L’Università Cattolica fra i migliori atenei a livello internazionale

Il 21 maggio scorso, 7 mila partecipanti, tra medici, docenti e studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore hanno festeggiato con Benedetto XVI i 90 anni dell’università. L’ateneo è stato fondato da padre Agostino Gemelli nel dicembre del 1921 e il 5 novembre 1961, con la benedizione di Papa Giovanni XXIII, è nata la facoltà di Medicina, meglio conosciuta come il Policlinico Gemelli.

La struttura, ricorda Il Corriere della Sera, però è stata ribattezzata «l’ospedale del Papa», a causa dei frequenti ricoveri di Papa Wojtyla durante il suo pontificato. Il Policlinico della Cattolica rappresenta oggi un polo di assistenza, didattica e ricerca di assoluto rilievo nazionale e internazionale, come testimonia, tra i suoi record, il fatto che è in Italia l’ospedale che vanta il maggior numero di malati che vengono da fuori regione per farci curare. Il dato, continua il quotidiano, è emerso di recente in uno studio effettuato dal ministero della Salute.

E non è certo un caso poiché, come ha splendidamente ricordato per l’occasione il Papa, «il sapere della fede illumina la ricerca dell’uomo, la interpreta umanizzandola, la integra in progetti di bene, strappandola alla tentazione del pensiero calcolatore, che strumentalizza il sapere e fa delle scoperte scientifiche mezzi di potere e diasservimento dell’uomo». Ai docenti il Pontefice ha affidato un ruolo decisivo: «mostrare come la fede cristiana sia fermento di cultura e luce per l’intelligenza, stimolo a svilupparne tutte le potenzialità positive, per il bene autentico dell’uomo. Ciò che la ragione scorge, la fede illumina e manifesta. La contemplazione dell’opera di Dio dischiude al sapere l’esigenza dell’investigazione razionale, sistematica e critica; la ricerca di Dio rafforza l’amore per le lettere e per le scienze profane. L’Università Cattolica del Sacro Cuore si trova a vivere in questo tornante storico, in cui è importante consolidare e incrementare le ragioni per le quali è nata, recando quella connotazione ecclesiale che è evidenziata dall’aggettivo “cattolica”. Queste considerazioni fondano le motivazioni specifiche per cui la Chiesa dà vita ad Università Cattoliche che sono chiamate a svolgere con singolare efficacia, sotto il profilo sia scientifico che didattico” un peculiare servizio alla Verità».

Il 60% degli studenti del Policlinico Gemelli risiede fuori dal Lazio e attualmente nell’ateneo romano ce ne sono 4 mila, oltre a 1.100 giovani iscritti nelle 47 scuole di specializzazione. A questi bisogna aggiungere 15 dipartimenti assistenziali e 35 centri di ricerca dove lavorano 4.500 tra docenti, medici e personale sanitario e amministrativo. Tra le novità annunciate dal rettore, Lorenzo Ornaghi, al Pontefice c’è la prossima apertura del «Centro per la vita» che si aggiunge agli altri «Centri di ateneo» per integrare i saperi nel mondo della medicina e della ricerca. Entro l’anno aprirà anche il «Gemelli Lab» per sviluppare la ricerca sulle cellule staminali adulte.

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Nuovi studi: importanza della famiglia e problemi per i figli delle coppie di fatto

Mentre gli atei razionalisti esultano per ogni divorzio in più (cfr. Ultimissima 30/7/10), la società sta tornando a schierarsi sempre di più a favore della famiglia, pietra angolare della comunità umana e principale strumento di benessere degli individui.

L’importanza della famiglia, rivela l’agenzia Zenit.it, emerge anche in un recente rapporto sulle famiglie dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) afferma che «le famiglie forniscono identità, amore, attenzione, un ambiente per la crescita e lo sviluppo dei loro membri e costituiscono il nucleo portante di molte strutture sociali». Il rapporto, intitolato “Doing Well for Families”, riconosce inoltre che la povertà è in aumento per le famiglie di quasi tutti i Paesi membri dell’OCSE ed invita i Governi ad adottare politiche di sostegno, sopratutto verso la procreazione (oggi la media attuale di figli per donna è 1,7).

Un secondo studio, valutato su un ampio campione di famiglie nel Regno Unito, è stato pubblicato dall’Institute of Social and Economic Research dell’Università di Essex. Tra le conclusioni figurano anche questi due punti: sulla base di una serie di fattori indicativi, risulta che le persone conviventi sono significativamente meno felici nel loro rapporto rispetto alle persone sposate, i figli che vivono con un solo genitore sono meno propensi a dirsi del tutto felici della loro situazione.

