Lo storico Paul Crawford smonta i miti popolari sulle crociate

Nell’ultima edizione di Review Intercollegiate, la rivista dell’Intercollegiate Studies Institute (ISI), organizzazione no-profit che raccoglie oltre 50.000 studenti e docenti universitari di tutti gli Stati Uniti, è apparso un articolo intitolato: “Quattro miti sulle crociate”, a cura dello storico medievalista Dr. Paul Crawford, docente alla California University of Pennsylvania. Lo specialista fa notare che spesso le crociate sono raffigurate come un episodio deplorevolmente violento, tuttavia è una visione molto popolare e poco veritiera. Vengono affrontati nel dettaglio 4 famosi miti, che noi riproponiamo sotto forma di sintesi (senza note di riferimento).

 

1) Le crociate sono un attacco immotivato al mondo musulmano
Niente potrebbe essere più lontano dalla verità, afferma Crawford. Nel 632 d.C., Egitto, Palestina, Siria, Asia minore, Africa settentrionale, Spagna, Francia, Italia, Sicilia, Sardegna e Corsica erano tutti territori cristiani. Certamente vi furono tante comunità cristiane anche in Arabia. Ma nel 732 d.C. i cristiani erano stati attaccati in Egitto, Palestina, Siria, Nord Africa, Spagna, gran parte dell’Asia Minore, e in Francia meridionale. Le comunità cristiane d’Arabia vennero interamente distrutte poco dopo il 633, quando ebrei e cristiani furono espulsi dalla penisola. Le forze islamiche conquistarono tutto il Nord Africa e puntarono verso l’Italia e la costa francese, attaccando la penisola italiana nell’837. In Terra Santa i pellegrinaggi divennero sempre più difficili e pericolosi. Lo storico approfondisce nel dettaglio la grave situazione venutasi a creare. E’ quindi da questi fatti che i papi del X e XI secolo si attivarono nel disperato tentativo di proteggere i cristiani perseguitati. Conclude quindi affermando che «lungi dal non essere motivate, le crociate rappresentano di fatto il primo grande contrattacco occidentale agli attacchi musulmani, che avevano avuto luogo ininterrottamente dalla nascita dell’Islam fino all’undicesimo secolo, e che continuarono anche in seguito, senza sosta. Se la cristianità voleva sopravvivere occorreva una forte difesa». Per capire che si trattava solo di difesa, domanda: «quante volte le forze cristiane hanno attaccato La Mecca o Medina? Naturalmente mai».

 

2) I cristiani hanno avviato le crociate per saccheggiare i musulmani e arricchirsi.
Anche questo non è vero. Urbano II invitò nel 1095 i guerrieri francesi nella Prima Crociata, legittimandoli a “fare bottino del tesoro del nemico“. Ma questo, dice Crawford, non era altro che il modo usuale per finanziare la guerra nella società antica e medievale. I crociati, infatti, vendettero tanti dei loro beni per finanziare le loro spedizioni. Lo storico ricorda anche che uno dei motivi principali del naufragio della quarta crociata fu proprio la mancanza di soldi. I papi stessi ricorsero a stratagemmi sempre più disperati per raccogliere fondi da utilizzare nel finanziamento delle crociate. Anche in questo caso, dopo aver analizzato molto più in profondità la situazione, Crawford conclude: «furono solo poche persone a diventare ricche a causa delle crociate, e il loro numero era sminuito da coloro entrarono in bancarotta. La maggior parte dei medioevali era ben consapevole di questo e non ha ritenuto la crociata un modo per migliorare la situazione finanziaria».

 

3) I crociati erano animati da motivazioni materialistiche e non religiose.
Dopo Voltaire questo è un mito molto popolare, dice Crawford. Certamente ci furono uomini cinici e ipocriti anche nel Medioevo, tuttavia anche questa affermazione è falsa. Innanzitutto il numero di vittime delle crociate erano molto alto e la maggior parte dei crociati non si aspettava certo di ritornare in patria. Uno storico militare ha stimato il tasso di perdite della Prima Crociata con un 75%. La partecipazione alla missione è stata volontaria e i partecipanti venivano motivati attraverso dei sermoni, che però erano pieni di avvertimenti sul fatto che le crociate avrebbero portato privazione, malattia, sofferenza e spesso morte. L’accettazione di andare incontro a difficoltà e sofferenza può essere visto dentro la dottrina cristiana di assimilazione alle sofferenze di Cristo e dei martiri. Lo storico spiega che per un crociato, la missione armata era essenzialmente un atto di amore disinteressato, come chiede il passo evangelico  “dare la vita per i propri amici” (Gv. 15,13). Fin dall’inizio, dunque, la carità cristiana era la ragione per la crociata, e questo non cambiò per tutto il periodo.

