Andrè Frossard: da ateo a cattolico in due minuti

Domani sarà l’anniversario del battesimo che volle ricevere il giornalista e saggista André Frossard subito dopo la sua conversione improvvisa. Figlio del fondatore del partito comunista francese, membro di alto livello dell’Académie française, leader del Partito comunista, Frossard era ateo dichiarato e cresciuto senza alcun tipo di educazione religiosa.

Nel suo libro autobiografico “Dio esiste, io l’ho incontrato“, scritto trent’anni dopo i fatti (perché temeva di non essere creduto) racconta di non essere mai stato sfiorato dal problema di Dio: per sua stessa ammissione non credeva a niente e se avesse creduto all’esistenza di una verità i preti sarebbero stati gli ultimi ai quali sarebbe andato a chiederla. Riteneva la religione qualcosa di un’epoca antica.

A circa vent’anni, l‘8 luglio 1935, accompagnò un amico in una chiesetta di Parigi e lo attese fuori. Non vedendolo tornare, decise di entrare e sostò casualmente davanti al Santissimo Sacramento. L’autore racconta di aver udito distintamente le parole “C’è un’altra vita, c’è un altro mondo”, come sussurrate da una presenza invisibile. La conversione fu fulminea, arrivando di colpo alla certezza dell’esistenza di un ordine nell’universo, alla cui sommità c’è Dio. L’intellettuale non riuscì mai a capacitarsi di quanto gli accadde, sopratutto quando, dopo aver ricevuto i rudimenti del catechismo -essendo lui completamente a digiuno-, si accorse di conoscere praticamente già tutto, senza che nessuno gliel’avesse insegnato. Uscito dalla chiesa disse all’amico: «Sono cattolico, apostolico, romano…Dio esiste ed è tutto vero». In seguito anche la madre (protestante) e la sorella si convertirono al cattolicesimo. La conversione procurò grande imbarazzo al padre, a causa dell’importante incarico politico. La società improvvisamente si disinteressò di lui, al di fuori del suo migliore amico, Willemin. Frossard divenne molto amico di Giovanni Paolo II.

Qui sotto, il cardinale Angelo Comastri legge alcune parti del libro di Frossard, raccontando brevemente la sua conversione.

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Recensione del libro “I Vangeli sono dei reportages”

Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Marie-Christine Ceruti, laureata in filosofia alla Sorbona di Parigi, redattrice capo del bollettino “Les Nouvelles de l’Association Jean Carmignac” e professore titolare alla facoltà di teologia ortodossa di Minsk in Bielorussia. In questo primo articolo presenterà il suo libro “I Vangeli sono dei reportages anche se a qualcuno non va” (Mimep-Docete 2009, con prefazione della storica dell’antichità Marta Sordi). L’autrice si è resa anche disponibile a rispondere a domande, dubbi ed eventuali critiche che potranno essere postate nei commenti sotto l’articolo.

 

di Marie Christine Ceruti*
*filosofa e scrittrice.

 

Immaginate per un istante che vogliate distruggere il Cristianesimo. Come ve la cavereste? Il metodo più semplice, più rapido e più radicale sarebbe attaccare i Vangeli e, per meglio operare, pretendere che raccontino storie false mai accadute. Riflettete ancora sui metodi da usare per convincere la gente: basta affermare con sicurezza che sono stati scritti tardivamente da comunità (una comunità è più abile a modificare le cose nel gioco del passa parola) che non hanno mai né conosciuto nessuno dei testimoni, né vissuto nei luoghi degli avvenimenti. Bisognerà però poter spiegare da dove vengono queste leggende e avrete bisogno di trovare delle fonti: i miti pagani anteriori, i testi ebrei (anche posteriori ai Vangeli, tanto la gente non ne sa niente), potete anche immaginare l’esistenza di testi originari, o di tradizioni segrete conosciute e trasmesse da un’élite…

Purtroppo questo è realtà ed è cosi che vengono trattati i Vangeli, non solo da atei, anticlericali o laici di professione, ma anche nei seminari, nelle facoltà di teologia, nei circoli di pie persone che vogliono saperne di più sulla loro religione e persino nei catechismi per bambini. I danni sono enormi. E non c’è da stupirsi se, specialmente nei paesi più toccati, la pratica religiosa è spaventosamente calata, i preti abbandonano il sacerdozio e c’è anche da chiedersi se delinquenza, violenza, suicidi e depressioni in aumento non trovino là la loro spiegazione.