Nel commentare un terzo studio, pubblicato negli Stati Uniti dall’ente di ricerca Child Trends dal titolo “Parental Relationship Quality and Child Outcomes Across Subgroups”, Elizabeth Marquardt, redattrice del sito Internet FamilyScholars.org, ha spiegato che esaminando le tabelle e le statistiche dello studio, i figliastri hanno una probabilità doppia, rispetto ai figli che vivono con i propri genitori sposati, di sviluppare problemi comportamentali. La problematicità è ancora superiore per i figli che vivono con una coppia di fatto, i quali presentano una probabilità tre volte superiore di avere problemi. Queste macrodifferenze sono confermate anche per altre categorie come i rapporti sociali e la condotta a scuola.

Un quarto studio, realizzato dal dr. John Gallacher e David Gallacher della Cardiff University’s School of Medicine, pubblicato sulla rivista BMJ Student e apparso anche in sintesi sul quotidiano Independent, ha preso in esame la questione se il matrimonio sia un bene per la salute: «Il dato di fondo è che, dal punto di vista medico, il gruppo che presenta la maggiore longevità è quello degli sposati», ha afferamto il dr. Gallacher. Secondo anche questo studio, i figli che vivono con la sola madre presentano maggiori problemi comportamentali rispetto a quelli che vivono con due genitori, e questi problemi peggiorano con ogni rottura di un rapporto e instaurazione di uno nuovo.

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Gli astronauti: «che emozione parlare con Benedetto XVI!!»

Il collegamento avvenuto sabato 21 maggio 2011 tra il Papa, Benedetto XVI, gli astronauti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale è stato realmente un evento storico. Dalla biblioteca Vaticana, accanto al Papa erano presenti il Presidente dell’Agenzia Spaziale italiana, Enrico Saggese, il quale aveva già avuto modo di parlare di questo evento (cfr. Ultimissima 21/5/11), il comandante dell’Aviazione italiana, Generale Giuseppe Bernardis, e un rappresentante dell’Agenzia Spaziale Europea. Tutti i maggiori quotidiani internazionali hanno riportato la notizia, tre di quelli italiani hanno anche descritto i momenti dopo il dialogo.

Il Sole 24 ore ha sottolineato che la prima sorpresa, che dimostra l’interesse per questa opportunità, è la presenza di tutti e 12 gli astronauti, i sei della Stazione, fra cui Paolo Nespoli, e i sei dello Shuttle, fra cui Roberto Vittori. Si commenta: «Non era previsto, la schedula della Stazione è rigidissima, ma tutti hanno lasciato quel che dovevano fare e si sono presentati per il colloquio con Benedetto XVI. Troppo importante». Vengono anche riportati i commenti di Saggese: «L’atmosfera anche alla Biblioteca Vaticana era di emozione per l’interesse di Benedetto XVI che ha quasi incalzato i 12 astronauti con le domande rivolte loro. Tutte importanti ovviamente, ma voglio sottolineare, accanto ai temi dell’ambiente, della solidarietà e della pace, come il Papa abbia ribadito l’importanza sociale della scienza per aiutare l’umanità a capire sé stessa e le proprie origini. Questo messaggio mi ha veramente colpito, anche se detto da un Papa che sappiamo già essere da sempre molto attento alla scienza».

Il Corriere della Sera ha invece lasciato spazio alle impressioni degli astronauti stessi dopo il dialogo con il Pontefice. Paolo Nespoli parla di «un sabato di festa. Siamo in dodici sulla stazione in questo momento tra russi,americani, italiani, di religioni diverse, credenti e non credenti ma tutti hanno voluto condividere e parlare con il Papa e ne erano orgogliosi, consapevoli della grande opportunità». Mentre Roberto Vittori ammette: «che emozione parlare con il Papa. Mai pensavo di essere protagonista di un simile evento. Infatti ero così imbarazzato che quando ho preso la parola ho spento il microfono invece di lasciarlo acceso», e lo si può notare anche nel video pubblicato in Ultimissima 25/5/11. Paolo Nespoli è rimasto «impressionato che un pastore di anime ci chiedesse come vedevamo il pianeta, le sue difficoltà e che cosa potevamo fare per aiutare a risolverle». Vittori replica: «Io sono stato sorpreso che abbia accettato di parlare e che abbia affrontato con profondità numerosi argomenti vitali».

