Guarda il video pro-aborto più controproducente che esista

Video sull’aborto. Ha fatto di più un filmato di 40 secondi che decenni di battaglie pro-life. Peccato che sia stato pubblicato poche ore fa a sostegno di Planned Parenthood, la più grande catena di cliniche per l’aborto. Brutalmente onesto.

 

Ci sono o ci fanno? Nasce spontanea la domanda dopo aver guardato il video pubblicato da qualche ora da Agenda Project, un’associazione a sostegno di Planned Parenthood, la più grande catena di cliniche dell’aborto degli Stati Uniti. Un filmato che sta scatenando polemiche ed incredulità da ambo le parti, sopratutto tra i sostenitori dell’interruzione di gravidanza che, imbarazzati, si chiedono se sia una beffa pro-life.

Si tratta di un breve video (qui sotto) di 40 secondi intitolato “The Chosen” (La scelta), in cui appare una tenera e felice neonata ed, accompagnati dal sottofondo musicale di Lullaby, si è invitati a leggere alcune frasi: «Lei merita di essere amata». E, subito dopo: «Lei merita di essere desiderata». Ed infine, la frase agghiacciante che non ti aspetti: «Lei merita di essere una scelta». Cioè, “merita” che qualcuno scelga se lasciarla vivere o farla morire. Il video si conclude con l’invito ad appoggiare Planned Parenthood, mentre l’immagine si affievolisce.

«Questo dev’essere uno scherzo», ha commentato orripilato il governatore del Texas, Greg Abbott. «Altrimenti è davvero sconvolgente». L’attrice pro-aborto Patricia Heaton ha a sua volta scritto: «Ehm…quale genio di @PPFA ha deciso che questa era una buona idea? Mostrare una bella bambina ed elencare i criteri necessari per evitare di abortirla!?». La cantante pop Kaya Jones non è invece riuscita a trattenere il disgusto: «Per favore prepara a te stesso, questa è la cosa più demoniaca. Il male, è il male puro». Una giornalista del National Review, infine, ha commentato: «Questo spot dovrebbe essere stato creato da un gruppo anti-aborto o da uno spettacolo di satira per far sembrare le persone pro-choice come orripilanti mostri. Ma non è così».

Se ci si pensa un attimo, le cose sono ancora più tragiche. Concentriamoci sulla scritta: «lei merita di essere una scelta». L’omicidio violento di una bambina viene presentato come qualcosa che la bambina stessa “merita”, ne è dunque degna. Se una cosa è “meritata” significa che è una ricompensa o una punizione. I produttori di questo video apprezzerebbero di essere “premiati” nel modo che loro auspicano per altri esseri umani? Immedesimandosi nella brutale e omicida filosofia dei “pro-aborto”, si può pensare che si siano dimenticati del testo. Forse, avrebbero voluto dire: «Lei merita di essere amata, merita di essere desiderata, ma se non lo è, allora merita di morire». Tuttavia, ciò presuppone che tutti coloro che non sono amati o desiderati dai loro genitori “meritano” che un altro decida sulla loro vita. Il che coincide perfettamente con il pensiero delle femministe di Non una di meno, ma non è meno disumanamente brutale.

La seconda cosa che rende tale video così inquietante è che è schiettamente onesto. Non ci viene mostrato un “grumo di cellule” ma una bambina, alla quale ci si riferisce con il pronome “lei” e non con “it”, che in inglese si utilizza per indicare animali, oggetti o tumori da estirpare, come i gruppi pro-choice a volte chiamano i bambini non nati. Sembra quasi che si faccia il possibile per evidenziare la bellezza, l’amabilità ed il miracolo della vita. Eppure l’ultima frase arriva come una pugnalata, sia per i sostenitori che per gli oppositori.

Nessun pro-life avrebbe potuto pensare un video più scioccante ed onesto di questo, che più aiuta la causa della difesa della vita. Ha fatto più un filmato di 40 secondi che decenni di battaglie per cercare di spiegare la disumanità di scartare le persone indesiderate, solo perché non ancora nate. Chapeau!

La redazione

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Anche 5mila anni fa la famiglia era “una sola”

Famiglia naturale. Scoperta in una grotta dell’Egitto una pittura che rappresenta una famiglia, una sorta di “Natività” primitiva di 5000 anni fa. Più naturale di così…

 

In una piccola grotta del deserto del Sahara egiziano, ribattezzata come “Grotta dei Genitori”, nel 2005 è stata fatta una scoperta davvero singolare: sul soffitto gli archeologi hanno trovato un disegno realizzato in ocra rosso-bruno, probabilmente da tribù nomade di cacciatori e raccoglitori del Neolitico.

La pittura rupestre mostra tre figure umane: un uomo a destra, una donna a sinistra (identificabile per le mammelle laterali stilizzate e per la sinuosità delle forme) e al centro un bambino, posizionato poco più in alto rispetto ai genitori, probabilmente a rappresentare l’auspicio per una nascita o una gravidanza. Più lontani sono invece visibili due animali di difficile interpretazione: il primo, posto più in alto, ricorda i mitici ‘leoni acefali’ presenti in molte pitture rupestri della regione, mentre il secondo, in basso a destra, assomiglia a un babbuino o ad una scimmia antropomorfa. Sulla destra, infine, è visibile una piccola figura circolare che potrebbe rappresentare un astro all’orizzonte.

«Sono stato sorpreso dall’incredibile somiglianza con la Natività cristiana», ha raccontato il geologo Marco Morelli, direttore del Museo di Scienze Planetarie di Prato e autore della scoperta. Una “Natività” primitiva, risalente a circa 5.00 anni fa. E’ l’unica nel suo genere mai scoperta, non esistono rappresentazioni di scene simili «fino all’età paleocristiana».

E’ divertente leggervi una sorta di profezia del più grande evento che ha sconvolto la storia umana, l’umile nascita di quel Bambino nel primo secolo della nostra era. Ma, ancor di più è significativo riflettere su come, già 5mila anni fa, seppur probabilmente non esisteva l’attuale concetto culturale di “famiglia”, essa era comunque, naturalmente formata da un uomo e una donna, stabilmente uniti ai propri figli naturali, con netta distinzione dei ruoli maschili e femminili. Questo modello non è un’idea cattolica, ma si è naturalmente imposto come miglior garanzia sociale per l’umanità, travalicando mode, rivendicazioni psicologiche, monofamiglie, omofamiglie, poligamie, incesti, poliandrie e tutte le altre eccezioni partorite dalla fantasiosa mente umana.