Era urgente agire e questo mio libro si è fissato lo scopo di smascherare tutti gli inganni e le menzogne usate per screditare i Vangeli. Oltre alle truffe segnalate qui sopra, occorreva denunciare i “generi letterari” che permettono di trasformare i fatti in miti, screditare la “formgeschichte” che fa degli Evangelisti dei campioni di Lego, smentire le pseudocontraddizioni dei Vangeli, procedere al salvataggio dei miracoli e delle profezie, denunciare giochi di parole tendenziosi, rispondere all’accusa dei Vangeli modificati, dimostrare che gli Evangelisti non erano né sprovveduti né bugiardi… e altre cose ancora. Bisognava naturalmente mettersi unicamente sul piano della razionalità, della logica, delle scoperte scientifiche – specialmente archeologiche e filologiche – poiché gli avversari ponevano le loro idee (per non dire fantasie) sul piano della onnipotente scienza.

Ho ricevuto con gratitudine molte lettere di ringraziamento dopo la pubblicazione francese di questo libro da parte di persone che si sentivano smarrite, umiliate o addirittura vacillanti nella fede. Ho cercato anche di renderlo di facile lettura, con qualche punta di umorismo. Mi dispiacerebbe urtare qualcuno poiché devo riconoscere che i propagatori di queste idee ne sono le prime vittime, ma ho ancora di più in abominio che altri soffrano ben più terribili tormenti nella perdita della fede.

E non posso più sopportare l’oltraggio fatto a Colui che ha detto: “Sono la Via, la Verità e la Vita”.

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Stati Uniti: la maggioranza dei nuovi sacerdoti ha meno di 30 anni

Nel 2011, più della metà delle ordinazioni sacerdotali negli Stati Uniti riguarderà giovani con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni. La Conferenza Episcopale degli Stati Uniti ha infatti pubblicato le statistiche di quest’anno, riferendo del quinto anno consecutivo in cui aumentano le ordinazioni di sacerdoti giovani. L’età media è progressivamente scesa negli ultimi 5 anni. L’inchiesta è stata realizzata dal CARA del centro di ricerca dell’Università di Georgetown che ha intervistato circa 333 ordinandi su un totale di 480.

I ricercatori hanno anche rilevato che il 69% del totale dei futuri sacerdoti corrisponde alla razza bianca (europei, caucasici e americani), il 15% è composto da ispanici/latini e il 10% da asiatici e originari delle isole del Pacifico. La maggior parte degli intervistati è cattolica dalla nascita, mentre l’8% è entrato nella Chiesa più tardi.

In media, gli intervistati hanno iniziato a sentire la vocazione verso i 16 anni. Anche una domanda sulle attività extra-curricolari preferite: ascoltare musica (73%), leggere (67%), vedere film (62%), giocare a calcio (41%), fare trekking (33%), cucinare (33%) e suonare uno strumento (33%). Il gruppo di quest’anno include un uomo sordo dalla nascita, vari rifugiati provenienti dal Vietnam, veterani militari e ministri convertiti di altre religioni.

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Il matematico Borzacchini contro Odifreddi: «credo a Gesù e alla scienza»

Avevamo già avuto modo di parlare del sorprendente lavoro che sta facendo ultimamente il quotidiano l’Unità, l’ex giornale del PCI, verso i cattolici e Benedetto XVI. In Ultimissima 19/1/11 informavamo che aveva preso le difese del Pontefice sulla questione dell’educazione sessuale nelle scuole, in Ultimissima 21/1/11 bacchettava invece Paolo Flores d’Arcais a causa di uno dei suoi tanti tentativi di diffamare il Papa. Pochi giorni fa dava spazio a Luciana Castellina, la quale prendendo una posizione politicamente scorretta dichiarava di essere contro la neutralità dei generi (si nasce maschi e femmine).

Ieri il quotidiano ha invece pubblicato una lettera del matematico Luigi Borzacchini, docente di logica matematica e di Storia della Matematica presso l’Università di Bari, il quale ha risposto all’ultimo libro di Piergiorgio Odifreddi (“Caro Papa ti scrivo”), di cui abbiamo parlato in Ultimissima 18/6/11.

