Studio scientifico dimostra che 7 donne su 10 soffrono di conseguenze per l’aborto

Dopo venti anni di lavoro con centinaia di organizzazioni di diversi paesi, l’Istituto Elliot, guidato dal dottor David C. Reardon, riconosciuta autorità mondiale in questo campo, ha pubblicato una metanalisi con la quale dimostra che l’aborto indotto è molto più “devastante” nelle donne di quanto si pensasse.

Uno dei più importanti tra questi studi analizzati è apparso sul “Medical Science Monitor” nel 2004, dove è stato mostrato che il 65% delle donne americane che hanno abortito è vittima di sintomi multipli associati a “Disturbo Post Traumatico da Stress”. In un altro studio si rileva che le donne dopo 8 settimane dall’aborto soffrono per il 44% di loro di disturbi nervosi, il 36% problemi di sonno, il 31% è pentita della sua scelta e all’11% sono stati prescritti farmaci psicotropi. Altri disturbi riscontrati (definiti “minori”) sono stati: infezioni, sanguinamento, febbre, dolore addominale cronico, disturbi intestinali, vomito. Tra quelli “maggiori”: perforazione uterina, mortalità, convulsioni, perdita di protezione contro il cancro al seno, sanguinamento e lesioni cervicali.

D’altra parte, ha dichairato il Dr. Reardon, dal 1980 i professionisti della salute mentale hanno cominciato a trattare un numero sempre crescente di donne con difficoltà mentali ed emotive a seguito dell’aborto. Amy Sobie, portavoce dell’Elliot Institute, ha dichiarato: «l’aborto continua a uccidere le donne. Può essere legale, ma non è sicuro». Ha argomentato la sua affermazione spiegando che le principali riviste mediche hanno segnalato un alto tasso di mortalità associato all’aborto e tassi di suicidio 7 volte maggiori. Inoltre, la ricerca ha anche collegato direttamente con l’aborto indotto l’abuso di sostanze, la depressione, l’infertilità e il divorzio. Infine, mentre il 90% delle donne che abortisce dice di non avere informazioni sufficienti, l’83% ha ammesso che avrebbe continuato la gravidanza se avesse ricevuto un sostegno.

Amy Sobie ha quindi concluso: «gli studi dimostrano che le donne che hanno avuto un aborto non supportano i gruppi pro-aborto. Sanno sulla loro pelle che l’industria dell’aborto ha fallito». La ricerca è stata citata nella nostra pagina appositamente dedicata agli studi sulla Sindrome Post-Aborto.

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Alain de Botton, forzato all’ateismo da piccolo oggi è un “cristiano non credente”

Il noto scrittore, giornalista ed editorialista inglese (anche se nato in Svizzera) Alain de Botton ha scritto recentemente un articolo per il “Sole 24 ore”. Ha voluto parlare della sua posizione esistenziale di non credente ma religioso, cristiano dal punto di vista culturale.

Egli racconta di essere stato “forzato” all’ateismo dalla sua famiglia fin da quando era piccolo, come troppo spesso accade: «Sono cresciuto in una famiglia di atei convinti, figlio di ebrei non osservanti che mettevano la fede religiosa sullo stesso piano della fede in Babbo Natale. Mio padre era riuscito a far piangere mia sorella quando aveva tentato di estirpare dalla sua mente l’idea, nemmeno troppo radicata, che da qualche parte dell’universo si nascondesse un dio solitario. Aveva otto anni, a quell’epoca. Se i miei scoprivano che qualcuno, nella loro cerchia di conoscenze, covava segretamente un sentimento religioso, cominciavano a trattarlo con la commiserazione che in genere si riserva a chi soffre di una malattia degenerativa. Da quel momento, per loro, era impensabile ricominciare a prenderlo sul serio».