Affermare che «la famiglia è davvero una sola», ha scritto il giovane sociologo Giuliano Guzzo, significa semplicemente constatare che «nonostante alcune variazioni, vi è un modello di società naturale fondato sul coniugio fra un uomo e una donna che riveste universalmente la funzione di stabilizzare e tutelare gli scambi fra di essi, determinando l’assolvimento di compiti comuni, primi fra tutti quelli legati alla procreazione e all’educazione dei figli. Di qui il senso più profondo dell’affermazione dell’unicità della famiglia, da intendersi non già quale ostinata resistenza al cambiamento bensì come premessa al bene comune» (G. Guzzo, La famiglia è una sola, Gondolin 2014, pp. 13, 21, 23).

La redazione

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Rossana Rossanda: «sola, senza figli: il partito ha chiesto tutto»

Rossana Rossanda oggi. La fondatrice de Il Manifesto si racconta in un’intervista e confessa i suoi rimpianti e la sua dedizione totale ad un utopia fallimentare, che le ha rubato anche la possibilità di avere figli. Un’assonanza con la solitudine confessata da Emma Bonino.

 

Novantaquattro anni, giornalista, scrittrice, partigiana e fondatrice de Il Manifesto, l’organo di stampa del comunismo italiano. Il suo nome è Rossana Rossanda, e ancora oggi si definisce senza vergogna «leninista».

Una vita dedicata al partito, alla fede comunista. Un’esistenza segnata dalla delusione per un paradiso terreno agognato che non si è mai concretizzato: «Quello che mi ha salvato è stata la grande curiosità per il mondo e la cultura», ha detto nel 2015. «Pensavo che l’URSS fosse un paese giusto, solo nel 1956 scoprii che non era quello che avevo immaginato». Onore a lei, Rossanda, purtroppo ancora oggi Corrado Augias, Michele Serra e Vauro ci credono ancora. La partigiana italiana ebbe stretti rapporti con Sartre, Simone De Beauvoir e Michel Foucault e tuttavia ritiene che «le religioni sono una grande cosa, seppur non ho un’idea di Dio da quando avevo 15 anni. Il cristianesimo è una grande cosa. Paolo e Agostino sono pensatori assoluti».

E’ sempre formativo leggere ciò che ha da dire Rossana Rossanda, sia perché è un pezzo vivente della nostra storia sia per riflettere su una donna che ha riposto tutta la sua speranza in una rivoluzione atea che nel pieno del suo splendore ha solamente prodotto milioni di morti, ha trasformato il ‘900 nel secolo più oscuro e sanguinoso della storia. Oggi Rossanda si limita ad osservare il naufragio del suo quotidiano, le destre che riprendono potere in tutto il mondo, e a dichiarare la sua paura per Matteo Salvini ed il tradimento perfino degli operai: «Succedeva già 15 anni fa. Tessera Cgil e voto per la Lega».

Colpiscono le sue confessioni, ad esempio il rimpianto di non aver avuto figli: «Adesso mi sentirei meno sola e sopratutto avrei la percezione di avere tramandato qualcosa di me». Perché non li ha avuti? «Avevo troppo da fare». Il partito ha preteso tutto.

La tristezza, la solitudine, la malinconia di Rossanda ricordano quella di Emma Bonino, ex ministro ed altra partigiana rossa che ha donato troppo di sé all’ideologia politica. Votata tutta la vita a Marco Pannella, anche lei si è scoperta sola: «un dolore immenso», ha raccontato. «Nessuno mi faceva sentire indispensabile, buona». Senza figli, «non sono mai stata moglie, mai madre. Sola lo sono sempre. Sola intimamente, politicamente». Così, «piango moltissimo, da sola. Su questo divano. Mi appallottolo qui e piango. Poi dopo un po’ mi alzo e faccio qualcosa. Di solito salgo in terrazzo e poto le piante. Che sono il mio orgoglio e la mia consolazione. Un giorno, piangendo, le ho potate al punto da raderle al suolo. Questa casa me l’ha comperata mia madre. E’ stato quando le due bambine in affido se ne sono andate: vivere lì dove ero stata con loro, per me, era uno strazio. E così lei mi ha comperato questa strana casa con molte scale. E non me l’ha intestata. Aveva paura che la vendessi per dare soldi al partito. Aveva ragione: ho tentato di ipotecarla».

L’utopia comunista ha chiesto qualunque sacrificio a queste donne, e a tante altre. Il processo di creazione di un uomo nuovo in un mondo nuovo ha preteso l’esistenza totale, il messianismo marxista per cui l’Umanità diverrà finalmente salvatrice di se stessa, si darà la felicità totale, compirà lei stessa le esigenze di bene, di vero, di giusto, ha obbligato uomini e donne alla fede più cieca, alla dedizione più totale. Il comunismo ha chiesto tutto e ha ridato solo un grande cumulo di macerie. Ha rubato la vita a tutti: alle sue vittime e a coloro che ci hanno ingenuamente creduto, restituendo sofferenza e solitudine.

La redazione

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Gandhi, inspirato dal Vangelo per la sua rivoluzione non violenta

 
 
di Francesco Agnoli*
*giornalista e scrittore

da La Verità, 09/11/18
 

Se c’è un luogo comune che la cultura progressista ama coltivare, da decenni, è un razzismo culturale al contrario, per il quale la civiltà europea è colpevole di ogni ignominia nella storia dell’umanità. Dai tempi del mito del buon selvaggio, sopratutto nella versione di Denis Diderot, la sinistra ideologica ha sistematicamente demonizzato personalità e fatti della storia europea e della religione cristiana, per santificare, nel contempo, figure, culture, religioni proprie di altre popolazioni e continenti.

Questa operazione ha portato alla mitizzazione e alla strumentalizzazione di personalità presentate a tutti come emblematiche dello scontro tra buoni (gli altri) e cattivi (noi, gli europei, i cristiani, i bianchi ecc.). Ad aver subito, suo malgrado, questa falsificazione, anche la figura celeberrima di Mohandas Karamchand Gandhi, morto nel 1948, cioè esattamente 70 anni or sono. Ma chi era davvero Gandhi? Possiamo anzitutto ricordare che egli viene considerato il “padre della nazione indiana” per il ruolo avuto dalla sua azione non violenta che ha portato l’India, colonizzata dagli inglesi, all’indipendenza nel 1947. E’ noto, dunque, come l’avversario dell’oppressione e dello sfruttamento imperialista messo in atto dagli inglesi a danno degli indiani.

