Caritas italiana ha donato 35 milioni di euro ai terremotati dell’Aquila

A due anni dal terremoto del 6 aprile 2009 che ha devastato L’Aquila e altre zone dell’Abruzzo, Caritas italiana traccia un bilancio delle iniziative realizzate. Grazie alla solidarietà espressa da quasi 23.500 donatori italiani ed esteri (singoli, parrocchie, associazioni, diocesi, scuole…) e al contributo della Cei, sono stati raccolti complessivamente 35.143.685 euro. La notizia è diffusa dall’agenzia SIR.

18.343.970 euro sono stati spesi per le attività già realizzate (emergenza, progetti sociali, ricostruzione…), di cui 14.053.311 euro per gli interventi di ricostruzione. 3.213.800 euro sono impegnati per le opere attualmente in corso di realizzazione. Circa 10.500.000 euro sono previsti per le opere ed i progetti in fase di verifica.

Caritas ha così risposto ai bisogni primari della popolazione, attraverso realizzazione di Centri di comunità, scuole per l’infanzia e primarie, strutture di edilizia sociale ed abitativa per anziani, donne sole con figli, servizi sociali e caritativi, centri di ascolto e accoglienza, servizi per minori, servizi per indigenti.

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Trovati nuovi documenti: Pio XII donava soldi per aiutare gli ebrei

Nuovi documenti vengono alla luce dal prezioso archivio di monsignor Palatucci, comprendente ben 1276 lettere, perorazioni varie e relativi riscontri inerenti la situazione degli ebrei a Campagna. Di ben 188 documenti consta il solo carteggio con la Segreteria di Stato.

Si scopre così, nero su bianco, che Pio XII donò cospicui aiuti vaticani a monsignor Giuseppe Maria Palatucci, vescovo di Campagna, nel Salernitano, quando si trovò a dover fronteggiare le richieste di aiuto di centinaia, migliaia di ebrei, assegnati negli anni al campo di internamento di San Bartolomeo. Una precisa direttiva del Santo Padre, che si evince già da una lettera datata 20 settembre 1940 del canonico della cattedrale, don Alberto Gibboni il quale viene ricevuto prima dal cardinale Domenico Tardini, sostituto della Segreteria di Stato: «Per il sussidio – scrive don Gibboni al vescovo – mi ha mandato a monsignor Montini, il quale spedirà subito a lei una somma coll’istruzione per distribuirla tra gli internati. Per l’avvenire mi ha detto che ci tratterà come Genova: ogni volta che busseremo, ci aprirà».

La promessa di sussidi al vescovo di Campagna si materializza nel giro di pochi giorni, si legge su Avvenire. Il 2 ottobre 1940 il segretario di Stato cardinale Luigi Maglione scrive: «L’Augusto Pontefice si è degnato di accogliere l’esposto e mi ha ordinato di far pervenire a Vostra Eccellenza l’importo di lire 3.000, che le trasmetto con l’unito assegno sul Banco di Roma. Sua Santità, in omaggio all’intenzione degli offerenti, mi ha pure incaricato di FarLe noto che questo denaro è preferibilmente destinato a chi soffre per ragioni di razza». Il primo maggio del 1941, è il giovane sostituto della Segreteria di Stato che scrive al vescovo: «Il Santo Padre, al quale ho esposto la cosa, si è degnato destinare allo scopo da Lei esposto la somma di lire 5.000 e affida alla carità e alla prudenza dell’Eccellenza Vostra la distribuzione di quei soccorsi che, a suo giudizio, sembrano più urgenti».

Nell’aprile del 1953, il vescovo Palatucci ricostruisce come «a un certo punto, non potendo con le mie forze aiutarli, dando denaro, vesti, e anche, alle volte, viveri, mi rivolsi al Santo Padre gloriosamente regnante, Pio XII, perché mi mandasse dei sussidi, sicché in quegli anni, io potei aiutare gli ebrei con una somma di circa centomila lire: somma a quel tempo molto rispettabile».

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Raddoppiano aborti nonostante l’abuso di contraccettivi

La rivista medica Contraception ha pubblicato i risultati di un nuovo studio, ripreso da LifeNews, che pare confutare il ritornello per cui l’impiego di metodi contraccettivi abbasserebbe il numero di aborti.