Il quotidiano Avvenire invece si sofferma sulla contraddizione tra questo evento e il tentativo che certa cultura vuole dare per rappresentare la Chiesa come oscurantista e nemica della scienza. Lassù la legge di gravità è annientata, ma un’altra legge rimane, quella interna all’uomo che vede la bellezza del mondo e non può trattenere la preghiera e il ringraziamento a Dio.

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Fine del mondo? Gli atei organizzano orge e gruppi di autoerotismo

Per alcuni presunti pseudo-biblisti e sciamani americani il 21 maggio scorso si sarebbe dovuto verificare il Giudizio Universale. La bufala è partita da un predicatore evangelista americano Harold Camping, che ha sosteuto di avere calcoli accuratissimi alla mano. Grazie al web la notizia è rimbalzata in ogni angolo del mondo, suscitando curiosità, paura e ironia.

Mentre gli studiosi cattolici hanno confutato radicalmente queste falsità, argomentando in modo serio e documentato che nella Bibbia non c’è alcun riferimento temporale per il Giorno del giudizio universale, di cui si parla nel Vangelo di Matteo (cfr. Matteo 25,31-46), la cultura atea ha invece pensato di approfittarne, coltivando la propria tendenza edonistica. Ha così proposto, come riporta il NewTimes di Miami, il più grande evento di autoerotismo di massa, organizzato dalle sette atee californiane. L’evento si è svolto presso il The Center for Sex and Culture (qui il sito web) sotto lo slogan: “Sii onesto, cosa vorresti davvero fare quando finisce tutto?”.

Gli atei di Londra hanno invece pensato di organizzare un programma più complesso: orge in massa, gara di erezione per i maschietti e la sessione “brucia-chiese”. La descrizione dell’evento completo la si può visionare su questa pagina Facebook.

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Il filosofo Dario Antiseri: «la vera laicità stima il cristianesimo, non è contro»

Il noto filosofo italiano Dario Antiseri, ha recentemente parlato della laicità, chiarendo ancora una volta quale sia il suo significato vero e non strumentalizzato dalla cultura laicista.

Lo ha fatto dalla colonne de Il Corriere della Sera, iniziando il ragionamento dalla «pluralità delle concezioni etiche e delle visioni filosofiche e religiose del mondo», la quale rende inevitabile lo «stabilire regole di convivenza, le regole dell’ordine sociale». Propone dunque «una società aperta, cioè laica», ed essa si verifica «quando a nessuno e a nessun gruppo portatore di una specifica tradizione è proibito di dire la sua, ma dove nessuno e nessuna tradizione è esente dalla critica nel pubblico dibattito. Laico è chi è critico; non dogmatico; disposto ad ascoltare gli altri— soprattutto quanti pensano diversamente da lui— e al medesimo tempo deciso a farsi ascoltare; laico è chi è rispettoso delle altrui tradizioni e, in primo luogo, della propria; il laico non è un idolatra, non divinizza eventi storici e istituzioni a cominciare dallo Stato; non reifica, non fa diventare cose (res), cioè realtà sostanziali, i concetti collettivi (popolo, classe, nazione, sindacato, partito, ecc.) che così si trasformerebbero in entità liberticide». Il laico dunque non è l’ateista, il militante laicista pronto a privare la società della sfera religiosa per una sorta di utopica neutralità.

Antiseri approfondisce proprio questo aspetto: «Laico è, dunque, il cittadino della società aperta — un cittadino che, come dice Popper, “riconosce che gran parte dei nostri scopi e fini occidentali, come l’umanitarismo, la libertà, l’uguaglianza, li dobbiamo all’influsso del cristianesimo“, e che, diversamente dal laicista fondamentalista, sa che “il vero liberalismo non ha niente contro la religione“». Chiude poi citando anche Friedrich von Hayek, filosofo austriaco e premio Nobel per l’economia: «è da deplorare l’anticlericalismo essenzialmente illiberale che ha animato tanta parte del liberalismo continentale del XIX secolo».

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L’astrofisico Tanzella-Nitti e il suo impegno tra scienza e fede

Sul rapporto tra “scienza e fede” nel pontificato di Benedetto XVI si è espresso di recente l’astrofisico e teologo Giuseppe Tanzella-Nitti. Già ricercatore nel campo della radioastronomia e della cosmologia del CNR presso l’Istituto di Radioastronomia di Bologna e astronomo all’Osservatorio Astronomico di Torino, oggi si occupa del Centro di Documentazione Interdisicplinare di Scienza e Fede (www.disf.org). Lo ha intervistato Zenit.it, in merito anche della presentazione del libro: “Fede e Scienza. Un dialogo necessario” (Lindau 2011), in cui vengono ripresi i discorsi del Pontefice sull’argomento.

