Il ginecologo Semprini: «gravidanza in tarda età? Rischi anche per il bimbo»

Un altro medico ha preso recentemente posizione contro la gravidanza in tarda età. Si tratta di Augusto Enrico Semprini, ginecologo e immunologo riproduttivo, il quale intervistato da Il Corriere della Sera -dopo aver spiegato cosa sia la crioconservazione e l’ovodonazione, ha dichiarato: «Con la scienza oggi le donne possono sfidare i limiti biologici imposti dalla Natura […]. Con il trasferimento di due embrioni la probabilità di restare incinta può arrivare al 60%, con un embrione solo al 30-40% […]. Certamente per le donne sarebbe meglio avere una gravidanza prima dei quarant’anni, per non dire prima dei trenta».

Non è detto che tutto quello che le tecniche scientifiche permettono di fare si debba fare, commenta saggiamente l’articolista Simona Ravizza. Anche perché il parto al crescere dell’età diventa più pericoloso sia per la salute della donna sia per quella del figlio: «I rischi ci sono. Il problema sono soprattutto le gravidanze gemellari con cui si concludono spesso le cure anti-sterilità. Per le madri aumenta di dieci volte il pericolo di ammalarsi di diabete e ipertensione; per i bimbi la mortalità perinatale cresce esponenzialmente, lo stesso il rischio di nascere prematuri».

Queste sono le possibili conseguenze dirette. O forse è meglio chiamarlo capriccio, perché altro non si può chiamare la dittatura-desiderio di voler diventare genitori a 50 anni, ignorando totalmente i diritti del figlio a non rimanere orfano in tenera età e ad avere due genitori sani e forti durante la sua crescita. In Ultimissima 22/9/11 citavamo il racconto di un figlio che ha avuto la disgrazia -lo descrive lui stesso- di essere cresciuto con due genitori-nonni. Donare la vita è sempre una cosa bellissima (se lo si fa secondo metodi naturali), ma occorre capire se si è veramente nella condizione di fare un regalo adeguato.

Il giurista Alberto Gambino, intervistato da Avvenire, lo dice chiaramente difendendo la legge italiana: «Nel nostro ordinamento si tutela il diritto inalienabile del nascituro di avere una famiglia biologicamente armonica, proprio perché la funzione dei genitori cambia a seconda dell’età. Diventa una lesione del diritto del bambino, dell’adolescente, avere in modo preordinato dei genitori che non hanno un’età biologica conforme al loro ruolo all’interno della famiglia».

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Quando il fronte gay diceva: «il viaggio del Papa in Germania sarà un flop»

La storia si ripete puntualmente. La cultura laicista vuole convincere che il Papa non trovi consenso da nessuna parte, che gli stessi cattolici stiano prendendo le distanze da lui, che la fede stia scomparendo, nonostante le statistiche dicano proprio l’opposto. Prima di ogni grande evento sono così tanto desiderosi che si possa rivelare un fallimento totale che si lasciano andare a vere e proprie profezie.

E’ successo a Micromega, giornaletto militante sotto il dominio di Flores D’Arcais, quando ha sostenuto che la beatificazione di Giovanni Paolo II si sarebbe rivelata un flop (cfr. Ultimissima 2/5/11). E’ successo alla setta razionalista dell‘UAAR, quando ha voluto convincere i propri adepti che la GMG 2011 si sarebbe rivelata un fallimento (Ultimissima 29/8/11).

E immancabilmente è accaduto anche per il viaggio del Pontefice in Germania, svoltosi dal 22 al 25 settembre 2011. A cascare nella trappola questa volta è stato il fronte omosessualista. Prima dell’inizio del viaggio ha infatti dichiarato che se il Papa durante la sua visita non avesse visitato il monumento alle vittime omosessuali cadute durante il regime nazionalsocialista, il viaggio sarebbe naufragato in un grande flop. Hanno parlato di immense manifestazioni di protesta, del Parlamento tedesco mezzo vuoto, di accoglienza fredda, di scisma della Chiesa, di sacerdoti in rivolta, dell’86% di cittadini tedeschi indifferenti, di agnostici sul piede di guerra ecc. Ovviamente nulla di tutto questo è avvenuto, anzi, anche questa volta si parla di “successo”.

In Parlamento poche sedie vuote e una grande ovazione generale, come si può vedere nei video del nostro dossier appositamente preparato. Ottimo apprezzamento da parte del Cancelliere tedesco Angela Merkel.  Benedetto XVI è stato accolto con un minuto e mezzo di applausi dai parlamentari in piedi e interrotto più volte dagli applausi durante il discorso. La Frankfurter Allgmeine Zeitung, quotidiano tedesco di linea liberal-conservatrice, ha definito quello pronunciato da Benedetto XVI davanti al parlamento tedesco il “discorso del secolo”.

Proteste? A Berlino si aspettavano decine di migliaia di persone. Il tutto si è ridotto ad una sfilata folcloristica di al massimo tremila persone, come descrive chi ci è stato. Lo stesso è avvenuto a Erfurt, dove se ne sono viste solo quattrocento, ma i pellegrini arrivati per ascoltare il Papa erano 90 mila. E centomila alla Messa finale.

Quotidiani tedeschi. Il Der Spiegel, tra le voci “contro” della vigilia, ha parlato alla fine di un Papa delle sorprese e convincente. Il Bild, oltre ad averlo accolto con due manifesti giganti, ha dedicato a lui 5 pagine solo al primo giorno di viaggio, quasi un record. Il giornale liberale di sinistra, la Suddeutsche Zeitung, è rimasta invece colpita dall’atteggiamento umile del Papa: la sua visita al Bundestag – scrive – ha avuto grande attenzione e il merito è tutto del protagonista. Quello al Bundestag, commenta, è stato «impressionante, grande, filosofico, umano. Un discorso complesso ma semplice nel suo messaggio, fondamentale ma non fondamentalista». Anzi, il quotidiano tedesco dà dell’intollerante a chi ha criticato pregiudizialmente Benedetto XVI. Il Papa è stato perfino elogiato dal leader della sinistra radicale tedesca, Gregor Gysi, dal movimento ecologista tedesco e da quello italiano.

