le forze, i contorni e gli ambienti estremi e, con la sua intelligenza, poteva risalire alle sue origini, al Big Bang.

Quello che mi sono sempre chiesto di Hawking è se pensasse che ci fossero dei limiti a ciò che l’intelligenza umana può comprendere. Siamo cablati in modo che ci siano alcune cose che semplicemente non possiamo sapere o addirittura chiedere? Confesso di essere prevenuto nei suoi confronti: nei suoi scritti, Hawking ha respinto la filosofia come disciplina, e nel mio orgoglio di insegnante di filosofia l’ho liquidato come incapace di immaginare le ultime, trascendenti domande sull’universo, inclusa la domanda metafisica del “Perché?”, su ciò che spiega l’esistenza dell’universo. Più importante per me del fatto che Hawking credesse in Dio (non lo fece) era se pensava che le domande metafisiche fossero legittime. Ho giustificato il mio pregiudizio notando che Sir Martin Rees, l’astronomo reale e amico del fisico inglese, ha detto: «Hawking ha letto pochissima filosofia e ancor meno teologia, quindi non penso che dovremmo attribuire alcun peso alle sue opinioni su questo argomento». Eppure, le affermazioni e gli scritti di Hawking rivelano che il suo atteggiamento nei confronti delle domande metafisiche si è evoluto nel tempo. Vale la pena dare un’occhiata più da vicino.

Negli ultimi anni della sua vita, Hawking ha fatto affermazioni che a prima vista potrebbero sembrare chiaramente anti-filosofiche e anti-metafisiche. «Chiedere cosa è successo prima del Big Bang non ha senso. Sarebbe come chiedere cosa si trova a sud del Polo Sud», ha affermato in una conferenza in Vaticano nel 2016, riecheggiando una conclusione che aveva espresso altre volte. C’è un senso importante in cui Hawking ha ragione. Secondo la teoria della relatività generale, sulla quale Hawking ha costruito il suo lavoro sull’origine dell’universo, non c’è nulla come il “tempo” prima del Big Bang: il tempo è stato creato insieme al Big Bang. La domanda su ciò che viene prima non ha senso dal punto di vista di un fisico.

All’inizio della sua carriera, Hawking aveva un modo più sottile di affrontare la differenza tra le domande poste dalla fisica e le risposte e le domande metafisiche. In un famoso passaggio di A Brief History of Time – il libro del 1988 che ha dato fama internazionale ad Hawking come divulgatore di fisica teorica- il fisico racconta una conferenza del 1981, sempre in Vaticano, dove consegnò un documento a Papa Giovanni Paolo II. «Alla fine della conferenza ai partecipanti è stato concesso un incontro con il papa», ricorda Hawking. «Ci ha detto che andava bene studiare l’evoluzione dell’universo dopo il Big Bang, ma non dovremmo indagare sul Big Bang stesso perché quello era il momento della Creazione e quindi l’opera di Dio». Il ricordo di Hawking è contestato, ma quello che probabilmente intendeva dire Giovanni Paolo è che la questione dell’origine dell’universo, che il Papa identificò con il Big Bang, è propriamente una domanda metafisica, non scientifica. Le scienze fisiche spiegano i processi naturali e la composizione della materia; la metafisica chiede una spiegazione del perché la natura e l’universo esistono. Questa è più o meno la posizione dei pensatori canonici nelle tre fedi monoteiste, come Averroè, Maimonide e Tommaso d’Aquino. Le cosiddette argomentazioni cosmologiche per l’esistenza di Dio, che sono state sviluppate da ciascuna delle religioni abramitiche, si basano tutte sull’idea che la spiegazione ultima dell’universo deve trovarsi al di fuori dell’universo stesso, in un Essere necessario o Motore Primo o Causa Prima. Cioè, Dio.

In A Brief History of Time, Hawking afferma che queste idee metafisiche potrebbero essere rese discutibili dalla sua “No-Boundary Proposal” sull’origine dell’universo (la teoria venne perfezionata nei decenni successivi: Hawking avrebbe lavorato su una versione aggiornata della teoria settimane prima di morire.) La tesi affronta alcuni problemi relativi alla relazione tra spazio e tempo all’interno del Big Bang, che Hawking classifica come una singolarità, una posizione di densità infinita e forza gravitazionale, di cui un buco nero è l’esempio principale. Hawking vide delle implicazioni metafisiche da questa teoria. «Si potrebbe dire: “La condizione al contorno dell’universo è che non ha confini. L’universo è completamente autonomo e non influenzato da nulla al di fuori di se stesso. Non è né creato né distrutto. Sarebbe solo essere».