 

4) Le crociate hanno spinto i Musulmani ad odiare e ad attaccare i cristiani.
Come scritto nella risposta 1),  i musulmani hanno attaccato i cristiani per più di 450 anni prima che Papa Urbano dichiarò la Prima Crociata. Non avevano certo bisogno di alcun incentivo per continuare a farlo. Crawford ricorda che prima del 19° secolo non esisteva nemmeno la parola araba “crociata” perché non era importante per i musulmani distinguere le crociate dagli altri conflitti tra cristianesimo e Islam. Saladino non era certo venerato dai musulmani come il leader anti-cristiano grande leader. Solo nel 1899 il mondo musulmano ha riscoperto le crociate, ma è stato grazie agli occidentali come Voltaire, Gibbon, e Sir Walter Scott e Sir Steven Runciman, che dipinsero i crociati come rozzi, avidi, barbari aggressivi che attaccarono civili e musulmani amanti della pace. Allo stesso tempo, dice lo storico, il nazionalismo cominciava a mettere radici nel mondo musulmano e i nazionalisti arabi presero in prestito questa grave e cattiva interpretazione delle crociate, e utilizzarono questa come supporto filosofico per i propri programmi. Questo ha portato senza soluzione di continuità alla nascita di Al-Qaeda.  Concludendo: «non sono le Crociate che hanno insegnato ad attaccare l’Islam e l’odio verso i cristiani. La guerra al cristianesimo ha preceduto di molto le crociate e risale alla nascita stessa dell’Islam. Piuttosto, è l’Occidente che ha insegnato all’Islam ad odiare le crociate».

 

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Il filosofo Richard Sherlock si è convertito al cattolicesimo

Con queste parole il prof. Richard Sherlock ha cominciato il suo articolo su Catholic Online in cui annuncia pubblicamente la sua conversione: «non ho lasciato la religione o il cristianesimo. Ma ho lasciato il mormonismo. Sono diventato più profondo, più intellettuale, più spirituale e più veramente cristiana di quanto non lo sia mai stato, letteralmente. Mi sto convertendo alla Chiesa Cattolica Romana. Tutte le strade vere portano a Roma».

L’articolo, intitolato “Perché sono cattolico“, è molto lungo e descrive il viaggio compiuto da Sherlock, docente di filosofia presso la Utah State University, ricercatore ad Harvard e membro della Society for Philosophy and Technology e della American Philosophical Association. Cresciuto in una famiglia di mormoni, da quando ha preso la sua decisione di convertirsi nell’ottobre 2010, si è accorto in realtà di aver sempre ragionato come un cattolico. Il tutto è iniziato quando è venuto a Roma con alcuni amici cattolici nel febbraio 2010 per una conferenza su Dietrich von Hildebrand. Dopo l’incontro si è svolta una messa in una «maestosa cattedrale accanto alla Pontificia Università della Santa Croce. Se i miei amici non fossero stati con me io probabilmente non vi sarei andato. Durante la messa ho sentito la potenza dello Spirito Santo, in un modo che non avevo mai sperimentato in questi anni. E’ stata una sensazione, ma era più di un sentimento. E’ stata una presa di verità, un’iluminazione, se vogliamo». Un secondo episodio importante è stata la visita nel settembre 2010 al monastero di Huntsville (Utah). Raccolto nella cappella ha trovato una copia della Bibbia di Gerusalemme. «Sono stato in profonda meditazione sul racconto della passione di Luca. Ancora una volta la stessa sensazione ricevuta a Roma, solo più forte». Il terzo avvenimento decisivo è stata una conferenza pro-life nella chiesa cattolica di “Maria Immacolata” a Cache Valley. Ascoltando padre Wade Menezes «sono stato ridotto alle lacrime. Ho cercato di nasconderlo. Ho tolto gli occhiali e ho strofinato costantemente gli occhi, come se vi fosse entrato qualcosa. Un paio di volte ho pensato di uscire dalla chiesa. L’esperienza è stata maestosa. La presenza dello Spirito Santo per me quel pomeriggio non era solo sentimento. Era e rimane un dono di verità che non è solo sentimento».