Anche Borzacchini nota che l’opera di Odifreddi «sembra più profonda e riflessiva, e talora meno polemica di altre tue cose sul tema. Soprattutto ci intravedo la percezione della complessità del “fatto” religioso e credo che partendo di qui la distanza tra credenti e atei non sia poi tanto vasta». Tempo di maturità per l’invasateo più famoso d’Italia, alla bellezza di 61 primavere…

Il docente di Bari, dopo essersi dichiarato cristiano (e “di sinistra”), anche se non particolarmente devoto, riflette: «mi sono chiesto perché tra religione e pensiero scientifico e laico io non trovo i contrasti evidenziati nelle tue parole (e anche in quelle del Papa): per me credere in Cristo e nel contempo esaltare la ragione laico-scientifica è, se non facile, sicuramente possibile, ed è per giunta un’avventura del pensiero tra le più affascinanti». Questo perché «ho un’idea della matematica (e della scienza) diversa da quella su cui mi sembra che voi due, papa reale e aspirante papa pentito, finiate col concordare: fate della matematica/logica lo strumento linguistico/ideologico e lo scheletro formale della scienza, fisica soprattutto. Il che per te è sinonimo di razionalità, per il Papa di scientismo freddo e formalista».

Ritiene dunque che il contrasto tra pensiero matematico e religione sia solo dovuto «al dogmatismo filosofico che caratterizza tanto i teologi quanto gli atei: svanito questo, svanisce anche quello». Addirittura pensa che Odifreddi, grazie ad alcune sue critiche, stia facendo molto bene alla Chiesa, tanto da essere beatificabile, anche se -aggiunge- «credo che spesso tu faccia polemica per puro amore della polemica e per difendere la tua “immagine”». Lo bacchetta poi sul tentativo di ridurre i suoi argomenti a una presupposizione positivista, e aggiunge: «credo che abbia ragione il Papa a considerare incompleta la ragione scientifica, ed abbia ragione tu a considerare incompleta la ragione teologica. Ma non potete dialogare poiché entrambi cercate nella filosofia la completabilità della vostra ragione».

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L’evoluzione dell’occhio rende ancora inquieti i neodarwinisti


di Michele Forastiere*
*insegnante di matematica e fisica in un liceo scientifico.

 

“Dove hai preso quegli occhioni?”. Stavolta parliamo di occhi. La frase è il titolo di un articolo in cui Richard Dawkins tenta di minimizzare il famoso problema dell’evoluzione dell’occhio.

In realtà, la questione dell’occhio nasce insieme alla teoria dell’evoluzione. Ne “L’origine delle specie” Darwin afferma infatti: «Supporre che l’occhio, con tutti i suoi inimitabili meccanismi […], si possa essere formato per mezzo della selezione naturale, sembra, lo confesso liberamente, assurdo al massimo grado. Tuttavia la ragione mi dice che, se si potesse dimostrare l’esistenza di numerose gradazioni da un occhio perfetto e complesso a uno molto imperfetto e semplice, ogni gradino essendo utile al suo possessore […], allora la difficoltà di credere che un occhio perfetto e complesso si possa formare mediante la selezione naturale, sebbene insuperabile dalla nostra immaginazione, potrebbe a stento ritenersi reale». Va detto che il problema dell’individuazione dei suddetti gradini è sempre apparso particolarmente tenace.

Il primo tentativo apparentemente efficace di spiegazione gradualistica darwiniana è del 1994: si tratta del famoso lavoro di Nilsson e Pelger A pessimistic estimate of the time required for an eye to evolve, al quale fa entusiasticamente riferimento Dawkins nell’articolo citato. L’ipotesi si può riassumere più o meno come segue:
1) un occhio imperfetto e semplice è costituito da uno strato di cellule sensibili alla luce, grazie alle quali l’animale è capace di dirigersi verso la direzione generica della fonte di luce.
2) l’evoluzione comincia con l’”insaccamento” di questo strato in una specie di pozzetto semisferico;
3) quando il pozzetto è diventato abbastanza profondo, appare all’ingresso della cavità un diaframma circolare che va progressivamente restringendosi;
4) nell’incavo, già pieno di una sostanza trasparente, si forma gradualmente una zona di densità più elevata che agisce da lente.