Maturando il suo ateismo è però andato in crisi, venendo tormentato dai dubbi, affiorati la prima volta ascoltando Bach. La conversione non è avvenuta, tuttavia ha capito che «dopo aver perso tutta una serie di pratiche e tradizioni che gli atei trovano insopportabili perché di quello che Nietzsche definiva “il cattivo odore della religione”, la società laica si è ingiustamente impoverita. Ormai il termine «moralità» ci fa paura, e al pensiero di ascoltare un sermone preferiamo darcela a gambe». Si è così voluto avvicinare al cristianesimo, alla cultura, all’arte, alla musica, ai riti cristiani, rimanendo però non credente.

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8 milioni di messicani manifestano a favore della famiglia

Più di otto milioni fra adulti e giovani che fanno parte di movimenti ed organismi laicali raggruppati nell’Associazione Episcopale per i Laici (DELAI), hanno celebrato il loro primo Incontro nazionale, il 27 e 28 agosto, proponendo come tema centrale la difesa della famiglia come valore sociale fondamentale, capace di generare l’autentico benessere.

Con l’obiettivo di riflettere sulla reale partecipazione nella costruzione di una società più libera, responsabile e giusta, oltre 60 movimenti e associazioni di laici cattolici di tutto il paese si sono radunati per confermare la loro volontà di lavorare “Juntos por Mexico” (Insieme per il Messico). Durante questo incontro, i laici hanno deciso di impegnarsi al fine di proporre la famiglia naturale come depositaria dei valori e delle virtù necessari per poter costruire «persone sane, felici, libere, responsabili e solidali, per continuare a costruire la civiltà dell’amore». Hanno inoltre firmato un manifesto ribadendo il loro impegno nei settori della formazione, della pubblica istruzione, del sociale e della comunicazione, per costruire un Messico migliore.

Alla riunione hanno partecipato i presidenti dei movimenti, imprenditori, responsabili sociali, docenti universitari, coppie di sposi, sacerdoti e giovani che hanno espresso il loro punto di vista della situazione attuale del paese. Per più di dieci ore l’auditorium del “Centro Universitario Mexico” è stato teatro di una grande festa cattolica, in cui si sono alternate testimonianze, letture, pensieri, proposte, suggerimenti e azioni, tutte proposte per cercare di creare un cambiamento positivo nella società messicana. Alla fine dell’Incontro Mons. Javier Navarro Rodríguez, Vescovo di Zamora e presidente della Commissione Episcopale per i Laici, ha presieduto la celebrazione dell’Eucaristia

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Il college cattolico “Thomas More” nominato tra i migliori d’America

Il “Thomas More College of Liberal Arts” (www.thomasmorecollege.edu), prestigioso college cattolico americano è stato recentemente nominato tra i migliori college a livello nazionale per la qualità educativa.

L’American Council of Trustees and Alumni ha infatti valutato oltre 1.000 istituzioni in quattro anni e solo 19 di esse ha ricevuto la valutazione “A”, e il “Thomas More College” è risultato essere una delle uniche due istituzioni nel Nord-Est a riceverlo. L’organizzazione ha valutato molto positivamente le sette aree principali offerte dal college cattolico: letteratura inglese, matematica, scienze, economia, storia americana, letteratura e lingua straniera.

Vi sono anche altre scuole cattoliche compaiono nelle 19 migliori scuole americane, ad esempio l’Università di Dallas e il Thomas Aquinas College di Santa Paula, in California.

Anche in America dunque si conferma ciò che avviene regolarmente in Australia e Regno Unito: le scuole cattoliche sanno spesso offrire una migliore istruzione delle altre (cfr. Ultimissima 30/8/11).

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Qualcuno tolga Facebook a Vasco Rossi!

Riprendendo l’appello di Mattinonline, ci rivolgiamo ai responsabili dello staff di Vasco Rossi: toglietegli Facebook! Lo diciamo per il suo bene innanzitutto: da quando ha (purtroppo) annunciato di volersi ritirare dalla scena musicale ha troppo tempo libero, e lo utilizza principalmente lasciando indottrinamenti morali su Facebook, chiudendo in modo pessimo un’ottima e meritata carriera.