Le opinioni di Hawking sulla metafisica e sulla filosofia sembravano essersi irrigidite quando pubblicò il suo ultimo libro, per un pubblico popolare: The Grand Design (2010), scritto insieme a Leonard Mlodinow. Hawking e Mlodinow pongono tre domande fondamentali: perché c’è qualcosa piuttosto che niente? Perché esistiamo? Perché questo insieme di leggi e non qualche altro? Affermano che «è possibile rispondere a queste domande puramente nell’ambito della scienza, senza invocare alcun essere divino». Non è solo che i filosofi mancano di alfabetizzazione scientifica, ma che la scienza ha superato il bisogno di filosofia. Basandosi sulla proposta dell'”universo senza confini”, Hawking e Mlodinow sostengono che la necessità di un divino Creatore scompare una volta superata l’idea che l’universo abbia un “inizio”. Prendono in considerazione la teoria di Richard Feynman sul perché, a livello quantico, una particella di luce a volte agisce come un’onda: una particella non ha una storia unica mentre viaggia attraverso lo spazio, ma in qualche modo prende ogni possibile percorso tra due punti. Hawking e Mlodinow applicano questa teoria ad altri lavori teorici sulla singolarità quantistica, che divenne il Big Bang: «l’universo apparve spontaneamente, iniziando in ogni modo possibile»; era, infatti, un “multiverso”. Perché, allora, vediamo solo un universo? Perché possiamo vedere solo il particolare universo che ha reso possibile la vita intelligente. Dall’interno di quell’universo, guardiamo indietro e «creiamo la storia attraverso la nostra osservazione, piuttosto che è la storia che ci crea».

Ma c’è ancora la fastidiosa domanda su dove sia venuta questa unità primitiva chiamata “Big Bang”. Hawking e Mlodinow hanno una risposta: gravità. In determinate condizioni, la gravità può “creare materia”. «Poiché esiste una legge come la gravità, l’universo può e si creerà dal nulla», affermano gli autori. Ma questo sembra implicare che la “gravità” esista in qualche modo prima dell’universo, che si trovi a sud del Polo Sud, per così dire. Non esisterebbe “prima” dell’universo, nell’ordine del tempo (perché il tempo inizia con il Big Bang), ma in qualche modo come una realtà che lo precede. Se questo è il caso, allora, come scrive Edward Feser nel suo libro Five Proofs of the Existence of God (Ignatius Press), la legge di gravità «non è nulla; quindi, una spiegazione dell’esistenza dell’universo che faccia riferimento a tale legge è ovviamente una non spiegazione, contrariamente a quanto suggeriscono Hawking e Mlodinow». La gravità non ci libera dalla metafisica.

Anche se Hawking non credeva nella metafisica, le sue speculazioni teoriche raggiunsero una sorta di trascendenza. Perché comprendere l’universo nella sua interezza, o anche solo aspirare a comprenderlo in tale modo, è una modalità per trascendere i propri limiti. La fisica teorica moderna può parlare un linguaggio diverso dalla metafisica classica, ma l’impulso dietro l’indagine è simile. Nonostante la sua schiacciante disabilità fisica, Hawking è stato in grado di perseguire questo impulso più della maggior parte di noi. Ha esemplificato entrambi i lati della metafora di Pascal: era tra i più fragili delle “canne pensanti” e tra i più premurosi. Un riconoscimento all’universo di cui faceva parte.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

In Vietnam i seminari sono pieni: oltre 2000 futuri sacerdoti

Cattolici in Vietnam. Il vescovo Joseph Dinh Duc Dao fornisce i numeri della chiesa vietnamita e quello dei seminaristi. Su 8 milioni di battezzati sono 2000, in Italia lo stesso numero su 45 milioni di cattolici.

 

L’Occidente non rappresenta il mondo, è difficile comprenderlo vivendoci all’interno. La secolarizzazione colpisce l’Europa, ma fatica negli Stati Uniti ed è debole nel resto del pianeta. Una recente intervista a mons. Joseph Dinh Duc Dao, vescovo di Xuân Lôc, in Vietnam, ne ha dato conferma.

Dopo essere stato per quattro anni rettore del seminario maggiore della diocesi di Xuân Lôc, dal 2013 è stato nominato vescovo ausiliare. Con semplicità ha raccontato la situazione attuale dei cattolici in Vietnam:

«Il nostro seminario è quello con il maggior numero di seminaristi in tutto il Vietnam. Abbiamo 454 seminaristi di undici diocesi, metà dei quali provenienti da Xuân Lôc. Nell’intero Paese, abbiamo 2mila seminaristi per otto seminari maggiori. Su circa 3,5 milioni di persone, vi sono oltre un milione di cattolici, un terzo della popolazione».

Il dato è passato inosservato ma è piuttosto interessante. 2000 seminaristi in un Paese comunista, dove fino a poco tempo fa il solo fatto di essere cattolici era considerato un crimine poiché venivano identificati con l’occupazione delle potenze occidentali, e ancora oggi sono perseguitati dal governo i gruppi montagnard, un gruppo etnico minoritario cristiano. Per fare un paragone: nel 2014 in Italia, patria del cattolicesimo, i seminaristi erano 2.753. Il Vietnam, dunque, con i suoi 8 milioni di cattolici ha lo stesso numero di futuri sacerdoti dell’Italia, che vanta un clima e una cultura generalmente favorevole e 45 milioni di battezzati (dati 2017).