E così, sembrerebbe proprio che si possa arrivare a un occhio “perfetto e complesso” attraverso una serie di piccole variazioni, a partire da un occhio “imperfetto e semplice”. Oltretutto, secondo gli autori la transizione non richiederebbe più di 400.000 anni! Non c’è da stupirsi che questa clamorosa affermazione abbia suscitato tanto entusiasmo nei circoli ultra-darwinisti. D’altra parte, purtroppo per questi ultimi, non è difficile dimostrare che essa è quanto meno un po’ avventata. Infatti, la catena evolutiva descritta nei passaggi precedenti non è affatto graduale e continua, dal momento che i passaggi 2 → 3 e 3 → 4 non corrispondono a minime modificazioni di una stessa caratteristica (la forma del “proto-globo oculare”, per intendersi), ma comportano l’”invenzione” di due specifiche strutture organiche del tutto indipendenti, la “proto-pupilla” e il “proto-cristallino”.
Insomma, si capisce che è richiesta l’immissione saltuaria di nuova informazione, ovvero la comparsa casuale di novità impreviste e non implicite nel patrimonio genetico preesistente. Di conseguenza, nessuna teoria può essere in grado di prevederne la tempistica.

C’è poi, nella questione dell’evoluzione degli organi complessi, un importante fattore di cui tenere conto: ed è quello della “larghezza del setaccio”. Mi spiego: la selezione naturale darwiniana non è in grado di distinguere tra una mutazione che porta alla formazione di un organo complesso e una che semplicemente favorisce la sopravvivenza del singolo animale; perciò, essa costituisce un “setaccio” troppo largo: esistono infatti troppe modalità alternative di sopravvivenza, che non sono – invariabilmente o necessariamente – le migliori. Facciamo un esempio: prendiamo il caso di un’ipotetica specie acquatica formata da erbivori. Supponiamo che tutti gli individui della specie stiano per passare dalla fase 3 alla fase 4: dunque hanno una struttura oculare ottimizzata per funzionare senza lente (il “proto-cristallino”) e sono – per così dire – “in attesa” che una mutazione casuale la faccia comparire. Visto, però, che al Caso non si comanda, potrebbe capitare che nell’ambito della specie compaiano due gruppi mutanti: uno, finalmente dotato di “proto-cristallino”; l’altro, ancora fornito del vecchio modello di occhio – ma leggermente più prolifico. I due gruppi vengono mangiati dagli stessi carnivori e sono in competizione per le stesse risorse alimentari. Chi può dire, perciò, quale di loro prevarrà? La selezione naturale non riesce, infatti, a distinguere la caratteristica veramente migliore sul lungo termine (un occhio dotato di cristallino) da quella che permette solo all’animale di avere una discendenza più numerosa. Infatti, un occhio non ancora completamente evoluto non è necessariamente vantaggioso per il suo possessore: se l’animale non riesce ad adattare l’apertura a condizioni di luce variabile, risulta cieco a tutti gli effetti quando, per esempio, l’illuminazione diventa scarsa… insomma, potrebbe bastare il passaggio frequente di nuvole per mandare al Creatore tutte quelle speranzose bestioline con occhioni tanto promettenti, e decretare invece il successo dei poveri parenti semi-ciechi, ma più fecondi di loro.

Ad ogni modo, nessuno considera ancora chiusa la questione dell’occhio. È appena dello scorso giugno un articolo di Trevor D. Lamb in cui si dichiara baldanzosamente che «ormai gli scienziati hanno una chiara visione di come sia apparso il nostro occhio notoriamente complesso». In effetti, questo lavoro non aggiunge granché alla problematica in questione (cfr. www.evolutionnews.org/2011/06/). Oltretutto, ho trovato molto divertente la seguente affermazione di Lamb: «I risultati indicano che il nostro genere di occhio […] si formò in meno di 100 milioni di anni, evolvendo da un semplice sensore di luce […] a partire da 600 milioni di anni fa». Meno di cento milioni di anni? Altro che i 400.000 anni di Nilsson e Pelger, allora! Del resto, se pensiamo che in un arco di tempo molto inferiore – forse lungo soli dieci milioni di anni sarebbero apparsi tutti i piani corporei animali conosciuti… ci rendiamo conto che, probabilmente, c’è ancora una volta qualcosa che non torna nel ragionamento gradualistico darwiniano. Con buona pace di Dawkins e seguaci.

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Il celebre genetista Francis Collins: «Dio è autore di tutto, noi studiamo il “come”»

Uno dei più importanti e influenti scienziati a livello mondiale, il genetista e biologo Francis Collins, noto per aver sequenziato il genoma umano, descritto dalla Endocrine Society come “uno degli scienziati più riusciti del nostro tempo“, direttore del National Institutes of Health (cioè l’ente di ricerca medica e scientifica più avanzato degli Stati Uniti e quindi del mondo), membro delle più importanti Accademie scientifiche, compresa quella Pontificia (dal 2009), ha partecipato alla recente 31° Conferenza annuale degli scienziati cristiani presso la Pepperdine University di Malibu, assieme ad oltre 300 studiosi provenienti da 90 università diverse.