 

CONTRO L’USO DEL CASCO E LE SANZIONI PER CHI GUIDA UBRIACO. Nel giugno 2011 ha dichiarato: «State attenti, perché prima o poi la libertà ve la fottono, come con il casco obbligatorio, mentre per me lo Stato si deve occupare soprattutto di traffico e semafori e non di ciò che è giusto o sbagliato, morale o immorale». Con lo stesso assurdo e pericoloso principio radicale di autodeterminismo ha poi criticato: «le norme che prevedono sanzioni nei confronti di chi venga trovato ubriaco al volante». A ciò ha prontamente risposto Giordano Biserni, presidente dell’Asaps, con una lettera al cantante: «Caro Vasco Rossi, ti prego smentisci queste fregnacce che avresti detto. Fallo perché tanti giovani ti ascoltano. Tu sei un’icona: ora che le cose sulla strada vanno un po’ meglio vogliamo veramente tornare a stendere più spesso lenzuoli bianchi sull’asfalto per colpa di sbronzi alla guida?». Vasco Rossi incita alla libertà (sic!), peccato che il non utilizzo del casco aumenti del 40% il rischio di morte e del 70% il rischio di danni gravi alla testa. In Europa si calcola che il 25% (uno su quattro) degli incidenti stradali avviene per guida sotto l’effetto di alcool. La presunta libertà di alcuni diventa poi un peso per gli altri dato che per ogni incidente c’è un costo sanitario da sostenere ed esso verte obbligatoriamente (e non liberamente) anche su chi il casco se lo mette e non beve alcool.

 

CONTRO L’ESENZIONE FISCALE DELLA CHIESA. Nell’agosto 2011 ha invece voluto dire la sua sulla questione economica della Chiesa sollevata ideologicamente dal suo partito Radicale. Ha infatti concluso un suo sermone su Facebook dicendo: «Naturalmente aggiungo: tassate anche i beni della chiesa». Rossi non è però un ottimo pulpito (come non lo sono i radicali), dato che nel 2010 la Guardia di Finanza lo ha messo sotto torchio per il suo yacht, sul quale beneficia di una responsabilità limitata e del mancato pagamento dell’Iva. Tuttavia già nel 2008 era stato implicato in una vicenda simile avendo escogitato un originale modo per aggirare il fisco, una volta scoperto aveva dovuto pagare una cifra esorbitante per rimettersi in regola, almeno parzialmente. Le accuse alla Chiesa sono inoltre per la gran parte false e ideologiche come stiamo mostrando negli articoli che compaiono nell’apposta pagina di Facebook.

 

CONTRO LE POLITICHE ANTI-DROGA. Verso fine agosto ha accusato «chi sostiene il proibizionismo», che secondo lui significa sostenere «gli interessi della mafia e della malavita». Gli ha risposto il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, dicendo: «Vasco Rossi provato da una vita spericolata, anche in valutazioni sulla droga, dice sciocchezze e si erge a cattivo maestro. Gli interessi della mafia li fanno quanti incitano all’illegalità e all’uso di droga. Gli manderemo uno specchio». Il sottosegretario all’economia Antonio Gentile ricorda di aver chiesto a Vasco di diventare testimonial contro l’uso di tutte le droghe, specialmente la cannabis, senza ricevere risposta. Ieri ha invece attaccato uno spot televisivo contro la droga dichiarando: «Non è mai morto nessuno a causa di uso o abuso di “maria”!». Subito dopo ha difeso il partito radicale. Il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, ha prontamente dichiarato: «Non vogliamo essere né bigotti, né censori ma Vasco Rossi non è certo un intoccabile, e diseducativa e pericolosa la sua dichiarazione, specie se si considera che il suo pubblico è composto in larga parte da giovanissimi». Prima di chiedere la chisura della sua pagina Facebook, ha detto: «un artista del suo calibro non può abbandonarsi ad affermazioni a favore della droga, perché così facendo lancia un messaggio sbagliato e pericoloso». Anche il Capo Dipartimento Politiche Antidroga, Giovanni Serpelloni, è intervenuto contro il messaggio del cantante, accusato di incitare al consumo di sostanze stupefacenti. E’ infine proprio di qualche mese fa la notizia che l’utilizzo di cannabis raddoppia l’insorgenza di sintomi psicotici nei giovani e negli adulti. D’altraparte gli stessi ricercatori, al contrario di Vasco Rossi e dei radicali, sono i primi ad opporsi alla liberalizzazione, chiedendo invece pene ancora più severe. Gli unici che hanno voluto difendere Vasco sono stati ovviamente i radicali, Mario Staderini e Rita Bernardini.