Come abbiamo già detto, per chi volesse leggere i discorsi e le omelie del Papa e guardare i video degli avvenimenti più importanti di questo viaggio, può farlo visitando il nostro apposito dossier: “Il viaggio di Benedetto XVI in Germania”

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Il filosofo della scienza Fabio Musso affonda alcuni miti popolari

Tra gli studiosi e il grande pubblico esiste da sempre una distanza incolmabile ed è a causa di essa che possono facilmente essere appositamente diffuse convinzioni popolari e miti illuministici che, con l’arrivo di Internet e della comunicazione immediata, si diffondo a macchia d’olio. Fortunatamente escono continuamente volumi interessanti a ribadire perentoriamente come stiano in realtà le cose. L’ultimo in ordine di tempo è quello di Paolo Musso, docente di filosofia della scienza presso l’Università dell’Insubria, intitolato: “La scienza e l’idea di ragione” (Mimesis 2011), con prefazione -occorre dirlo- a firma di Evandro Agazzi, uno dei più autorevoli filosofi della scienza a livello internazionale.

1) Scienza nasce nel cristianesimo. Attraverso un’analisi rigorosa dei testi originali, Musso spiega chiaramente -come riporta Francesco Agnoli su Il Foglio che la scienza non poteva che nascere laddove si erano già affermate «la fede greca e cristiana in un ordinamento razionale del mondo», «la fede cristiana nella Creazione come atto libero di Dio», e, connessa con quest’ultima, «l’idea di contingenza del mondo» materiale, cioè la «rottura col necessitarismo greco e, quindi, col panteismo». Solo su questa weltanschauung, solo all’interno della razionalità aperta e del “materialismo” cristiano, potette insediarsi Galilei.

2) Galilei, la Chiesa e Cartesio. Il filosofo si sofferma a lungo su Galileo, ribadendo un altro dato di fatto (anch’esso poco conosciuto), cioè che la sua scoperta più importante, l’unità della fisica, trovò nella Chiesa, e in particolare nei Gesuiti, non l’avversario ma il principale alleato, contro accademici, astronomi e averroisti contemporanei. La sua invenzione, il metodo scientifico, perfettamente si accorda col realismo cristiano. Al grande scienziato cattolico, Musso contrappone Cartesio, criticando l’idea diffusa che identifica il meccanicismo ed il razionalismo cartesiani col metodo scientifico galileiano. Cartesio infatti puntò su una ragione astratta e «fraintese la novità del metodo galileiano». Secondo Musso, il matematico francese è il propugnatore del “vero dogma della modernità”, cioè l’autosufficienza della ragione umana, chiusa all’esperienza, per cui «la ragione non può mai incontrare la verità dentro l’esperienza».

3) Eliocentrismo e visione biblica. Una terza cosa che ci sembra importante sottolineare è come Musso smonti completamente l’idea che l’eliocentrismo, di Copernico e Galileo, abbia affondato l’idea biblica della centralità dell’uomo nella Creazione: «la fine del geocentrismo non significò affatto, come oggi si cerca insistentemente di far credere, anche la fine dell’antropocentrismo, inteso nel senso di una radicale svalutazione dell’uomo e della sua importanza nel disegno complessivo del cosmo». Questa interpretazione è del tutto forzata, continua Agnoli, anzitutto perché il geocentrismo aristotelico-tolemaico significava solo una centralità geografica, non certo “morale né tanto meno metafisica”, della Terra. Lo stesso sistema tolemaico era utilizzato in epoca cristiana per le sue valenze pratiche, perché “serviva per i calcoli”, non certo perché i cristiani ne ricavassero qualche verità metafisica. Per un cristiano, all’epoca di Galilei, prima e dopo, infatti, «il valore dell’uomo non può dipendere dalla sua collocazione geografica, né da alcun altro fatto materiale, ma solo dal suo rapporto con l’infinito».

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Maggioranza scienziati non vede conflitti tra scienza e religione

In Ultimissima 2/6/11 informavamo dei risultati di uno studio americano: il 70% degli studenti universitari americani vede la relazione tra religione e scienza come indipendente o collaborativo. La stessa opinione, secondo i risultati di un recente sondaggio realizzato dalla Rice University, è condivisa anche dalla maggioranza degli scienziati e ricercatori d’elitè. Lo studio, condotto per cinque anni attraverso accurate interviste a circa 300 ricercatori universitari statunitensi di alto prestigio, provenienti da una ventina di centri di ricerca differenti, i cui campi vanno dalla biologia e dalla chimica alle scienze sociali come scienze politiche ed economia, dissipa completamente l’idea diffusa dell’incompatibilità tra religione e scienza.

La sociologa Elaine Ecklund, co-autrice della ricerca, ha riportato che la maggioranza degli scienziati intervistati ritiene che la religione e la scienza siano due «valide strade della conoscenza». Solo il 15% degli intervistati ha dichiarato che religione e scienza sono state sempre in conflitto, mentre un altro 15% sostiene che non lo siano mai state. La maggioranza, il 70%, afferma invece che essa siano entrate in conflitto solo qualche volta.

La relazione finale, Scientists Negotiate Boundaries Between Religion and Science è stata pubblicata nel numero di settembre del Journal for the Scientific Study of Religion. La sociologa ha anche precisato che gli scienziati che vedono i due campi come incompatibili sono quelli che hanno maggiori probabilità di avere una visione ristretta della religione, identificandola con ceppi più conservatori, come gli evangelici americani. Al contrario, coloro che sostengono che la scienza e la religione non siano mai entrate in conflitto tendono ad avere una visione più ampia della religione. «Per alcuni scienziati, è solo un particolare ceppo dell’evangelicalismo ad essere in conflitto con la scienza, ma la spiritualità e le altre religioni non lo sono», ha detto la Ecklund.

