Anche nel centrosinistra una sana idea di laicità

Nello schieramento politico di centrodestra si è più volte dimostrata l’intenzione di perseguire un’idea di laicità positiva, in linea con quanto espresso da Benedetto XVI nel suo messaggio del marzo scorso al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «L’Accordo [del Concordato lateranense, Nda] ha contribuito largamente alla delineazione di quella sana laicità che denota lo Stato italiano ed il suo ordinamento giuridico, ha evidenziato i due principi supremi che sono chiamati a presiedere alle relazioni fra Chiesa e comunità politica: quello della distinzione di ambiti e quello della collaborazione».

La situazione del centrosinistra invece appare oggi un po’ più complessa. I moderati di sinistra devono infatti convivere con sedicenti cattolici (Rosy Bindi, Ignazio Marino ecc.), con fondamentalisti anti-cattolici (Flores D’Arcais, Marco Politi, Stefano Rodotà, Corrado Augias ecc.), con personaggi controversi (Paola Concia, Franco Grillini, Vladimir Luxuria ecc.) e con la perversione laicista del Partito Radicale (Turco, Bonino, Pannella, Cappato, Bernardini, Englaro ecc.). Il timore è quello che l’errata idea di laicità di questi personaggi possa passare per osmosi anche ai loro compagni di schieramento. Siamo per questo molto lieti di sottolineare, oltre all’aumento di consensi per Matteo Renzi (che molti vedono come futuro leader del PD), anche un sottile cambiamento editoriale del quotidiano “L’Unità”, da sempre molto lontano dalla Chiesa. Lo si capisce dai continui interessanti contributi che don Filippo Di Giacomo (stranamente un sacerdote mediatico “amico” di Ratzinger) fornisce dalle colonne dell’ex quotidiano del PCI e anche dalla frequente espressione di un concetto di laicità sano e positivo e non strumentalizzato.

Ci riferiamo ad esempio al commento più interessante di questi giorni, quello che la docente di Storia delle dottrine politiche all’Orientale di Napoli, Francesca Izzo, leader del movimento “Se non ora quando?” ha pubblicato sul quotidiano di Claudio Sardo in merito al recente intervento del cardinal Bagnasco. La docente spiega: «Per la ricostruzione di un tessuto nazionale, che sani fratture territoriali, sociali, culturali, etiche e non ultime di genere, le scelte oggi dinanzi al mondo cattolico italiano risultano essenziali». Esprimendo quali siano le questioni che stanno più a cuore a lei e ai credenti e non credenti, cita «lo sviluppo di una idea di laicità “post-secolare” che porti a riconoscere e legittimare la piena cittadinanza, nella sfera pubblica, del linguaggio religioso. Una laicità che metta in discussione il modello “francese”, secondo cui in democrazia la laicità consiste nel relegare la fede religiosa, con il suo corollario di convincimenti riguardanti la condotta di vita, alla dimensione privata e all’interiorità». La Izzo prosegue sostenendo correttamente che «l’idea di laicità post-secolare, avanzata da Habermas, più di un decennio fa proprio in dialogo con l’allora cardinale Ratzinger, è rimasta sullo sfondo […]. Il filosofo tedesco ha sollevato interrogativi seri rispetto alle tradizionali e consolidate visioni del rapporto tra secolarizzazione e modernità, tra fede, scienza e politica. Ha criticato un’idea semplificata di modernità – che una certa lettura dell’Illuminismo ci ha trasmesso e che sembra dominare tanta parte dell’immaginario contemporaneo – secondo la quale la secolarizzazione, frutto del progresso scientifico, rende anacronistiche le credenze religiose perché prive di contenuto razionale. Habermas ha cercato di mostrare invece che non solo sul piano etico ma anche su quello conoscitivo il linguaggio religioso ha un contenuto razionale e che la pretesa del discorso razionale-illuministico di essere assolutamente nel giusto appare metafisica al pari dell’integralismo religioso».

Su Il Corriere della Sera 1/10/11 il leader del PD, Pierluigi Bersani, ha scritto: «I fermenti di responsabilità e partecipazione che emergono dal mondo cattolico sono un’importante novità positiva per l’Italia. Il Pd è un partito di laici e di cattolici, è un partito che riconosce i propri valori in quelli di un umanesimo forte, è un partito che ascolta con rispetto e attenzione le preoccupazioni della Chiesa riguardo alla vita del Paese, nella peculiarità del suo magistero. Vogliamo che il nostro progetto per l’Italia sia espressivo anche di tante energie positive e vitali che il mondo cattolico esprime, in particolare su un arco di temi che va dalle questioni sociali a quelle educative, a quelle antropologiche». Sull’Unità 1/10/11 è invece intervenuto Vannino Chiti vicepresidente del Senato, il quale sostiene: «Tanti i credenti nel Pd per questo non temiamo il dialogo con la Chiesa L’esperienza religiosa riveste per noi importanza sia nella vita individuale, che in quella pubblica: ci siamo misurati con i temi posti dalla Settimana sociale dei cattolici italiani o dall’Enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate. I nostri gruppi parlamentari dovrebbero ora approfondire i due importanti discorsi del pontefice, a Londra e Berlino, sul valore del costituzionalismo». Walter Veltroni su Il Foglio 1/10/11 scrive: «Io sto con il Papa. Io che non credo o che, come ho detto sinceramente “credo di non credere”, ho ascoltato con enorme interesse l’affascinante discorso al Parlamento tedesco di Benedetto XVI nel quale ha lanciato un invito che non può non essere raccolto. Gli argomenti di Ratzinger sono forti, proprio perché aperti […] a me paiono di straordinario interesse e suggestione sul piano intellettuale e di potenziale fecondità sul piano politico». Sempre sull’Unità 6/10/11 Livia Turco (cattolica “adulta”) scrive: «L’aspetto che più mi ha colpito della prolusione del presidente della Cei è la cosiddetta “visione antropologica”, la critica all’individualismo ed al radicalismo […]. Personalmente lo considero un approccio molto fecondo. Farebbero bene le diverse culture politiche a collocarsi su questo piano della discussione e della sfida. Che cosa significa questa proposta per la cultura della sinistra? Io credo, mettere in discussione una concezione dei diritti che talvolta si è basata su una visione riduttiva della libertà personale e dell’autodeterminazione».