Ognuno di questi tre eventi non era assolutamente pianificato. La conversione, dice Sherlock, «è una questione tanto di cuore quanto di testa. Il Mormonismo è tutto sentimento e quasi mai è una conversione di testa. Ma la conversione deve essere più di una semplice sensazione, la ragione è un dono prezioso Divino. Dovremmo usarla». Affronta così, all’interno dell’articolo, l’insufficienza del mormonismo: «la teologia sviluppata da Joseph Smith nel 1840 è seriamente sbagliata». E lo dimostra affrontando alcuni punti-chiave, come: la risposta alla teodicea, cioè al problema dell’esistenza del male, il fatto che Dio sia ritenuto un essere fisico/materiale e che la materia è eterna, che Dio sarebbe stato creato in qualche parte del mondo o in un universo alternativo e la non necessità dell’incarnazione di Dio.

Sherlock invita i dubbiosi a fare il grande passo con lui, anche se sa bene che la conversione adulta di un cattolico «non può iniziare e concludersi in un breve periodo di tempo. Nel mormonismo è possibile essere battezzati in poche settimane. Nel mio caso, ho cominciato a frequentare gli incontri per i battezzandi nel mese di ottobre 2010 e spero di essere un catecumeno nel giugno 2011 e verrò accolto nella Chiesa cattolica con il battesimo, la cresima e la prima comunione a Pasqua 2012. Si deve capire l’esperienza cattolica di comunione, sacramentale, liturgica e teologica prima di prendere un vero impegno».

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La guerra alle donne nella Cina atea e materialista

“Verseremmo fiumi di sangue piuttosto che avere un figlio in più”, c’è scritto in rosso sul muro di una casa cinese. Solo nella Repubblica popolare, in cui il governo persegue una visione materialista dovuta all’ateismo di stato, oltre alla tortura per credenti e cristiani, per avere un bambino serve un permesso di nascita dell’ufficio per la Pianificazione familiare. Se si rimane incinta senza permesso la gravidanza è illegale e si rischia una multa, il carcere, la tortura, le botte, il travaglio indotto e l’aborto forzato.

La terribile politica “del figlio unico” viene affrontata in un articolo su Il Foglio, che intervista Reggie Littlejohn, avvocato californiano, presidente dell’associazione Women’s Rights Without Frontiers. Egli dice: «E’ lo stupro di stato, la politica contro le donne più violenta della storia». La Littlejohn gira il mondo, dal Congresso, alla Casa Bianca e al Parlamento britannico ed europeo per raccontare la verità sulla Cina, con un faldone di testimonianze e fotografie raccolte da fonti segrete che rischiano la vita per far uscire dalla Cina le prove di una politica spietata. Si dice che in trent’anni le nascite evitate sarebbero 400 milioni, pari alla popolazione degli Stati Uniti e il governo può agire tramite spie ben pagate, nascoste fra amici e vicini di casa. Mesi fa «una ragazza incinta illegalmente di sette mesi, è stata fermata dalla polizia, buttata su un tavolo e fatta abortire. Poi un medico le ha lasciato sul letto il corpo del suo bambino, perché lei non poteva pagare il servizio di smaltimento». L’avvocato racconta dei feti uccisi dopo l’aborto, delle donne che si buttano dalla finestra dal dolore e di tutte quelle morte sotto i ferri per aborti al nono mese. Sul sito dedicato ai ginecologi e alle ostetriche cinesi è consultabile una discussione sui metodi migliori per uccidere un neonato che sopravvive a un travaglio indotto all’ottavo mese (da cui, fra l’altro, si apprende che “i bambini abbandonati nei cassonetti possono anche sopravvivere per un paio di giorni”).