Lo scienziato nota subito la continuità nell’attenzione per la scienza tra il magistero di Benedetto XVI e quello di Giovanni Paolo II, seppur con enfasi diverse: «Benedetto XVI difende la ragione umana, perché immagine di Dio e capace di portare a Dio, pur con tutti i limiti derivanti dai limiti e dagli errori della condizione umana. E anche lui, come Giovanni Paolo II, in questo cammino intende recuperare il meglio della riflessione filosofica. Una ragione debole non interessa alla fede. La fede cristiana si consolida proprio mediante il superamento dell’idolatria e della superstizione, due mali che la ragione debole, oggi predominante, sembra invece allegramente sottostimare». Non è un caso che la tradizione filosofica «ha sempre riconosciuto la presenza di un Logos che custodisce e rivela il progetto del mondo e dell’uomo, un Logos che la ragione intravede, intuisce, e al quale può aprirsi con stupore e riverenza. Anche il sapere scientifico è aperto al riconoscimento di questo Logos e che la nostra intelligenza, nel rendersene conto, si comprende ragionevolmente come Sua immagine». Tanzella-Nitti parla anche del suo interesse e l’attenzione per il mondo scientifico e teologico. La scienza è un bene per l’uomo religioso, «trascurando questo campo, vorrebbe dire condannarsi all’inefficacia, al fideismo di una doppia verità, e, credo, anche tradire in buona parte lo spirito del Concilio Vaticano II. Sono stato molto soddisfatto nel vedere fra i cinque grandi ambiti di Nuova Evangelizzazione previsti dai Lineamenta del prossimo Sinodo, dedicato proprio a questo tema, un esplicito riferimento al mondo della ricerca scientifica e tecnologica».

Si torna poi a parlare del prof. Ratzinger, il quale «ha sempre insistito sulla conoscenza scientifica come impresa di verità, e per questo capace di dialogare con la teologia, provocandola e lasciandosi provocare, se necessario. Quando la teologia cessa di suscitare questa curiosità vuol dire che è divenuta tristemente autoreferenziale, cioè si parla addosso ma non parla più al mondo. E quando le scienze perdono anch’esse la curiosità di interrogarsi su Dio, attorno al Fondamento di tutte le cose, vuol dire che hanno perso il loro afflato verso la verità, hanno smarrito la loro capacità di stupirsi di fronte al mistero del mondo».

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Gli storici Mieli e Ranzato: ecco la violenza atea nella Spagna del 1936

Il noto storico, giornalista ed intellettuale laico Paolo Mieli, ex direttore de Il Corriere della Sera e attuale editorialista, ha recensito sul noto quotidiano, il libro di Gabriele Ranzato, docente ordinario di Storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa, intitolato “La grande paura del 1936” (Laterza 2011).

Nell’affrontare la storia della guerra civile spagnola ha spiegato come fu la sinistra comunista a permettere l’ascesa del dittatore Franco. Si è anche a lungo soffermato sull’avversione di questa area atea e anticlericale nei confronti della Chiesa. Dopo aver elencato le inevitabile colpe della Chiesa, come l’insensibilità alle aspirazioni di emancipazione delle classi subalterne, riprende le parole di Ranzato: «le sinistre spagnole misero in atto contro la Chiesa una vera e propria persecuzione religiosa».

Il 17 marzo, l’ateo Manuel Azaña scriveva al cognato: «Ho perso il conto delle località in cui hanno bruciato chiese e conventi». Allo scoppio della guerra civile erano ben 239 i luoghi di culto dati alle fiamme. Innumerevoli i roghi di quadri confessionali precedentemente accatastati nelle piazze, le violazione dei tabernacoli e delle ostie consacrate, sparse a terra per essere calpestate. Moltissimi i cadaveri di parroci e vescovi disseppelliti, la tassazione dei funerali cattolici (talvolta impedimento alla loro stessa celebrazione), il divieto per i simboli cristiani sulle tombe, la proibizione della processione pasquale, l’equiparazione della Settimana Santa a una «riunione clandestina» con conseguenti arresti, l‘impedimento delle prime comunioni dei bambini, cani lasciati liberi di scorrazzare nelle città con un crocifisso al collare. «Non occorre essere credenti – puntualizza Ranzato – per sentire e capire quanto dolore e quanto risentimento provocassero queste ferite alle coscienze religiose, cui spesso si accompagnarono altre grandi e piccole vessazioni, come il divieto o la tassazione delle immagini esposte nella pubblica via, o dei rintocchi di campana». Si passa poi a descrivere della «leggenda delle caramelle avvelenate»: si fece infatti diffondere la voce (ovviamente infondata) che suore e dame cattoliche andavano distribuendo tra i bimbi bonbon letali che avevano già prodotto un’ecatombe di bambini. Le folle di anticlericali aggredirono così monache e pie donne giudicate sospettate di aver provveduto a quegli avvelenamenti, il tutto nell’ormai consueta indifferenza delle autorità di polizia. Nella foto la riesumazione di  un cadavere di una suora arsa viva.