I nomi che sono usciti più frequentemente nelle 5000 pagine di trascrizioni di interviste sono stati quello del celebre genetista cristiano Francis Collins, direttore del National Institutes of Health, e quello di Richard Dawkins, zoologo ateo in pensione. Su di lui, la sociologa ha riferito: «A molti scienziati non piace l’impatto che Dawkins ha avuto sul grande pubblico e sul modo con cui la gente vede gli uomini di scienza. Essi sono molto preoccupati per come sono visti e temono per i tagli dei fondi alla ricerca».

Lo studio ha inoltre rilevato che gli scienziati più religiosi sono stati, nel complesso, descritti in termini più positivi dai loro colleghi non religiosi. Avevamo già esposto un ulteriore risultato particolare di questa ricerca in Ultimissima 15/6/11: su 1.700 scienziati intervistati, il 72% si è definito “spirituale”. Inoltre, tra coloro che si sono dichiarati “non credenti”, il 22% si è comunque dichiarato “ateo spirituale”.

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I problemi biogiuridici della “gravidanza indesiderata” (o wrongful pregnancy)


di Aldo Vitale*
*ricercatore in filosofia e storia del diritto



Lo scorso 13 settembre si è saputo tramite le agenzie di stampa che una donna di San Daniele del Friuli ha ottenuto un risarcimento pari a 150 mila euro a seguito del danno subito per la gravidanza conseguita dopo un non corretto procedimento di sterilizzazione consensuale non terapeutica (SCNT) messo in essere per evitare nuove maternità oltre le cinque già riportate negli anni. Il giudice ha condannato l’azienda sanitaria locale al mantenimento del figlio nato fino al raggiungimento dell’indipendenza economica dello stesso. Gli spunti di riflessione potrebbero essere molteplici e sotto diversi aspetti (sociali, politici, psicologici), ma ciò che qui preme rilevare è la problematica sotto la luce della bio-giuridica, cioè della scienza che nasce dall’incontro tra bioetica e diritto. In questa prospettiva non si può fare a meno di notare che anche nelle Corti italiane, come all’estero, si è sempre più affermato il riconoscimento della risarcibilità di ciò che in modo generale viene definito come “danno da nascita indesiderata”. Questa è senz’altro una formulazione troppo generica, che ricomprende al suo interno una variegata policromia di situazioni azionabili in tribunale.

L’esperienza in questo senso è maturata soprattutto nel mondo anglosassone, con le cosiddette action in torts (cioè azione per illeciti civili). Se dapprima erano stati ipotizzati risarcimenti per la cosiddetta wrongful diagnosis e per la wrongful therapy, con il tempo si è affermata anche la risarcibilità per la wrongful pregnancy (cioè gravidanza indesiderata), per la wrongful birth (cioè nascita indesiderata) e anche perfino per la wrongful life (cioè vita indesiderata). Il primo caso in Italia fu quello di Piacenza del 1950, in cui il figlio chiese il risarcimento dei danni per nascita indesiderata (nello specifico si trattava di wrongful life) poiché con il medesimo proprio concepimento i genitori avevano trasmesso la lue precedentemente contratta. Ciò che sembrava all’epoca un caso isolato, è divenuto, dopo alcuni decenni, un orientamento giurisprudenziale sempre più diffuso e consolidato. Tuttavia, considerando la vastità dell’oggetto di indagine, per ciò che riguarda questa analisi si porrà l’attenzione soltanto, e pur brevemente, alla wrongful pregnancy.

Le circostanze da cui sorge il danno a seguito di wrongful pregnancy, possono essere diverse. Comunemente si tratta però di interventi di sterilizzazione (quale è il caso di Udine) non efficaci o erroneamente eseguiti, o interventi di IVG (interruzione volontaria di gravidanza) falliti. Tuttavia si può rintracciare la causa anche in improprie somministrazioni di mezzi contraccettivi, o nella perdita di scelta o di chance tra interruzione o prosecuzione della gravidanza a seguito di un errore diagnostico del medico che non ha rilevato, per esempio, le eventuali patologie del feto che avrebbero legittimato l’IVG.  Il diritto ad essere risarciti secondo l’opinione della giurisprudenza, nasce non già dall’evento nascita in sé considerato (come affermano, per esempio, la sentenza del 27/03/2006 del Tribunale di Catania, o le sentenze del Tribunale di Monza del 19/04/2005 e del 10/06/2005, o la sentenza del Tribunale di Roma del 13/12/1994 ), ma dai danni biologici, esistenziali ed economici che dall’evento nascita possono scaturire per i genitori (cfr a titolo esemplificativo: Cass. civ. sez. III, del 04/01/2010 n. 13; Tribunale di Pesaro del 26/05/2008; Cass. civ. sez. III del 20/10/2005 n. 20320 ). Molta attenzione viene rivolta, per esempio, alla cosiddetta “procreazione cosciente e responsabile” che verrebbe meno laddove nascesse un figlio non voluto a seguito di SCNT o IVG fallite.