«Dobbiamo fermare la guerra della Cina alle donne perché aborto e sterilizzazione forzati equivalgono a una mutilazione», dice la Littlejohn. «E’ un crimine contro l’umanità e non importa se si è pro o contro l’aborto. Anzi i veri prochoice dovrebbero alzare la voce: qui non c’è nessuna scelta. Abbiamo le prove di quello che succede, eppure la macchina della propaganda governativa spaccia menzogne e nessuno fa nulla per fermarla». L’attivista cieco Chen Guangcheng, già candidato al Nobel per la Pace e inserito dal Time nel 2006 fra le cento persone più influenti al mondo, ha raccontato che nel 2005 ci sono stati 130 mila fra aborti forzati e sterilizzazioni nella contea di Linyi. Ora è agli arresti domiciliari, dopo il carcere e la tortura.

RESPONSABILITA’ DI PLANNED PARENTHOOD. Anche l’Occidente sostiene questa politica, ed è per questo che nessuno fa nulla. E lo fa -dice l’avvocato- «attraverso i finanziamenti statali ad organizzazioni per la pianificazione familiare come la rete di cliniche Planned Parenthood e l’agenzia dell’Onu Unfpa (il Fondo per la Popolazione, che in Cina ha 33 presidi)». Tanto che nel 2001 gli Stati Uniti tagliarono i fondi all’Unfpa con l’accusa di essere complice degli ufficiali governativi cinesi della pianificazione. Nel 2009 Barack Obama ha invece deciso di ripristinarli per “migliorare la salute di donne e bambini”. Nell’aprile del 2009 la città di Puning lanciò una campagna di venti giorni per sterilizzare con la forza quasi diecimila donne. In Cina mancano all’appello 37 milioni di femmine, questo causa squilibri demografici e un’impennata della tratta sessuale dei maschi cinesi, soprattutto minorenne. L’Oms ha dichiarato che in Cina si suicidano 500 donne al giorno, il doppio dei maschi. E’ il tasso più alto del mondo.

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Boom del cristianesimo nel mondo, gli atei sono in calo

La relazione annuale dellInternational Bulletin of Missionary Research sulla quantificazione della realtà cristiana del mondo, messa a confronto con le altre fedi, ha stimato che vi siano stati in media 270 nuovi martiri cristiani ogni 24 ore negli ultimi 10 anni. Infatti «il numero di martiri tra il 2000 e il 2010 si aggira intorno al milione». Nel 1900 ce n’erano 34 mila.

La buona notizia è che invece entro la metà del 2011 ci saranno 2 miliardi 306 milioni e 609 mila cristiani di tutte le confessioni nel mondo, i quali rappresenteranno il 33% della popolazione globale. Si tratterà di un lieve aumento della percentuale rispetto al 2000 (32,7%), ma anche di una lieve diminuzione dal 1900 (34,5%). Questi 2,3 miliardi di cristiani, riporta un articolo su Avvenire, possono essere suddivisi in 6 macro-blocchi dal punto di vista ecclesiale: 1 miliardo 160 milioni e 880 mila cattolici, 426 milioni e 450 mila protestanti, 271 milioni e 316 mila ortodossi, 87 milioni e 520 mila anglicani, 378 milioni e 281 mila «indipendenti» (cioè coloro che sono separati dal cristianesimo confessionale) e 35 milioni 539 mila cristiani «marginali».

Rispetto ai 2,3 miliardi di cristiani del mondo, vi sono 1,6 miliardi di musulmani, 951 milioni di indù, 468 milioni di buddisti, 458 milioni di cinesi che praticano culti popolari, e 137 milioni di atei, il cui numero è diminuito negli ultimi dieci anni e diminuirà ancora di più nel corso degli anni (cfr. Ultimissima 5/7/10).  In questo 2011 avremo una media di 80 mila nuovi cristiani al giorno (31 mila saranno cattolici) e 79 mila nuovi musulmani, ma meno di 300 atei ogni 24 ore. L’Africa ha dimostrato di essere l’area più sorprendente dal punto di vista della crescita cristiana nel secolo scorso (da 8,7 milioni nel 1900 a 475 milioni di oggi e 670 milioni entro il 2025).

Oltre a fornire altri numeri di rilievo secondario (n° di ascoltatori di radio cristiane e n° di libri cristiani venduti), vengono date risposte agli studi sulla scomparsa del cristianesimo, il quale può dirsi in calo nell’Europa occidentale, ma si colloca in una curva a crescita esponenziale che impressiona in altre parti del mondo, compresa la più difficile delle regioni per l’evangelizzazione cristiana, l’Asia. Infatti, continua l’articolo, il continuo aumento del cristianesimo rispetto al declino dell’ateismo (in numeri assoluti e considerando gli atei come percentuale sul totale della popolazione mondiale) suggerisce la possibilità che la dimensione caustica del nuovo ateismo, potrebbe avere a che fare con un timore preciso di alcuni atei, di per sé scaltri: stanno perdendo e il tempo sta avanzando. È improbabile che una notizia del genere si possa apprendere dai media tradizionali. In ogni caso ci sono i numeri.