SPAGNA. Lo studio, che ha seguito donne spagnole in età fertile dal 1997, è stato effettuato rilevando ogni due anni l’utilizzo di metodi contraccettivi e se le donne fossero rimaste incinte o avessero abortito. Lo studio ha rilevato che l’utilizzo complessivo di metodi contraccettivi è aumentato dal 49,1% al 79,9% nel decennio 1997-2007. L’utilizzo di condom è salito dal 21% al 38,8% mentre le donne utilizzano maggiormente la pillola: dal 14,2% al 20,3%. Nonostante la fiducia riposta nella contraccezione, il tasso di aborto volontario è salito da 5,52 a 11,49 aborti ogni 1000 donne [ovvero è raddoppiato in soli dieci anni!].

INGHILTERRA. Anche la pillola del giorno dopo è stata acclamata dai sostenitori dell’aborto come un metodo per ridurre gli aborti, ma le statistiche degli Stati Uniti e di altri paesi dimostrano il contrario. Secondo il London Daily Mail, i tassi di gravidanza delle adolescenti sono ora più alti di quanto fossero nel 1995 e il numero di gravidanze tra le ragazze sotto i 16 anni è anch’esso al massimo valore rilevato dal 1998. Tutto questo nonostante il governo britannico spenda 300 milioni di sterline (360 milioni di euro) nel tentativo di dimezzare il numero di gravidanze fra le adolescenti facendosi promotore di una vasta campagna di educazione sessuale. Il tasso di aborto tra le adolescenti britanniche ha avuto un aumento stabile dal 1999, anno in cui il governo ha messo in atto il suo programma Teenage Pregnancy Strategy [strategia (per il controllo) della gravidanza nell’adolescenza.

SVEZIA. Nel 2008, funzionari svedesi hanno riportato che il numero di aborti in Svezia era aumentato del 17% dal 2000 al 2007 nonostante nello stesso periodo le vendite della pillola del giorno dopo fossero aumentate. La pillola del giorno dopo nel 2001 è diventata in Svezia un farmaco che può essere acquistato senza ricetta medica. Le vendite sono triplicate nella capitale e raddoppiate in tutto il paese. Ciononostante, le nuove cifre nazionali indicano 37.205 aborti in Svezia nel 2007, circa il 17% in più rispetto ai 30.980 effettuati nel 2000. In Svezia vi è un numero di aborti in proporzione doppio rispetto all’Italia, “nonostante” una elevatissima diffusione dei metodi contraccetivi. A Stoccolma sono stati effettuati 10.259 aborti, con un aumento del 6,9% in un solo anno, rispetto alle cifre del 2006.

SCOZIA. Lo scorso anno il numero di aborti in Scozia è aumentato per il terzo anno consecutivo, nonostante una forte propaganda affinché le donne usino la pillola del giorno dopo. Gli aborti in Scozia sono aumentati del 4% secondo un rapporto del British National Health Service ed ora ammontano a 13.703. Questo aumento giunge dopo che lo stesso NHS aveva riportato 13.081 aborti nel 2006 e 12.603 nell’anno precedente: un aumento di circa il 3,8%. L’aver maggiormente promosso la pillola del giorno dopo non solo ha avuto come risultato un maggiore, e non minore, numero di aborti, ma anche l’aumento del numero di donne che abortiscono più volte. Il NHS riferisce che un quarto delle donne, il 26,3%, che hanno abortito in Scozia nel 2008 avevano abortito almeno un’altra volta in precedenza. Il che significa che 3’600 donne avevano abortito una o più volte in precedenza, secondo le statistiche governative.

STATI UNITI. Infine, una relazione di Planned Parenthood del West Washington mostra che gli aborti sono in aumento nello stato del Washington nonostante Planned Parenthood abbia partecipato al programma pilota “Take Charge” nello stato del Washington, programma cominciato nel 2001 per fornire gratuitamente contraccettivi a donne con basso reddito non ancora sotto copertura Medicaid. Tuttavia il rapporto annuale di Planned Parenthood West Washington mostra che gli aborti sono saliti del 16%, dai 7.790 del 2006 ai 9.059 del 2007.