Secondo Mieli dunque, «la storia della Spagna negli anni che precedettero (e in parte determinarono) la Seconda guerra mondiale si comincia a scrivere soltanto ora».

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Ecco la traduzione del dialogo tra Benedetto XVI e gli astronauti

L’agenzia Zenit.it ha pubblicato la trascrizione integrale della storica conversazione che Papa Benedetto XVI ha avuto con l’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale, in occasione dell’ultima missione dello Shuttle Endeavour. Grazie a un collegamento via satellite, il Pontefice ha potuto vedere gli astronauti su uno schermo televisivo. La connessione è durata venti minuti ed è iniziata con alcune parole del colonnello Thomas Reiter, direttore voli umani e operazioni dell’Agenzia Spaziale Europea, che si trovava in Vaticano.

 

 

INTRODUZIONE DI BENEDETTO XVI

Benedetto XVI: «Cari astronauti, sono molto lieto di avere questa straordinaria possibilità di una conversazione con voi durante la vostra missione. Sono particolarmente grato di potermi rivolgere a così tanti di voi, data la presenza contemporanea in questo momento di due equipaggi sulla Stazione Spaziale. L’umanità vive un periodo di rapidissimo progresso delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecniche. In certo senso voi siete i nostri rappresentanti, la punta avanzata dell’umanità che esplora nuovi spazi e nuove possibilità per il nostro avvenire, andando aldilà dei limiti delle nostre esperienze quotidiane. Tutti ammiriamo il vostro coraggio, la disciplina e l’impegno con cui vi siete preparati per questa missione. Noi siamo convinti che siete animati da nobili ideali e che volete mettere i frutti delle vostre ricerche e delle vostre imprese a disposizione di tutta l’umanità e per il bene comune. Questa conversazione mi dà quindi modo di esprimere anch’io la mia ammirazione e il mio apprezzamento per voi e tutti quelli che collaborano a rendere possibile la vostra impresa e di incoraggiarvi cordialmente nel portarla a compimento con sicurezza e successo. Ma questa deve essere una conversazione, perciò non devo essere solo io a parlare. Anzi sono molto interessato a sentire da voi le vostre esperienze e le vostre riflessioni. Permettetemi quindi di rivolgervi alcune domande».

 

PRIMA DOMANDA: PUO’ LA SCIENZA CONTRIBUIRE ALLA PACE?

Benedetto XVI: «Prima domanda: dalla Stazione Spaziale vedete la nostra Terra da una prospettiva molto diversa. Sorvolate continenti e popoli diversi molte volte al giorno. Credo che per voi sia evidente che viviamo tutti insieme su una sola Terra e che è assurdo combattersi e uccidersi fra noi. So che la moglie di Mark Kelly è stata vittima di un grave attentato e spero che la sua salute continui a migliorare. Contemplando dall’alto la Terra, quali considerazioni fate dunque sul modo in cui le nazioni e i popoli vivono insieme quaggiù, o su come la scienza può contribuire alla causa della pace?»

Mark Kelly (Stati Uniti): «Grazie, Santità per le sue parole gentili e grazie per avere ricordato mia moglie Gabby. La sua è una domanda interessante. Infatti, noi voliamo sul mondo e non vediamo confini, ma allo stesso tempo ci rendiamo conto del fatto che i popoli si combattono, che c’è tanta violenza in questo mondo e questo è veramente una disgrazia. Sulla Terra, infatti, spesso si lotta per l’energia; nello spazio, utilizziamo l’energia solare e sulla Stazione spaziale abbiamo riserve energetiche. Vede, la scienza e la tecnologia applicate alla Stazione spaziale per sviluppare il potenziale di energia solare ci rifornisce in realtà di una quantità pressoché illimitata di energia. Ecco, se queste tecnologie fossero maggiormente utilizzate sulla Terra, probabilmente si potrebbe ridurre anche la violenza».