Val la pena di leggere le riflessioni di mons. Joseph Dinh Duc Dao sulla vitalità dei cattolici vietnamiti, molto simili a quelle del vescovo di Abu Dhabi, Paul Hinde, di cui abbiamo parlato poco tempo fa.

Da voi, in Europa, la fede è idee. Qui, la fede è vita. Di sicuro il vento della secolarizzazione, che porta la seduzione della ricchezza, soffia in tutto il mondo. Ma in Europa, la secolarizzazione porta con sé la lotta contro l’autorità della Chiesa, che non è il caso qui. Da noi, la secolarizzazione, se mira all’acquisizione di ricchezza, non è né contro Dio né contro la Chiesa. In un certo senso, la Chiesa è perseguitata in Europa come in Vietnam. È più difficile essere vescovi o sacerdoti in Europa che in Vietnam! Qui, se siamo attaccati, la comunità ci difende. La Chiesa è come una famiglia di Dio. Questo concetto di famiglia determina le relazioni tra le persone per tutta la vita.

E per quanto riguarda l’istruzione, i movimenti culturali e l’impegno sociale dei cattolici:

L’Istituto cattolico è una realtà nuova, che ha solo tre anni. Abbiamo iniziato con una cinquantina di studenti, che oggi sono in totale 120. È una vera sfida per noi: si tratta di trovare e formare insegnanti, creare una biblioteca… È un vero bisogno di esprimere la maturità della Chiesa. Certo, la devozione è molto forte nella nostra Chiesa, ma dobbiamo anche riflettere su questa vitalità della fede, approfondirla, esprimere anche la fede come un’idea… ma non come in Europa! Dopo le guerre, il comunismo, è giunto il momento di sviluppare ciò che non abbiamo sviluppato prima. Perché tutti i Paesi sono esposti a tutte le correnti di idee: dobbiamo incoraggiare i nostri sacerdoti, i nostri fedeli, a pensare di più. La tradizione da sola non è abbastanza. Dobbiamo entrare in dialogo con i movimenti culturali, con le istituzioni culturali contemporanee, dedicarci alla ricerca. Gli attori della pastorale non hanno tempo per questo. La vita è cambiata, allo stesso modo anche la nostra “fede pastorale” deve cambiare. Dobbiamo essere in grado di domandarci: perché siamo cattolici?

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Sinodo e agenda Lgbt, Sandro Magister smentisce La Bussola

Il Sinodo dei giovani sdogana l’omosessualità. Una fake news diffusa da La Nuova Bussola Quotidiana e dai novelli anticlericali ma smentita dal vaticanista Magister, che a sua volta aveva abboccato.

 

Lo avevamo profetizzato: i blogger antipapisti avrebbero smesso gli abiti di fini diplomatici terminato di condannare lo storico accordo tra Vaticano e Cina –apprezzato dai vescovi “clandestini” che dicevano di voler difendere-, per indossare quello di teologi e poter combattere il Sinodo dei giovani.

Il leitmotiv concordato tra Riccardo Cascioli (La Nuova Bussola Quotidiana), Aldo Maria Valli, Marco Tosatti e Sandro Magister è stato battere il chiodo sulla presunta agenda omosessualista che avrebbe dominato il Sinodo, durante il quale si sarebbero liberalizzate le unioni gay, l’amore saffico e la Chiesa si sarebbe piegata al modernismo, alla massoneria, all’Arcigay e a tutte le loro note ossessioni.

Settimane di annunci catastrofici, messe di riparazione, rosari in latino e fiumi di inchiostro. Poi però, come sempre, la realtà dei fatti arriva prepotente e, come accaduto in passato, solamente il vaticanista de L’Espresso, Sandro Magister, ha avuto il coraggio di raccontarla, consapevole di auto-smentirsi e di auto-smentire i suoi compagni di ribellione conservatrice. «Sinodo, omosessualità e ideologia LGBT», scriveva il 17 ottobre, accodandosi alle turbe paranoiche de La Nuova BQ, per la quale il Sinodo dimostrerà che «la lobby gay agisce all’interno della Chiesa per arrivare al cambiamento della dottrina» e, altro articolo, «il Sinodo dei giovani sta diventando il pretesto per sdoganare l’omosessualità nella Chiesa».