In quest’occasione ha spiegato che il combattivo ateo Richard Dawkins gli ha rivelato durante una conversazione che l’argomento più preoccupante per i non credenti è quello di contrastare la messa a punto dell’Universo, cioè il fatto che «le costanti dell’universo sono state fissate ad un valore che se fosse stato leggermente diverso, una piccola parte su un miliardo, non avrebbe fatto funzionare nulla», ha detto. L’argomento è tecnicamente anche definito “fine-tuning”.

«Per ottenere il nostro universo, con tutte le sue potenzialità di complessità o qualsiasi tipo di potenziale per qualsiasi tipo di forma di vita, tutto dev’essere definito con precisione su questo livello di improbabilità». Quindi, ha continuato il genetista, «se sei ateo, o è solo un incredibile colpo di fortuna, oppure devi rivolgerti all’ipotesi del multiverso, la quale dice che ci deve essere un numero quasi infinito di universi paralleli che hanno valori diversi di quelli costanti». Il celebre scienziato ha anche risposto a coloro che chiedono provocatoriamente “chi ha creato Dio“. Egli ha detto: «Un Creatore che non è limitato dal tempo, non ha bisogno di avere un inizio. La questione non ha alcun senso se si dispone di un Creatore di fuori del tempo».

Sulla questione evolutiva, che lui ovviamente accetta in modo naturale (sostiene il cosiddetto Biologos) e la ritiene l’eleganza della creazione di Dio, ha voluto sfidare sia i cristiani creazionisti che coloro che credono che l’evoluzione smentisca la possibilità di Dio. Ha anche spiegato che la teoria di Darwin venne molto apprezzata da tanti scienziati cristiani, i quali la concepirono una valida spiegazione della creazione di Dio. «Dio è l’autore di tutto e dobbiamo solo imparare qualcosa di più sul “come”», ha detto Collins. «Dio è un matematico e fisico impressionante, il Suo piano comprende il meccanismo dell’evoluzione per raggiungere lo scopo, per creare questa meravigliosa diversità degli esseri viventi sul nostro pianeta».

Collins è anche autore del consigliatissimo libro “Il linguaggio di Dio. Alla ricerca dell’armonia fra scienza e fede” (Sperling & Kupfer 2007).

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Antonio Socci rivela le scorrettezze di Vito Mancuso e Corrado Augias

Il noto scrittore e giornalista Antonio Socci ha scritto un articolo sul suo interessante blog (www.antoniosocci.com) in cui critica il pensiero del noto (e quasi unico nel suo genere) teologo ateo Vito Mancuso contro il neo-arcivescovo di Milano, Angelo Scola.

Mancuso in un articolo apparso su Repubblica, dopo aver elogiato Scola (“fine intellettuale, dottore in filosofia e teologia con pubblicazioni importanti”), ha sostenuto che la scelta di Benedetto XVI sia stata «un’umiliazione pesante, forse l’ultima, per il cattolicesimo democratico». Secondo lui, il Papa ha voluto dare un netto taglio ai «cattolici progressisti di questo paese» (chiamati anche “cattolici adulti”), togliendo loro i riferimenti. Socci ha risposto che «se così stessero le cose, dovremmo concludere che il papa ha deciso di restituire a Milano il cattolicesimo tout court, senza aggettivi. E ci sarebbe solo da rallegrarsene». Contro il “sedicente cattolico” Mancuso si è schierato ieri anche Avvenire, il quotidiano della CEI, che si è opposto all’idea di una Chiesa progressista perché «di sicuro di Chiesa ce n’è “una, santa, cattolica e apostolica”. E quell'”una” con tanto di virgola che la segue vuol significare “una sola”. In ogni caso, e teologia a parte, non si capisce in Mancuso il perché di questa preoccupazione “progressista”». Conclude con un’ironia sul nostro Vito anticlericale: «nella Chiesa il progresso è solo quello verso la santità e Mancuso, collocandosi così a cavallo tra il politico e il teologo, appare piuttosto come una sorta di chimera culturale: un inedito teopolitico». Informiamo che anche Paolo Flores D’arcais si è stranamente schierato contro Mancuso, sostenendo invece (in modo molto educato, cosa altrettanto inedita) che il Papa ha fatto una scelta così radicale e antitradizionale per segnalare ai cardinali chi desidera come successore.