 

SECONDA DOMANDA: QUALI RISCHI PER L’AMBIENTE?

Benedetto XVI: «Seconda domanda: uno dei temi su cui ritorno spesso nei miei discorsi è quello della responsabilità che tutti abbiamo per l’avvenire del nostro Pianeta. Ricordo che vi sono seri rischi per l’ambiente e per la sopravvivenza delle future generazioni. Gli scienziati ci invitano alla prudenza, e dal punto di vista etico dobbiamo far crescere le nostre coscienze. Dal vostro punto straordinario di osservazione come vedete la situazione della Terra? Vedete dei segni o dei fenomeni a cui dobbiamo essere più attenti?»

Ron Garan (Stati Uniti): «Santità, è un grande onore parlare con lei. Ha ragione: quello che abbiamo da qui è veramente un punto di vista straordinario. Da un lato, vediamo quanto indescrivibilmente bello sia il pianeta che ci è stato dato, dall’altro, possiamo vedere quanto in realtà sia fragile. Prendiamo, ad esempio, l’atmosfera: vista dallo spazio, essa è fina come un foglio di carta, e il pensiero che questo strato fino come un foglio di carta sia tutto quello che separa qualsiasi essere vivente dal vuoto dello spazio, e che sia tutto quello che ci protegge, è un pensiero che fa riflettere. Vede, a noi sembra incredibile vedere la Terra appesa nel nero dello spazio e pensare che noi ci troviamo lì, tutti insieme, nella corsa di questa fragile oasi attraverso l’universo … Ecco, ci ricolma di grande speranza il pensiero di trovarci tutti insieme a bordo di questa incredibile Stazione spaziale orbitante, realizzata da tanti Paesi in collaborazione internazionale, per svolgere questa grandiosa impresa in orbita … Vede, questo dimostra che lavorando insieme, collaborando, possiamo superare molti dei problemi che il pianeta si trova ad affrontare, potremmo risolvere molte delle sfide poste agli abitanti del nostro pianeta, che è veramente un bellissimo luogo in cui vivere e lavorare, e questo è un luogo incredibile per ammirare la nostra bella Terra!»

 

TERZA DOMANDA: COSA DIRETE AI GIOVANI?

Benedetto XVI: «Terza domanda: l’esperienza che state facendo ora è straordinaria e importantissima, ma poi tornerete su questa Terra come tutti noi. Quando tornerete sarete guardati con ammirazione, sarete trattati come degli eroi e parlerete con grande autorità. Vi inviteranno a parlare delle vostre esperienze. Quali saranno i messaggi più importanti che vorreste poter indirizzare, soprattutto ai giovani, che vivranno in un mondo profondamente segnato dalle vostre esperienze e dalle vostre scoperte?»

Mike Finchke (Stati Uniti): «Santità, come hanno detto i miei colleghi, noi possiamo guardare in basso ed ammirare quello splendido pianeta Terra che ha fatto Dio, che è il più bel pianeta nell’intero sistema solare. Però, se alziamo lo sguardo, vediamo il resto dell’universo, e l’universo è lì per essere esplorato da noi. E la Stazione spaziale internazionale è solamente un simbolo, un esempio di quello che gli esseri umani possono fare quando lavorano insieme in termini costruttivi. Quindi il nostro messaggio – uno dei nostri messaggi, ma credo il più importante – è che dobbiamo far sapere ai figli, ai giovani di questo pianeta che intorno a noi c’è tutto un universo da esplorare. E che se lo facciamo insieme, non c’è nulla che non possiamo ottenere!»

 

QUARTA DOMANDA: SI PREGA NELLO SPAZIO?

Benedetto XVI: «La mia quarta domanda: l’esplorazione dello spazio è un’avventura scientifica affascinante. So infatti che in questi giorni installate nuovi strumenti per la ricerca scientifica e lo studio delle radiazioni che giungono dagli spazi più lontani. Ma credo che sia anche un’avventura dello spirito umano, uno stimolo potente a riflettere sull’origine e sul destino dell’universo e dell’umanità. I credenti guardando spesso verso gli spazi sconfinati, meditando sul Creatore di tutto ciò, e sono colpiti dal mistero della sua grandezza. Perciò la medaglia che ho affidato a Roberto (Vittori) come segno della mia partecipazione alla vostra missione rappresenta la creazione dell’uomo, dipinta da Michelangelo sulla volta della Cappella Sistina. Nel vostro intenso impegno di lavoro e di ricerca, vi succede di fermarvi e fare simili riflessioni – forse anche di rivolgere una preghiera al Creatore? Oppure sarà più facile per voi riflettere su queste cose quando sarete ritornati sulla Terra?»