Nel frattempo i padri sinodali parlavano di ben altro, come si evince dalle relazioni dei circoli minori. Significative alcune riflessioni, come l’esortazione a rapportarsi con i giovani come il presente, e non solo il futuro, della Chiesa, dando loro responsabilità ed evitando ogni atteggiamento di giovanilismo da parte degli adulti. Il Sinodo si concluderà il 28 ottobre ma, in ogni caso, Magister ha già annunciato che «non c’è stato un solo intervento a favore di un cambiamento della dottrina cattolica sull’omosessualità». Si, si è parlato di omosessualità, ma per ribadire che queste persone vanno accolte con rispetto e compassione, che sono chiamate alla castità e che la Chiesa ha la sua visione tradizionale. A dire tutto questo, sempre secondo Magister, «sono stati anche i padri sinodali più vicini a Jorge Mario Bergoglio». Dunque? Tutto il polverone sollevato? Tutta la propaganda su timori infondati? Fanno tutto da soli: inventano catastrofi, ne scrivono per settimane e poi smentiscono. Un gioco perverso.

Era già avvenuto con l’enciclica Humanae Vitae quando gli stessi pseudogiornalisti, capeggiati in quel caso da Marco Tosatti, si inventarono che Papa Francesco aveva creato «una commissione segreta» vaticana «per esaminare ed eventualmente studiare modifiche alla posizione della Chiesa in tema di contraccezione». Apriti cielo, ci avvisarono dell’ennesima apocalisse: pillole abortive con la benedizione papale, contraccettivi vaticani e RU486 regalate alle udienze pontificie. Magister scrisse per giorni del «Bergoglio sponsor della contraccezione», fake news compulsivamente condivisa.

Ovviamente le cose andarono all’opposto e Papa Francesco creò sì una commissione, ma per nulla segreta e con il compito di studiare la genesi della famosa enciclica per -ironia della sorte-, smentire alcune critiche storiche dell’area catto-progressista. Di più: difese il coraggio di Paolo VI nell’essere andato controcorrente e nell’aver riaffermato la dottrina della Chiesa. Anche in quel caso Magister, dopo aver spacciato false profezie per settimane, concluse auto-smentendosi: «la Santa Sede mette in luce la “lucidità profetica” di Paolo VI».

Nel frattempo in tanti ci cascarono, così come molti hanno creduto alla bufala del Sinodo arcobaleno. Si sono allontanati rabbiosi, si sono sentiti traditi e umiliati. Ma d’altra parte la colpa è solo loro, miopi seguaci di falsari e mentitori. E proprio Papa Francesco ha avuto per loro parole lucidissime, paragonandoli proprio a quegli uomini, «questi scribi, sadducei, farisei, che seguivano Gesù ma non come discepoli: come giudici, da lontano, lo scrutavano con la lente d’ingrandimento per vedere dove potevano prenderlo in qualche sbaglio, in qualche scivolata, in qualcosa che non fosse la vera dottrina: la loro. Lo seguivano con cattive intenzioni. Questa gente non amava Gesù; anzi, odiava Gesù. Eppure questi erano i “puri”, al punto che custodivano tutte le formalità: le formalità della legge, della religione, della liturgia». Esattamente come oggi fa il gruppetto inviperito di blogger citato sopra, informatissimo sul gossip vaticano e morbosamente attento ad ogni passo di vescovi, cardinali e del Papa: ma non per interesse, piuttosto per coglierli in fallo e poterli denunciare sulla pubblica piazza. Con magre figure, come appena dimostrato.

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

O’Connor: donna-prete, lesbica e ora islamica, da anni cerca lo scandalo per colmare il vuoto

Sinéad O’Connor cattolica convertita all’islam? La cantante irlandese vive da tempo un’esistenza travagliata, tra depressione, disturbo bipolare e solitudine. Si fermino gli insulti, ha bisogno di misericordia.

 

E’ stata una voce nota sopratutto negli anni ottanta e novanta, in particolare grazie al singolo Nothing Compares 2 U (1990) contenuto in un album che vendette 7 milioni di copie. Lei è Sinéad O’Connor, cantante e musicista irlandese, forzatamente anticonformista e disperatamente bisognosa di attenzione. In queste ore ha fatto scalpore la sua annunciata e provocatoria conversione all’Islam, ma dietro c’è molto che pochi conoscono.

Quella di  O’Connor, finora, è stata una travagliata vita dopo il raggiungimento del successo e l’aver compreso che tutto lasciava però intatto il suo vuoto interiore, di cui spesso ha cantato nei suoi brani, sopratutto dopo la tragica morte della madre nel febbraio 1985.

Nel 1992 ha cambiato legalmente nome in Magda Davitt e nello stesso anno ha strappato una foto di Papa Giovanni Paolo II durante un programma televisivo, per richiamare l’attenzione sulle accuse di abusi sessuali da parte di preti in Irlanda. Uno scandalo internazionale che le costò fischi ai concerti e la cancellazione di numerose date del suo tour. Chiese scusa del gesto nel 1997 con queste parole: «un atto ridicolo, il gesto di una ragazza ribelle».