Uno studio americano ha recentemente dimostrato che ciò che riduce veramente l’aborto (del 15%) sono leggi che richiedono il coinvolgimento dei genitori prima che i minorenni optino per questa possibilità

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Stati vegetativi: un casco dimostra la loro coscienza e volontà

L’ingegnere Daniele Salpietro, da mesi impegnato tra i 24 stati vegetativi ricoverati al Centro don Orione di Bergamo, descrive il nuovo software, chiamato “Elu1”, ideato proprio nei giorni del caso Englaro, per provare a ricostruire un “dialogo” tra i pazienti e i loro cari. E’ un casco (acquistabile con 90 euro) applicato a un amplificatore cerebrale che moltiplica di un milione di volte gli impulsi neuronali, in modo da poter captare anche i minimi “spifferi” di volontà. Il nostro cervello quando pensa, cioè quando appunto ha coscienza (seppur minima come nel caso di SV), emette un segnale elettrico con delle frequenze, e i moderni sensori sanno leggere tali impulsi neuronali, in pratica “vedono” il pensiero prima che si traduca in azione.

Salpietro ha applicato il casco su vari stati vegetativi (definiti da qualcuno “irreversibili”), ad esempio su Cristina.  Alla richiesta di un comando non segue alcun movimento pratico, eppure «con il caschetto che misura la volontà, ogni volta che le davo questo ordine vedevo schizzare a mille il segnale sul monitor. In pratica sentiva e desiderava pure obbedire, il problema quindi non era la coscienza, ma solo la possibilità di tradurla in movimento». Una situazione già raccontata da tanti “risvegliati”, come Max Tresoldi, uscito da 10 anni di stato vegetativo e testimone oggi del fatto che «coglievo tutto ma non riuscivo a dirvelo». Per Cristina, il solo fatto di sentirsi capita, l’ha spronata ad  “uscire” dallo SV per passare a quello che la medicina chiama “stato di minima coscienza”, fino addirittura a parlare: «Dite ad Aldo che sono felice».

L’ingegnere rivela ad Avvenire che «nel 2008 chiesi al padre di Eluana di poter fare l’esperimento sulla figlia, di valutare cioè il suo grado di coscienza, ma non mi rispose. Certo che dagli indizi che abbiamo avrebbe dato risposte sorprendenti: una notte chiamò persino “mamma”, mentre il suo respiro cambiava all’udire le diverse voci e davanti a più testimoni alcune volte ha sorriso».  Salpietro spiega che è accertato che per il 40% dei cosiddetti “stati vegetativi” la diagnosi è sbagliata perché si usa come parametro il movimento. Invece «è la loro volontà che va accertata. Ciò che conta è se, al nostro comando, il loro cervello invia l’ordine di fare una cosa, indipendentemente dal fatto che poi la riescano a fare davvero».

Domenico, ad esempio, prende a “obbedire” solo quando gli ordini partono dalla voce della sorella, in dialetto bergamasco: il segnale sul video schizza in alto e, dopo una settimana, l’uomo ha già imparato a chiudere gli occhi su comando. E così Loredana (dimessa da un centro specialistico come “priva di coscienza”) quando le si avvicina improvvisamente la mano agli occhi non fa una piega, ma sul monitor rivela senza dubbio una rapida “risposta alla minaccia”: gli occhi non li chiude, ma ha la volontà di farlo. Conclude lo specialista: «Ma allora è chiaro che hanno bisogno di una nuova riabilitazione mirata, non più solo di essere lavati e girati in un letto… Ma quanto costa dar loro tutto questo? Più facile ed economico darli per persi e magari avviarli alla dolce morte, no?». Sul sito www.amicidieluana.it è possibile approfondire il contenuto del progetto Elu1.

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Colorado: definitivamente respinto il disegno di legge sulle unioni omosessuali

Un disegno di legge per permettere le unioni civili alle coppie dello stesso sesso in Colorado è stato fermata giovedì scorso grazie ad una votazione della House Judiciary Committee.

La decisione è arrivata il 31 marzo dopo otto ore di manifestazioni degli oppositori e dei sostenitori. La proposta di legge –dicono entusiasti gli oppositori- era una scorciatoia per eludere un emendamento alla costituzione dello stato che definisce il matrimonio come unione tra un uomo e una donna. In realtà, si legge su 9news, lo Stato prevede già determinati diritti e doveri alle coppie di fatto. E’ soltanto  un tentativo ideologico di minare la cellula famigliare.

«Ritengo che cambiare la legge del Colorado che definisce il matrimonio non sia la strada giusta da percorrere», ha dichiarato il senatore Kevin Lundberg che partecipato al voto contro il Ddl della Commissione di Giustizia del Senato. «I tentativi di ridefinire il matrimonio, siano essi diretti o indiretti, servono solo ad indebolire la struttura familiare, già in difficoltà nella nostra società». Gli elettori del Colorado avevano respinto le unioni civili nel 2006.