Roberto Vittori (Italia): «Santità, vivere a bordo della Stazione spaziale internazionale, lavorare da astronauta sullo shuttle Soyuz della Stazione è un’esperienza estremamente intensa. Ma, quando scende la notte, noi tutti possiamo guardare in basso, alla Terra: il nostro pianeta, il pianeta blu, è bellissimo. Blu è il colore del nostro pianeta, blu è il colore del cielo, blu è anche il colore dell’Aeronautica militare italiana, l’organizzazione che mi ha dato l’opportunità di entrare nell’Agenzia spaziale italiana prima e quindi nell’Agenzia spaziale europea. Quando abbiamo un momento di tempo per guardare verso il basso la bellezza, che è l’effetto tridimensionale della bellezza del nostro pianeta, cattura il nostro cuore, cattura il mio cuore. E allora prego: prego per me, per le nostre famiglie, per il nostro futuro. Ho portato con me la medaglia, e la faccio galleggiare davanti a me, a dimostrazione dell’assenza di gravità. Io desidero ringraziarla molto per questa opportunità; voglio che questa medaglia fluttui verso il mio amico e collega Paolo: infatti, lui tornerà sulla Terra sul Soyuz. Io l’ho portata con me nello spazio e lui la riporterà sulla Terra per restituirla a lei».

 

QUINTA DOMANDA: VI SENTITE ISOLATI?

Benedetto XVI: «La mia ultima domanda è per Paolo. Caro Paolo, so che nei giorni scorsi la tua mamma ti ha lasciato e quando fra pochi giorni tornerai a casa non la troverai più ad aspettarti. Tutti ti siamo stati vicini, anche io ho pregato per lei…Come hai vissuto questo tempo di dolore? Nella vostra Stazione vi sentite lontani e isolati e soffrite un senso di separazione, o vi sentite uniti fra voi e inseriti in una comunità che vi accompagna con attenzione e affetto?».

Paolo Nespoli (Italia): «Santo Padre, ho sentito le sue preghiere, le vostre preghiere arrivare fino qua su: è vero, siamo fuori da questo mondo, orbitiamo intorno alla Terra ed abbiamo un punto di vantaggio per guardare la Terra e per sentire tutto quello che ci sta attorno. I miei colleghi qui, a bordo della Stazione – Dimitri, Kelly, Ron, Alexander e Andrei – mi sono stati vicini in questo momento importante per me, molto intenso, così come i miei fratelli, le mie sorelle, le mie zie, i miei cugini, i miei parenti sono stati vicini a mia madre negli ultimi momenti. Sono grato di tutto questo. Mi sono sentito lontano ma anche molto vicino, e sicuramente il pensiero di sentire tutti voi vicino a me, uniti in questo momento, è stato di estremo sollievo. Ringrazio anche l’Agenzia spaziale europea e l’Agenzia spaziale americana, che hanno messo a disposizione le risorse affinché io abbia potuto parlare con lei negli ultimi momenti».

 

CONCLUSIONE DI BENEDETTO XVI:

«Cari astronauti, vi ringrazio cordialmente per questa bellissima occasione di incontro e di dialogo con voi. Avete aiutato me e tante altre persone a riflettere insieme su temi importanti per l’avvenire dell’umanità. Faccio i migliori auguri per il vostro lavoro e per il successo della vostra grande missione al servizio della scienza, della collaborazione internazionale, del progresso autentico e della pace nel mondo. Continuerò a seguirvi con il mio pensiero e la mia preghiera e vi imparto volentieri la mia Benedizione Apostolica».

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Ma se l’embrione non è persona, perché abortire è un trauma?

Segnaliamo un interessante articolo comparso sul blog “RAI Vaticano”, in cui l’autore -Antonello Cannarozzo– riflette in modo molto interessante sull’aborto.