Antonio Socci racconta anche della sua partecipazione il 1/6/11 alla trasmissione di Rai3 “Le Storie“, programma condotto da Corrado Augias. E’ stato invitato a presentare il suo ultimo (e consigliato) libro “La guerra contro Gesù” (Rizzoli 2011). Rivela che «sapevo che il salotto di Augias non è affatto neutro e che il conduttore, pure lui giornalista di Repubblica, è animato da forti sentimenti anticattolici (che scatenano ricorrenti proteste su “Avvenire”)». Nel suo libro Socci “pizzica” addirittura alcune assurdità scritte da Augias per diffamare il cristianesimo. Anche noi lo abbiamo fatto in Ultimissima 28/4/11.

Socci continua: «Non mi sono stupito quando i curatori del programma mi hanno informato che in studio era stato chiamato pure Vito Mancuso. Mi ha divertito che Augias avesse voluto “un rinforzo”. Augias – per sentirsi ancora più al sicuro – ha deciso di procedere così: lui poneva una domanda, solitamente molto dura con la Chiesa, spesso una requisitoria. Io ero chiamato a rispondere e Mancuso poi era invitato a replicare alla mia risposta. Cosicché avevano sempre la prima e l’ultima parola. Ha fatto sistematicamente così». La puntata in questione è possibile guardarla cliccando su questo link. E infatti si può constatare che sono passate senza replica le varie depravazioni di Mancuso (e di Augias), come il fatto che il “monoteismo” sia fonte inevitabile di intolleranza o che il peccato originale sia stato “inventato” da Sant’Agostino per colpevolizzare gli uomini, quando in realtà è già presente in San Paolo ed è solo una spiegazione (la più ragionevole) della infelice condizione umana che tutti hanno sperimentato, dai filosofi greci agli illuministi del ‘900. Ma a cui Dio ha voluto rispondere facendosi uomo. Socci approfondisce il discorso sul suo blog.

Un’altra scorrettezza di Augias è stata quella di non avvertire Socci che assieme al suo libro sarebbe stato presentato quello di Matthew Fox (“In principio era la gioia”), cioè il Vito Mancuso americano. Dice Socci: «L’ho infatti scoperto lì, direttamente in trasmissione». Il libro di Fox, oltrettuto, è «pubblicato in una collana curata da Mancuso stesso. Ovviamente un libro contro la dottrina cattolica. Non essendo stato informato, come era doveroso fare, mi sono trovato a dover discutere di un testo che non conoscevo, mentre Mancuso sapeva in anticipo che si sarebbe trattato del mio libro. Il volume di Fox peraltro serviva ad Augias solo ad alimentare la polemica anticattolica, perché – ho scoperto in seguito – era già stato presentato in quella trasmissione». Qualche mese fa Massimo Introvigne, dopo aver confutato il suo pensiero, ha definito l’ex frate domenicano Matthew un “vecchio trombone”.

Conclude il giornalista cattolico: «Ma quanto sono insicuri dei propri argomenti se devono ricorrere a questi miseri sistemi? Perché sono così impauriti da un confronto libero e paritario? Naturalmente io ho detto comunque alcune cose e – stando alla quantità di mail che ho ricevuto – credo di averlo fatto anche in maniera efficace».Verso la fine della trasmissione diamo atto a Mancuso di aver avuto un ricordo di cattolicità, quando ha sostenuto che i diversi racconti presenti nel 4 Vangeli sono una dimostrazione di autenticità. Non sarebbe infatti possibile sostenere che quattro falsari abbiano deciso di scrivere quattro storie diverse (e spesso contraddittorie) dello stesso fatto.

Ricordiamo comunque che molte delle fantasticherie anticattoliche di Mancuso sono riportate nel consigliato volume di Vincenzo Vitali intitolato Volti dell’ateismo. Mancuso, Augias, Odifreddi, alla ricerca della ragione perduta (cfr. Ultimissima 27/9/10

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Il fisico Pravica: «più studio il mondo e più credo ad un’intelligenza superiore»

Il fisico americano Michael Pravica, docente presso l’Università del Nevada, membro dell’High Pressure Center at UNLV (HiPSEC), dell’American Physical Society (APS), dell’American Crystallographic Association (ACA) e dell’American Chemical Society (ACS), ha risposto a distanza di tempo alla dichiarazione (molto pubblicitaria) di Stephen Hawking circa l’inutilità di Dio nella creazione dell’Universo. Molti altri suoi colleghi, anche più celebri, si sono già esposti e abbiamo raccolto i loro interventi in questa pagina.