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Analisi critica dei recenti studi sull’estinzione della religione

Qualche giorno fa l’americana Northwestern University – non conosciutissima in materia di religioni, ma che deve avere un formidabile ufficio stampa – è arrivata sui principali quotidiani italiani con due studi piuttosto curiosi. Uno dei più importanti sociologi della religione italiani, Massimo Introvigne, analizza i rapporti originali  su La Bussola Quotidiana. Introvigne è il fondatore e direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (CESNUR), una rete internazionale di studiosi di nuovi movimenti religiosi, membro della sezione di Sociologia della Religione dell’Associazione Italiana di Sociologia e nel 2011 è stato nominato dall’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) Rappresentante per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, con un’attenzione particolare alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni.

Il primo studio lo affronta molto velocemente, anche per le conclusioni bizzarre: la religione farebbe ingrassare. Il sociologo lo definisce «criticabile per il campione relativamente esiguo sulla cui base si pretendono di trarre conclusioni generali. Se vai in chiesa o preghi stai seduto e sottrai tempo alla fitness». Inoltre, fa notare Introvigne, proprio negli Stati Uniti esistono «migliaia di “runner cristiani” pregano mentre continuano a correre».

Il secondo studio ci spiega che la religione è in via di estinzione. A metà del secolo in Occidente le persone religiose saranno solo il 30%, nel 2100 non sarà rimasto quasi nessuno. Le proiezioni sono realizzate tramite dati di nove Paesi: Australia, Austria, Canada, Repubblica Ceca, Finlandia, Irlanda (il comunicato stampa parla di «Islanda»), Olanda, Nuova Zelanda e Svizzera. Secondo Introvigne «nessuno di quelli che lo hanno commentato in Italia lo ha letto nella sua versione integrale. Ci si è limitati, come avviene spesso, a commentare un comunicato stampa ripreso dalle agenzie». Qui la versione integrale. Innanzitutto gli autori: un matematico, Richard J. Wiener, e due ingegneri, Daniel M. Abrams e Haley A. Yaple. Nessuno di loro si è mai occupato di sociologia delle religioni. Essi si basano su due teorie: l’identificazione sociale e le equazioni lineari.

L’IDENTIFICAZIONE SOCIALE FUNZIONA POCHISSIMO. Gli autori si basano sull’uso di equazioni, mostrando una desolante lontananza dai dibattiti in materia di religione e di fenomeni sociali in generale. «L’unica ipotesi sociologica che i tre autori citano -continua il sociologo- è quella dell’identificazione sociale, secondo cui i costi sono minori e i benefici maggiori se ci si affilia a un gruppo popolare e in crescita rispetto a un gruppo non popolare e in declino». Cioè, esemplificano gli autori dello studio, se tutti i miei amici sono iscritti a Facebook, sarò incline a iscrivermi anch’io ma se il gruppo di coloro che disprezzano Facebook è ultraminoritario tra le mie conoscenze, non troverò socialmente attraente continuare a farne parte. Per Introvigne è un’ipotesi vera ma molto antica: «la sociologia ha da tempo dimostrato che le mode passano e che crescono le affiliazioni sociali a gruppi che garantiscono reali benefici. Modelli socio-matematici che giudichino della crescita di certi gruppi con puri parametri statistici senza considerare il contenuto dell’offerta del gruppo sono vittima di una forma ormai nota di fallacia psicologica». Inoltre non si possono paragonare affiliazioni culturali o politiche con prodotti tecnologici come Facebook. L’identificazione sociale funziona fino ad un certo punto: «dovremmo altrimenti concludere che se in un paese della Lombardia la Lega Nord è al 60%, e cresce ogni anno, in quel paese è socialmente molto più attraente essere leghista che antileghista. Dunque fra vent’anni tutti gli abitanti di quel paese saranno leghisti». Eppure le cose non vanno così perché l’approvazione della maggioranza è solo uno dei fattori che entrano in gioco nelle scelte di tipo etico e politico, dove s’impegna il cuore stesso della libertà umana. E questo è tanto più vero nelle scelte religiose. La storia lo dimostra: «All’epoca delle persecuzioni romane essere cristiani era una scelta piuttosto minoritaria e impopolare. Applicando la teoria rigida dell’identificazione sociale, i cristiani sarebbero dovuti sparire rapidamente». Eppure è avvenuto proprio il contrario. E così sta avvenendo nei Paesi ex ateo-comunisti come Russia e Cina.