 

CONTRO LE CURE PER IL CANCRO. E’ di oggi la notizia della sua ultima sciocchezza: «Se avessi avuto un cancro non mi sarei curato. Antidolorifici ai Caraibi, ecco quello che avrei fatto. Perché non voglio soffrire, voglio morire allegro», ha dichiarato. Umberto Tirelli, direttore del dipartimento di Oncologia del prestigioso Istituto Nazionale Tumori di Aviano, lo ha prontamente attaccato: «Le affermazioni di Vasco Rossi sono in forte contrasto con la realtà perché anche se questa potrebbe essere solo una sua considerazione personale, visto il personaggio pubblico, è un invito a molti pazienti a non essere trattati ed eventualmente guariti dalla loro malattia oncologica e senza, tra l’altro, rispetto e una parola di conforto per tutti coloro che oggi stanno affrontando questa terribile esperienza personalmente o con una persona cara e fra i quali ci sono sicuramente molti dei suoi fan». In Italia vi sono 2.200.000 persone che vivono con il cancro e, di queste, circa 1.285.000 sono lungo sopravviventi, possono cioè essere considerati guariti con una spettanza di vita identica a quella della popolazione generale senza cancro. Ha quindi concluso Tirelli: «Un cattivo maestro per quanto riguarda la droga e un pessimo maestro per quanto riguarda l’oncologia: questo è Vasco Rossi. Pur essendo un grande autore e un eccellente cantante. A ognuno però i propri ruoli: sconfinare dalle proprie conoscenze ed esperienze può essere dannoso per gli altri».

 

ATEO E A FAVORE DELL’EUTANASIA. Vasco Rossi è incasellato nell’elenco dell’UAAR degli “atei celebri” della storia. Inoltre, il suo pensiero pericolosamente autodeterminista (come per il casco, per la droga, per l’alcool, per la medicina ecc…) vale anche in campo bioetico. E in questo gli riconosciamo una certa coerenza. In una divertente video-intervista ha infatti espresso il suo (confuso) pensiero sull’eutansia e ha voluto spiegare le ragioni del suo essere ateo. Seppur non essendo in quel momento sotto l’effetto di allucinogeni, il radicale Vasco Rossi è riuscito nell’incredibile impresa di non portare a termine una sola frase di senso compiuto. Guardare per credere.

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Il trattamento dell’ictus con le staminali del midollo osseo è fattibile e sicuro

Dall’ultimo numero di “Annals of Neurology” si apprende che il trattamento di ictus acuto tramite cellule staminali del midollo osseo è ormai un metodo fattibile e sicuro.

Lo hanno stabilito i ricercatori dell’University of Texas Medical School di Houston dopo uno studio finanziato dal “National Institutes of Health”. Secondo l’associazione americana Stroke, quasi 800.000 americani soffrono di ictus ogni anno (uno ogni 40 secondi).

E’ un trattamento sperimentale, tuttavia ecco un altro possibile caso in cui le cellule staminali embrionali potranno essere sostituite efficacemente da altri tipi di staminali, evitando così ogni problematica etica.

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Gli stretti rapporti tra Marco Pannella e Licio Gelli, leader della P2

In Ultimissima 11/6/10 abbiamo realizzato un elenco che descrive lo stretto rapporto che intercorre da molto tempo da il Partito Radicale e i pedofili.