Al di là di questo, però, la figura di Gandhi aiuta a comprendere più in profondità il colonialismo europeo, evitando così quella lettura semplicistica, manichea e pregiudizialmente anti-europea di cui si è detto. Gandhi stesso, infatti, e qui sta l’interessante, è stato un figlio dell’India ma anche, per moltissimi aspetti, un figlio dell’Europa, ribelle a molte idee e convenzioni religiose del suo popolo. La sua stessa morte, per mano non di un inglese ma di un induista radicale, Nathuram Godse, è lì a ricordarlo. Ad un certo punto della sua vita Gandhi comincia a combattere «la follia materialista moderna» della civiltà occidentale a lui contemporanea, in nome dei valori spirituali che l’Europa ha prima posseduto, poi smarrito. Egli ritiene che la mentalità atea degli occidentali contemporanei sia all’origine della brama di ricchezza e di sfruttamento degli inglesi, così come dello spazio lasciato alla lussuria dall’invenzione degli anticoncezionali, che distruggono il dominio di sé e la necessaria ricerca e conquista dell’«autocontrollo».

Gandhi, però, è un uomo che in una prima fase della sua vita ha visto nell’impero britannico e in generale nella cultura europea un fattore di civilizzazione e di emancipazione, e che anche nelle sue critiche alla moderna civiltà occidentale delle macchine non può non riconoscere che esse, così come la medicina “europea” e gli ospedali, invenzione dell’Europa cristiana, possono essere molto utili anche agli altri popoli, indiani compresi. Se l’Europa è stata in passato portatrice di civiltà e se ha prodotto anche tante cose buone, pensa Gandhi, dove sta l’origine del male di cui oggi è portatrice? Studiando in Europa, Gandhi ha incontrato una nuova visione del mondo, sopratutto attraverso due testi che lo hanno affascinato: il Vangelo, di cui ammira sopratutto il Discorso della Montagna, e un libro dell’autore russo Lev Tolstoj, In voi è il Regno di Dio.

Questo contatto con il mondo cristiano, in senso lato, ha condizionato molte delle sue idee future, compreso il risveglio in lui della «sete della ricerca religiosa», e lo ha spinto a contrapporre l’Europa del passato, quella che ha prodotto cattedrali come Notre Dame di Parigi, a quella, spiritualmente misera, del presente. Scrive infatti Gandhi: «La stupenda struttura di Notre Dame e la elaborata decorazione dell’interno con le sue meravigliose sculture non si possono scordare: sentii allora che coloro che avevano speso milioni per erigere quelle cattedrali divine non potevano non avere nel cuore l’amore per Dio. Avevo letto molto sulle mode e le frivolezze di Parigi, che erano visibili ovunque per strada, ma le chiese rappresentavano delle oasi: entrando in una di quelle chiese si dimenticavano il rumore e il trambusto esterno, si cambiava atteggiamento, ci si comportava con dignità e riverenza passando accanto a qualcuno inginocchiato davanti a un’immagine della Madonna». Poi, commentando la Torre Eiffel, Gandhi riporta, condividendola, la critica fatta da Tolstoj ad un «monumento alla pazzia dell’uomo, non alla sua saggezza», perché quella Torre «non ha nulla di artistico», è solo una novità attraente, con lo stesso valore che ha per il bambino un «giocattolo» nuovo (Gandhi, La mia vita per la libertà, Newton).

Se il passato dell’Europa serve a Gandhi per fare un processo al suo presente, ciò che vi ha imparato sopratutto nelle sue relazioni con alcuni cristiani europei, gioca un ruolo decisivo nella sua critica alla propria stessa civiltà. Pur rimanendo induista, infatti, egli comprende alla luce del Vangelo, che il sistema indù delle caste, ed in particolare il disprezzo e la severità verso i cosiddetti “intoccabili” (condannati all’emarginazione, ad “attività contaminanti”, a lavori infimi come cremare cadaveri, pulire le fogne…), non ha ragione d’essere ed è una colpa grave dell’induismo stesso. Arriva ad affermare che occorre una «rivoluzione totale nel pensiero indù: lo sradicamento di questa dottrina terribile e vergognosa della disuguaglianza innata degli uomini che ha avvelenato l’induismo e sta minando lentamente la sua stessa esistenza».

La lotta per ridare dignità a milioni di intoccabili intrapresa da Gandhi è figlia del suo incontro non con il socialismo e il comunismo, dottrine che disprezza per il loro ateismo e la loro violenza, ma con la Cristianità, ed era stata già cominciata da alcuni europei. Nel 1878, ad esempio, il ministro anglicano James Vaughan aveva invitato migliaia di persone ad un pranzo, vicino a Bhoborpara imponendo a tutti di «mangiare assieme fra appartenenti a tutte le caste, bramini e paria compresi. Secondo la tradizione sociale indiana, mangiare assieme tra membri di caste diverse è impensabile, impossibile, assurdo, mentalmente e fisicamente ripugnante». Ne era nato un «pandemonio e una rivolta contro Vaughan e i suoi collaboratori», come sarebbe successo anche in futuro, in seguito al tentativo dei missionari cristiani di infrangere le barriere castali (così rigide che, secondo un’antica regola, se l’ombra di un paria avesse toccato quella di un bramino, il paria avrebbe dovuto scontare la “colpa” con la morte). Oltre a rivedere il concetto stesso di “intoccabili”, Gandhi, sempre grazie al confronto con la civiltà europea, riconosce che c’è qualcosa di sbagliato nella concezione induista della donna, ritenuta in tutto e per tutto inferiore all’uomo, così come nelle tradizioni delle mogli bambine, della prostituzione sacra, dell’annegamento dei bambini nei fiumi sacri ecc. La critica più o meno radicale di Gandhi a questi costumi propri del mondo indiano richiama alla memoria altri influssi europei e cristiani destinati a mutare, piano piano, la mentalità e la vita degli indù, segnandone la storia anche dopo la colonizzazione.