Dopo essersi dichiarato cristiano ortodosso e aver riassunto bene la posizione filosofica di Hawking, spiega che «non possiamo dimostrare l’esistenza di Dio, ma nemmeno possiamo dimostrarne la non esistenza di Dio. Il Creatore del nostro Universo è probabile che sia al di fuori di esso, così come Michelangelo esisteva al di fuori dei suoi famosi dipinti (e forse Lui potrebbe anche esistere al suo interno così come una proiezione quadrimensionale di infinito)».

E’ vero che non si può “provare” l’esistenza di Dio, continua, però «così come si può studiare una vettura sportiva e ben costruita, non conoscendo il sua designer, e discernere comunque la sua intelligenza dalla sua opera, così è con il nostro universo. Più imparo i modi incredibili con cui funziona il mondo fisico, è più ritengo che ci debba essere un’intelligenza superiore sottilmente presente alle sue spalle. Per me, la scienza e la religione sono complementari – non contraddice gli sforzi dell’intelletto umano ed è un peccato la tanta fatica sprecata nel conflitto tra estremisti religiosi e atei».

Conclude citando il fatto che alcuni dei più grandi fisici del mondo, «come Nikola Tesla, Isaac Newton e Albert Einstein, credevano in un Dio». Infine si lamenta degli estremisti religiosi ma anche dell’esistenza di «sforzi potenti e onnipresenti che tentano di screditare la religione per creare un ordine “nuovo” mondiale nello spirito del “culto del vitello d’oro” e quindi annullare qualsiasi fondamento morale della società, riportandoci nella giungla, cioè il caos: la forza crea il diritto».

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Il filosofo della scienza Musso: «il Papa ha ragione, la fede nasce dalla ragione»

Il filosofo della scienza italiano ed esperto di bioastronomia, Paolo Musso, docente di Filosofia della Scienza presso l’Università dell’Insubria di Varese e Visiting Professor di Epistemologia presso la Universidad Católica Sedes Sapientiae di Lima (Perù), membro del SETI Permanent Study Group dell’International Academy of Astronautics (IAA) e della European Exo/Astrobiology Network Association (EANA), ha pubblicato il suo ultimo e interessante libro: “La scienza e l’idea di ragione” (Edizioni Mimesis 2011), con prefazione di Evandro Agazzi.

Intervistato da Il Sussidiario, ha dichiarato: «Oggi la conoscenza scientifica è in così rapida evoluzione che non è possibile fare seriamente filosofia della scienza se non attraverso un costante rapporto con gli scienziati al lavoro. Oggi la “modernità” si presenta come figlia legittima della scienza, vista come indissolubilmente legata al razionalismo sul piano filosofico e al meccanicismo su quello fisico; e poiché la scienza è per noi un orizzonte intrascendibile, la “modernità” si presenta anch’essa come intrascendibile, una sorta di destino fatale a cui saremmo definitivamente consegnati». Il paradosso di questa posizione sta nel fatto che «tutto ciò non ha niente a che vedere con la scienza reale, ma piuttosto con quella sua caricatura che è lo scientismo, nato dai filosofi e che solo in seguito ha contagiato anche gli scienziati. I quali, peraltro, quando sono al lavoro non possono fare a meno di essere anti-scientisti nei fatti: perché l’autentico metodo scientifico sperimentale, codificato in maniera insuperabile da Galileo, si basa su un’idea di ragione strutturalmente aperta alla realtà, all’esperienza, all’imprevisto e al mistero. Mentre lo scientismo si basa su un’idea chiusa di “ragione-misura-di-tutte-le-cose”, che, se messa in pratica, distruggerebbe per prima cosa proprio la scienza».