LE EQUAZIONI LINEARI NON FUNZIONANO CON LA RELIGIONE. Inoltre gli studiosi fanno una certa confusione fra persone «non religiose» e persone «non affiliate a una Chiesa». Una cosa è misurare il believing, cioè le credenze religiose, altro il belonging, cioè l’appartenenza a una Chiesa o la frequenza a un rito domenicale: «anche nel presunto «Paese più ateo del mondo», l’Islanda, un’ampia maggioranza della popolazione non va in chiesa ma condivide un solido plesso di credenze religiose», dice Introvigne. Stiamo dunque parlando non di una crisi «della religione» ma «dell’affiliazione a una Chiesa» o della frequenza alle funzioni religiose. «Questa crisi c’è – particolarmente nei Paesi dello studio, e in una certa e controversa misura anche in Italia – ma le previsioni sul futuro condotte secondo equazioni lineari sono certamente sbagliate. Le equazioni lineari usate nello studio misurano la crescita delle persone «non affiliate a una Chiesa». Si suppone poi che questo tasso di crescita si mantenga costante nei prossimi cento anni e si arriva alle previsioni sull’estinzione «della religione». Che, in realtà, si tratta della frequenza ai riti religiosi. Ma è la supposizione che è sbagliata, spiega il sociologo. «Se il tasso di crescita dei mormoni nel mondo si mantenesse inalterato, alla fine del secolo XX oltre metà della popolazione mondiale sarebbe mormone. Se un matematico nel 1990 avesse calcolato il tasso di crescita fra il 1950 e il 1990 dei Testimoni di Geova in Italia, e avesse supposto che si sarebbe mantenuto costante fra il 1990 e il 2010, avrebbe facilmente concluso che nel 2010 i Testimoni di Geova in Italia sarebbero stati almeno il 30% della popolazione. Sono invece rimasti sotto l’uno per cento. Se nel Nord Italia la Lega continuasse a crescere alle elezioni con lo stesso tasso di crescita degli ultimi dieci anni, nel 2030 sarebbe inutile fare le elezioni perché la Lega avrebbe il cento per cento dei voti». Quindi, le equazioni lineari in religione non servono a nulla. Anzi, tassi di crescita troppo alti generano fenomeni di reazione, e possono anche rapidamente convertirsi in tassi di decrescita.

«Il mondo reale non è il mondo della matematica», conclude Introvigne. I sociologi delle religioni lo hanno scoperto da tempo, tanto che oggi moltiplicano i titoli non sull’estinzione ma sul «ritorno» o la «rivincita» della religione, sul «reincanto del mondo» e sulla «de-secolarizzazione».

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Esperti olandesi contrari alle “mamme-nonne” grazie alla fecondazione in vitro

Nei Paesi Bassi si sta discutendo sulla “scelta” della signora Tineke Geessink, donna 63 enne, la quale ha dato alla luce con parto cesareo la piccola Meagan.

Per aggirare i rigidi paletti imposti dal legislatore olandese, che ha stabilito un limite massimo d’età di 45 anni per l’accesso all’IVF (fecondazione in vitro), la donna si è rivolta per un trattamento con ovuli e seme donati al discusso ginecologo italiano Severino Antinori. Secondo la giornalista francese Gaëlle Rolin, Antinori, esperto in gravidanze molto tardive in donne cinquantenni e sessantenni, è «conosciuto per il suo vizio di giocare all’apprendista stregone e infischiarsene delle questioni bioetiche».

L’agenzia Zenit, che ha raccolto le varie opinioni, spiega che la Geessink è una “single” e ha detto di volersi assumere tutte le conseguenze della sua scelta: «Ma il mio desiderio di un figlio è così profondo che sono disposta a tutto questo. Nessuno sa in anticipo quanto vivrà. Spero che mia figlia ed io possiamo ancora a lungo godere reciprocamente della presenza dell’altra». Il professor Antinori ha dichiarato di non capire il clamore suscitato dall’accaduto. Anzi, il ginecologo romano ha definito “irrazionale” e “medievale” la legge olandese che fissa un’età limite: «Ci sono alcuni (medici) talebani, anche nei Paesi Bassi, che sono meschini e di vedute ristrette. Non me lo aspetterei nei Paesi Bassi, ma in Italia e nei Paesi arabi», ha dichiarato.