Dallo schieramento di centrodestra non ci sono state reazioni particolarmente interessanti, oltre al richiamo a non strumentalizzare il discorso di Bagnasco e ad un commento fuori luogo della leghista Carolina Lussana.

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Inizia il corso di Specializzazione in Studi Sindonici

Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Emanuela Marinelli, laureata in Scienze Naturali e Scienze Geologiche presso l’Università La Sapienza di Roma, studiosa della Sindone da oltre trent’anni, una delle più grandi esperte a livello mondiale. Sul Sacro Lino ha tenuto centinaia di conferenze e ha scritto numerosi libri. Ne ricordiamo alcuni: “Alla scoperta della Sindone” (Edizioni Messaggero 2010), “La Sindone: testimone di una Presenza” (San Paolo 2010) e “La Sindone: analisi di un mistero” (SugarCo 2009)». La prof. Marinelli  si è resa anche disponibile a rispondere ad eventuali domande che potranno essere postate nei commenti sotto l’articolo.

 

di Emanuela Marinelli*
*sindonologa

La Sindone è senza dubbio la reliquia più importante della Cristianità e ci sono fondati motivi, documentati dai risultati di rigorose analisi scientifiche, per ritenerla autentica. A questi si aggiungono numerosi indizi storici e iconografici della sua presenza nel Vicino Oriente durante i secoli passati.

Questo lenzuolo funebre è un documento straordinario che ci mostra non solo il sangue versato dal corpo martoriato di Cristo ma anche le sue sembianze misteriosamente impresse. Studiare la Sindone è meditare sulla Passione di Gesù e arrivare alla soglia della sua Risurrezione. Approfondire questo argomento è dunque un percorso affascinante fra storia, scienza e fede.

Per compiere questo cammino con gli strumenti più opportuni viene offerto dall’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, in collaborazione con il Centro Internazionale di Sindonologia di Torino, un corso per conseguire il Diploma di Specializzazione in Studi Sindonici. La durata è di un anno accademico, diviso in due semestri. Le lezioni, tenute dai massimi esperti di Sindonologia, si rivolgono non solo a chi si occupa di evangelizzazione e di catechesi, ma anche a tutti coloro che vogliono avere solide basi di conoscenza su questo tema particolare. Una novità molto importante del corso che sta per iniziare è che c’è la possibilità di seguire a distanza tutte le lezioni attraverso un apposito link.

Le iscrizioni sono aperte fino al 24 ottobre 2011, ma dato che la prima lezione si terrà mercoledì 19 ottobre bisogna affrettarsi per non perdere il primo incontro! Tutte le informazioni dettagliate si possono trovare a questo link.

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Gli scienziati ignoranti e il culto di Darwin


di Enzo Pennetta*
*biologo



La riflessione del Nobel Sydney Brenner sull’ignoranza degli scienziati è stata riportata in un articolo del Sole 24 ORE del 18 settembre intitolato “L’errore di Darwin”.  In realtà l’autore dell’articolo, Gilberto Corbellini, l’ha utilizzata per realizzare un piccolo trattato di apologetica darwiniana. L’accusa che muove agli scienziati è infatti di attribuire anche un solo errore a Darwin: per l’autore pensare che Darwin abbia sbagliato qualcosa può essere solo frutto di ignoranza.

Corbellini esordisce dicendo che intorno a Darwin è maturato una specie di “culto”. Il fatto in realtà era stato già denunciato anche da J. Fodor e M.P.Palmarini nel loro libro “Gli errori di Darwin”, ma parallelamente, secondo il giornalista, sarebbe maturato anche un “desiderio incontenibile di minarne la pervasiva credibilità scientifica”. Mentre riguardo al “culto” di Darwin nell’articolo non viene poi detto più nulla, viene invece chiarito il pensiero dell’autore sui critici dello scienziato inglese: “Non sorprende che creazionisti, fanatici religiosi o politici e scienziati falliti fraintendano Darwin, nella speranza di cancellare l’impatto degli avanzamenti scientifici e miglioramenti della cultura laica avvenuti grazie al suo impulso”.

Il messaggio è dunque molto chiaro: solo chi fraintende Darwin potrebbe giungere a criticarlo, e se a criticarlo fosse una persona di scienza, costui non potrebbe essere altro che uno “scienziato fallito”. In sintesi nell’articolo si rimprovera dunque ai critici di Darwin di essere dei falliti o degli ignoranti della storia della scienza, il bello è che un po’ di conoscenza della storia della scienza avrebbe invece consigliato all’autore una posizione più cauta. Sarebbe stato infatti sufficiente andare a studiare cosa avvenne alla teoria di Darwin tra la fine dell’800 e la prima parte del ‘900 per non lanciarsi in un giudizio così pesante: in quegli anni nessuno più sosteneva l’evoluzione darwiniana. Tanto che gli storici della scienza chiamano quel periodo “Eclissi del darwinismo” (consiglio al riguardo un bellissimo libro “The Eclipse of Darwinism”, P.J. Bowler – The John Hopkins University Press) .