Un esempio è la pratica del sati: per secoli le donne sono state seppellite vive, oppure bruciate sul rogo insieme ai loro mariti defunti; per secoli sono andate incontro a questa morte indossando abiti nuziali e gioielli, mentre la gente e i familiari festeggiavano e banchettavano per l’occasione; mentre qualcuno controllava che le vedove, in preda alla paura, non cercassero di scappare dal fuoco, pronti a respingervele con bastoni, o non tentassero di annegarsi prima di salire sul rogo, durante il bagno di purificazione nel fiume sacro. Questo perché le vedove, così facendo, divenivano degne di rispetto, di ricordo e di vera venerazione. Nella cultura induista, non segnata dalla predicazione di un San Paolo («Non c’è più né giudeo né greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero»), né da quello di San Giacomo (con il suo celebre invito a servire «orfani e vedove»), infatti la moglie è chiamata a servire e seguire il marito, come l’ombra segue il corpo, anche nella morte, pena il divenire impura, priva di identità sociale, preda di botte e del disprezzo dei suoi stessi parenti (Marzio Barbagli, Congedarsi dal mondo, Il Mulino).

Se questo oggi avviene ormai sempre più raramente, è merito degli influssi dei costumi europei su quelli indiani. E’ infatti nel 1813 che il Parlamento inglese, su spinta di un movimento evangelico in crescita, quello stesso che stava lottando per l’abolizione della schiavitù, costrinse la Compagnia delle Indie ad accettare i missionari, che proprio in quell’anno «cominciarono a chiedere che il sati fosse abolito». I missionari non condussero questa battaglia soltanto in nome del cristianesimo, ma spesso, con grande sensibilità, provarono a cercare nella storia indiana attestazioni di una opposizione locale a questa consuetudine feroce. Tra coloro che si diedero da fare per abolire il sati, ricordiamo almeno l’abate Jean Antonie Dubois -il quale nelle sue Maniere, costumi e cerimonie induiste, notava come i bramini così attenti alla vita «degli insetti più insignificanti» e delle loro mucche sacre, guardano con «soddisfazione» all’uccisione di «esseri umani innocenti» (Arvind Sharma, Sati, Historical and Phenomenical essay, Delhi)- e il brahamano bengalese Ram Mohan Roy, anch’egli segnato, come Gandhi, dall’incontro con il cristianesimo, che gli permise di guardare con occhi nuovi al rogo di una parente vedova che implorava di essere risparmiata.

Se vogliamo concludere ricordando la celebre “non violenza” di Gandhi, strumentalizzata in tempi recenti anche dai radicali di Marco Pannella, come non ricordare che da una parte «i nazionalisti indù facevano riferimento ad un passato differente, un passato guerriero, in cui gli antenati indù si erano distinti per la loro virilità, le lotte e il ricorso alla forza», mentre dall’altra Gandhi scriveva: «I versetti evangelici: “Ma io vi dico, accettate il male: a chi vi colpirà sulla guancia destra, offrite anche l’altra, e a colui che vi prende il mantello, date anche la cappa”, mi incantarono oltre ogni dire» (Christine Jordis, Gandhi, Feltrinelli).

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Asia Bibi, il Regno Unito si rifiuta di accoglierla: «in balia dei musulmani radicali»

Asia Bibi libera. L’associazione cristiana pakistana britannica ha informato che il governo britannico non concederà asilo politico alla donna cristiana in quanto teme disordini da parte dei fondamentalisti. Una minoranza che però detta già legge in una nazione europea.

 

«Un popolo che può accogliere ma non ha possibilità di integrare, meglio non accolga». Questo ha ripetuto qualche mese fa, ancora una volta, Papa Francesco, chiedendo ai popoli europei una «accoglienza ragionevole», cioè apertura cristiana delle braccia, ma con dei limiti: «fin dove uno può». E’ esattamente quanto non è avvenuto nel Regno Unito, un paese che ha preferito puntare tutto sul multiculturalismo (che fa molto progressista), trascurando l’integrazione.

Oggi, infatti, il nome più diffuso sarebbe Muhammad, che ha scalzato i vari Oliver, Harry e George. Una notizia simbolica della rapida sostituzione culturale che sta avvenendo. Con alcune prevedibili conseguenze.

Ha scioccato molti la notizia diffusa dall’Associazione cristiana pakistana britannica tramite il suo presidente, Wilson Chowdhry, secondo cui il Regno Unito si sarebbe rifiutato di concedere asilo politico ad Asia Bibi, la donna cristiana di cui tutti (o quasi) stanno finalmente parlando e che dopo 8 anni è stata assolta dalle false accuse di blasfemia, nonostante il marito Ashiq Masih lo abbia espressamente richiesto al Primo Ministro inglese, Theresa May.

Dopo alcune notizie non vere circolate nei giorni scorsi sulla sua scarcerazione, sembra che attualmente la donna si trovi in un posto sicuro al di fuori della prigione ma che non possa lasciare il Pakistan fino a che i giudici non risolvano il ricorso presentato dai fondamentalisti islamici che si oppongono all’assoluzione e la vorrebbero mettere a morte (un escamotage per raffreddare gli animi, dovuta anche alla denuncia accettata da un tribunale pachistano contro i leader di due partiti estremisti per incitamento alla violenza dopo l’assoluzione di Asia Bibi e che dovranno comparire davanti ai giudici proprio oggi). Tuttavia, secondo l’Associazione cristiana pakistana britannica, «Asia e la sua famiglia hanno deciso di accettare una delle offerte di asilo politico arrivate da un paese occidentale», c’è chi parla dell’Olanda. Al contrario, «ritengo che il governo del Regno Unito tema che l’accoglienza di Asia Bibi causi problemi di sicurezza e disordini in una parte della comunità islamica diventando anche una minaccia alla sicurezza per le ambasciate britanniche all’estero, che potrebbero essere prese di mira dai terroristi islamici».

Detto in altre parole: i terroristi islamici che stanno mettendo a ferro e fuoco il Pakistan, vivono anche a Londra, sono pochi ma quanto basta per dettare legge. Il Ministero degli Interni non ha commentato la notizia dicendo di non poter esprimersi sui singoli casi. Tuttavia, non ci sarebbe da stupirsi affatto dato che nel paese è in corso una campagna d’odio contro il più importante filosofo conservatore anglicano, Roger Scruton, accusato da laburisti e liberal inglesi di essere “islamofobo”. A far scattare la miccia una frase del filosofo: «Per molti paesi in cui l’islam è la fede dominante, anche se funzionano come stati, come il Pakistan, sono spesso fallimentari come nazioni». Ora si vorrebbe cacciarlo dal paese, ma Scruton ha trovato la difesa di diversi intellettuali statunitensi e da una opinionista laica come Melanie Phillips, editorialista del Times: «È preso di mira da coloro che sono disposti a dirottare la verità e la ragione per distruggere i loro avversari politici. Molti di loro non si rendono nemmeno conto di quello che stanno facendo. E questa non è l’Unione sovietica. È la Gran Bretagna».