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Robert Wilson e Sam Harris dialogano su “scienza e fede”

Dopo l’assegnazione del Premio Templeton 2011 a Martin Rees (cfr. Ultimissima 10/4/11), alcune voci di fondamentalisti si sono sollevate contro la legittimità della Fondazione Templeton di donare un premio agli scienziati che promuovono il dialogo fra “scienza e religione”. Alcuni hanno chiesto addirittura la chiusura.

Su The Guardian è comparso un articolo in cui due noti personaggi con visioni opposte hanno dialogato su questo tema. Il primo è il filosofo Sam Harris, uno dei quattro cavalieri dell’ateismo internazionale (oltre a Richard Dawkins, Christopher Hitchens e Daniel Dennet). Harris, per capirci, è uno che ritiene che la “scienza debba uccidere la religione”. E per questo, ma anche per molti motivi, è stato criticato da mezzo mondo scientifico, e non solo, per mancanza di metodo scientifico e promozione del fondamentalismo anti-religioso. Anche gli stessi atei lo ritengono un fanatico. E’ uno di quelli che è diventato militante dopo l’11 settembre 2001, attaccando infatti, oltre all’ovvio cristianesimo protestante americano, anche l’Islam. Il suo interlocutore è stato Robert Winston, medico, ricercatore e divulgatore scientifico, docente all’Imperial College, già presidente della British Association for the Advancement of Science, autore di oltre 300 lavori scientifici in riviste peer-reviewed e membro delle più importanti accademie scientifiche.

La discussione tocca più argomenti e vale la pena leggerla integralmente. Riportiamo solo qualche spunto: mentre Harris sostiene che il discorso religioso non ha validità, al contrario di quello scientifico, Winston, oltre a rispondere che «la scienza non è l’assoluto», si sorprende per la sua rabbia nel parlare e nello scrivere. Harris si giustifica dicendo di essere preoccupato dal fondamentalismo religioso e Winston replica: «libri come il tuo o quelli di Richard Dawkins fanno lo stesso, polarizzano i punti di vista. “L’illusione di Dio” (libro di Dawkins) ha suscitato reazioni molto aggressive da coloro che in precedenza non lo erano affatto. Il modo di scrivere dei non credenti è aggressivo o rabbioso verso le persone che non sono d’accordo con la vostra visione».

Harris riconosce quanto detto da Winston, ma replica tirando in ballo il cristiano Francis Collins, uno fra gli scienziati viventi più importanti degli ultimi anni, noto per aver sequenziato il genoma umano: «Questo è forse un problema crescente negli Stati Uniti, ma in linea di principio è un problema ovunque. Prendi uno come il genetista Francis Collins, che è uno dei più influenti scienziati negli Stati Uniti, il quale dice che “Dio onnipotente creò il cielo e la terra”, e sostiene che Dio abbia impiantato il libero arbitrio nel cervello dei primati come una sorta di aggiornamento del software, perché il libero arbitrio e la legge morale sono impossibili da immaginare come prodotti dell’evoluzione. Non ci sono buone ragioni scientifiche per pensare che abbia ragione». Winston risponde contestualizzando la frase di Collins, espressa non in sede scientifica: «Ma lui sta dando il suo personale giudizio sulla situazione. I tuoi scritti sono belli, divertenti, ma non credo che la denigrazione di uno scienziato serio come Collins ti possa fare un sacco di bene. Dobbiamo stare molto attenti a criticare gli altri scienziati, tranne quando la loro scienza è chiaramente in errore. Il suo ragionamento non è rilevante per il sequenziamento del genoma umano, cioè quello per cui lui è famoso, non si basa certo sulla fede in Gesù. Credo che debba essere ritenuto come un essere umano, oltre che scienziato».