Eppure la maternità tardiva pone tutta una serie di interrogativi, sia dal punto di vista medico che etico. Molti esperti si sono pronunciati: «Da un lato c’è l’interesse della madre. Ma i medici hanno anche una responsabilità verso il bambino. Trovo che i medici non debbano collaborare qualora esista il rischio che il bambino venga seriamente svantaggiato», ha dichiarato Guido de Wert, docente di Etica biomedica all’Università di Maastricht.

La nota ginecologa olandese Didi Braat, docente di Tecniche riproduttive al Centro Medico Universitario Sint Radboud, a Nimega, ha respinto categoricamente le accuse di “paternalismo” rivolte alle autorità olandesi. I rischi legati a questo tipo di gravidanza non vanno assolutamente sottovalutati. Il ricorso all’IVF fa aumentare la possibilità di andare incontro a complicazioni, sia nella futura madre che nel nascituro: «Penso – ha ribadito la ginecologa – che alcune donne non se ne rendano conto. Pensano che il limite di età di 45 anni per l’IVF sia puro e semplice paternalismo». La Braat, che è anche vice presidente del Consiglio olandese per la Salute pubblica e l’Assistenza sanitaria (RVZ), non ha dubbi: a 63 anni si è «troppo vecchi».

Anche Marli Huijer, medico e filosofa, è convinta che debba rimanere l’attuale limite dì età. «Questa bambina è stata concepita da un padre biologico e una madre che non conosce. La sua madre portatrice single, che si prenderà cura di lei, morirà quando la ragazza avrà vent’anni – se almeno viene rispettata la media statistica», così ha dichiarato. Per la Huijer, professore straordinario presso la Erasmus Universiteit di Rotterdam, «questa bambina parte già svantaggiata».

Dubbiosa anche Aleid Truijens, columnist della Volkskrant, che teme ad esempio «l’amore soffocante» da parte della madre per la bambina. L’opinionista si domanda: «Non c’è differenza biologica fra il bambino di due donatori e un bambino adottato. Perché allora questo immenso desiderio di portare nel proprio grembo questo bambino estraneo?».

Dal canto suo la psicanalista francese Sophie Marinopoulos parla di «un desiderio di un figlio che suona come un capriccio. Sono delle persone che vogliono l’oggetto ‘bambino’. Li chiamo ‘bambini-riparazione’, che devono rispondere in tutto alle aspettative della madre. E molte, per diventare madri, evitano accuratamente la relazione sessuale ed affettiva e vanno direttamente al bambino comprando i gameti».

«Più che scettico» si è dichiarato il ginecologo Jesper Smeenk, responsabile del centro IVF dell’Ospedale Sint Elisabeth di Tilburg: «il fatto che Meagan sia nata sana non toglie nulla ai rischi. Inoltre crescere in una famiglia monoparentale con una madre di 63 anni presenta delle evidenti ombre».

Tristi sono le vicende note delle cosiddette “mamme-nonne”. Ricordiamo quella della spagnola Maria del Carmen Bousada, che a 67 anni ha partorito a Barcellona il 29 dicembre 2006 due gemellini. Era single e per poter pagare il costoso trattamento IVF in una clinica californiana ha venduto la sua casa. Morì nemmeno tre anni dopo il parto in seguito ad un tumore, scoperto solo dopo la nascita dei piccolini. La stampa parlò di “orrore medico”. Ma ce ne sono molte altre.

Posizione della Chiesa cattolica. Per la Chiesa, si tratta di sviluppi moralmente inaccettabili, per vari motivi. Già nel febbraio del 1987, la Congregazione per la Dottrina della Fede si pronunciò nell’istruzione “Donum Vitae” contro le derive delle tecniche di fertilizzazione in vitro, ribadendo fra l’altro «il diritto di ogni persona di essere concepita e di nascere nel matrimonio e dal matrimonio». Il testo ricorda inoltre che «la medicina che voglia essere ordinata al bene integrale della persona deve rispettare i valori specificamente umani della sessualità. Il medico è al servizio delle persone e della procreazione umana: non ha facoltà di disporre né di decidere di esse».

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Gran Bretagna: parlamentari spingono per limitare gli aborti

Membri di diversi partiti del Parlamento inglese stanno unendo le forze per approvare una normativa contro gli alti tassi di aborto nel paese. Sembra quindi che i cambiamenti negli Stati Uniti stiano già cominciando a smuovere la situazione anche in Europa.