E’ la Gran Bretagna, per l’appunto, dove già nel 2014 un bambino su dieci era musulmano. Ma anche la Francia, la Svezia, forse la Germania. I radicali islamici sono ovviamente una minoranza, l’imposizione violenta è «soltanto una delle tendenze presenti all’interno dell’Islam» ha spiegato il vescovo di Abu Dhabi, Paul Hinder. Tuttavia è una minoranza che domina perché si può fare ben poco verso chi è disposto ad uccidere e ad uccidersi per imporsi, tanto da condizionare già oggi la politica estera di una delle più grandi nazioni europee.

La redazione

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Le paritarie cattoliche vanno finanziate, lo chiede “Repubblica”: «fanno risparmiare»

Finanziamento scuole paritarie. Su Repubblica l’economista Alessandro De Nicola ha proposto una dote da 3000 euro per ogni studente delle scuole cattoliche in quanto l’aumento del loro numero aumenterebbe il risparmio per le casse dello stato.

 

Non capita tutti i giorni di leggere un inno al finanziamento alle scuole paritarie sulle colonne di Repubblica. Pur vero che si trova a pagina 32 dell’edizione del 7 novembre, a commento della sentenza UE sull’ICI da recuperare dalle associazioni no profit, che i media hanno volgarmente tradotto come “Chiesa”.

L’autore del testo è Alessandro De Nicola, presidente del gruppo economico Adam Smith Society, avvocato e docente all’Università Bocconi di Milano. Si è mostrato oggettivamente preoccupato del fatto che l’incasso delle imposte sugli immobili da parte dello Stato possa mettere in crisi il mondo delle scuole paritarie: «Il problema che ora dobbiamo porci riguarda le conseguenze di tale provvedimento nei confronti delle scuole paritarie cattoliche (gli altri enti hanno una situazione simile ma non svolgono un servizio pubblico diffuso come gli istituti scolastici)».

Il versamento di tale denaro porterebbe infatti alla chiusura di molte di queste scuole, già in difficoltà a causa delle briciole versate dallo Stato italiano, unica eccezione europea. «Qui non si tratta di essere a favore o meno delle scuole confessionali», ha aggiunto, «ma di riconoscere il rilevante servizio pubblico svolto dagli istituti paritari, i quali, per essere accreditati, devono sottostare ad un sistema pubblico di controlli e verifiche. Senza asili nido privati, migliaia di famiglie non saprebbero dove sbattere la testa e i circa 900 mila alunni che frequentano le paritarie costano allo Stato 550 euro ciascuno mentre la spesa pro capite degli scolari degli istituti pubblici è di seimila euro».

L’economista bocconiano ha dunque confermato quel che da anni scriviamo: uno studente che frequenta le scuole paritarie costa allo Stato 550 euro, mentre uno studente che frequenta le scuole statali ne costa 6000 (in realtà 6800, dati 2014). «Se domani tutte le scuole paritarie cattoliche chiudessero è ovvio che le casse pubbliche avrebbero un aggravio di vari miliardi di euro all’anno», e non ci sarebbero posti per ospitare gli studenti.

Per questo De Nicola ha invitato a cogliere l’occasione della sentenza UE per modificare la situazione: «se si assegnassero borse da tremila euro a ciascun studente da poter spendere nei collegi paritari e questo raddoppiasse il loro numero di alunni non ci sarebbero “oneri aggiuntivi per lo Stato”, grazie ai risparmi di spesa per la scuola statale». Inoltre, una equilibrata concorrenza tra scuole (cosa che adesso non avviene) significa «innovazione, sforzo di migliorarsi e riconoscimento concreto che tra le libertà personali fondamentali, esiste anche la libertà educativa, controlli e curriculum approvati dallo Stato. L’urgenza di evitare la chiusura di centinaia di scuole potrebbe trasformarsi insomma in opportunità di miglioramento del nostro sistema scolastico».

Una riflessione più che valida ed inaspettata, sopratutto perché ospitata sulle colonne di un quotidiano che, tra gli altri, nel 2013 si fece portabandiera (fallendo) delle istanze laiciste in occasione del referendum sul finanziamento alle scuole paritarie indetto nel comune di Bologna. In ogni caso vorremmo rassicurare il prof. De Nicola, il governo non riscuoterà mai il denaro alle scuole cattoliche (sempre ammesso che non abbiano pagato l’ICI) in quanto è scattata la prescrizione, come spiegato dal giurista Giuseppe Della Torre. A ben vedere, come ha spiegato l’economista, non sarebbe nemmeno corretto non decidendosi a finanziarle adeguatamente, nonostante l’enorme risparmio che apportano alle casse pubbliche.

La redazione

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L’amore cristiano spiegato con la matematica, la sfida di uno scienziato


 
 
di Francesco Malaspina*
*docente di Geometria algebrica presso il Politecnico di Torino

 

E’ difficile dare una definizione precisa di amore: se ne parla continuamente ma non si conosce davvero e non si può certo dimostrare rigorosamente (come avviene, del resto, per tutte le cose veramente importanti della vita) . Si potrebbe elencare qualche sua proprietà: tutto perdona, tutto sopporta. Quando si ama si è disposti a qualunque cosa: “non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici”. E’ per questo che il cristianesimo è la religione dell’amore: si ha un Dio che si fa piccolo e dà la vita per tutti.

Se è difficile parlare di amore lo è ancora di più tentare di farlo con la matematica. Essa ci appare fredda e spietata, certamente incapace di scaldarci il cuore. Proviamo a farlo partendo dall’India. Calcutta, o più correttamente Kolkata, è una megalopoli di oltre 14 milioni di abitanti. Il visitatore europeo appena arrivato rimane disorientato dall’odore umido e dolciastro, tipico di quella zona dell’immenso delta del sacro fiume Gange, mischiato al grande inquinamento. Vi è un’unica linea di metro molto ben funzionante. Se scendete alla fermata Kalighat, oltre il grande parco di Maidan e il maestoso Victoria Memorial Hall, e vi inoltrate nel variopinto quartiere, in pochi minuti vi troverete davanti a un tempio dedicato alla dea Kali. Proprio lì accanto si trova Nirmal Hriday, (la casa del cuore puro). E’ la prima casa aperta da Madre Teresa nel 1952 per accogliere i morenti. Lo scopo era quello di far in modo che i più poveri tra i poveri non morissero per strada abbandonati, come spesso accadeva, ma si sentissero accolti e amati almeno nell’ora della morte. E’ bello che un luogo così significativo per il Cristianesimo si trovi nei locali di un tempio indù.