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Gli anziani e i disabili temono la legge sull’eutanasia

Anche in Inghilterra il dibattito sull’eutanasia è aperto. Il British Medical Journal ha dato spazio ad un articolo di Kevin Fitzpatrick, un ricercatore dell’associazione per i diritti dei disabili e contro eutanasia e suicidio assistito, chiamata Not dead yet” (“Non ancora morto”).

Fitzpatrick ricorda che anche le persone disabili «hanno bisogno di sentirsi al sicuro». La legge sull’eutanasia «andrebbe ad intaccare un senso di sicurezza già traballante traballante nell’assistenza medica, e rappresenterebbe una minaccia ulteriore per il benessere dei disabili, per il proseguimento delle cure, e per la vita stessa». Il ricercatore dice che il giudizio dei sostenitori del suicidio assistito, si basa «sull’idea di una “vita non degna di essere vissuta”. Si tratta di dire: “Non vorrei, non poteva vivere così”, cioè una sentenza del valore di un altro, sulla vita di una persona disabile, non credo che i medici abbiano il diritto di farlo. Inoltre, quel che insopportabile per uno, non è necessariamente vero anche per un altro». Permettendo l’eutanasia dunque «si potrebbe rafforzare questa posizione, decidendo la dignità della vita di un altro sulla base di un giudizio morale, piuttosto che una realtà medica». «La minaccia -dice ancora Fitzpatrick- si estenderà anche e inevitabilmente alla vita degli anziani e dei semplici disabili».

Il ricercatore cita proprio le parole di un chirurgo olandese, McColl, il quale informa che «molte persone anziane negli ospizi dei Paesi Bassi hanno così paura dell’eutanasia che portano un cartellino con scritto che loro non la vogliono». L’argomento dell’eutanasia è dunque un “pendio scivoloso”. Si inizia dai casi estremi e si arriva a tutti, come infatti accade negli Stati in cui è stata legalizzata: Ultimissima 28/2/11Ultimissima 21/3/11.

Fitzpatrick conclude accennando al “diritto di morire”, che i sostenitori dell’eutanasia rivendicano continuamente. Eppure «la morte è inevitabile e non è “un evento nella vita”: è la fine della nostra esperienza di vita nel mondo, non ha senso parlare di un “diritto” di morire. Chi lo fa tende a mascherare il fatto che sta chiedendo il diritto di ricevere un aiuto per terminare la vita, il diritto a una morte prematura, il che è affatto un evento inevitabile». L’altro errore che si fa è passare «dal particolare al caso generale». Cioè: questa persona disabile vuole suicidarsi, quindi tutte le persone nella loro situazione lo vogliono o lo avrebbero voluto. E conclude: «La vita di molte persone disabili dipende dalla resistenza dai tentativi di introdurre una legge che legalizza di fatto l’atto intenzionale all’omicidio».

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L’uomo è predisposto a credere in Dio, lo dice uno studio di Oxford

Gli esseri umani sono predisposti a credere in Dio e in una vita nell’aldilà, questi i risultati di un importante studio di ricercatori di Oxford, guidati dal filosofo Roger Trigg.

Secondo la ricerca, condotta per tre anni, esiste nella mente umana una predisposizione a vedere il mondo e i fenomeni naturali secondo uno scopo, un disegno. «Questo significa che non si può separare la religione dalla vita pubblica», ha detto alla BBC il co-diretttore del progetto. Il progetto, coordinato anche dall’antropologo, Justin Barrett, ha coinvolto 57 ricercatori che hanno condotto 40 studi in 20 paesi esaminando società religiose e senza Dio.

I ricercatori hanno anche rilevato che nella prima infanzia è decisamente naturale pensare in modo religioso, «come ad esempio credere nell’onniscienza di Dio». Ovviamente la ricerca non dice nulla sull’esistenza o meno di Dio: «solo perché è più facile pensare in un modo particolare, non significa che questo sia vero. Possiamo però concludere che le persone legate da vincoli religiosi potrebbero essere più propense a cooperare come società».Tuttavia è facile raggiungere l’ipotesi che proprio Trigg avanza: «Le persone religiose, ora potranno dire: “Se c’è un Dio, Egli ci avrebbe dotato di un’inclinazione a cercarlo».