Nadine Dorries, deputato conservatore e l’ex ministro laburista Frank Field hanno introdotto alcuni emendamenti per richiedere ai medici di offrire una consulenza alle donne che vogliono abortire. Si punta ad una riduzione di quasi 200.000 aborti. «Non basta più dire “abortire è un diritto della donna”» ha dichiarato la Dorries nel corso di un’audizione 29 marzo. «E’ anche un diritto della donna avere una consulenza».

I parlamentari hanno deciso di agire anche in seguito ai risultati di una ricerca, la quale mostra che le donne che abortiscono hanno il 30 % in più di probabilità di sviluppare problemi di salute rispetto a coloro che non lo fanno. «Le donne non hanno una corretta informazione e conoscenza sulle eventuali conseguenze per la salute fisica o mentale», ha continuato Nadine Dorries.

Se l’emendamento venisse approvato, si legge su EwtnNews– potrebbe essere considerato il primo avanzamento pro-life in Gran Bretagna dal 1990, quando i membri del parlamento votarono per abbassando il limite dell’aborto di 28-24 settimane.

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Parlamentari italiani in visita alla comunità cristiana in Iraq

Una delegazione di deputati italiani ha appena concluso una missione di due giorni a Baghdad, fitta di incontri e di appuntamenti. Lo scopo: testimoniare la necessità di difendere la libertà religiosa, soprattutto dove il diritto di essere cristiani e di professare la propria fede viene messo a dura prova dal fondamentalismo fino a costare la vita. Inoltre è stata manifestata la vicinanza del Parlamento italiano alla comunità cristiana presente nel Paese.

La delegazione è stata guidata dal vicepresidente della Camera Maurizio Lupi (Pdl), e hanno partcepiato i deputati Renato Farina (Pdl), Massimo Polledri (Lega), Paola Binetti (Udc), Alessandro Maran (Pd) e Ivan Rota (Idv).

I parlamentari -si legge su Avvenire–  hanno incontrato il patriarca cristiano caldeo dell’Iraq, cardinale Emmanuel Delly, ed il nunzio apostolico monsignor Giorgio Lingua, cui hanno manifestato «sostegno e solidarietà». L’iniziativa è nata dopo l’approvazione a Montecitorio di una risoluzione unitaria con cui il Parlamento italiano esprimeva «ferma condanna alle persecuzioni di cristiani e alla cristianofobia».

I deputati italiani hanno partecipano alla celebrazione eucaristica presieduta nella cattedrale dell’Assunta dal primate caldeo cristiano. La chiesa si trova nella zona rossa, quella meno sicura della città dove ogni notte si spara e si consumano attentati e che per l’occasione era piena di fedeli ma letteralmente blindata da un impressionante schieramento di uomini e mezzi dell’esercito e della polizia irachena. I deputati sono stati poi ricevuti dal presidente del Parlamento iracheno Osama al-Nujefi e dal presidente della commissione Esteri, Humam Hamoudi.

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Il neurologo Zampolini: «da laico dico no al testamento biologico»

Quando si parla di bioetica c’è una falsa percezione: da una parte i cattolici e dall’altra i laicisti. In realtà le cose sono molto più complesse. Esistono credenti e sedicenti “cattolici” (senza alcun consapevolezza del termine) che sostengono testamento biologico (apertamente) ed eutanasia (meno apertamente) come Ignazio Marino e non credenti che sono “contro”, come ad esempio Mauro Zampolini, direttore del Dipartimento di riabilitazione Asl 3 della Regione Umbria e dell’Unità gravi cerebrolesioni all’ospedale di Foligno.

Intervistato da Avvenire, Zampolini parla a 360° delle questioni più scottanti: eutanasia, Eluana Englaro, testamento biologico, Dichiarazioni anticipate di volontà, alimentazione e idratazione, stati vegetativi ecc.. Subito sostiene che «ogni essere umano ha il diritto di poter scegliere come vuole morire, ma per le persone in stato vegetativo il problema si complica e un obbrobrio come quello della volontà presunta accaduto con il caso Englaro non deve più accadere». Si ritiene «un uomo di sinistra e un non credente, ma tutto questo non c’entra: parlo come medico che da sempre si occupa di cerebrolesioni gravissime. Chi da decenni segue queste cose sa molto bene che uno stato vegetativo è una persona a tutti gli effetti, un paziente con una gravissima disabilità ma ben vivo. E allora stare intorno al suo capezzale a discutere se cibo e acqua siano una terapia francamente è solo un escamotage per non chiamare le cose con il loro nome: diciamo chiaro che il vero obiettivo è l’accompagnamento alla morte».