Ed è proprio qui che occorre considerare alcune obiezioni, costretti per motivi di spazio a tralasciare le osservazioni bio-giuridiche sulla SCNT, sulla IVG, sugli altri tipi di “nascita indesiderata”, sulla procreazione cosciente e responsabile e su tutta un’altra vasta serie di problematiche connesse. Sebbene le Corti italiane abbiano risparmiato la pena agli studiosi di diritto di dover apprendere tramite sentenze che la vita costituisca un danno in sé, non si sono risparmiate dal considerare che la vita possa rappresentare a sua volta una fonte di danno, per altri tipi di danno, in primis quello di natura economica che i genitori accuserebbero per accudire, crescere e sfamare la prole inaspettata. Per certi aspetti è un passo avanti, ma non per altri: è positivo poiché, se si effettua un paragone con l’estero, per esempio con la Francia, dove si sta lentamente, ma pervicacemente tentando di affermare il “diritto a non nascere” (azionabile proprio dal nato), si riscontra che in Italia vi sono state maggiori resistenze. Così nota, per esempio, la sentenza già citata del Tribunale di Catania a cui non sfugge, fortunatamente, la antinomicità di un simile diritto qualora venisse ad essere prospettato: «Il diritto a non nascere sarebbe un diritto adespota, sicché non avrebbe alcun titolare, appunto, fino al momento della nascita, in costanza della quale proprio esso risulterebbe peraltro non esistere più». Ma la situazione non è rosea per altri aspetti, in particolare se si scandaglia in profondità l’operato della giurisprudenza che appare palesemente orientato da un’ottica utilitaristica, come avviene ogni volta che la vita, o qualunque altro bene indisponibile, diventi suscettibile, in un modo o nell’altro, per un motivo o per un altro, di valutazione economica. Non si può fare a meno di ricordare, a questo punto, che nell’esperienza estera il dibattito è stato molto vivace, soprattutto negli Stati Uniti sul caso McKernan vs Aasheim del 1984, allorquando la Corte Suprema di Washington negò la risarcibilità del danno derivante da wrongful pregnancy spiegando che «la nascita di un bambino è più di una semplice responsabilità economica, in quanto può fornire ai suoi genitori amore, compagnia, senso di realizzazione ed una limitata forma di immortalità» ( cfr. il commento contrario alla decisione della Suprema Corte steso da Patricia Baugher dal titolo “Fundamental protection of a fundamental right: full recovery of child-rearing damages for wrongful pregnancy”, sulla Washington Law Review dell’ottobre del 2000 ).

Ciò che non si considera è che se per un verso è vero che la vita non è un danno in sé, per altro verso nemmeno può essere considerata essa stessa fonte di danno, poiché significa ammettere, più o meno implicitamente, che l’esistenza di un essere umano sia fonte di danno per l’esistenza di qualcun altro. Perché allora non ammettere il risarcimento per il tipico vicino di casa molesto che si ostina a vivere disturbandoci invece che morire e lasciarci in pace (cioè non per la molestia in sé, ma per l’esistenza molesta del vicino)? E quanto ci si avvicina, in tal maniera, alla legittimazione (giuridica e morale) dell’omicidio, e magari dello sterminio? Certo, nessuna Corte avrebbe mai il coraggio o la pretesa di giungere automaticamente a simili conclusioni, ma il sentiero percorso dai giudici, italiani e stranieri, che ponderano la risarcibilità della vita conseguita per wrongful pregnancy, si sviluppa per incoercibile necessità logica in questa direzione. La gravidanza, cioè il mistero dell’origine della vita che ancora è tale perfino per la scienza, ciò che Jerome Lejeune definì come “tempio segreto”, rifacendosi a sua insaputa all’elegante e fecondo di interessanti suggestioni, modo di chiamare il grembo materno tipicamente giapponese (shi-kyu, cioè “palazzo del bambino” ), è il momento non già foriero di danno, cioè di allontanamento dell’altro, ma di preparazione per accogliere l’altro. La biologia informa che lo stesso organismo della madre subisce enormi mutazioni chimiche e fisiche per apprestarsi ad accogliere l’altro. In un’ottica pienamente umana, che cioè sia relazionale e consapevole della portata strutturale per l’umanità di questa relazionalità, l’esistenza dell’altro non può essere fonte di danno, ma, invece, momento non solo di arricchimento, non solo di comunicazione, non solo di incontro del diverso, ma di conoscenza di se stessi, di dis-velamento della propria natura, del proprio essere, dell’essere (uomo). Cominciare a negare l’altro, la sua esistenza, il suo diritto a vivere, è il principio per cominciare a negare anche se stessi.

Come ha brillantemente intuito il pensiero di Emmanuel Levinas, «il problema dell’altro è il problema della giustizia», per cui negare l’altro, negare la sua dignità, pensare perfino che la sua esistenza possa rappresentare una fonte di danni (anche soltanto economici), significa non comportarsi secondo giustizia, secondo lo schema relazionale della natura umana, cioè non rendere all’altro ciò che gli spetta, in primis il diritto ad esistere senza essere suscettibile di giudizi economicamente valutabili ( direttamente come danno o indirettamente come fonte di danno ). Emmanuel Mounier ebbe cura di precisare che «la negazione dell’altro è sempre un principio di omicidio», così, si può concludere a contrario, il risarcimento pagato per una vita non desiderata, cioè la negazione dell’altro tramite denaro, potrebbe essere considerato il prezzo che si paga per evitare un omicidio, cioè l’eliminazione di colui la vita del quale costituisce una insopportabile fonte di danno. Senza dubbio è sempre meglio pagare una somma per salvare una vita, piuttosto che rischiare di perderla per omicidio, ma è anche vero che rimane intero ed insoluto il problema morale e filosofico della negazione dell’altro, messa in essere non già con l’evento mortifero tipico dell’azione omicidiaria, ma tramite un (sicuramente) più cospicuo, ma altrettanto immorale ed antigiuridico tantundem.

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I neutrini e Einstein: Piergiorgio Odifreddi contro Margherita Hack

I due più noti (unici?) appassionati di scienza dalla visione laicista-scientista che abbiamo in Italia sono certamente Piergiorgio Odifreddi e Margherita Hack. Il primo con mezza pubblicazione scientifica all’attivo e la seconda un’ottima direttrice di un’osservatorio astronomico. Nulla di più.

Il primo, Odifreddi, è un divertente militante anticlericale cui si è costruita attorno un’aurea da scienziato. E’ anche diventato celebre per essere stato premiato con “L’asino d’oro” per il “peggior articolo scientifico dell’anno”. In particolare la commissione scientifica, formata da diversi docenti universitari, ha valutato il lavoro di Odifreddi rilevando irrilevanza scientifica dell’argomento trattato, gravità concettuale degli errori commessi e gravi conseguenze culturali della divulgazione degli errori. Ma di lui ci siamo occupati fin troppo.