Sicuramente, continua il filosofo, questo studio «ha profonde implicazioni per la libertà religiosa. Se abbiamo qualcosa di così profondamente radicato nella natura umana, non si può non consentire all’uomo di soddisfare i suoi interessi di base. La religione è molto più universale, prevalente e radicata di quanto pensassimo. Non si può semplicemente far finta che non ci sia». Ha infine concluso criticando i teorici della secolarizzazione: «La tesi della secolarizzazione credo che sia senza speranza».

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Salgono a 32 le donne morte a causa della RU486

Qualche giorno fa informavamo dei risultati di uno studio australiano che dimostravano la pericolosità della pillola abortiva RU486 (cfr. Ultimissima 11/5/11). Sono passati pochi giorni e durante il «21° congresso europeo di micorbiologica clinica e malattie infettive» (Eccmid), tenutosi a Milano, viene data la notizia della morte di una ragazza portoghese di sedici anni per uso della pillola. Le vittime accertate della RU486 salgono così a 32.

La notizia è ripresa da Avvenire e dalla stampa italiana, dove compaiono le parole del sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella: «spero che ora quanti hanno propagandato l’idea di un aborto farmacologico indolore e facile, riproponendosi così lo scopo politico di allargare le maglie della 194 in nome dell’aborto a domicilio, si ricredano e prendano in seria considerazione questo decesso. Finora si era sostenuta la tesi di un’incerta connessione tra morti e pillola abortiva, affermando che quelle accertate fossero dovute a una sindrome riscontrabile solo in America, ma adesso questo ragionamento si rivela del tutto infondato. Mi aspetto dunque adeguate reazioni di preoccupazione per la salute della donna, purtroppo invece mi sembra che da molti organi di stampa si sia voluto passare sotto silenzio i rischi della pillola, venendo meno al compito di dare una corretta informazione sull’uso del farmaco e sulle sue criticità».

Si viene così a sapere che il Ministero della Salute ha segnalato il caso all’Ema, l’agenzia di farmacovigilanza europea, chiedendo un supplemento di indagine e un aggiornamento sulle segnalazioni di decessi e complicanze. Inoltre sarà inviata una circolare agli assessori alla Sanità di tutte le Regioni raccomandando l’applicazione delle linee guida elaborate dal ministero insieme al Consiglio superiore di Sanità, che prevedono che l’intera procedura venga eseguita in regime di ricovero ordinario, per salvaguardare al meglio la salute delle donne.

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America: nascono le facoltà di “ateismo”, “parapsicologia” e “gattologia”

Nel 2006 in alcune università inglesi e americane nasce un corso dedicato alla parapsicologia, per tutti coloro che intendono studiare i fantasmi e il paranormale. Nel 2007 invece, l’Università di Bari ha dedicato un corso di tre anni all‘igiene e benessere del cane e del gatto. Nel 2008, negli USA, nasce invece un corso di laurea dedicato al campione di calcio David Beckham. E se in Australia prende avvio un corso universitario di “Filosofia in ufologia”, alla Georgetown University gli studenti potranno invece seguire un corso su “Star Treck e filosofia”. Verso fine 2010, l’Università del South Carolina ha pensato di dedicare un corso dedicato alla stella del pop Lady Gaga, gli studenti dunque si potranno laureare in “ladygagaismo”.  Ma non dimentichiamo, che -sempre negli USA- si possono trovare corsi di facoltà di “studio del pene”, “cyberfemministmo” e di “musica omosessuale“.

Non poteva quindi mancare anche la laurea in “Secolarismo“, ideata in questi giorni dal Pitzer College, in California. Ne dà notizia in Italia il quotidiano Il Foglio, commentando: «per diventare teologi bisogna tendenzialmente laurearsi in teologia, ma non è ancora chiaro cosa potrebbero diventare gli studenti laureati in “Secolarismo”. Ateologi? Secolariatri? Agnosticologi? Odifreddisti?». L’autore, Mattia Ferraresi, informa che i ragazzi che dal prossimo autunno sceglieranno di darsi ragione scientifica della non-esistenza di Dio o del fatto che la Bibbia è uno strepitoso racconto fantasy, frequenteranno una facoltà negativa per approfondire le ragioni di chi rifiuta di darsi una ragione sui temi d’indagine che l’uomo affronta da qualche tempo a questa parte: origine del mondo, significato dell’esistenza, destino di tutte le cose e così via. «E’ un po’ come se gli scettici verso la medicina» -continua il giornalista- «istituissero una facoltà di “Malattia”». L’inventore è Phil Zuckerman, un sociologo “agnostico-ateo” sulle questioni che riguardano il mistero profondo” e che si prende immensamente sul serio. Si giustifica dicendo che una tendenza diffusa merita di ricevere il sigillo della scientificità. Commenta Ferraresi: «come laurearsi sul tuffo in piscina dal balcone, sulla vodka negli occhi, sulla violenza negli stadi ma con numeri molto più rilevanti».