IL TESTAMENTO BIOLOGICO E’ PERICOLOSO: TANTI CAMBIANO IDEA. Secondo l’esperto, «sostenere che alimentare e idratare un disabile non autosufficiente è una terapia significa voler percorrere una scorciatoia verso un accompagnamento lento e doloroso alla morte per fame e per sete». Anche lui sottolinea l’enorme pericolosità del testamento biologico, poiché «non possiamo non sapere che in generale per tutti i pazienti incapaci di comunicare c’è un problema oggettivo che riguarda la volontà espressa in passato. Non a caso tanti malati di Sla – ovvero pazienti lucidi fino alla fine – che un tempo avevano dichiarato di non voler essere salvati, quando invece stanno per morire chiedono la tracheotomia. Lo stesso avviene molto spesso con le neoplasie… Insomma, quando una persona entra davvero nella condizione di malattia grave, anche se prima aveva chiesto di morire alla fine sceglie di vivere». Lo avevamo dimostrato raccontando una storia come esempio, quella di Richard Rudd (cfr. Ultimissima 15/7/10).

ELUANA ENGLARO. La “volontà presunta” non lo convince per nulla: «Nel caso di Eluana Englaro c’era un padre che diceva “mia figlia in passato ha detto che avrebbe preferito morire”. È una prospettiva grave, che potrebbe porre scenari molto problematici: chi è che presume le volontà altrui? Su quali basi? Posto anche che a farlo sia una brava persona, chi può escludere che nel frattempo il paziente abbia cambiato idea, o che quelle parole dette un tempo siano state buttate lì senza una vera cognizione?»

IGNAZIO MARINO. Una frecciatina al medico e politico Marino: «Alcuni colleghi con cui dialogo spesso e volentieri hanno il difetto di non chiamare le cose col loro nome. Così capita che Ignazio Marino dica di non volere l’eutanasia, ma la sospensione di cibo e acqua sì… L’evento finale è lo stesso. Se si vuole parlare di eutanasia, almeno si abbia il coraggio di proporre metodiche più adeguate».

NEGLI STATI VEGETATIVI C’E’ COSCIENZA. In Ultimissima 29/3/11 abbiamo visto come la scienza abbia dimostrato che gli Stati Vegetati (S.V.) non sono irreversibili e c’è la persistenza di uno stato di coscienza. Zampolini, quotidianamente a contatto con questi pazienti, lo conferma: «Per noi che da molti anni riabilitiamo gli stati vegetativi, la questione è lampante: sono tutt’altro che dei “vegetali”, non sono mai del tutto distaccati dall’ambiente, sono sensibili a suoni, voci, situazioni di pericolo e molto altro. Le più recenti ricerche dimostrano la presenza di una coscienza anche minima, ma noi lo abbiamo sempre saputo a partire dalle nostre osservazioni cliniche. Sono persone che percepiscono quanto avviene loro intorno, ma non possono comunicarlo: si parla di una “coscienza nucleare”, un nucleo di coscienza per cui elaborano e ributtano fuori le cose più semplici, ecco allora i famosi sorrisi o le espressioni di paura che davvero si vedono sui loro volti». Lo stato vegetativo è un passaggio transitorio che va dal coma a un successivo miglioramento. Zampolini cita uno studio «condotto sui 50 centri italiani di gravi cerebrolesioni raccogliendo i dati di 2.600 persone, e di questi un quarto arriva in stato vegetativo ma solo una minima parte ci resta. Io mi sono fatto un’idea empirica: che tutti gli stati vegetativi col tempo evolvono in stati di minima coscienza. Di questo occorre dibattere seriamente, non di togliere cibo e acqua!». Inoltre le tecniche di riabilitazione e di supporto alla vita sono sempre più efficaci e i casi di sopravvivenza aumentano: «Io lo vivo nei ricoveri quotidiani: giovani che ci arrivano con un’emorragia cerebrale e che cinque anni fa sarebbero morti ora ce la fanno, e poi giungono da noi per la riabilitazione».

A Foligno, racconta «la famiglia viene accolta, li rendiamo attivi e coscienti rispetto al problema, teniamo le riunioni tra medici alla loro presenza, e tale strategia è sempre vincente. Questo aiuta a non rifiutare con spavento la disabilità, a non fare scelte sbagliate, a non staccare i sondini ma a stare loro accanto per cogliere quei segnali di vita che sempre ci sono. E per fare questo nessuno è più addestrato dei familiari più cari».

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