Al pian terreno ci sono due stanzoni, uno per gli uomini e uno per le donne. In mezzo c’è un grande locale con la lavanderia, le vasche dove lavare i piatti e i bagni. Vi sono poi delle scale che portano al primo piano, quasi tutto occupato da terrazzi, tranne una cappella. Le suore di Madre Teresa passano molto tempo in preghiera, spesso davanti ad un’Ostia consacrata. In questa spoglia cappella ci sono delle finestre basse. Chiunque sia inginocchiato in preghiera può vedere contemporaneamente il Crocifisso con accanto la scritta “I thirst“, l’Ostia sull’altare e alcuni ospiti della struttura nei loro letti al piano di sotto. Ecco che viene quindi spontaneo identificare l’amore per Gesù con quello per i poveri e pensare in modo assai concreto al seguente versetto del Vangelo di Matteo: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Madre Teresa aveva sempre in mente questo brano e diceva alle sue Missionarie della Carità: “Avete visto con quanto amore e delicatezza il sacerdote trattava il corpo di Cristo durante la Messa. Assicuratevi di far lo stesso quando andate nella Casa del Moribondo, perché lì si trova Gesù nelle sembianze del dolore”.

L’incontrare Gesù non è un’astratta ed eterea visione mistica ma un concretissimo contatto umano. Pensiamo a San Francesco di Assisi nel suo avvicinarsi e abbracciare un lebbroso. Ecco come Papa Francesco narra l’episodio ai giovani in Brasile: «E’ ben nota la conversione di san Francesco: abbandona ricchezze e comodità per farsi povero tra i poveri, capisce che non sono le cose, l’avere, gli idoli del mondo ad essere la vera ricchezza e a dare la vera gioia, ma è il seguire Cristo e il servire gli altri; ma forse è meno conosciuto il momento in cui tutto questo è diventato concreto nella sua vita: è quando ha abbracciato un lebbroso. Quel fratello sofferente è stato mediatore di luce […] per San Francesco d’Assisi».

Dio è dunque amore, ma un amore che trascende la nostra comprensione. E’ un Dio Uno e Trino con una natura divina e una umana. Le tre persone della Santissima Trinità sono legate e interconnesse da un vincolo di amore che non riusciamo a percepire in pieno. Questo amore circolare tra queste tre Persone non può essere contenuto nella mente umana (vedi Sant’Agostino). Inoltre possiamo dire che Dio è contemporaneamente sorgente (ogni gesto di amore autentico viene da Lui), canale (Dio-Amore che si declina come servizio di carità) e oggetto (Gesù si identifica con il povero da servire). L’oggetto matematico che proveremo a usare è dunque piuttosto complesso: si tratta di una varietà topologica, che nasce dalla tesi di dottorato del matematico tedesco Bernhard Riemann presentata nel 1851 ed è ormai è assolutamente centrale in svariati ambiti della matematica e della fisica teorica. Per definirla servono nozioni matematiche più avanzate ma proviamo a darne un’idea usando la topografia.

Per millenni si è creduto che la terra fosse piatta perché, in effetti, la porzione di essa raggiungibile dal nostro occhio può essere considerata tale con un errore davvero minimo. Una cartina geografica prende quindi una piccola porzione di terra e la considera come fosse piatta. L’errore commesso è trascurabile, impercettibile e i vantaggi sono evidenti. Matematicamente questo si può tradurre affermando che esiste un omeomorfismo tra l’area osservata leggermente curva come è realmente e la sua versione piana che è quella percepita dal nostro occhio. Se poi collezioniamo tante cartine in un atlante possiamo racchiudere tutta la geografia del nostro pianeta in un libro. Un atlante è ben fatto se due cartine vicine sono coerenti. In esse ci sarà infatti una parte comune. In questo modo passando da una all’altra riesco ad orientarmi e riconosco dove sono. Le parti comuni tra due cartine vicine devono dunque essere identiche e, in questo modo, si può pensare idealmente di incollare tra loro tutte le cartine lungo le parti comuni fino ad avere un collage che va a formare un mappamondo.


 

Nelle due cartine qui sopra vediamo che la parte delimitata dal rettangolo è comune e si possono dunque incollare sovrapponendo i due rettangoli. Questa operazione di incollamento non può essere fatta nel piano. Se mi muovo su cartine che si spostano sull’equatore, infatti, continuerò ad incollare fino a quando l’ultima cartina si dovrà incollare alla prima a formare un anello. Per avere dunque un’idea del globo terrestre (che è geometricamente più complesso e che quindi paragoniamo a questo amore trinitario e circolare) devo considerare sia gli omeomorfismi tra le piccole porzioni curve e le approssimazioni piane (qui siamo nel piano e abbiamo coordinate e il paragone è con i piccoli della terra), sia gli incollamenti tra le parti comuni delle varie cartine (qui l’analogia è con l’amore e il servizio tra gli uomini).

Quel guardare contemporaneamente, dalla cappella della casa di Nirmal Hriday, gli ospiti della struttura e Cristo-Eucarestia ci dice che, localmente, in quella particolare circostanza, Dio si riesce ad identificare con questi poveri. L’unico modo per capire qualcosa del cuore di Dio è dunque amare e servire. Questa analogia si può rendere più precisa aggiungendo elementi matematici: questi incollamenti tra cartine sono infatti composizioni di due omeomorfismi locali che identificano porzioni di globo con porzioni di piano. Abbiamo un amore ascendente dell’uomo verso Dio e uno discendente di Dio verso l’uomo. Le funzioni di transizione, intese come carità tra uomini, sono una sorta di risultante tra queste due forze. Si tratta dunque di una relazione d’amore che passa attraverso il cuore di Dio per poi riversarsi sul prossimo. In questo modo il nostro servizio verso il povero non è soltanto frutto del poco amore contenuto nel nostro piccolo cuore ma si ricarica e si purifica nel cuore di Dio e questo esercizio concreto ci fa capire almeno un po’ anche la natura più astratta di questo Dio-Amore.