La seconda, Margherita Hack, ha invece molto più fascino e più attendibilità. Il suo antagonismo alla religione si basa in particolare su un’idea superficiale di laicità e sulla convinzione che l’uomo creda in Dio a causa della limitatezza della scienza. Quello dell’opposizione al “dio tappabuchi” è un ritornello che si sente in ogni suo intervento pubblico. E’ però un cosiddetto “uomo di paglia” dato che nessuna persona seria crede in Dio per tale ragione. Nel tempo tuttavia ha rivisto la sua radicale chiusura alla religione: «Gesù è stato certamente la maggior personalità della storia. Il suo insegnamento, se è resistito per 2000 anni, significa che aveva davvero qualcosa di eccezionale: ha trasmesso valori che sono essenziali anche per un non credente» (M. Hack, “Dove nascono le stelle”, Sperling & Kupfer, Milano 2004, pag. 198). E recentemente: «Non è che uno possa dimostrare che Dio c’è o non c’è. Essere atei o credenti è comunque un atto di fede». Negli ultimi anni ha però perso numerosi colpi, arrivando a scrivere libri pieni di errori scientifici come ha mostrato l’astrofisico Benvenuti (cfr. Ultimissima 9/6/11).

Nel commentare la recente scoperta scientifica, cioè che i neutrini viaggiano più veloce della luce, come si è verificato durante gli studi al Cern di Ginevra, i due guru anticlericali hanno mostrato posizioni radicalmente opposte. Odifreddi sostiene che «la relatività di Einstein non prevede affatto che la velocità della luce non possa essere superata! Lo si dice continuamente, ma questo non significa che sia vero. Ciò che la relatività prevede, è soltanto che ci debba essere una velocità limite che non può essere superata». La Hack invece dichiara: «Una scoperta clamorosa e totalmente inattesa che aprirebbe prospettive teoriche completamente nuove. La celeberrima equazione per cui E=mc2 prevede che se un corpo viaggiasse ad una velocità superiore a quella della luce dovrebbe avere una massa infinitamente grande. Per questo la velocità della luce è stata finora considerata un punto di riferimento insuperabile».

Ma i due sacerdoti dell’illusione scientista e laicista, nonché presidenti onorari dell’UAAR, non hanno sempre sostenuto forse che tra i comandamenti dell’ateo provetto la scienza debba risultare più affidabile della religione perché basata su dati di fatto non interpretabili in diverso modo? Possibile allora che i nostri due eroi presentino queste terribili divergenze proprio su una delle maggiori colonne portanti della scienza contemporanea?

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Il costo sociale della pornografica: un “regalo” della secolarizzazione

Una delle conseguenze più concrete della secolarizzazione è senz’altro la difficoltà per molti di riconoscere un significato vero della propria vita e il conseguente disperato desiderio di placare questa insoddisfazione perenne con tentativi anche parziali ed effimeri.

Tra questi vi è l’idolatria violenta della sessualità, la cui diretta conseguenza è la pornografia. Non è un caso se alcune star italiane del porno, come Moana Pozzi, Tinto Brass e Cicciolina (tornata agli onori della cronaca recentemente), abbiano scelto di entrare in politica proprio all’interno del Partito Radicale, ottima espressione politica della visione laicista della vita. Con la diffusione di internet, poi, la pornografica è diventata facilmente accessibile a chiunque e dovunque come mai era successo prima: sia il suo consumo che la sua produzione sono infatti in continua espansione.

Tutto ciò contribuisce a fare dell‘industria del porno un business sempre più redditizio che nei soli Stati Uniti muove almeno quattro miliardi di dollari all’anno. Un business che però non è privo di conseguenze. Proprio delle conseguenze sociali della diffusione della pornografia si è occupato recentemente “The Social Costs of Pornography, studio plurale coordinato da diversi istituti di ricerca statunitensi che ha raccolto i lavori di decine di accademici ed esperti di diversi settori: dalla medicina alla psicologia, dalle scienze sociali al diritto, con lo scopo di delineare un quadro a tuttotondo del fenomeno e delle sue conseguenze.

DIPENDENZA. La pornografia via internet, si legge nel report dello studio, può ingenerare comportamenti che la letteratura clinica e psicologica non esita a definire dipendenza: «proprio come la dipendenza da alcol, nicotina e altre sostanze. La dipendenza dalla pornografia può diventare persino più patologica» influendo negativamente sulle relazioni sociali dell’utente. La pornografia on line offre infatti un harem senza fine di intrattenimento hard, i suoi consumatori compulsivi finiscono così per iperstimolare il loro sistema emotivo provocando ripercussioni a livello neurologico: «gli uomini che ai loro computer utilizzano assuefatti la pornografia – dice lo psichiatra Norman Doidge – sono sorprendentemente simili ai topi in gabbia [di certi esperimenti scientifici] che premono la leva per ottenere una goccia di dopamina». Il terapista J.C. Manning mette in guardia dal sottovalutare il fenomeno: «coloro che sostengono che la pornografia sia un intrattenimento innocuo, un’espressione sessuale benigna o un aiuto coniugale, evidentemente non si sono mai seduti in uno studio di un terapista con individui, coppie o famiglie che tremano a causa dell’effetto devastante di questo materiale».

 

IL PIANO INCLINATO. A causa dell’onnipresenza della pornografia, avverte “The Social Costs of Pornography”, si assiste oggi ad un fenomeno di saturazione culturale per cui la televisione, le riviste e le canzoni pop contengono regolarmente «immagini, situazioni e testi che una generazione fa sarebbero stati etichettati come “soft porn”». La pornografia desensibilizza i suoi spettatori e di conseguenza muta non solo per quantità ma anche per qualità. I porno-utenti sono infatti portati ad utilizzare un immaginario sempre più hard che una volta avrebbero ritenuto sconvolgente: «i resoconti di chi l’ha visto descrive ciò che ora viene considerato “hard-core” in termini che sbalordirebbero l’immaginazione e scioccherebbero la coscienza di chiunque non sia un utilizzatore di pornografia hard-core», afferma il professor James Stoner.