Due anni dopo, nel 1999, la cantante irlandese si recò dal vescovo scismatico Michael Cox, leader del movimento “Tridentino” tradizionalista cattolico irlandese e fondatore della Chiesa cattolica e apostolica irlandese ortodossa, chiaramente non riconosciuta dalla Chiesa cattolica. La O’Connor si fece ordinare sacerdotessa come atto ribelle al cattolicesimo per la chiusura verso il sacerdozio femminile e volle farsi chiamare “Madre Bernadette Maria”. Finanziò l’operazione con il versamento di 150.000 sterline irlandesi al pseudo-vescovo Cox e affermò di avere l’autorità per dire Messa, battezzare e amministrare i sacramenti. Pochi mesi dopo confessò di aver «fallito miseramente, sono durata tre mesi».

Nel 2000, dopo due matrimoni falliti, annunciò al mondo di essere lesbica. Nel 2003 ha rivelato di soffrire di un esaurimento nervoso e di aver tentato il suicidio più volte, annunciando per l’ennesima volta il ritiro dalla scena musicale. Nel 2005, all’uscita del nuovo album, ha riferito di aver trovato conforto nel Rastafarianesimo e di avere la missione di «salvare Dio dalla religione». Successivamente, ha dichiarato: «Sono tre quarti eterosessuale, un quarto gay», divenendo un’attivista Lgbt.

Dal 2010, in particolare, ha cominciato a combattere il cattolicesimo tramite dichiarazioni pubbliche, ad esempio accusando il Vaticano di aver assassinato Cristo. Pochi mesi fa, nell‘agosto 2018, ha chiesto pubblicamente a Papa Francesco di essere scomunicata dalla Chiesa cattolica.

In queste ore, come dicevamo, O’Connor è tornata a far parlare di sé: su Twitter ha annunciato la conversione all’Islam e ha cambiato per l’ennesima volta nome: Shuhada. Ha quindi ringraziato «i fratelli e le sorelle musulmani» per averla accolta nella Umma, la comunità che unisce tutti i musulmani del mondo. Ha spiegato che la decisione è stata «la naturale conclusione di qualsiasi viaggio teologico intelligente» e ha pubblicato un video in cui canta l’azan, il richiamo alla preghiera islamica.

Credere all’autenticità degli atti e delle parole della cantante irlandese è davvero una mossa azzardata, considerando la sua biografia. Repubblica ha dato la notizia così: “La cattolica Sinead O’Connor si converte all’Islam“. Nel 2003 le è stato diagnosticato un disturbo bipolare della personalità, nel 2017 ha perso la custodia del figlio e soltanto l’intervento degli psichiatri, a suo dire, l’hanno salvata dal suicidio.

I fanatici “anti-Islam” interrompano gli insulti che le stanno rivolgendo sui social. Sinéad O’Connor ha bisogno di una carezza e di misericordia, vittima dell’utopia sessantottina della ribellione (a cosa, non si sa), che l’ha portata lentamente nelle braccia della solitudine e della depressione.

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

«Asia Bibi, la Lombardia è pronta ad accoglierla se dovrà scappare»

Regione Lombardia e Asia Bibi. Il consiglio regionale promette di ospitare la donna cattolica pakistana in caso di assoluzione dall’assurda accusa di blasfemia. Una nota sul silenzio prudente della Santa Sede. Aggiornamento 31/10/18: Asia Bibi è stata assolta!!.

 

Il Consiglio regionale lombardo si è esposto, ha fatto una promessa chiara: «Se Asia Bibi verrà liberata, dovrà comunque lasciare il Pakistan insieme ai suoi familiari per evitare le inevitabili ritorsioni dei fondamentalisti islamici: in tal caso la nostra istituzione regionale è pronta a fare tutto ciò che sarà necessario per accoglierla e garantirle ospitalità sul territorio lombardo».

Parole che aspettavamo, affermate dal presidente del Consiglio regionale Alessandro Fermi e condivise all’unanimità da tutte le forze politiche. Si parla di Asia Bibi, la donna cattolica di 53 anni imprigionata dal 2010 e condannata all’impiccagione in Pakistan con l’accusa di aver offeso l’Islam e la cui sentenza dovrebbe arrivare entro qualche mese. All’inizio di ottobre alcuni estremisti musulmani legati al partito Tahreek-e-Labbaik (TLP) hanno minacciato una morte “orribile” per i giudici della Corte Suprema pakistana se voteranno a favore della libertà della donna.

Regione Lombardia è giustamente ottimista anche se c’è la possibilità che la donna venga condannata a morte e qualora «la decisione finale dei giudici pakistani dovesse accogliere le richieste dei fondamentalisti islamici e condannare a morte Asia Bibi», ha proseguito Fermi, «sul Pakistan resterà una macchia indelebile difficile da cancellare e che non potrà non avere inevitabili ripercussioni a livello internazionale». Anche in questo caso c’è troppo ottimismo, purtroppo temiamo che a parte dichiarazioni di facciata non ci sarà alcuna conseguenza, così come non c’è nessuna mobilitazione europea ed internazionale oggi.