Pone da subito questa questione: «Negli ambienti abortisti si dice che l’interruzione di gravidanza non è un omicidio, essendo l’embrione non persona, ma curiosamente nello stesso tempo si afferma che per la donna l’interruzione di gravidanza non è mai una passeggiata di salute. Anzi, spesso è (e rimane) un trauma». E la cosa è infatti molto curiosa. Continua l’autore: «Ma perché mai è un trauma? Se l’aborto non è un omicidio, e l’embrione è solo un essere tra il vermetto e il vegetale, come si fa a chiamare questo un figlio?». Nella coscienza della donna infatti, come «qualsiasi trattato di psicologia afferma, questo embrione è nella mente della donna un figlio, anche se potenziale. Un figlio che, per legge di natura, e non certo dello Stato, si avvia ad essere partorito». Questo esserino -lo dimostra l’embriologia moderna- ha un DNA unico che non si ripeterà mai più, ha un cuore che pulsa, ha gli arti, prova sensazioni già dai primi giorni di gestazione, comunica prestissimo con l’altro esserino in caso di gravidanza gemellare, impara la musica che sente, gli odori e i sapori. Insomma, «è tutto ciò che siamo stati noi per nove mesi, con la differenza che nostra madre ha fatto di tutto per farci crescere dentro il suo grembo, e, pur tra dolori e sofferenze, non ci ha tolto la vita».

L’EMBRIONE E’ UN TUMORE DI CUI LIBERARSI. Eppure l’embrione è continuamente definito una «non persona, è solo un appendice prodottasi nel corpo della donna, come un dente cariato, un’unghia incarnita e null’altro». Le abortiste addirittura definiscono il feto umano (quindi uno stadio più avanzato dell’embrione) un “tumore da cui liberarsi” (cfr. Ultimissima 3/12/10). E la questione torna perentoria: perché se abortire è come togliersi un dente, un tumore o un’unghia incarnita, in molti si ribellano se qualcuno vuole far conoscere che cos’è l’aborto attraverso foto, filmati o una semplice e neutra informazione scientifica? Sostengono sia «una violenza alla donna che già vive un trauma. Sarebbe una vera crudeltà». Dove sta la crudeltà nell’estirpare un tumore? Un dente cariato? Un vermiciattolo infiltratosi dentro? Procura un trauma vedere il proprio dente cariato o la propria unghia incarnita finalmente tolti? In genere no, può anzi dare un senso di sollievo! E perché lo stesso non si può dunque dire dell’aborto, dato che coinvolgerebbe una vita non ancora umana?

Recentemente, si legge nell’articolo, Radio Radicale raccontava di una manifestazione di alcune femministe contro un ospedale che aveva il torto di mettere le donne che partoriscono nello stesso reparto insieme a quelle che abortiscono. Una vera tortura per queste ultime. E ritorna ancora la questione: ma se la donna è libera nelle sue scelte e crede a ciò che fa, non dovrebbe temere nulla. Le donne che abortiscono, poste di fronte a quelle che diventano madri, dovrebbero essere orgogliose della loro scelta, se hanno la coscienza a posto. Altrimenti c’è qualcosa che non va nelle loro certezze! La conclusione è dura e realista: «nel cuore di ogni donna incinta c’è la coscienza atavica di essere madre, genitrice di una vita, e ciò neanche le teorie abortiste, la legge dello Stato e i media progressisti lo potranno mai toglierle. Come dimostrano milioni di donne che ancora sentono vivere nel loro cuore quel figlio che non hanno voluto».

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Nel 2010 la Caritas italiana ha investito 44 milioni di euro

Nel 2010 la Caritas italiana ha investito 44 milioni di euro in progetti di aiuto in Italia e in 56 Paesi del mondo.

La cifra è molto alta, anche rispetto al 2009 quando vennero distribuiti 31 milioni e 700 mila euro (cfr. Ultimissima 25/6/10), perché utilizzati soprattutto per le emergenze ad Haiti e in Abruzzo. I dati sono sintetizzati dal Rapporto annuale 2010 di Caritas italiana. Nel dettaglio, 24.880.101 euro sono stati utilizzati per progetti e attività in Italia (56,5%), 15.568.693 euro per progetti e attività nel mondo (35,3%) e 3.589.294 (8,2%) per spese di gestione. La fetta più grande investita in Italia, 12 milioni e 100 mila euro (48,6%), è stata destinata all’emergenza del post-terremoto in Abruzzo, dove sono state realizzate 25 strutture.

Nel mondo, invece, si legge in una nota SIR, ben 4.899.614 euro sono stati destinati alla ricostruzione post-terremoto ad Haiti e 969.162 euro per le alluvioni in Pakistan. Tra le aree geografiche, dopo l’America Latina con il 39,9% dei fondi impiegati (6.207.029 euro), gli aiuti più consistenti sono andati all’Asia (32,5%, pari a 5.060.524 euro), a seguire all’Africa (16,8% con 2.622.473 euro), all’Europa (6%) e al Medio Oriente (4,8%). Nel 2010 la Caritas ha anche censito le opere sociali e sanitarie in Italia: oltre 14 mila.

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