 

IMMAGINE DELLA DONNA. La cultura pornografica contribuisce in maniera fondamentale a veicolare un’immagine degradante delle donne. Diversi studi accademici hanno mostrato che i ragazzi esposti all’intrattenimento sessualizzato dei media hanno una propensione sensibilmente maggiore a «guardare la donna come un oggetto sessuale» invece che come una persona, mentre l’esposizione abitudinaria alla pornografia può predisporre le adolescenti a comportamenti sessualmente rischiosi. Inoltre «le ragazze esposte alla pornografia hanno più probabilità di essere vittime di violenza sessuale. La normalizzazione della promiscuità porta le adolescenti anche ad un rischio maggiore di contrarre malattie sessualmente trasmissibili».

 

FAMIGLIA. Nel bilancio nascosto dell’industria del porno c’è spazio anche per altre vittime: le famiglie. La scoperta che il partner ricorre alla pornografia ha spesso delle ripercussioni nei rapporti interpersonali: costi psichici, oltre che una maggiore probabilità di rottura dell’equilibrio famigliare. In più, come afferma il terapista Manning, la pornografia «è spesso associata ad attività che minano l’esclusività e la fedeltà coniugale e aumentano il rischio di trasmissione di malattie veneree». Al riguardo, uno studio pubblicato su Social Science Quarterly rivela che tra i clienti delle prostitute i porno-utenti sono quattro volte più numerosi di chi non ricorre all’intrattenimento hard. Lo stesso studio mostra che tra coloro che hanno una relazione extraconiugale è tre volte più probabile trovare un uomo che utilizza pornografia on line, rispetto ad uno che non ne fa uso.

 

BAMBINI E ADOLESCENTI. Non c’è nessun dubbio, afferma la ricerca, sul fatto che oggi bambini ed adolescenti siano esposti alla pornografia come mai era successo prima d’ora. Quest’esposizione risulta particolarmente dannosa per i più piccoli perché è un «modo brutale di essere introdotti alla sessualità» ed è il viatico per comportamenti sessualmente aggressivi. La correlazione pornografia/violenza è ricorrente in diversi studi in materia: alcune ricerche sull’argomento, tra cui una italiana, hanno mostrato che gli adolescenti che utilizzano materiale hard hanno più probabilità di «aver tormentato sessualmente un coetaneo o aver forzato qualcuno ad avere un rapporto sessuale» rispetto ai loro pari che non ricorrono alla pornografia e che la quasi totalità dei giovani sex offenders è stata esposta a materiale a luci rosse durante l’infanzia.

 

PORNOGRAFIA E VIOLENZA. La pornografia, sostiene la psichiatra Mary Anne Layden dell’Università della Pennsylvania, ha la capacità «non solo di insegnare attitudini e comportamenti sociali, ma anche di dare il permesso per metterli in pratica». La legittimazione dell’uso della forza per fini sessuali è considerata dagli studiosi l’influenza più insidiosa della pornografia, soprattutto di quella che ricorre ad un immaginario violento. Tra i sex offenders l’83% degli stupratori e il 67% dei molestatori di minori ha dichiarato di fare uso di materiali hard-core, mentre tra i non-offenders la percentuale scende di molto (29%). Gli studi in materia rivelano che più frequentemente gli uomini usano la pornografia e più violento è il materiale utilizzato, più aumenta la spinta a compiere aggressioni sessuali. «Complessivamente – osserva in conclusione la psichiatra – il corpo della ricerca sulla pornografia rivela una quantità di atteggiamenti e comportamenti negativi che sono connessi al suo uso. La pornografia funziona come un maestro, una legittimazione ed un pulsante di accensione per questi comportamenti negativi. Il danno si riscontra in uomini, donne, bambini e in adulti sia sposati che single. Riguarda comportamenti patologici, comportamenti illegali e alcuni comportamenti che sono sia illegali che patologici».

Maurizio Ravasio

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Qualche ragione per opporsi all’eutanasia…

Ancora una volta viene riproposto dal gruppo “Sentinelle del mattino” (www.sentinelledelmattino.org) la versione “evangelizzata” del “World Cafè”, metodo di discussione guidata da un relatore intorno a un tema. 

In particolare vogliamo proporre in questo articolo un video dell’incontro tenuto dal prof. Andrea Mondinelli circa la questione del “fine vita”.

 
 
 
 

 

Il ragionamento di Mondinelli, che è possibile visionare nel video qui sotto, si può riassumere in pochi ma fondamentali 5 punti quali:

1) La vita è un dono di Dio, noi non ci siamo “creati da soli” e in questo senso la vita “non ci appartiene”. Non è quindi diritto di nessuno poter decidere circa la vita o la morte di altri individui.
2) Man mano che il progresso scientifico aumenta si trovano cure (totali o parziali) di malattie che vengono tuttavia ancora considerate come “giustificazione” per togliere la vita. Un esempio è quello riguardante la spina bifida, nonostante si sono fatti passi da giganti circa la cura e la prevenzione di questa patologia in molti paesi (come l’Olanda) si continua a impedire la naturale sopravvivenza del bambino.
3) Porre fine alla vita di individui con determinate patologie o in determinate condizioni è veramente nell’interesse dell’individuo o nell’interesse degli altri, specie in vista di un “danno economico a terzi”? E’ forse doveroso ricordare come dell’uomo che ha attuato la più grande politica di “sterminio” di persone disabili proprio per motivazioni economiche: Adolf Hitler. Quello che ne è derivato lo sappiamo tutti.
4) Sarebbe adeguato, prima di mettersi a fare discussioni filosofiche sul fatto se sia giusto o meno terminare una vita per via “non naturale”, ascoltare le testimonianze di chi ha visto la propria vita rifiorire con il tempo, cosa che non sarebbe stata ovviamente possibile se fosse stato considerato “non degno di vivere” con tutto ciò che ne consegue.
5) Non ci potremmo mai trovare davanti alla certezza totale della volontà di una persona di voler morire, il testamento biologico infatti viene redatto sostanzialmente in una situazione “di normalità”, ma è impossibile per chiuqnue consocere la volontà di una persona attaccata a una macchina e che sta lottando tra la vita e la morte.