Tutte queste analogie vogliono essere soggettive, non si ha certo la pretesa di scrivere un trattato scientifico, ma è bello vedere una matematica non più fredda ma capace di parlare di questi argomenti.

 

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Elezioni Usa di Midterm, passano gli emendamenti pro-life

Midterm e aborto. In West Virginia ed Alabama le consultazioni su temi etici vedono vittoriosi i difensori della vita umana. Un aggiornamento sui positivi risultati ottenuti negli ultimi mesi in tutto il mondo.

 

Il risultato elettorale di Midterm negli Stati Uniti ha visto, com’era stato previsto dai sondaggisti, la conquista dei democratici della Camera dei rappresentanti, mentre il Senato è rimasto saldamente in mano repubblicana. Una mezza vittoria (o mezza sconfitta) per Donald Trump, il quale è stato votato dal 49% dei cattolici mentre il 50% ha votato per i democratici. Un piccolo calo di favorevoli in quanto erano il 52% i cattolici che lo avevano sostenuto nel 2017.

Quel che pochi osservatori hanno scritto è che vi sono state consultazioni in diversi stati su altre questioni importanti. In due di essi, i cittadini hanno votato a favore di emendamenti a favore della vita. Parliamo del West Virginia e dell’Alabama, mentre in Nord Dakota i cittadini hanno votato contro la legalizzazione della cannabis (che è passata, invece, nel Michigan).

In West Virginia, ex roccaforte democratica, il 52% dei cittadini ha approvato un emendamento in cui si afferma: «nulla in questa Costituzione protegge o tutela il diritto all’aborto o richiede il finanziamento dell’aborto». In Alabama, invece, un altro emendamento ha ottenuto una chiara vittoria, raggiungendo il 59% dei voti. E’ così stata inserita nella Costituzione dello Stato tale affermazione: «si dichiara che la politica pubblica di questo stato è quella di riconoscere e sostenere la santità della vita nascente e dei diritti dei bambini non ancora nati. Ancora più importante, si sostiene il diritto alla vita in qualsiasi circostanza e la costituzione di questo stato non protegge il diritto all’aborto e il suo finanziamento pubblico». In Oregon, al contrario, è stato sconfitto un disegno di legge che avrebbe limitato i finanziamenti statali all’interruzione di gravidanza.

Ne approfittiamo per aggiornare i nostri lettori sulle numerose vittorie ottenute negli ultimi mesi da chi si oppone alla cultura dello scarto. Il governatore della California, Jerry Brown, ha posto il veto ad una legge che avrebbe imposto alle università pubbliche di fornire pillole abortive agli studenti tramite i centri sanitari studenteschi. Nel Missouri, nell’importante città di Columbia, non è stata rinnovata la licenza alla penultima clinica in cui si effettuavano interruzione di gravidanza, legata a Planned Parenthood, ne rimane solamente una. Sempre nel Missouri, a Saint Louis, un giudice federale ha cancellato un’ordinanza che avrebbe impedito alle organizzazioni religiose o pro-life (come scuole, associazioni ecc.) di rifiutarsi di assumere sostenitori dell’aborto e di affittare locali a cliniche per l’interruzione di gravidanza.

In Oklahoma è stata invece approvata una legge che consente alle agenzie d’adozione di continuare ad operare secondo le proprie convinzioni, rifiutandosi di inserire i minori all’interno di coppie dello stesso sesso. Il governatore dello Iowa, Kim Reynolds, ha firmato la legge sul battito cardiaco fetale, che proibisce ai medici di eseguire un aborto dopo il rilevamento del battito del cuore del bambino. Un interessante studio dell’Università della California ha rilevato che sono 27 le città statunitensi che potrebbero essere identificate come “deserti dell’aborto”, in cui la struttura più vicina che pratica la soppressione dei bambini non ancora nati si trova a più di 100 miglia di distanza.

Il parlamento della Svezia, il Riksdag, ha respinto con 128 voti (contro 60) un disegno di legge favorevole all’introduzione dell’eutanasia. Il parlamento di Israele, il Knesset, ha respinto un disegno di legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, affossandone anche uno sulla maternità surrogata. Il Consiglio di Stato di Francia ha ritenuto non auspicabile la modifica della legge che vieta l’aiuto al suicidio e l’eutanasia, in quanto la legge Claeys – Leonetti è recente ed è stata adottata con ampio consenso dopo approfondito dibattito, per l’impatto simbolico particolarmente negativo sulle persone più vulnerabili e affermando che l’assistenza medica al suicidio sarebbe in contraddizione con le missioni della medicina definite dal Codice deontologico.

La principale associazione di medici della Spagna, l’OMC (Organización Médica Colegial), tramite il presidente Serafin Romero ed il coordinatore Marcos Gómez Sancio, ha descritto l’eutanasia come una pratica che è “totalmente contro” il lavoro del medico e ha considerato “indecente” la sua legalizzazione, che «sarebbe la peggiore crisi nella storia della medicina, un flagello terribile per la nostra professione». Una posizione condivisa dal dott. Rogelio Altisent, direttore del Dipartimento di Profesionalismo y Ética Clínica dell’Università di Saragozza, secondo il quale «è irresponsabile voler legiferare sull’eutanasia, un ricatto per i più deboli della società».

La redazione

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Tornano le panzane di Augias: lo “scienziato“ Giordano Bruno e i “civili“ giacobini

Le storie di Corrado Augias. Il giornalista di “Repubblica” torna a cimentarsi con lo stesso pressapochismo in cose di cui non sa nulla, dalla “civilissima” rivoluzione francese al “celebre scienziato” di nome Giordano Bruno.

 

L’ultima volta che ci eravamo occupati delle panzane di Corrado Augias era il 2016, quando l’anziano tuttologo di Repubblica era stato sommerso da critiche per aver accusato la piccola Fortuna Loffredo (6 anni) di aver provocato sessualmente il suo assassino, che la uccise dopo averla violentata.

Da quel giorno Augias ha enormemente ridotto le sue uscite, limitandosi a qualche sparata contro Trump costatagli una contro-biografia di Giancarlo Perna, in cui si sottolinea il piazzamento di figlio, moglie e genero nel mondo mediatico, le controversie di plagio che lo hanno condannato e la collaborazione nel 1963 con i servizi segreti comunisti come spia dell’Italia.