Un’eccezione è un altro italiano, Antonio Tajani, presidente dell’Assemblea all’Europarlamento, che ha dichiarato in queste ore: «Noi dobbiamo affermare che Asia Bibi è in prigione in Pakistan solo perché è cristiana. La condanna di Asia Bibi va contro i diritti umani e noi vogliamo difendere ovunque i diritti umani».

Al di fuori dell’Italia e di alcune associazioni cristiane occidentali, invece, non c’è attenzione per la vicenda e per alcuni anche in Vaticano sembra che vinca il silenzio. E’ vero, il Papa chiede spesso di fermare le persecuzioni dei cristiani ma non interviene nel caso specifico di Asia Bibi. Come mai? Lo ha spiegato Vittorio Messori con un paragone geniale: «è curioso, proprio coloro che lodano (e giustamente) la prudenza di Pio XII verso coloro che seguivano il Mein Kampf, si lagnano della prudenza del suo attuale successore soprattutto verso coloro che seguono, fino alle estreme conseguenze, un altro libro, il Corano». Questo porta «ora Bergoglio a non ignorare il problema, ma a muoversi con prudenza obbligata. Obbligata, certo, come fu sempre quella ecclesiale coi tanti persecutori della storia: non dimenticare ma, al contempo, tutelare le pecorelle minacciate dai lupi, cercando di porre limite alla loro ferocia o con trattati o, almeno, non eccedendo con la protesta pubblica. Facili, edificanti, virtuose le altisonanti denunce al riparo delle mura vaticane. Non altrettanto benvenute per chi debba poi, in lontani Paesi, subirne la conseguenze».

Un giudizio che trova conferma dal decano dei vaticanisti statunitensi, John L. Allen, il quale ha giustamente scritto: «Papi e funzionari del Vaticano hanno sempre pesato le parole con attenzione, per paura che dire qualcosa di provocatorio possa peggiorare le cose. In questo contesto si apprezza il fatto che il Vaticano possa preferire operare dietro le quinte». E che vi sia un lavorìo diplomatico nascosto prudentemente ai media lo ha confermato la stessa Asia Bibi, quando ha rivolto a Francesco queste parole: «ti esprimo tutto il mio ringraziamento per la tua vicinanza». Evidentemente percepisce una vicinanza da parte della Santa Sede, seppur occultata per motivi di prudenza.

D’altra parte, un conto sono le volenterose dichiarazioni di Alessandro Fermi, esponente politico di una regione italiana, un altro gli interventi del capo della Chiesa cattolica, che verrebbero subito lette come atto di sfida e di indebita ingerenza da parte dei giudici islamici, già ora sotto minaccia da parte dei gruppi radicali.

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

E se la nuova “Iena” fosse un cattolico appassionato della vita dei Santi?

Giovanni Scifoni a Le Iene. Il nuovo inviato è un attore noto ai telespettatori di TV2000, autore di video sulla vita dei Santi. Un’occasione per lo stereotipato programma televisivo di proporre uno sguardo diverso e controcorrente.

 

Cosa potrà mai venire di buono da Le Iene Show? Fino a ieri non molto: un programma televisivo banale e stereotipato, attivissimo influencer di illeciti legali e morali come l’utero in affitto, l’eutanasia, la droga libera, che fa il dito medio in diretta televisiva a chi difende la famiglia naturale, costituzionalmente intesa.

Senza contare che le Iene mentono su quasi tutto: dai vaccini che provocano l’autismo ai falsi video di Matteo Viviani sul caso Blue Whale, dal sostegno per anni del “metodo Stamina”, terapia dimostratasi priva di qualsiasi validità scientifica, alla propaganda delle “cure naturali” contro il cancro (quella cubana e quella della dieta vegana suggerita nel libro farlocco The China study). Ricordiamo ancora il servizio diffamatore ai danni di Radio Maria, quando Mauro Casciari finse di aver subito un’aggressione nella sede in provincia di Como, incollando e tagliando il video nei momenti opportuni salvo poi essere smentiti dalla registrazione integrale. Dei ciarlatani di professione, insomma, ma con un’esposizione mediatica enorme.

Dicevamo, quindi. Cosa può venire di buono da Nadia Toffa e da Le Iene? Forse c’è speranza, la nuova Iena si chiama Giovanni Scifoni, è un attore, è cattolico ed è appassionato della vita dei Santi. Probabilmente il suo approdo alle Iene è stato favorito da Alessandro Sciortino, l’ex iena che oggi è vicedirettore e direttore creativo di TV2000, la rete televisiva della Conferenza Episcopale Italiana. Un’ottima emittente nella quale Scifoni lavora da tempo, oltre ad aver partecipato come attore in alcuni film e serie TV (come Squadra antimafia 7, Un medico in famiglia ecc.).