In questi giorni “La Bussola Quotidiana” ha realizzato un’inchiesta interessante ricordando altri tipi di amicizie dei radicali e in particolare del loro leader, Marco Pannella. Si tratta dei rapporti con Licio Gelli, “Maestro Venerabile” della golpista loggia massonica P2 (“propaganda due”). L’articolo de “La Bussola” nasce da una particolare coincidenza: il 19 agosto 2011 il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Gustavo Raffi, è apparso improvvisamente sulla scena politica italiana con una dichiarazione contro la Chiesa, chiedendo per essa l’abolizione dell’esenzione dall’Ici per i beni immobili non destinati al culto» e il congelamento dell’8 per mille. Lo stesso giorno il Partito Radicale annunciava un emendamento (che verrà poi bocciato) alla manovra finanziaria per “escludere qualsiasi esenzione sull’Ici per gli immobili che svolgono attività commerciali, indipendentemente da eventuali finalità di culto”.

Ovviamente una banale coincidenza per chi non è a conoscenza che i rapporti tra la loggia massonica P2 e Partito Radicale durano da anni. Il 27 settembre 1987, il quotidiano “La Repubblica” riportava un’inchiesta de “L’Espresso: «Alle ultime elezioni politiche Licio Gelli fu sul punto di candidarsi nelle liste del partito radicale. Il capo della P2, allora latitante all’estero, affidò la proposta di candidatura al suo amministratore in Italia, che garantì di averla fatta pervenire a Marco Pannella. Per definire meglio l’ operazione entrò in scena il figlio di Gelli, Maurizio, che ebbe una serie di incontri con un gruppo ristrettissimo di esponenti radicali». L’operazione fallì per due ostacoli: «come far arrivare in Italia il denaro necessario alla campagna elettorale e dove trovare un’autorità consolare disposta a convalidare, senza dare l’ allarme alla polizia, i documenti necessari alla candidatura». Il quotidiano riporta anche la risposta dello stesso Pannella a questa divulgazione di notizie: «L’intenzione di candidare Gelli non è mai stata un mistero ha replicato ieri Marco Pannella».

Qualche mese dopo, il 31 dicembre 1987, sempre “La Repubblica”, raccontava: «La candidatura di Licio Gelli nelle liste del Partito radicale alle elezioni politiche dello scorso giungo non si concretizzò a causa del poco tempo a disposizione, che non avrebbe permesso l’organizzazione di una campagna elettorale destinata al successo. E’ quanto afferma Maurizio Gelli, figlio del maestro della P2, in una lunga intervista all’Espresso. Ho incontrato varie volte Marco Pannella in un albergo romano di via Veneto, dice Maurizio Gelli, c’erano anche Rutelli e Negri. Loro erano interessati al progetto, anche se ci sono stati momenti di perplessità. Secondo il figlio del venerabile, alcuni esponenti del Pr temevano che il partito potesse essere addirittura disintegrato dalle polemiche che avrebbero accompagnato una simile candidatura. Ma il progetto era pronto, tutto era stato stabilito puntualmente: mio padre avrebbe dovuto costituirsi poco prima delle elezioni, racconta Maurizio Gelli, ottenere prevedibilmente gli arresti domiciliari, tenere conferenze stampa per spiegare la sua decisione di candidarsi, essere eletto, parlare alle Camere per chiarire ogni accusa e, infine, rinunciare all’immunità parlamentare».