Ecco dunque creato l’ennesimo corso, dopo “Golf management”, “Astrobiologia”, “Ittologia”, “Educazione della danza”, per tentare di contrastare l’inarrestabile fenomeno dell’abbandono degli studi dopo il liceo, che sembra dominare il panorama occidentale.

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Il filosofo Lodovici: «è ormai evidente che l’aborto uccida una persona umana»

Il filosofo Giacomo Samek Lodovici, docente di Storia delle dottrine morali presso l’Università Cattolica di Milano, affronta in modo convincente il tema dell’aborto e la sua legalizzazione sull’inserto “E’ vita” del quotidiano Avvenire.

MODERNA EMBRIOLOGIA. Lodovici spiega che «decine di studi di biologia certificano ormai che, fin dalla fecondazione, il concepito è autonomo e comincia uno sviluppo continuo, che gli consentirà dopo anni di esercitare le azioni peculiari dell’uomo. La madre non ne guida lo sviluppo, bensì lo nutre e lo protegge, e continua a farlo per molto tempo anche dopo la nascita senza che questa forma di dipendenza autorizzi a uccidere un bambino». L’autonomia del concepito non è da intendersi come indipendenza o autosufficienza assoluta, come non lo è quella di tanti altri esseri umani (disabili, anestetizzati ecc…), bensì «come capacità di autocostruirsi. Quanto alla continuità dello sviluppo, è stato ripetutamente dimostrato che i presunti «stacchi» sono in realtà guidati dal concepito stesso e programmati fin dall’inizio».

ABORTO E’ UNA “PERSONA”. Il filosofo affronta anche un’obiezione frequente a queste evidenze scientifiche: il concepito sarebbe “persona” solo quando esercita attualmente l’autocoscienza. E risponde: «Se questo fosse vero sarebbe lecito uccidere anche chi pone queste obiezioni quando non è autocosciente, per esempio quando dorme o è sotto anestesia». La verità è che il concepito compirà gli atti di una persona in seguito e, non essendoci alcun vero stacco nel suo sviluppo (né prenatale, né postnatale), vuol dire che il concepito è persona «anche se non può ancora compiere certe attività. Dunque l’aborto è l’uccisione di uno di noi, di un essere umano innocente». Senza accusare le donne, che spesso sono inconsapevoli di questo o appositamente male informate da altri, l’aborto rimane sempre un atto orribile.

LEGGE 194. La legge 194 è quindi da considerare «gravemente ingiusta e inaccettabile in quanto consente l’uccisione di una vita umana. Quando fu varata venne giustificata soprattutto per evitare la morte delle donne negli aborti clandestini. Ma i dati sui decessi erano gonfiati, e il fine (importantissimo) di salvaguardare la vita delle donne non può giustificare un mezzo gravemente sbagliato qual è l’uccisione di un essere umano».

PRINCIPIO DI PRECAUZIONE. E comunque, sia, dato che il dibattito è assolutamente aperto, «in caso di divergenze sul concepito lo Stato deve seguire il principio di precauzione: finché sussiste il minimo dubbio circa lo status del concepito, non si deve correre il rischio di consentire l’uccisione di un uomo».E il filosofo fa un esempio: «se un cacciatore vede muoversi qualcosa dietro un cespuglio non deve sparare fino a che non sa con certezza che dietro non c’è una persona». Occorre dunque continuare a denunciare la legge che consente di sopprimere un uomo , sebbene riconoscendo le attenuanti morali quando una decisione tanto grave viene assunta in situazioni drammatiche.

Dopo aver invitato a promuovere disposizioni di incoraggiamento alla maternità e favore della vita, Lodovici conclude: «è fondamentale promuovere un’azione culturale pro-life, perché una legge è molto più facilmente modificabile se questo richiedono le convinzioni mediamente diffuse nella cultura di un popolo» salvando così «dall’aborto il maggior numero possibile di vite umane».
 

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