L’epistemologo contrasta anche il mito secondo cui Cartesio sarebbe un vero e proprio co-fondatore della scienza moderna, al pari (e a volte addirittura al di sopra) di Galileo. Cartesio invece «non capì mai nulla del metodo galileiano, che anzi criticò apertamente, e per tutta la vita continuò a far scienza (cioè, pseudo-scienza) a priori, ovvero secondo il metodo deduttivo tipico dei filosofi aristotelici che a parole tanto disprezzava». Egli fu abilissimo in filosofia e matematica ma non ebbe nulla a che fare con la scienza naturale. Perché l’esistenza di questo mito? Secondo Musso «è stata un’operazione intenzionale, voluta. E il motivo mi pare evidente: tale mito infatti permette di spacciare indebitamente per fattori costitutivi della scienza il razionalismo e il meccanicismo, che sono consustanziali al metodo cartesiano, ma per niente affatto a quello galileiano». L’obiettivo dunque è sempre e comunque l’anti-teismo. Certo, Cartesio era cristiano, e «non fu certo meno “sincero credente” di Galileo, e dal punto di vista della coerenza morale gli dava perfino dei punti. Ma ciò che gli mancava del tutto (e che invece Galileo aveva in massimo grado) era il senso del mistero, cioè la capacità di stupirsi davanti alla realtà». Invece Galileo aveva un «nuovo (e formidabile) modo di usare la ragione. Che, se ben capito, è l’esatto opposto del riduzionismo. E che al contempo rappresenta uno degli ultimi punti di resistenza al relativismo e all’irrazionalismo dilaganti».

Il filosofo accusa molta dell’epistemologia contemporanea (troppo relativista e antirealista) e anche molti autori cattolici che la difendono. Dovrebbero capire invece, continua, che «non solo la scienza non è nemica della fede, ma anzi è, almeno potenzialmente, la sua migliore alleata, dato che è ormai l’unico settore della cultura che difenda ancora l’idea che l’esperienza possa condurre alla verità, la cui negazione aprioristica e immotivata costituisce invece il vero “dogma centrale” della modernità. E comunque, come ripete in continuazione Benedetto XVI, la fede non si difende restringendo la portata della ragione, bensì allargandola, cioè aprendola a un orizzonte più grande».

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L’Occidente e l’ONU accusati di aver promosso l’aborto selettivo in India

All’inizio di giugno il nostro Aldo Vitale commentava l’incredibile sproporzione tra maschi e femmine in India a causa dell’aborto selettivo (cfr. Ultimissima 10/6/11)

Su questo argomento un recente saggio sta alzando un grosso polverone negli Usa e in Europa. Si chiama “Unnatural Selection” ed è scritto da Mara Hvistendahl corrispondente della celebre rivista “Science”. La Hvistendahl accusa senza mezzi termini l’Occidente di aver avuto un ruolo di primo piano nella situazione asiatica. Suggerisce che i governi occidentali hanno promosso attivamente l’aborto e la selezione del sesso, favorendo le politiche di liberalizzazione dell’interruzione di gravidanza e sovvenzionando le vendite dei macchinari ad ultrasuoni come una forma di controllo della popolazione. Accusa ad esempio il Population Council di aver inviato suoi rappresentanti in India per fondare un dipartimento di fisiologia della riproduzione, il quale avrebbe poi inaugurato la selezione sessuale con conseguente aborto di centinaia di feti femminili. La scrittrice (sedicente agnostica) non si vuole allineare con i pro-life o i pro-choice, riservando critiche ad entrambi, come quella di essere troppo concentrati sulle questioni di politica interna.

Come si legge sul Guardian, nel 1979 la Cina accolse 50 milioni di dollari dall’UNFPA, una delle principali agenzie dell‘ONU, destinati ad essere usati nella terribile politica del figlio unico e nella promozione dell’aborto selettivo, tanto che nel 1985 il presidente americano Ronald Reagan decise di tagliare 46 milioni dollari ai fondi per l’UNFPA. In Asia, negli ultimi diedi anni, sono “scomparse” 160 milioni di bambine e il modello ha avuto ripercussioni in Azerbaigian, Georgia e Armenia, nei Balcani e in Albania (rapporto tra sessi del 115/100). Gli esperti sostengono che la mancanza di donne porterà presto alla diffusione dell’omosessualità, violenze e crimini, come il “commercio delle donne”.

Tutto questo è dimostrato e tuttavia l’UNFPA si rifiuta di affrontare i propri errori e affrontare il problema, dice la Hvistendahl. «Le conseguenze della principale agenzia delle Nazioni Unite nella promozione dell’aborto selettivo in India sono immense». In un’editoriale del New York Times si citano anche come complici la Fondazione Rockefeller e ovviamente Planned Parenthood. L’articolo conclude dicendo: «La tragedia non è che 160 milioni di bambine sono “mancanti”. La tragedia è che sono morte». Un’ulteriore approfondimento è possibile trovarlo in questo articolo.

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