E i rapporti continuano. Durante il Congresso del Partito Radicale di Rimini del 17 maggio 1989, “La Repubblica” informa della presenza in prima fila di Maurizio Gelli, figlio minore di Licio Gelli: «Rolex d’ oro massiccio al polso, giacca blu mare e pantaloni grigi, Gelli junior dice di condividere molte delle idee sostenute da Pannella». Infine il 18 febbraio 1998, nel corso dell’audizione presso la “Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi”, Marco Pannella chiariva: «Per quanto riguarda la domanda su Licio Gelli e la sua candidatura nel 1987, devo dire che Gelli è stato potente, la sua organizzazione della politica è stata quanto meno rispettata dalle grandi forze politiche e dai poteri italiani. Quell’anno nella nostra sete di verità io pensai e dissi pubblicamente che eravamo disposti ad andare al disastro elettorale pur di offrire a Gelli l’immunità parlamentare dietro la garanzia che lui avrebbe raccontato la verità […]. Quindi, la nostra idea – lo dicemmo pubblicamente – era di offrire l’immunità al fuggiasco, a colui che poteva essere ammazzato da un momento all’altro».

Ricordiamo che Lucio Gelli fu condannato per depistaggio delle indagini della strage della stazione di Bologna del 1980 e che la loggia massonica P2 fu sempre alle sue strette dipendenze. Nel luglio 1942 era ispettore del Partito Nazionale Fascista e trasportando in Italia il tesoro di re Pietro II di Jugoslavia fece sparire circa 20 tonnellate di lingotti, trasferendoli in Argentina. Laggiù ebbe sempre ottimi rapporti di collaborazione con il dittatore Roberto Eduardo Viola, processato nel 1983 per crimini di guerra. Gelli riuscì anche a far entrare nella P2 Emilio Eduardo Massera, capo di Stato Maggiore della marina militare argentina e tra i maggiori responsabili del colpo di Stato del 1976. Anch’egli condannato più volte per le violazioni dei diritti umani. Tornando agli anni ’40, Gelli divenne anche ufficiale di collegamento fra il governo fascista e il Terzo Reich nazista. Pensò di passare dalla parte dei partigiani quandi la vittoria della guerra si rivelò impossibile. Dichiarò di essere stato uno stretto amico del leader argentino Juan Domingo Perón, noto per aver dato asilo ai nazisti che scappavano dai processi per crimini di guerra al termine della Seconda guerra mondiale.

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L’aborto aumenta il rischio di disturbi mentali dell’81%

Ancora una volta uno studio scientifico, basato su 877.000 donne, ha dimostrato la pericolosa esistenza della cosiddetta “Sindrome Post Aborto”, cioè si è rilevato che le donne che si sottopongono all’interruzione di gravidanza hanno quasi il doppio di probabilità di soffrire di problemi di salute mentale rispetto a coloro che decidono di partorire.

Inoltre la ricerca, realizzata dall’accademica americana “Priscilla Coleman” e pubblicata sul “British Journal of Psychiatry”, ha dimostrato che il 10% di tutti i problemi di salute mentale deriva dall’aborto. I risultati sono interessanti, poiché -sommandosi a studi precedenti- smentiscono la vecchia leggenda degli attivisti per l’aborto, i quali sostengono che l’interruzione della gravidanza riduca, piuttosto che aumentare i rischi, per la salute delle donne.

La professoressa Coleman, autrice dello studio, ha dichiarato: «Nel complesso, i risultati hanno rivelato che le donne che hanno subito un aborto hanno registrato un aumento dell’81% del rischio di problemi di salute mentale, e quasi il 10% dell’incidenza di problemi di salute mentale sono direttamente attribuibili all’aborto». In particolare, l’aborto è collegato per il 34% ad una maggiore probabilità di disturbi d’ansia, il 37% di depressione, il 110% (più del doppio) al rischio di abuso di alcool, il 220% (più del triplo) al consumo di cannabis e al 155% al rischio di suicidio.

Abbiamo inserito i risultati di questo studio nel nostro dossier appositamente dedicato all’argomento, dove è possibile visionare la gran parte delle ricerche scientifiche realizzate.

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Parlamentari bulgari respingono proposta di legge sull’eutanasia

L’eutanasia sui malati terminali non sarà ammessa in Bulgaria dopo che i membri del Parlamento hanno votato il 1° settembre 2011 per respingere il progetto di legge proposto dal socialista Lyuben Kornezov.