E’ riapparso in questi giorni come addetto alla posta del cuore di Repubblica, rispondendo ad una domanda sull’Occidente e i suoi valori. Qualunque storico, pur laicissimo, avrebbe anche solamente citato il contributo della cultura giudaico-cristiana, mentre Augias l’ha indicata come portatrice del disvalore della «mancata distinzione dei reati e peccati. I processi per eresia, il più illustre dei quali quello contro Giordano Bruno, ne sono efficace testimonianza. Il filosofo venne arso vivo perché enunciava principi scientifici difformi da quelli della dottrina. Aveva ragione lui ma era blasfemia e venne condannato a morte».

Non è il caso qui di riaprire il discorso sul processo a Bruno, ampiamente trattato e ridimensionato dallo storico laico Luigi Firpo, che ha distrutto «il mito del Bruno “eroe del pensiero”». Messo a processo non per le “idee scientifiche” ma per voler pericolosamente sovvertire la società all’arte magica e rifondare il cristianesimo ponendosi come nuovo profeta. Un mago prestigiatore che professava «fervidamente l’arte divinatoria e magica, accostandosi con invincibile curiosità alla un tempo disprezzata astrologia, egli crede di procacciarsi gli strumenti del dominio» (Il processo di Giordano Bruno, Edizioni Scientifiche Italiane, 1949). Se la Treccani definisce le idee di Bruno «stravaganze, curiosità, superstizioni prive di valore e di effettiva sostanza filosofica», il celebre studioso delle religioni Mircea Eliade ricorda che l’ossessione di Bruno era «il ritorno imminente della religione magica degli antichi Egizi» (Storia delle credenze e delle idee religiose, Bur, vol.III, p. 279). Bruno fu talmente “scienziato” che venne preso per il naso dal celebre astronomo inglese Tycho Brahe: «Nullano nullo e nulla. Spesso i nomi ben si adattano a chi li porta».

Non contento dell’aver definito l’arte magica di Bruno dei “principi scientifici”, Augias ha proseguito celebrando la rivoluzione francese. E’ il perfetto stile illuminista: denigrare i secoli cristiani come oscuri, celebrare i dissidenti come martiri e colti scienziati contro la barbarie e far risplendere la luce introdotta dai giacobini. «Nei Paesi islamici», ha concluso Augias, «è mancata la rivoluzione francese». Curiosità vuole che Peter McPhee, storico dell’Università di Melbourne e tra i maggiori specialisti della storia rivoluzionaria francese, ha parlato di «deragliamento terroristico dei processi rivoluzionari». Ovvero, i terroristi islamici, al contrario di quanto afferma il critico letterario Augias, non sono poi così distanti dai rivoluzionari francesi che fecero della ghigliottina per i dissidenti una pratica quotidiana. Per non parlare della discriminazione delle donne, basti ricordare la fine della drammaturga Olympe De Gouges, decapitata per «per aver dimenticato le virtù che convenivano al suo sesso». Nell’epoca del Terrore giacobino, i veri scienziati trovarono la morte (come Antoine-Laurent Lavoisier), alla stregua dei religiosi messi al rogo dall’inquisizione illuminista (come Salomone Leclercq), rifiutatosi di giurare fedeltà al nuovo governo. Pierre Chaunu, professore di Storia Moderna alla Sorbonne e non un “Augias qualsiasi” ha denunciato i «massacri compiuti sotto la Rivoluzione».

«Un sicuro difetto di Augias è quello di parlare moltissimo di cose che non sa», ha scritto Giancarlo Perna. «Il vizio, diffuso tra i giornalisti, in lui è malattia». Ci auguravamo che fosse guarito, purtroppo non è così.

La redazione

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L’azienda Faac, un’eccellenza italiana gestita dai vescovi: utili, welfare e carità

Faac, cancelli e diocesi di Bologna. L’azienda è di proprietà della Curia bolognese, che l’ha trasformata in un modello virtuoso a cui la giornalista Milena Gabanelli ha dedicato il suo ultimo servizio.

 

L’azienda non ha un debito, cresce, fa profitti, è attenta al benessere dei dipendenti, destina utili ai bisognosi. Si parla della Faac, la famosa azienda italiana di cancelli automatici, di proprietà della Curia di Bologna dal 2015. E’ la prima grande realtà industriale gestita dalla Chiesa in oltre 2000 anni di storia.

Milena Gabanelli ha pubblicato un’inchiesta davvero interessante, che inizia dal 2012 quando Michelangelo, unico figlio del fondatore della Faac, Giuseppe Manini, muore all’età di 50 anni senza eredi, regalando il 66% dell’azienda di famiglia all’Arcidiocesi, insieme alle proprietà immobiliari e 140 milioni di liquidità in banca. Il restante 34% è della società francese Somfy, che vorrebbe rilevare tutto e offre un miliardo di euro, trovando però il rifiuto dell’arcidiocesi, allora guidata dal card. Carlo Caffarra. La Curia liquida i parenti, con 60 milioni di euro, ed il socio di minoranza, Somfy, tramite uno scambio di azioni. A quel punto, la Faac diventa al 100% dell’Arcidiocesi bolognese.

 

Qui sotto l’inchiesta di Milena Gabanelli (pubblicata anche sul nostro canale Youtube)

 

La gestione dell’azienda è affidata a tre professionisti, nel 2015 subentra l’attuale card. Matteo Zuppi che apporta dei miglioramenti: attenzione al welfare dei dipendenti, innanzitutto. Ogni lavoratore del gruppo Faac gode di una polizza sanitaria aggiuntiva, mentre i figli dei dipendenti assunti in Italia possono usufruire di tre settimane di campo estivo gratuito. Gli utili devono restare in azienda per fare sviluppo. Una gestione lungimirante che permette una crescita del fatturato da 284 milioni di euro (realizzato in Italia grazie ad un migliaio di dipendenti) ai 427 milioni di euro in soli tre anni, 2.500 dipendenti, 45 brevetti innovativi ed il controllo di 42 società nel mondo. Sempre dal 2015, una buona parte degli utili viene destinata ai meno fortunati e la rendicontazione è controllata fino all’ultimo centesimo.

La conclusione di Milena Gabanelli è la proposta, ironica, di regalare alla Curia di Bologna anche Alitalia, sperando in un secondo miracolo. Ma non è merito di santi, sono i frutti di una sana etica imprenditoriale che ha saputo far sua l’eredità presente nel dna della Chiesa, a partire dai monaci medioevali che ricostruirono l’Europa, fondando  e gestendo ospedali, università e centri lavorativi. Fino ai cancelli automatici.

La redazione

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