Alan Parederia

 

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Omosessualità: «uscirne si può, io l’ho fatto!»

Dopo averne verificato la veridicità biografica, pubblichiamo la testimonianza di Adamo Creato (il nome è a protezione della privacy). Seppur citate, non si avvallano “terapie” o “guarigioni”, ma si racconta un’omosessualità indesiderata dalla quale il protagonista è “uscito”, trovando/ritrovando il suo potenziale eterosessuale. La stessa esistenza degli ex-gay è “politicamente scorretta”, crea scomodità, è ignorata dai media e sono persone spesso vessate dall’associazionismo Lgbt. E’ dunque ancora più importante ascoltare quel che di così “fastidioso” hanno da dire.

 
di Adamo Creato*
*ex omosessuale
 

Sono un ragazzo romano di 28 anni che non si è fatto mancare nulla. Vivendo in perenne atteggiamento di ricerca, non riesco a farmi bastare un “è così… punto”. Cerco continuamente i motivi delle cose della mia vita. Ho iniziato a sentire il SSA (same sex attraction) quando ero impegnato già da tempo ad esplorare la sessualità con le ragazze. Presto ho capito che il mio aspetto fisico risultava molto attraente agli occhi delle ragazze e di questo mi sentivo fiero. Ho iniziato ad accorgermi, però, che quell’ascendente lo avevo anche sui ragazzi omosessuali e… ho provato. Da quel momento qualcosa è successo nel profondo di me stesso, tanto da crearmi una dipendenza, finché quasi non distinguevo più se il partner sessuale col quale mi intrattenevo era un uomo o una donna.

Sono entrato con tutti e due i piedi nel “mondo gay”, in quello delle amicizie, del “sesso creativo”, delle sostanze, dei locali, del linguaggio “da gay”, dell’attivismo. Ho abbracciato ipso facto il “gay pensiero” secondo il quale “gay è meglio” attraverso un indottrinamento sistematico indirizzato al raggiungimento dello status di “gay risolto” ovvero del gay, orgoglioso d’esserlo, che ha terminato il processo di accettazione di se stesso quale esponente di un genere sessuale perfettamente autentico e naturale. Ero (e sono) cattolico ma preferivo stordirmi piuttosto che pensare, e abbandonai la fede.

Però non si scappa: puoi nascondere anche l’evidenza ma quel nodo che hai dentro, se non cerchi di scioglierlo, continua a stringere finché si palesa dolorosamente. E fu così che mi accorsi che quel mondo che stavo vivendo come una sorta di terra promessa non dava nessuna risposta alle mie questioni vitali. Ho iniziato allora ad approfondire. Ho voluto capire me stesso, capire perché, nonostante avessi tutto, in realtà rimaneva solo un vuoto interiore, un’insoddisfazione che gridava vendetta. Ingaggiai la ricerca spasmodica di tutto ciò che poteva darmi delle risposte. Ho studiato approfonditamente tutto ciò che c’era da approfondire: dalla storia del movimento di liberazione omosessuale, al magistero della Chiesa cattolica, dalla GAT (Gay Affirmative Therapy) alla Terapia Riparativa di Joseph Nicolosi. Ho studiato, partecipato a convegni, approfondito, discusso, contestato. Sono passato e ripassato attraverso molti stadi: andavo e venivo da diverse convinzioni. Passavo dal sentirmi con tutte le mie forze un “orgoglioso finocchio” alla convinzione di essere totalmente schiavo delle mie passioni. E continuavo a cercare, studiare, approfondire, discutere, litigare… perché nulla mi dava mai una risposta che stimolasse il mio primo passo verso una direzione (“sono e voglio essere gay“) o l’altra (“provo attrazione verso persone del mio stesso sesso ma questo non mi rende felice e non lo desidero più“).

Oggi ho capito molte cose di me stesso. Ho capito soprattutto che tutte le volte che, all’attrazione omosessuale ho fatto seguire i fatti concreti, sono entrato in contrasto con la mia serenità. “Non sei mai stato omosessuale”, mi viene detto, “ma forse hai solo voluto esplorare un ambito che ti incuriosiva. Oppure sei bisessuale con prevalenza eterosessuale e le tue convinzioni catto-bigotte ti impediscono di vivere serenamente queste esperienze”. La mia storia personale, invece, mi portava ad altri ragionamenti e conclusioni diverse. Ho iniziato a capire che quelle attrazioni non erano spontanee né volute. Cosa cercavo assecondando quelle pulsioni? Cosa le provocavano e quali effetti avevano nella vita di tutti i giorni? Come avevano modificato il mio punto di vista e le relazioni sociali? Ne stavo avendo un vantaggio? Le desideravo? Domande che rimanevano senza risposta finché mi accorsi che erano proprio le domande che avevo imparato ad evitare. L’unica teoria accettata dagli attivisti gay è: “divertiti e fai quello che ti piace, momento per momento; non esiste nulla di giusto o sbagliato, esiste solo quello che ti piace.” E con questa filosofia di vita impari a non porti domande: quello che conta è combattere tutto ciò che impedisce il tuo edonistico stile di vita.

E’ stato doloroso ammettere a me stesso di essere una persona debole, incline alle dipendenze, ma questo mi ha aperto la strada alla possibilità di conoscere i meccanismi profondi che gestivano la mia vita e che mi avevano portato ad una depressione profonda. Nonostante fosse rimasta dentro di me l’idea di un Dio misericordioso, sentivo che se Dio esisteva, certamente mi rifiutava e mi giudicava. Questo sentimento era in netto contrasto con quel Dio amoroso che la Chiesa mi aveva sempre predicato, ma era quello che avevo imparato dalla “predicazione gay”. Incontrai un vecchio amico, un fratello nella fede, anch’egli caduto nella trappola dell’omosessualità. Quel giorno, senza dilungarmi sugli avvenimenti “casuali” che portarono a quell’incontro, è stato per me la risposta a tutte le domande e alla situazione di prostrazione psicologica e spirituale in cui mi trovavo.

Se c’è un luogo in cui sei sempre accolto ed amato, dove non vieni giudicato ne tantomeno condannato è la Chiesa. E’ il luogo della misericordia e delle risposte concrete alle tue sofferenze. La Chiesa cattolica mi ha accolto con una tenerezza ed una competenza impressionanti, senza chiedermi nulla: è questo il suo modo d’agire. E’ l’unico luogo dove chiunque trova ristoro per la propria anima. E’ un utero dove vieni rigenerato ad una vita nuova, senza sforzo. Non è questione di “impegno” personale, di aderire a dei comandamenti, obbedire ad una morale. Ma è rinascere come una nuova creatura, una gestazione. Dio non ti toglie i peccati, non ti fa vivere come un alieno fuori dal mondo e staccato dai tuoi simili. Per questo il cristiano non giudica nessuno perché conosce se stesso, conosce le sue debolezze e le sue miserie: ha imparato che se dipendesse da lui sarebbe molto peggiore di colui che pretende di giudicare. E se qualche meraviglia accade nella sua vita è grazie alla misericordia di Dio.

Oggi, grazie ad un cammino di fede mi sento liberato dai lacci dell’omosessualità, dalla dipendenza del sesso e della pornografia. Ma soprattutto ho imparato che non sono un monolite inattaccabile perché le cadute sono sempre dietro l’angolo. Ma quello che mi rende sereno è che se cado mi rialzo. Non è più questione di omosessualità o di superbia o di adulterio: tutti siamo deficienti in una cosa o in un’altra. Ma l’importante è non disperare, avere pazienza con se stessi e rialzarsi dopo ogni caduta. E’ tutta un’altra cosa. Oggi posso dire di essere, rispetto all’omosessualità, una nuova creatura, una persona salvata da quello che mi rendeva la vita impossibile. Oggi la mia metà non potrebbe che essere una ragazza. Sebbene non abbia mai provato disinteresse nei confronti delle ragazze, oggi provo -con gratitudine verso Dio-, disinteresse sessuale nei confronti dei ragazzi. Qualcuno potrebbe dire (e lo fa) che ho trovato un escamotage per azzittire i miei sensi di colpa, ma uscire dall’omosessualità non è un cammino esclusivamente religioso. Moltissime persone percorrono con successo cammini o esperienze diverse e tutte sono degne di rispetto.

 
Aggiornamento 23/10/11: in seguito al discutibile assalto mediatico contro questa testimonianza da parte della giornalista Eleonora Bianchini, su “Il Fatto Quotidiano”, abbiamo pubblicato una risposta chiarificatrice

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Nel 2013 la teoria del Multiverso verrà confermata o confutata?

Da qualche mese è nato un sito web molto interessante, è quello del biologo e insegnate Enzo Pennetta (www.enzopennetta.it). E’ aggiornato abbastanza frequentemente e gli articoli che appaiono sono decisamente da prendere in considerazione.

Recentemente Pennetta ha parlato delle dichiarazioni del cosmologo della University College di Londra, Hiranya Peiris, il quale ritiene che studiando la radiazione cosmica di fondo sia possibile provare o meno la teoria del Multiverso, cioè l’esistenza di universi paralleli al nostro. Bisognerà però aspettare il 2013, quando saranno elaborate le osservazioni del Planck telescope. Secondo Peirs «potrebbe fornire all’idea una base più solida, o la confuterebbe». La teoria del Multiverso, come ha anche spiegato Michele Forastiere presentando il suo libro “Evoluzionismo e cosmologia” (Cantagalli 2011) (cfr. Ultimissima 19/5/11), nasce per spiegare l’incredibile quantità di “casualità” che ha permesso la vita nell’Universo e la nascita dell’essere umano. Come disse Freeman Dyson, infatti sembra proprio che “l’universo ci stava aspettando”, cioè che sia fatto apposta per far nascere la vita. Quest’idea ovviamente, che è poi la questione del “principio antropico“, rimette l’uomo al centro del cosmo, collidendo con l’ipotesi neodarwiniana di un meccanismo che abbia alla base solamente “caso e selezione”.

Per sminuire l’importanza dell’uomo (con ovvi intenti filosofici e anti-teistici) i neodarwinisti hanno dunque postulato l’esistenza di miliardi di altri universi, ciascuno con differenti costanti e leggi fisiche. In questo modo, in mezzo a tanta varietà, sarebbe plausibile trovarne uno con le caratteristiche giuste per la nascita e l’evoluzione della vita. In poche parole -continua Pennetta-, per salvare il caso come unica origine della complessità del vivente, è necessario moltiplicare infinitamente le “partite” giocate dal caso, in modo che almeno una, quella nel nostro universo, dia come risultato la improbabilissima combinazione vincente.

Il tentativo nasce anche sull’evidente e sempre maggiore incompetenza della teoria neodarwiniana di reggere alla modernità, costretta ad aggrapparsi all’indimostrabilità (antiscientifica) dell’esistenza di universi infiniti. Ma se Peiris ha ragione, nel 2013 ci sarà la svolta: o la teoria del multiverso sarà confutata, e allora bisognerà dare una nuova spiegazione al principio antropico o ammettere che l’universo ha una regolazione fine, e dunque postulare sensatamente un progetto teleologico, oppure la teoria del multiverso verrà confermata. Ma anche se fosse non potremo mai sapere nulla su questi altri universi e la questione rimarrà sempre un’ipotesi aleatoria. In ogni caso, conclude il biologo, «saranno tempi difficili per evoluzionisti come Richard Dawkins che dovrà rinunciare ad appoggiarssi all’idea di un multiverso o, nella migliore delle ipotesi, dovrà ammettere di non sapere, e di non poter mai conoscere anche in futuro, cosa esattamente sia avvenuto e ancora avvenga negli altri universi».

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