Egli aveva presentato un ddl che avrebbe consentito l’eutanasia se il paziente lo avesse richiesto formalmente in una dichiarazione certificata da un notaio, e nei casi in cui il paziente non fosse stato in grado sarebbe subentrato il coniuge, i figli maggiorenni o i genitori, interpretando a loro discrezione la sua volontà.

Il partito di maggioranza dell’ex Paese che ha conosciuto l’ateismo di Stato, ha dichiarato che il disegno di legge è contro la Costituzione bulgara, le leggi e il giuramento di Ippocrate a cui sono chiamati i medici.

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Il rabbino David Dalin: «il più grande amico degli ebrei? Pio XII ovviamente»

Non meno di 700.000 ebrei furono salvati daLL’attività caritativa della Chiesa per diretto interessamento di Pio XII. No, non solo sono gli storici occidentali a dirlo, ma uno storico leader ebraico, il rabbino David G. Dalin.

Egli ha dichiarato: «Durante il ventesimo secolo il popolo ebraico ha avuto un grande amico. Pio XII ha salvato più vite di ebrei di chiunque altro, anche più di Oskar Schindler e Raoul Wallenberg». Intervistato da Zenit.es, lo storico ebreo ha spiegato: «Oggi c’è una generazione di giornalisti impegnati a screditare gli sforzi documentati di Pio XII per salvare gli ebrei durante l’Olocausto. Questa generazione si è ispirata all’opera teatrale “Il Vicario” di Rolf Hochhuth, che però non ha alcun valore storico. Questi critici ignorano anche lo studio illuminate di Pinchas Lapide, che è stato console generale di Israele a Milano, il quale ha scoperto molti ebrei italiani sopravvissuti all’Olocausto. Nei documenti Lapide si dice che Pio XII ha incoraggiato la salvezza di almeno 700.000 ebrei dai nazisti. Ma secondo un’altra stima, questa cifra sale a 860.000».

Si è detto molto circa i presunti “silenzi” di Pio XII, tuttavia «abbiamo un sacco di documentazione che non stette proprio in silenzio, parlò infatti ad alta voce contro Hitler e quasi tutti lo vedevano allora come un oppositore del regime nazista. Durante l’occupazione tedesca di Roma, Pio XII ha segretamente incaricato il clero cattolico di salvare tutte le vite umane possibile con tutti i mezzi possibili. In questo modo vennero salvati migliaia di ebrei italiani dalla deportazione. Mentre l’80% degli ebrei europei morirono in quegli anni, l’80% degli ebrei italiani furono salvati. Solo a Roma, 155 conventi e monasteri diedero rifugio a 5000 ebrei. Almeno 3.000 vennero nascosti nella residenza pontificia di Castel Gandolfo. Seguendo le istruzioni dirette di Pio XII, molti preti e monaci resero possibile la salvezza di centinaia di vite di ebrei, rischiando la propria stessa vita».

Un’altra accusa fatta a Pio XII è il non aver denunciato pubblicamente le leggi antisemite, ma ovviamente fu costretto ad agire in questo modo: «Il suo silenzio era una strategia efficace per proteggere il maggior numero di ebrei dalla deportazione. Un’esplicita e dura denuncia contro i nazisti sarebbe servita come invito alla ritorsione, e avrebbe peggiorato le disposizioni sugli ebrei in tutta Europa. Certamente ci si potrebbe chiedere: cosa c’è di peggio che lo sterminio di sei milioni di ebrei? La risposta è semplice e terribilmente onesta: l’assassinio di centinaia di migliaia di altri ebrei. I Vescovi cattolici provenienti dai Paesi occupati hanno consigliato a Pacelli di non protestare pubblicamente contro le atrocità commesse dai nazisti. Abbiamo le prove che, quando il vescovo di Münster avrebbe voluto parlare contro la persecuzione degli ebrei in Germania, il responsabile della comunità ebraiche della sua diocesi lo pregò di non farlo, avrebbe infatti provocato una repressione più dura contro di loro».

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