Alce Nero, il mito sessantottino era un pellerossa cattolico
La storia di Alce Nero. Combatté contro l’esercito dei cowboy, si convertì, chiese il battesimo cattolico e trascorse la vita come diacono e missionario. Potrebbe anche essere canonizzato.
Curiosa la vita: i sessantottini ecologisti e terzomondisti veneravano un mito che non sapevano essere un convinto convertito cattolico. Parliamo di Alce Nero (Black Elk), della tribù Lakota Sioux, icona dalla resistenza dei nativi americani alla società bianca.
Cugino di Cavallo Pazzo e membro dell’etnia di Nuvola Rossa e Toro Seduto, Black Elk fu considerato dai pellerossa un Uomo della Medicina, mediatore tra il mondo degli Uomini e quello degli Spiriti. Combatté le guerre indiane contro l’esercito dei cowboy degli Stati Uniti, divenne una celebrità tra le file della disperata controcultura giovanile quando venne riscoperto il libro del poeta John Neihardt, Alce Nero parla (1932).
Il poeta Neihartdt descrisse la sua vita omettendo totalmente -andando contro gli accordi- la conversione cattolica di Alce Nero, il quale aveva trascorso gran parte della sua vita come diacono e missionario. Tanto che, poco prima di morire (1950), l’indiano scrisse una lettera: «Chiedo a voi, cari amici, che quel libro venga annullato». Poco tempo fa la notizia che molti lakota sioux, fra cui i familiari di Alce Nero e molti discendenti dei nativi da lui convertiti, hanno scritto una petizione alla Chiesa cattolica, per proporre che venga canonizzato, ricevendo il parere favorevole della Conferenza Episcopale Americana.
«La preghiera della Chiesa cattolica è migliore della Danza degli Spiriti», scrisse Alce Nero, i Lakota cominciarono a convertirsi alla Chiesa di Roma non appena il grande capo Nuvola Rossa, vincitore di battaglie contro l’esercito americano, chiese ai gesuiti di fondare una missione nella riserva di Pine Ridge. Alce Nero si battezzò assieme alla moglie nel giorno di San Nicola, in modo né superficiale né formale; nessun sincretismo religioso, almeno leggendo le drastiche e reiterate dichiarazioni dello stesso Alce Nero.
Inutile fu la lettera aperta dei gesuiti indirizzata a Neihardt datata 26 gennaio 1934, a salvare la memoria del falso mito terzomondista fu l’antropologo e gesuita Michael F. Steltenkamp, intitolato “Alce Nero, missionario dei lakota (1970), il quale incontrò la figlia del pellerossa, Lucy Looks Twice, e scoprì che Black Elk non si limitò a diventare un devoto fedele, ma si fece diacono e catechista, evangelizzando a sua volta, accompagnando i gesuiti nella riserva e servendo a Messa. Ross Enochs, docente di Scienze religiose al Marist College di New York, sostiene invece che Alce Nero aveva fatto una sintesi tra la fede dei suoi padri e quella cattolica, caratteristica delle conversioni operate dai gesuiti che salvaguardarono e valorizzarono sempre le tradizioni locali quando non erano in conflitto con il cattolicesimo.
In ogni caso, grazie all’iter di beatificazione di Alce Nero, nessuno potrà più ignorare o rifiutarsi di accettare la realtà e quindi la totale rottura di un mito, celebrato come tale contro la sua stessa volontà.
AGGIORNAMENTO 05/11/18
Ci è stata segnalata una interessante pubblicazione in lingua italiana, curata da Riccardo Fenizia, dedicata ad Alce Nero e alle falsità che hanno caratterizzato la sua fama internazionale. Il titolo è: Alce Nero, Black Elk, parla veramente: La vera storia di un grande uomo, dietro la menzogna.
La redazione