Il primo servizio di Scifoni per il programma di Davide Parenti, andato in onda il 21 ottobre scorso, ha già creato qualche polemica, anche tra alcuni cattolici. L’attore ha provocatoriamente intervistato alcuni politici della Lega, tra cui il ministro Matteo Salvini, chiedendo loro quale coerenza vi sia tra il dirsi cattolici, l’aver giurato su Vangelo e rosario e la loro posizione sul tema immigratorio. Salvini se l’è cercata, il suo giuramento sacro è stato meramente strumentale a favorire un consenso politico e ideologico (lui stesso ha ammesso che preferisce esibirlo il rosario, piuttosto che pregarlo) e in molti simpatizzanti leghisti effettivamente emerge un feroce razzismo, ma i critici di Scifoni non hanno tutti i torti: oltre al fatto che la questione immigratoria e la posizione politica della Lega è molto più sfumata e complessa di quanto è ridotta sui media (così come andrebbe meglio conosciuta quella di Papa Francesco), ci si chiede perché Le Iene non rincorrano anche quei politici cattolici esplicitamente contrari alla Chiesa e del Papa sui temi morali o di bioetica (su molti dei quali la Lega sembra essere invece ben sintonizzata, al contrario delle altre principali forze politiche).

Scifoni ha risposto ai critici scrivendo:

«Sapevo di scontentare molte persone con questo servizio, ma ho pensato ugualmente di farlo, perché credo che stiamo correndo un pericolo: stiamo perdendo la nostra capacità di immedesimazione, e senza immedesimazione non c’è carità. È in atto un’inversione di percezione della realtà, respingere i migranti è agire con buon senso e ragionevolezza, accoglierli o preoccuparsi per gente disperata o semplicemente immedesimarsi in loro è moralismo buonista. Il buon samaritano è percepito come un buonista. Ritengo che in democrazia i partiti politici abbiano la libertà di proporre qualunque visione della realtà, la lega ha tutto il diritto di dire ciò che vuole, ma non nel nome di Cristo, se lo fai io ti contesto. Non posso fare altrimenti. Perché se togliamo la compassione dal cuore dei cristiani, che cristiani diventeremo? Vi prego, rifletteteci. E se vogliamo entrare nello specifico, non ha senso combattere i trafficanti chiudendo le frontiere, i trafficanti esistono perché esistono le frontiere, perché non ci sono canali alternativi per fuggire da fame o persecuzione, se io mi trovassi in Eritrea mi affiderei ad uno scafista, non avrei dubbi. Ma il punto è un altro. La parola razzismo non significa più nulla, è come i bambini che usano “coso” o “cosa” per esprimere qualunque concetto, ma noi siamo grandi, dobbiamo sforzarci di usare parole più specifiche. La parola che voglio usare è “peccato”. Questo tipo di politica ha successo perché ha capito che il peccato ha più forza aggregante della virtù. Ha capito che il libertino da sempre è più simpatico del moralista. Ha capito che i bisogni urlano più forte dei sogni. I sogni vanno spiegati, i bisogni si sentono a pelle. Questa politica parla al nostro egoismo, quello che c’è in ogni uomo, lo risveglia, gli dice: tu hai diritto di esistere, tu sei l’espressione più sincera della libertà, che si fottano quelli che vogliono convincerti che sei un peccato, sono dei moralisti. Più o meno quello che ha fatto l’industria del porno con la lussuria. Più o meno quello che ha fatto l’Islanda con l’aborto dei bambini con sindrome di down».

Più che il servizio delle Iene, è interessante la sua pagina Facebook, nella quale da diverso tempo compaiono dei brevi video in cui racconta la vita dei Santi nel giorno a loro dedicato. La qualità è alta, il montaggio è pregevole, la recitazione è gradevole, spesso Scifoni si sofferma su un particolare della vita di un Santo per proporre una riflessione sulla modernità, il tutto in una divertente chiave è comica e talvolta coinvolge anche la moglie e i suoi tre figli. A volte fa capolino un pizzico di irriverenza.

Forse con Giovanni Scifoni c’è ora una possibilità per le Ienemagari quella di parlare di temi più alti, proponendo uno sguardo differente su quelli più sensibili e che non sia banalmente prevedibile e conformato al pensiero del mondo. O, forse, sarà Scifoni ad adeguarsi all’aria che tira in redazione. E’ un’occasione, vedremo. Per ora proponiamo qui sotto un pregevole video dell’attore su Maria Maddalena e sulla leggenda che la vuole a tutti i costi una prostituta e, più in basso, uno spezzone su Madre Teresa di Calcutta andato in onda su TV2000.

