L’UAAR è ossessionata dalla religione e dai Pontefici
Il Nobel per la letteratura Heinrich Böll diceva: «Gli atei annoiano perché parlano sempre di Dio» (Opinioni di un clown, 1963). Questa famosa citazione è confermata da una recente ricerca di Reputation Manager sulla visibilità dei papi su internet, la quale ha dimostrato che, analizzando il numero di conversazioni, argomenti salienti, canali più attivi e presenza sui social network, tra i domini che parlano più ossessivamente dei pontefici e di religione compare anche il sito web dell’UAAR (gli atei italiani, sedicenti razionalisti).
Hanno dunque ragione gli ex-seguaci quando sostengono che l’UAAR è solo «un’associazione attenta all’altissimo signore. L’uaar fa piuttosto male che bene alle “rivendicazioni” laiche della società» (cfr. Ultimissima 31/3/11). Il loro sito è infatti tutto un proliferare di pettegolezzi e gossip sui preti e sulle religioni, che servirebbe -a detta dei responsabili- ad arginare il dilagare della stampa cattolica. Sicuramente la cosa più divertente sono però i commenti degli adepti della setta (sempre definita tale dagli “ex”), i quali sembrano usciti da un programma di lavaggio mentale, uno di quelli usati sulla popolazione da parte del totalitarismo ateo-comunista cambogiano del secolo scorso. Non è un caso che questi fondamentalisti vengano soprannominati negli USA i “dogmatheist“…
La cosa interessante è che poche ore prima l’associazione si era espressa ufficialmente sull’argomento attraverso un suo collaboratore/responsabile. No, non si tratta del cultore di musica tribale Raffaele Carcano, ma di un pensionato ed addirittura ex prof. di filosofia in un liceo romagnolo. No, non stiamo nemmeno parlando di Dante Svarca, pensionato anche lui, ma ex vigile urbano e non filosofo. Il suo nome è Bruno Gualerzi, 74 anni (abbassa quindi l’età media dell’anticlericalismo italiano), e ha tentato di convincere i fedeli dell’UAAR del fatto che l’ateismo non è una religione e che “gli atei devono interessarsi di dio e del clero”, “come i malati della loro malattia” (paragone completamente sbagliato, forse voleva dire “i sani della malattia dei malati” e quindi il disinteressamento è assolutamente legittimo). Gualerzi tuttavia non riesce nel suo intento, anche perché –per sua stessa ammissione-, si è sempre trovato «un po’ a disagio, non tanto con gli allievi quanto proprio con la Storia e la Filosofia». Grazie alla segnalazione di un nostro lettore (vedere i commenti qui sotto) veniamo anche a sapere che nel 2008 il filosofo dell’UAAR ammetteva: «Volete sapere la verità? Sono diventato insegnante di storia e filosofia senza una adeguata preparazione universitaria (erano gli anni degli ‘esami collettivi’), quindi tirandomi dietro tutti i complessi di colpa immaginabili in merito alla mia ‘professionalità’… e solo in seguito, quando mi sono trovato a dover trasmettere il ’sapere filosofico’ agli studenti, me ne sono in gran parte liberato constatando quanto fossi stato fortunato trovandomi a dover parlare di certi autori con la mente sgombra, partendo da zero, scoprendoli assieme agli studenti – che lo sapevano perchè avvertiti da me – per la prima volta consentendomi tutta la libertà di giudizio possibile». Inoltre, sul suo sito web, Gualerzi ammette candidamente che all’attivo non ha nemmeno l’ombra di «precedenti di studi e di pubblicazioni memorabili». Non dimentichiamo infine che è anche autore del libro “Ateismo o barbarie?” (da qualcuno subito più giustamente modificato in “Ateismo è barbarie!“). Sapete come lo ha voluto sottotitolare? Ovviamente: “Autoanalisi di un’ossessione”, come volevasi dimostrare.
La religione è dunque una vera e propria ossessione e malattia per questi militanti devoti. Ma perché, ci chiediamo? Il motivo lo ha spiegato un filosofo (uno vero, però…) illuminista come Montesquieu, quando in “Lo spirito delle leggi” (1748) ha detto: «L’uomo devoto e l’ateo parlano sempre di Dio: l’uno parla di ciò che ama, l’altro di ciò che teme».