Un’ulteriore testimonianza in questo senso è fornita anche dal carteggio del 1935 tra il biologo Umberto D’Ancona (1896–1964) e il matematico Vito Volterra (1860–1940), in cui si può leggere la seguente affermazione: “In merito all’evoluzione non credo che oggi nessuno zoologo possa obbiettivamente dire di essere darwinista. Oramai questa è una fase superata. Si può essere evoluzionista, ma non più darwinista…”.  Se dunque solo degli scienziati falliti potrebbero criticare Darwin, dobbiamo dedurre che il mondo scientifico di quel tempo era composto tutto da “scienziati falliti”.

Ma per fortuna secondo l’articolo ci sono anche altri scienziati, quelli buoni, ma inaspettatamente anche loro oggi sembrano purtroppo criticare Darwin, e questo impensierisce l’autore. Il fatto è che negli ultimi decenni si è scoperta una forma di ereditarietà che non passa attraverso il cambiamento delle basi nucleotidiche del DNA, si tratta dell’ereditarietà epigenetica che può essere indotta dall’ambiente. Secondo gli scienziati “non falliti” questa sarebbe però una teoria di Lamarck bocciata da Darwin. Ma effettivamente le cose non stanno così, e su questo l’articolista ha ragione, Darwin sull’ereditarietà dei caratteri acquisiti la pensava proprio come Lamarck. Il problema è che sui libri di testo è difficile che ciò venga detto.

Quel che si lamenta nell’articolo viene sottolineato con una frase del Nobel Sydney Brenner che: “stigmatizza l’ignoranza degli scienziati che deambulano negli odierni laboratori e aule, in merito alla storia degli argomenti che studiano”. Cioè si afferma che gli scienziati sono degli ignoranti perché non sanno che in realtà Darwin aveva proposto proprio l’ereditarietà dei caratteri acquisiti in una teoria che chiamò “Pangenesi”. Vorrei a questo punto spendere due parole in difesa degli scienziati ignoranti, scienziati che evidentemente testimoniano una diffusa inadeguatezza degli atenei. Dell’ignoranza in fatto di storia della scienza però non si può far ricadere la colpa sui poveri scienziati. Infatti, se per decenni nei libri di testo si è fatto credere che la differenza tra Lamarck e Darwin era nella trasmissione dei caratteri acquisiti opposta al caso darwiniano (oltre che nella selezione naturale) non possiamo prendercela con gli scienziati stessi, ma con chi ha voluto, permesso o solo ignorato che questo venisse insegnato nelle scuole e nelle università.

L’operazione che viene fatta però non appare solamente quella di ristabilire la verità dei fatti, ma quella di mitizzare Darwin, rendendolo un personaggio incapace di sbagliare (non avveniva così anche nei regimi comunisti con i miti dei fondatori: Lenin, Stalin, Ceausescu ecc… avevano mai sbagliato qualcosa?). Che le cose stiano proprio così è confermato dal passaggio centrale dell’articolo: “volendo giocare a leggere le recenti scoperte alla luce della scontata diatriba Darwin vs Lamarck, queste dimostrano che Darwin ha ragione… anche là dove sbaglia”. E inseguito, una volta stabilito che non è più una castroneria dire che Darwin aveva ipotizzato l’ereditarietà dei caratteri acquisiti, l’operazione viene completata effettuando un vero e proprio “scippo” della stessa ereditarietà dei caratteri acquisiti al povero Lamarck: “…le recenti scoperte sull’ereditarietà epigenetica danno eventualmente ragione a Darwin. Perché l’ereditarietà dei caratteri acquisiti non è una teoria lamarckiana…”.

Ecco dunque che, secondo il giornalista del Sole 24 ORE, l’ereditarietà dei caratteri acquisiti non sarebbe una teoria lamarckiana. Questa informazione ci permette di porre tra gli scienziati “ignoranti” nientemeno che un biologo del calibro di Sir Julian Huxley, uno dei grandi nomi della Sintesi moderna, autore nel 1942 del libro “Evolution: The Modern Synthesis”. Lo stesso J. Huxley, in un opera del 1931, “The Science of Life”, affermava: «Egli (Darwin) non contraddisse l’ipotesi lamarckiana, ma aggiunse un nuovo fattore nel processo, fattore che derivò da Malthus». Quindi inaspettatamente apprendiamo che anche il grande Julian Huxley, nipote di T. H. Huxley, noto come il mastino di Darwin, era uno scienziato ignorante! 

Meglio dunque sacrificare persino un personaggio come Julian Huxley che trovare qualcosa che Darwin non abbia scoperto: non sia mai che qualcosa di giusto non sia stato detto dal mitico fondatore. Insomma, quando l’ereditarietà dei caratteri acquisiti era considerata un’idea errata era stata proposta da Lamarck, adesso che è diventata l’ultima frontiera della biologia bisogna dire che è stata invece proposta da Darwin!

Per accettare queste giravolte in stile sovietico agli scienziati non basterà essere solo ignoranti.

Articolo pubblicato anche su: www.enzopennetta.it

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La città di Milano accoglie il nuovo arcivescovo Angelo Scola

Come tutti sappiamo, Benedetto XVI ha nominato il cardinale Angelo Scola arcivescovo di Milano, una delle Diocesi più importanti del mondo. L’ex Patriarca di Venezia ha fatto ingresso ufficiale in Duomo il 25 settembre 2011.

Sottolineiamo le belle parole con cui è stato accolto dal laico Oscar Giannino, importante giornalista economico italiano: «Sono abbastanza cresciutello da sapere che la Chiesa non si giudica dagli uomini che la guidano. Ma il mio tifo si deve all’entusiasmo con il quale da anni leggo e divoro gli scritti di Scola. Su di me le sue parole hanno la facoltà di rendere tangibile la centralità dell’Uomo come destinatario del messaggio di un cristianesimo fatto per “rivoluzionare” nella storia e nella carne e nel sangue la nostra presenza qui. Io vengo da un mondo e da una formazione e una cultura laica e anzi laicissima. Scola ha saputo e voluto sempre parlare ai laici, è uno dei fili rossi più tenaci della sua missione culturale e pastorale. E io di questo gli sono infinitamente grato non perché abbia titolo per parlare a nome di chiunque altro. Ma solo perché mi ha tanto scaldato il cuore, frizionato la testa, sommosso le viscere, gonfiato i polmoni. Mi fermo alle ragioni del cuore. E alla felicità per la facoltà, d’ora in poi, di abbeverarmi direttamente andando in Duomo, non più solo leggendo». Molto belle anche le parole di Giovanni Bazoli, Presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, quelle del filosofo Massimo Cacciari e di quelle usate dall’editorialista de “Il Corriere della Sera”, Aldo Cazzullo.

Il mondo della cultura ha poi ufficialmente incontrato il nuovo Arcivescovo al Museo Diocesano. A questo link è possibile vedere il video dell’intervento di Scola. Presenti all’evento, in particolare, il rettore dell’Università Statale Enrico Decleva, lo scrittore Ferruccio Parazzoli, i giornalisti Gad Lerner e Gianni Riotta. Sopratutto è da rilevare il bell’intervento di Giacomo Poretti, attore, sceneggiatore e regista, membro dell’amatissimo trio comico di Aldo, Giovanni e Giacomo: «A Milano ci sono le code in via Montenapoleone per il saldi, ma ci sono più code alla Caritas per i pasti». E ancora: «noi cercheremo di non perdere di vista Dio, ma lei, che, se posso dirlo, è un po’ come il Sindaco delle anime, ci aiuti a non perder la strada per la Madonnina. E che Dio non perda di vista il suo Vescovo e Milano!».

Qui sotto il video del discorso dell’attore Giacomo Poretti

 

Qui sotto il video con l‘abbraccio della folla (oltre 30 mila persone) all’arrivo in piazza Duomo del nuovo Arcivescovo

 

Qui sotto il video dell’omelia dell’Arcivescovo

 

Qui sotto il video con il saluto finale alla Piazza sul sagrato del Duomo

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Il matrimonio diminuisce il tasso di criminalità

Tempi duri per il matrimonio. Sempre più persone sono convinte che esso sia la tomba dell’amore, un vincolo legale che ci impedisce di essere davvero felici concedendoci una vita di godimenti effimeri e avventure senza impegni.

Eppure abbiamo sottolineato già molte volte quanti siano anche i vantaggi sociali del matrimonio. E’ notizia del 28 settembre che la Monash University di Melbourne (Australia) ha pubblicato i risultati di uno studio con il quale si dimostra come il matrimonio sia uno dei fattori-chiave nella diminuzione della criminalità. Anche se tanti sono i crimini commessi in famiglia, il matrimonio riduce drasticamente la percentuale di assassini, per una semplice ragione: l’autocontrollo. Come ha ricordato Benedetto XVI, «il matrimonio è uno strumento di salvezza non solo per gli sposati, ma per tutta la società».

Il Dr. Walter Forrest, Professore di Criminologia alla Monash University, si è avvalso per il suo studio dei dati dello US National Longitudinal Survey of Youth (NLSY) – l’osservatorio nazionale dei giovani degli Stati Uniti – che dimostrano chiaramente la correlazione tra il maggior o minor grado di autocontrollo – determinato da eventi chiave della vita come matrimonio, lavoro e servizio militare – e la desistenza da atteggiamenti e intenti criminosi. E un buon matrimonio, certamente, è uno di quegli eventi nella vita che ci costringe a sviluppare maggior autocontrollo e miglior uso delle nostre risorse, per la maggior felicità di sé e dell’altro, concludono.

Non importa a che età ci si è sposati, assicura il Dr. Walter, il punto è che nelle coppie si parla chiaramente dei propri problemi e, lamentandosi di ciò, ci si aiuta l’un l’altro a regolare il proprio comportamento. Ad essere meno egoisti e ad accorgersi di più dell’altro, di colui che è oltre il nostro sé, verrebbe da dire, poiché caratteristica prima di un atteggiamento criminale è la noncuranza per l’altro.

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Ancora Odifreddi: questa volta è smentito dal cosmologo Barrow

Ebbene si, Odifreddi ne ha combinata un’altra delle sue. Il quotidiano “La Repubblica” ha caldamente invitato (obbligato?) Piergiorgio Odifreddi ad intervistare un cosmologo di fama internazionale, con il grave difetto di essere credente e cristiano. Si tratta di John Barrow, docente di matematica all’Università di Cambridge e maggiormente conosciuto al grande pubblico per essere co-autore, assieme a Frank Tipler, del bestseller Il principio antropico (Adelphi 2002). Odifreddi non ha potuto non accettare, anche se ha tentato più volte di “tirare per la giacchetta” lo scienziato, ponendogli domande trabocchetto. Barrow non è affatto cascato nella trappola del militante anticlericale e l’intervista che ne è uscita è risultata essere molto interessante e significativa.

Odifreddi introduce l’articolo riciclando le sue osservazioni su Einstein  e indugiando ancora una volta sul fatto che il “padre” della relatività fosse una persona spirituale ma disinteressata da Dio. In realtà, leggendo questo lungo elenco di citazioni, si può benissimo capire quanto Einstein fosse affascinato da Dio, dai Suoi pensieri e dalla possibilità di usare la scienza per conoscerLo. Ovviamente quello di Einstein è il dio dei deisti e più volte egli dichiarò di non riconoscersi nelle religioni.

Tornando all’intervista, Odifreddi presenta Barrow come vincitore del premio Templeton 2006 e si lamenta del fatto che «spesso si indichi il premio Templeton in maniera sbrigativa come un “premio per la religione”», in realtà -continua Odifreddi- la spiritualità degli scienziati è un’altra cosa e questo premio lo avrebbe dimostrato negli ultimi 20 anni. Peccato però che proprio lui lo definiva in tale modo soltanto pochi mesi fa (aprile 2011), quando intitolava un articolo apparso sul suo blog di “Repubblica” così: “Il premio Nobel per la religione”. Si riferiva proprio al premio Templeton, scrivendo per informare i suoi fans della vittoria di Martin Rees. In quell’articolo disprezzava il premio e anche gli scienziati che lo avevano vinto: «Ci si può chiedere, naturalmente, per quale motivo il “premio Nobel per la religione” sia stato assegnato a un astronomo, che per di più si dichiara ateo […]. Si tratta ovviamente sempre di scienziati “borderline”, alcuni dei quali preti». Attaccava anche altri vincitori, come Paul Davies e lo stesso John Barrow, dicendo che i loro libri ( di questi scienziati “borderline”) «sembravano scritti apposta per far loro vincere il premio».

Si è dunque sgridato e contraddetto da solo. Ma, ritornando ancora all’intervista con Barrow, il nostro anticlericale preferito si sente dire dal celebre cosmologo che è credente, cristiano protestante ma non anglicano. Dunque un “cretino” e un soggetto “intellettualmente non strutturato” così come Odifreddi definisce gli scienziati credenti e i cristiani in generale (cfr. Ultimissima 10/8/11). Barrow, imperterrito, prosegue l’intervista spiegando la rigorosa procedura tenuta dalla Fondazione Templeton per assegnare il prestigioso premio, tutto ben lontano da quanto sempre sostenuto da Odifreddi & Co. Anche perché, continua il cosmologo, «la Fondazione proibisce il supporto a qualsiasi religione».

Odifreddi non osa contraddirlo (lo farà di nascosto con i lettori del suo blog probabilmente) e cambia velocemente discorso pensando di buttarlo sulla Chiesa cattolica. Spera forse che Barrow possa dire almeno qualcosa di anti-cattolico, ma il docente di Cambridge non ha intenzione di affermare nulla di tutto ciò e preferisce parlare dei suoi tre incontri con il Papa, della partecipazione al Progetto Stoq (Science, theology and the ontological quest), realizzato dal cardinal Ravasi, e della relazione tenuta al Meeting di Comunione e Liberazione. Alla sciocca domanda di Odifreddi sul fatto che Barrow possa passare per un “collaborazionista della Chiesa”, il cosmologo risponde in modo vago, sostenendo che il suo lavoro è semplicemente quello di scrivere articoli scientifici. Deluso, Odifreddi tenta la sua ultima carta: gli scienziati sarebbero tutti atei e i biologi lo sarebbero ancora di più. Con grande compassione per il militante anticlericale, Barrow risponde ancora per l’ultima volta in modo molto professionale: «I fisici e gli astronomi si concentrano sulle leggi della natura, e sono abituati a trattare con aspetti non percepibili della realtà […]. I biologi, invece, non si interessano delle leggi della natura di per sé, ma solo dei loro effetti. Per questo i fisici e i cosmologi sono molto più aperti nei confronti di problematiche che hanno a che vedere col significato recondito delle cose».

Dopo quel che gli è accaduto in agosto (cfr. Ultimissima 16/8/11), un’altra deludente disavventura (o “odifreddura”) per Pierpippo. Qualcuno lo salvi da se stesso!

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L’oncologo agnostico Lucien Israel: «sono contrario all’eutanasia»

Il luminare francese contro il testamento biologico. Lucien Israel, oncologo di fama e agnostico, racconta la sua esperienza con i malati terminali e spiega la sua opposizione all’eutanasia da un punto di vista laico.

 

«Ho visto malati in condizioni talmente gravi da sprofondare in uno stato di semi-coma. E quando li rianimavamo mi dicevano: “Quando mi dimette? Vorrei andare qualche giorno in Costa Azzurra per riprendermi”. Se fossi stato autorizzato da un “testamento” scritto ad abbreviare attivamente la loro vita avrei commesso un vero e proprio crimine, anche se fossi stato incoraggiato dalla famiglia e dalla legge!». A parlare è Lucien Israel, agnostico luminare francese dell’oncologia, specialista in neurologia e attuale vice-presidente dell’Union nationale inter-universitaire (UNI).

Il settimanale “Tempi” lo ha intervistato due anni fa e in questi giorni ripubblica la bella e significativa discussione. Dice ancora Israel: «I rarissimi malati che, spontaneamente, mi hanno chiesto di aiutarli a morire se le cose si fossero complicate non hanno rinnovato la loro richiesta nel momento in cui questa poteva essere soddisfatta. Altro che autodeterminazione: per me, l’eutanasia è una richiesta che proviene dalle persone sane che vogliono disfarsi di una malato grave o in fase terminale».

A consolidare la sua posizione ha contribuito un episodio accadutogli qualche anno fa: un paziente con cancro allo stomaco gli ha chiesto l’eutanasia. Lui ha risposto: «Ascolti, mi dispiace ma io non faccio assolutamente questo, noi siamo qui per curarvi”. Mi ha replicato: “Lei è un vigliacco”. “Forse è così”, ho ribattuto, “ma qui l’eutanasia non è mai stata fatta, siamo a vostra disposizione per farvi vivere”». A causa dell’insistenza del paziente, Israel gli ha portato una boccetta con un liquido dicendogli: «Ecco, se proprio vuole prenda questa». Lui mi ha guardato con aria dubbiosa: «È soltanto dell’acqua, vero?». «Forse», gli ho risposto. «Per scoprirlo dovrà usarla». Pochi giorni dopo il malato è morto ma la boccetta contenente della semplice acqua era intatta sul comodino: «si era convinto ad affrontare la malattia. Ma il caso di malati che mi hanno chiesto di aiutarli a morire è rarissimo. Un medico non può uccidere un suo simile. Fa ciò che è necessario per dare sollievo ai suoi dolori fisici e alle sue difficoltà psicologiche attraverso le cure, la gentilezza e tutto ciò che gli fa percepire che c’è qualcuno intorno a lui che si occupa di lui».

Israel è consapevole che la tentazione dell’eutanasia è presente anche fra i medici: «Quei medici che approvano l’eutanasia lo fanno perché non possono sopportare un essere che soffre e si dicono: “Che muoia domani o che muoia fra sei settimane non ha nessuna importanza, io preferisco finirla adesso”. Non si può offrire questa immagine del medico agli studenti di medicina, o la medicina diventerà qualcosa di terribile. È assolutamente indispensabile manifestare il rispetto totale della vita umana, anche perché attualmente siamo in grado di placare tutte le manifestazioni dolorose, e di conseguenza gli esseri di cui ci occupiamo non soffrono insopportabilmente. Nella misura in cui ci occupiamo dei pazienti in questo modo, non ci chiedono l’eutanasia».

Conferma dunque quello che tanti disabili gravi dicono: chi si sente amato non vuole mai uccidersiPiù volte nelle interviste, continua il settimanale, l’oncologo ha affermato che in Francia vive un certo numero di olandesi anziani che si sono trasferiti per paura di essere sottoposti all’eutanasia se fossero restati nel loro paese: «In Olanda un medico ha il diritto di praticare l’eutanasia, può farlo in molte circostanze, basta che il malato manifesti distacco dalla vita e che lui non abbia fiducia nell’esito positivo del trattamento o in un miglioramento della qualità della vita del paziente. E questo medico si considera utile alla società, perché dice a se stesso: “Io uccido le persone, ma è solo per non farle soffrire”. Ripeto: oggi è possibile placare tutte le sofferenze, non c’è nessuna ragione di invocare l’eutanasia per questa ragione. Si priva di ogni dignità la professione medica se si accetta il principio che un medico ha il diritto di uccidere qualcuno».

Infine, confutando che l’opposizione all’eutanasia nasca da motivazioni esclusivamente cristiane o religiose, afferma: «Anche al di fuori di una qualunque ottica spirituale, un medico non è autorizzato a togliere la vita a qualcuno. Per quel che mi riguarda, la mia posizione non dipende da considerazioni religiose: un medico, chiunque egli sia, agnostico o credente, non deve riconoscersi il diritto di togliere la vita a qualcuno, quando in realtà è in grado di alleviare le sue sofferenze».

La redazione

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Michigan (Usa): l’aborto a nascita parziale diventa illegale

Piccolo successo pro-life nel Michigan (USA) che si unisce alla grande riforma anti-abortista che ha cominciato ad invadere gli Stati Uniti negli ultimi due anni. Sia il Senato (29 a  8) che la Camera (75 a 33) hanno accolto un disegno di legge che vieta l’aborto a nascita parziale. Il Michigan si accoda così a tanti altri Stati che vietano questa atroce e raccapricciante pratica.

Come abbiamo spiegato nel nostro dossier sulle pratiche abortive, anche attraverso un video dimostrativo, questa tecnica viene utilizzata durante il secondo o terzo trimestre di gravidanza. L’abortista, guidato dagli ultrasuoni, infila delle pinze nel canale cervicale e posiziona il feto umano con i piedi in direzione dell’uscita e la faccia rivolta in basso. Il corpo del bambino viene tirato nel canale di nascita, ma la testa, troppo grande per passare attraverso la cervice, viene lasciata all’interno. Il medico quindi inserisce delle forbici chirurgiche alla base del cranio del feto ancora vivo, praticando un foro e allargandolo con le punte, creando così un’ampia ferita nel cranio. Un aspiratore risucchia quindi il cervello e il cranio, privo del contenuto, si assottiglia fino ad uscire.

Il nuovo ddl consente che un medico che pratichi questa tecnica possa essere incriminato per due anni.

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Perché si accusa di creazionismo chi critica il neo-darwinismo?

Il celebre biologo e genetista di fama internazionale Richard Lewontin, luminare dell’Università di Harvard e ritenuto uno dei più grandi evoluzionisti viventi avendo avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo delle basi matematiche della teoria evolutiva, ama definire “post panglossiana” la tribù neo-darwinista. Secondo il celebre genetista, il neo-darwinismo è «un tipo di darwinismo volgare, caratteristico di fine Ottocento e riportato in auge negli ultimi dieci anni». E ancora: «la selezione naturale non è una nozione mistica, come tendono invece a definirla i neodarwinisti. Ci sono ormai troppe risposte che vanno sotto il nome di “selezione”, ma che non rispondono alle grandi domande. Sono risposte vuote. I cultori dell’evoluzionismo come Dennett e Dawkins hanno fatto dell’evoluzione una nozione astratta».

Tuttavia, secondo gli adepti dell’ideologia neo-darwinista, il genetista Lewontin, avendo osato criticare la selezione naturale e la chiesa neodarwinista in questo modo, sarebbe ovviamente un “creazionista“. La stessa assurda tattica dialettica è stata recentemente utilizzata contro l’articolista del post intitolato “L’Australopithecus sediba contro Darwin, il neo-darwinismo e il gradualismo”, apparso su questo sito qualche giorno fa.  Il responsabile di questa  discriminazione si chiama Stefano Della Casa, sconosciuto giornalista scientifico, appassionato di tecnologia, cinefilo e frequentatore assiduo dei Darwin’s Day in tutt’Italia, vere e proprie giornate di culto del noto naturalista. Nel nostro articolo si mostrava scetticismo verso una parte dell’evoluzione ma assicurando contemporaneamente che essa non può essere messa in discussione. Precisazione d’obbligo, si vede scritto, proprio «per non illudere troppo il movimento creazionista». Della Casa, dopo averci citato, ha comunque pensato bene di commentare: «Ovviamente siamo di fronte alla forma più recente di Creazionismo, quella che cioè a volte aborrisce il termine stesso preferendo definirsi antievoluzionismo». Secondo il militante, osando avanzare delle critiche all’appartato evoluzionista, noi saremmo dunque dei creazionisti che aborriscono di essere creazionisti. Veniamo titolati come tali circa 8 volte, a tale martellamento ossessivo arriva l’opera di convincimento che il devoto di Darwin vuole imprimere nei suoi lettori.

Bastano poche righe comunque perché il Della Casa si contraddica e passi a considerarci come evoluzionisti, anche se di serie B. Dichiara infatti chiudendo l’articolo: «Come sempre si deve porre l’accento sul fatto che esistono diversi tipi di evoluzionismo, in particolare due: quello “ortodosso” e quell’altro là, qualunque esso sia». Il neo-darwinista e i suoi amici farebbero parte ovviamente dell’evoluzionismo ortodosso. Il biologo Enzo Pennetta, anche lui divertito da questa isterica reazione neodarwinista, ha però fatto notare sul suo sito web che nei dizionari, la parola “ortodossia” sta per: “rigorosa fedeltà ai principi di una religione, di un’ideologia, di una dottrina, di una politica.  Nel suo articolo inoltre ha risposto ottimamente a tutte le altre questioni sollevate dal giornalista, dunque evitiamo di farlo anche noi e rimandiamo al suo portale. Recentemente è dovuto intervenire ancora una volta contro questa forma di discriminazione, altre volte ha invece risposto a veri e propri attacchi personali.

Orgogliosi di non fare parte della “religione, ideologia e dottrina dell’evoluzionismo ortodosso”, così come dice Della Casa, sottolineiamo  che i neo-darwinisti sono costretti per forza a tacciare di “creazionismo” anche l’evoluzionista non credente Massimo Piattelli Palmarini, dato che dichiara«La selezione naturale è molto marginale nello spiegare i meccanismi dell’evoluzione. Il neo-darwinismo è morto e non resuscitabile». Allo stesso modo è sicuramente un “creazionista” anche il biologo darwinista Francisco Ayala, poiché sostiene«noi scien­ziati parliamo di Darwin, non di darwinismo o neodarwinismo. Queste ideologie sono fuori della scienza». E lo è anche l’evoluzionista Jerry Fodor poiché afferma«la letteratura neodarwinista è del tutto priva di senso critico». I neo-darwinisti tacciano di creazionismo anche Eugene Koonin, autorità internazionale sull’evoluzione, il quale ha dichiarato«la visione fortemente dogmatica del darwinismo è caratteristica della sintesi moderna operata dalla biologia dell’evoluzione. Non è che la selezione naturale sia “sbagliata”, anzi, è una grande scoperta. Semplicemente non racconta tutta la storia che sta dietro l’evoluzione della vita». Infine, l’etichetta “creazionista” pioverebbe anche sul filosofo Giulio Giorello dato che apprezza il volume “Gli errori di Darwin (Feltrinelli 2010) dicendo«Darwin ha spiegato due cose: l’evoluzione delle specie, la parte del darwinismo che il libro riconosce funzionante, e il meccanismo adattazionista, che invece mette in discussione. E secondo me in modo efficace. C’è una certa ideologia neodarwiniana, questo è vero».

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La terapia riparativa funziona e non danneggia? Cosa dice un nuovo studio

La premessa è che non intendiamo sponsorizzare alcun tipo di terapia “riparativa” o di “conversione”, tanto meno consideriamo l’omosessualità una condizione da cui “guarire” o da “riparare”.

Ciò nonostante crediamo nella libertà delle persone di richiedere un aiuto o un sostegno psicologico ed è giusto riflettere sui risultati di un lungo studio pubblicato sul Journal of Sex and Marital Therapy, i quali contraddicono la convinzione che l’orientamento sessuale sia immutabile e che il tentativo di cambiamento sia intrinsecamente dannoso.

Al contrario, si sostiene, la terapia di cambiamento è possibile, funzionante e non risulta pericolosa.

 

Terapia riparativa, i risultati dello studio.

Gli autori sono gli psicologi Stanton L. Jones del Wheaton College e Mark A. Yarhouse della Regent University e hanno pubblicato i loro risultati nel libro Ex-gays?: A Longitudinal Study of Religiously Mediated Change in Sexual Orientation (Ivp Academic 2007).

Lo studio longitudinale, pubblicato sul Journal of Sex & Marital Therapy ha seguito gli individui che hanno cercato e richiesto il cambiamento dell’orientamento sessuale iscrivendosi ad appositi centri specializzati, il campione studiato è di 98 candidati seguiti per un periodo di 6-7 anni dopo la conclusione della cosiddetta “terapia riparativa”.

I risultati mostrano chiaramente come la maggior parte degli individui ha avuto successo nell’obiettivo di modificare l’orientamento sessuale e che tale tentativo non è stato affatto dannoso.

 

Gli studi precedenti sulle terapie riparative.

Questo fu in qualche modo già appurato nel 2010 tramite l’indagine apparsa sul Journal of Human Sexuality ed intitolata Homosexuality and Co-Morbidities: Research and Therapeutic Implications, nella quale si concludeva: «Cambiare orientamento sessuale non porta a un maggior tentativo di suicidio».

Gli autori riferivano anche che la misura del disagio psicologico non era, in media, aumentata né associata, quando è presente, al tentativo di cambiare l’orientamento: «Questi risultati non dimostrano che il cambiamento di orientamento sessuale è categoricamente possibile per tutti o per nessuno, ma piuttosto sostiene che sono possibili cambiamenti significativi, che diventano poi cambiamenti reali a lungo termine». Inoltre, «i risultati non dimostrano che nessuno rimane danneggiato dal tentativo di cambiamento, ma piuttosto che il tentativo non sembra essere dannoso o intrinsecamente dannoso».

Nel 2009 una lunga indagine sul Journal of Human Sexuality sulla indesiderata attrazione per lo stesso sesso (o “unwanted same-sex attraction”) concluse a sua volta che l’omosessualità non è immutabile e che gli individui in cerca di cambiamento potrebbero trarre beneficio dalle terapie. Lo studio analizzava oltre 600 rapporti di medici e ricercatori pubblicati principalmente su riviste professionali e peer-reviewed.

Le stesse conclusioni sono state raggiunte da meta-analisi precedenti:

  • Clippinger (1974) –> 307 individui omosessuali su 785 (il 40%) avevano risolto le attrazioni indesiderate orientandosi verso l’eterosessualità;
  • E.C. James (1978) –> Esaminando tutti gli studi prima del 1978, il 35% dei pazienti omosessuali era passato all’eterosessualità, il 27% era più orientato verso l’eterosessualità e il 37% non era né cambiato, né migliorato. Veniva concluso: «Miglioramenti significativi e persino il recupero completo [da un orientamento omosessuale] sono del tutto possibili» (p. 183);
  • Jones e Yarhouse (2000) –> Analizzando 30 studi condotti tra gli anni 1954 e 1994, su 327 soggetti coinvolti, 108 (il 33%) avevano raggiunto almeno qualche progresso verso l’eterosessualità;
  • Goetze (1997) –> Analizzando 17 studi, 44 soggetti che erano stati esclusivamente o prevalentemente omosessuali aveva sperimentato un cambiamento verso un orientamento eterosessuale in seguito un supporto psicologico;
  • Byrd e Nicolosi (2002) –> Esaminando 14 studi sull’efficacia del trattamento dell’omosessualità indesiderata, pubblicati tra il 1969 e il 1982, hanno concluso che il 79% di coloro che ricevevano un trattamento si sentiva meglio rispetto a chi seguiva trattamenti alternativi o del gruppo di controllo;

 

La posizione dell’APA e le critiche dei suoi ex presidenti.

Sebbene l’American Psychological Association (APA) scoraggi i professionisti della salute mentale ad offrire una terapia di ri-orientamento sessuale, ufficialmente ha ammesso che non ci sono sufficienti prove per approvare o screditare la pratica.

La posizione dell’APA è notoriamente influenza dall’agenda politica, tanto che un suo ex presidente, Nicholas Cummings, professore emerito di Psicologia presso l’Università del Nevada, oltre a sottolineare il successo del suo approccio terapeutico con individui omosessuali, ha apertamente accusato l’American Psychological Association di politicizzazione su “tematiche scottanti”: «Sostenere che l’attrazione per lo stesso sesso sia immutabile è una distorsione della realtà. Un’agenda politica non dovrebbe impedire ai gay e alle lesbiche che desiderano cambiare di prendere le proprie decisioni». E ancora: «L’APA è diventata un monolite politicamente corretto. La correttezza politica governa, non la scienza».

Un altro ex presidente dell’APA, lo psichiatra Robert Spitzer, ha invertito la sua posizione sulla terapia per le persone omosessuali, pubblicando uno studio nel quale si conclude che «vi sono prove che il cambiamento nell’orientamento sessuale a seguito di qualche forma di terapia riparativa si verifica in alcuni uomini gay e lesbiche».

Nel 2004, infine, un altro ex presidente dell’American Psychological Association, il noto psicologo Robert Perloff, ha aderito ufficialmente a NARTH (National Association for Research & Therapy of Homosexuality), un’associazione che sostiene l’aiuto terapeutico per persone omosessuali, sostenendo: «Sono felice di aderire alla posizione della NARTH: essa rispetta la dignità di ogni cliente, l’autonomia e il libero arbitrio. Ogni individuo ha il diritto di rivendicare un’identità gay o di sviluppare il suo potenziale eterosessuale. Il diritto di cercare una terapia per cambiare il proprio adattamento sessuale è considerato ovvio e inalienabile. Condivido pienamente la posizione della NARTH».

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