 

 

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Suicidio assistito, una decisione degna di Pilato: ecco l’errore dei giudici

 
 
di Aldo Vitale*
*Dottore di ricerca in Storia e Teoria generale del Diritto presso l’Università Tor Vergata di Roma

 

«Nella camera di consiglio di oggi, la Corte costituzionale ha rilevato che l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti. Per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina, la Corte ha deciso di rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice penale all’udienza del 24 settembre 2019»: così si legge nel comunicato rilasciato il 24 ottobre 2018 dall’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale.

L’ordinanza è ancora tutta da leggere e da studiare, ma da questo scarno compendio del suo contenuto si possono comunque effettuare alcune considerazioni.

In primo luogo: emerge chiaramente come la Corte non abbia accolto la richiesta di dichiarare la illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice Penale che proibisce e sanziona l’assistenza al suicidio. Evidentemente, e implicitamente, e almeno per ora, la norma in questione è costituzionalmente legittima e non si può di certo eliminarla come se nulla fosse.

In secondo luogo: senza dubbio, però, rimettere la vicenda alla decisione del legislatore – se per un verso è cosa buona e giusta per evitare di indulgere in modo eccessivo in direzione della creatività della giurisprudenza che nei temi eticamente sensibili degli ultimi decenni si è spesso sostituita al legislatore discostandosi, all’un tempo, dal principio di separazione dei poteri, dal sentire comune, dai valori comunemente accettati e dai principi generali del diritto in virtù di un progressismo giurisdizionale dai tanto ambiziosi e rampanti quanto ideologici obiettivi –, per altro verso non può che destare preoccupazione dato che la legislazione sul punto è già esistente, introducendosi così il terzo rilievo che per ora si può muovere – anche se “ad occhi chiusi” – alla decisione della Consulta.

In terzo luogo: posta la premessa, infatti, ritenere che vi sia una vacatio legis in tema di fine vita appare quanto meno eccessivo in considerazione della fitta griglia di norme che proprio sul punto già esistono. L’articolo 580 del Codice Penale, infatti, è soltanto una delle norme volte a regolare il fine vita, esistendo, una intera costellazione di discipline orbitanti intorno a tale questione, come per esempio l’articolo 5 del Codice Civile che impedisce gli atti di disposizione del proprio corpo, l’articolo 579 del Codice Penale che vieta e sanziona l’omicidio del consenziente, la recente legge 219/2017 in tema di consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento. Da questa chiosa della Corte Costituzionale si può intuire come, probabilmente, la Corte ritenga meritoriamente – ma soltanto da un punto di vista di metodo di diritto, e non già di merito – che spetti al legislatore valutare “politicamente” se siano maturi i tempi per modificare la legislazione italiana in senso pro-eutanasico; tuttavia, una cosa è demandare al legislatore una tale indagine per una eventuale emendatio juris, altra, invece, è ritenere che l’ordinamento sia carente su un punto sul quale non lo è.

 

Al di là di queste supposizioni, in attesa di leggere il testo della decisione della Consulta e di osservare le mosse del legislatore esortato in questa direzione, non si può fare a meno di ricordare, però, che un diritto di morire non è ipotizzabile come dimostra, tra i tanti esempi possibili, la corposa raccolta di studi sul tema pubblicata proprio da qualche giorno, ad opera dei giuristi del Centro Studi Livatino, sulla rivista “L-Jus”.

Come il diritto di morire in sé considerato non è configurabile, infine, neanche il diritto di assistenza al suicidio è possibile teorizzare, in quanto rappresenta l’avvio di quel pendio scivoloso che porterebbe non solo alla legalizzazione dell’eutanasia volontaria, ma anche di quella involontaria con specioso sacrificio dei diritti fondamentali dei più deboli, come ha avuto modo di precisare più di vent’anni or sono, con una prudenza e una sapienza giuridica profetiche e oggi, purtroppo, poco diffuse soprattutto tra il personale togato italiano e straniero, il Presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti William Rehnquist per il quale, nel caso “Washington v. Glucksberg”, «il divieto di suicidio assistito può essere ragionevolmente correlato agli interessi dello Stato. Questi interessi includono il divieto di omicidio volontario e di preservazione della vita umana; prevenire il grave problema di sanità pubblica del suicidio, soprattutto tra i giovani, tra gli anziani e tra quelli affetti da dolore non trattato o da depressione o da altri disturbi mentali; proteggere l’integrità e l’etica della professione medica e mantenere il ruolo dei medici come coloro che hanno cura dei loro pazienti; proteggere i poveri, gli anziani, i disabili, i malati terminali e le persone di altri gruppi vulnerabili a causa dell’indifferenza, dei pregiudizi e delle pressioni psicologiche e finanziarie per cui si intende porre fine alla loro vita; evitare un possibile slittamento verso l’eutanasia volontaria e forse anche verso quella involontaria».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace