Oltre 30 intellettuali avviano una campagna pro-life: «l’aborto non è un diritto»

Dopo la conversione cattolica nel 2001, Lord Nicholas Windsor rinunciò alla sua pretesa al trono inglese e abbracciò anche l’insegnamento della Chiesa sul diritto alla vita del nascituro. Recentemente ha avviato una campagna di supporto per i cosiddetti “articoli di San Jose”, ovvero 9 dichiarazioni sulla questione dell’aborto firmate da oltre 30 importanti politici, diplomatici, giuristi, scienziati, studiosi e personaggi pubblici di tutto il mondo, tra cui John Finnis, professore di diritto all’Università di Oxford e John Haldane, professore di filosofia presso l’Università di St Andrew (Scozia).

C’è il riconoscimento di una forte campagna sovversiva a livello internazionale che sostiene falsamente che l’aborto è un diritto umano e che tutti i governi hanno il dovere di sostenerlo. I 9 articoli sono stati presentati all’inizio di questo mese presso le Nazioni Unite dal prestigioso studioso Robert George, della Princeton University e dall’ex ambasciatore degli Stati Uniti, Grover Joseph Rees, i quali hanno sfidato le affermazioni fatte dal personale delle Nazioni Unite secondo i quali esiste un diritto fondamentale all’aborto nel diritto internazionale. Questi articoli sono stati promulgati contemporaneamente in tutto il mondo con il sostegno di tutte le associazioni pro-life internazionali.

Gli articoli di San Jose smentiscono categoricamente l’affermazione che togliere la vita del nascituro sia un diritto e ricordano come le leggi di oltre due terzi di tutti i paesi membri delle Nazioni Unite riflettono chiaramente un riconoscimento continuo che i bambini non ancora nati meritano protezione. Solo 56 paesi hanno permesso l’aborto e tra questi, in 22 è senza restrizioni. Le Nazioni Unite continuano però la loro campagna abortista anche nel Terzo Mondo per modificare le leggi sull’aborto, anche attraverso una serie di ricatti, ovvero l’aiuto e il sostegno economico in cambio di leggi liberatorie sull’aborto. La Svezia, ad esempio, ritirò tutti gli aiuti al Nicaragua, dopo che la sua Assemblea Nazionale non riuscì a varare una legge liberale sull’aborto.

I 9 articoli dichiarano inoltre che il nascituro dev’essere protetto dai diritti umani, che la scienza stabilisce che la vita umana inizia con il concepimento, che non esiste il diritto di aborto nel diritto internazionale e che il diritto alla vita è stabilito dall’articolo 3 della Dichiarazione Universale del 1948 sui diritti dell’uomo, nata in seguito agli orrori della seconda guerra mondiale. Moltissimi attivisti stanno chiedendo ai propri parlamentari di diventare firmatari.

Sul sito www.sanjosearticles.com si possono trovare tutte le informazioni necessarie per l’utilizzo più opportuno di questi articoli.

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La liturgia ateista di Andy Thomson


di Michele Forastiere*
*insegnante di matematica e fisica in un liceo scientifico.


Tra i tanti interessanti commenti al mio ultimo articolo su Corrado Augias, ce n’è stato uno che consigliava la visione di un paio di filmati reperibili su internet. Guarda il caso: uno di questi lo avevo già scaricato, e contavo di scriverci su qualcosa – prima o poi. Bene, forse è arrivato il momento.

Il video in questione è la registrazione di una conferenza (“Why We Believe in Gods”) tenuta dallo psichiatra J. Anderson (Andy) Thomson al 35° congresso annuale degli “American Atheists”, svoltosi ad Atlanta nell’aprile 2009. Devo dire, per la verità, che ho trovato assolutamente illuminanti sia il discorso di Thomson, sia le sue risposte alle domande dal pubblico.

La conferenza si apre con alcune definizioni: in particolare, con l’affermazione che la mente è ciò che il cervello fa, e che essa si è evoluta come una raccolta integrata di soluzioni ingegneristiche atte a risolvere specifici problemi. Partendo da questo suo assioma indiscutibile, Thomson si propone di “smontare” il funzionamento del pensiero religioso, visto come un semplice effetto collaterale, indesiderato, di meccanismi cognitivi utili nelle interazioni sociali.

A scanso di equivoci, specifico subito che non intendo criticare gli studi scientifici che riguardano tali meccanismi cognitivi: è innegabile che essi esistano e che possano avere un ruolo non trascurabile nell’esperienza religiosa umana. È d’altra parte perfettamente chiaro a tutti – compreso sicuramente lo stesso Thomson – che nessuna ricerca scientifica può avere, in sé e per sé, qualcosa da dire sull’esistenza o inesistenza di Dio. Quello che mi preme sottolineare e criticare, invece, è il tentativo di dimostrare che l’esperienza religiosa sia riducibile nella sua interezza a meri meccanismi istintivi, e che in nessun caso possa riguardare la sfera della razionalità; in altre parole, che la fede sia necessariamente una faccenda da stolti.

Penso però che, a ben vedere, un tentativo del genere sia destinato al fallimento proprio sul piano della logica. Tanto per dirne una, ad un certo punto Thomson enuncia, tra i processi mentali alla base del pensiero religioso, la cognizione disaccoppiata. Per intendersi, si tratta della capacità che abbiamo tutti di prefigurarci un dialogo – completo di domande e risposte – con una persona assente. “Da qui a comunicare con gli antenati defunti – chiosa Thomson – il passo è breve”. Ecco stabilito un assioma indiscutibile: “Il pensiero religioso nasce da processi mentali scollati dal mondo concreto”. A corollario di ciò, dopo pochi minuti il relatore arriva ad affermare che ogni aspetto della sfera religiosa è una deformazione della realtà, con proprietà fisiche contro-intuitive (“Dio è un tizio, ma è dappertutto”), biologia contro-intuitiva (“Gesù è nato da una vergine”), psicologia contro-intuitiva (“Dio è capace di entrare nella tua testa”).

Parrebbe proprio che Thomson stia cercando di suggerire che “contro-intuitivo” sia sinonimo di irrazionale, di antiscientifico e, in definitiva, di falso. Eppure, da bravo scienziato egli dovrebbe sapere bene che non c’è alcuna consequenzialità logica tra contro-intuitività e falsità. Basterebbe notare che la fisica è praticamente tutta contro-intuitiva: perfino quella newtoniana (“Chi arriva prima a terra, il sasso o la foglia? Ovvio, il sasso. Ma se non ci fosse l’aria? …”). Per non parlare della meccanica quantistica! Insomma, lo psichiatra sembra aver dimenticato che la realtà non si conforma necessariamente alla nostra interpretazione intuitiva del mondo.

Più avanti, Thomson presenta i risultati di una ricerca scientifica che mostra come in individui diversi si attivino sempre le stesse aree del cervello, in risposta all’ascolto di frasi a carattere religioso. Secondo il conferenziere, “questo studio va a sostegno delle teorie che fondano il credo religioso su meccanismi adattati evolutivamente”. Il concetto sottinteso è, di nuovo, che il pensiero religioso è irrazionale – essendo, per l’appunto, un costrutto mentale derivante da risposte puramente istintive. Attenzione: Thomson si guarda bene dall’affermare qualcosa del tipo: “Bene, questo prova che Dio non esiste”; sa perfettamente che nemmeno l’assemblea degli American Atheists lo accetterebbe. No: si limita a suggerire il concetto che chi crede sia fondamentalmente un idiota, riuscendo allo stesso tempo ad attrarre su di sé un’ondata di simpatia da parte del pubblico degli atei, che intuiscono di essere considerati – per contrasto con i credenti – persone massimamente consapevoli e razionali.

In effetti, questa capacità di suscitare un senso di appartenenza a un’élite permette allo psichiatra di salvarsi da una domanda “pericolosa”. Alla fine della conferenza, infatti, una signora gli chiede: “Se il senso religioso è un insieme di sistemi cognitivi evolutisi identicamente in tutti gli esseri umani, come abbiamo fatto noi non credenti a scavalcarli?”. Thomson risponde, più o meno: “Cultura e intelligenza! Gli individui più colti e intelligenti tendono a non essere religiosi, proprio come lei” (applauso). Peccato che questa affermazione sia, con ogni probabilità, priva di fondamento: prima di tutto perché sono sempre esistiti credenti di elevata intelligenza e cultura (vedere per esempio qui e qui); in secondo luogo, perché essa non spiega in maniera soddisfacente il fenomeno delle conversioni (un caso notevole è quello del filosofo Antony Flew, tra gli atei più famosi del mondo); infine, perché è possibile che essa sia, molto semplicemente, falsa (vedere qui e qui).

Quando alla fine gli pongono un’ultima domanda “pericolosa” (“Non potrebbe essere che Dio abbia creato il cervello, programmandolo come dice la scienza perché credessimo in Lui?”), Thomson se la cava così: “Credo che la risposta migliore la dia Christopher Hitchens”. Insomma, rendendosi conto perfettemente di non poter rispondere in maniera credibile, rimanda a un’autorità assente.

Ecco, questa reazione mi ha chiarito definitivamente le idee. Fateci caso: nel corso della dissertazione, lo psichiatra ha enunciato dei dogmi (gli assiomi indiscutibili di cui sopra); ha creato dei momenti di profonda comunione “spirituale”, in cui ha saputo suscitare nel pubblico la sensazione di far parte di una schiera eletta; ha fatto riferimento a un’autorità assente, quando non è stato in grado di rispondere sensatamente. Insomma: non sembra anche a voi che Thomson, più che tenere una conferenza, abbia in realtà officiato una specie di funzione liturgica secolarizzata?

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In Cina non c’è più irreligione: i cristiani arriverebbero a 60 milioni

Il governo cinese afferma che sono circa 25 milioni i cristiani, 18 milioni sono i protestanti (di ogni tipo) e 6 milioni i cattolici. Ma i fedeli sono certamente molti di più.

Nell’ex patria dell’ateismo le chiese sono piene ogni domenica di fedeli e il numero dei cristiani -si legge su VaticanInsider– si moltiplica. Il fenomeno appare essere di proporzioni straordinarie, tanto da aver scandalizzato recentemente anche la BBC che ha indicato come responsabile la decennale repressione ideologia laicista.

Nonostante la Cina continui ad espellere i missionari e al di là delle dichiarazioni di Pechino, gli esperti prospettano che i cristiani possano benissimo arrivare a 60 milioni, dunque una minoranza altamente significativa. I nuovi convertiti (in Ultimissima 20/5/11 si parlava di 10 mila conversioni al giorno) vanno dai contadini delle zone rurali ai giovani uomini d’affari delle megalopoli in piena espansione.

Negli ultimi decenni i cristiani sono stati considerati “velenosi“, per stare alle parole di Mao, e la Rivoluzione culturale degli anni ’70 cercò semplicemente di sradicare fisicamente questo veleno. Ma ancora una volta, il sangue dei martiri si è rivelato fruttuoso. Nel 1980 credere in Dio è sostanzialmente tornato a essere legale, almeno fino a quando le varie Chiese fanno riferimento all’Amministrazione degli Affari religiosi sotto la responsabilità dello Stato ufficialmente ateo. Tuttavia cresce continuamente il fenomeno delle Chiese domestiche, le quali rifiutano ogni organizzazione burocratica e statale e affrontano con coraggio e determinazione carcere e maltrattamenti.

Secondo Carl Moeller, presidente di “Open Doors”, il cristianesimo in Cina sta sperimentando una crescita esplosiva e questo accade soprattutto fra i giovani. E spiega: «C’è un’evidenza reale, tangibile, secondo cui gli uomini di affari cinesi che seguono la dottrina cristiana nei loro affari tendono ad avere più successo degli altri. Credo che qui abbiamo una dinamica spirituale ed economica unica, che facilita la crescita delle Chiese in Cina». Una “teologia della prosperità” che però appare non esente da rischi futuri.

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Umberto Eco deriso all’estero: «noioso, illeggibile e fallimentare»

In Ultimissima 30/9/11 informavamo dell’opinione che il semiologo italiano Umberto Eco ha sul Papa: «Non credo che Benedetto XVI sia un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato come tale». A smentirlo ci ha pensato poco dopo il filosofo Nikolaus Lobkowicz, già rettore della prestigiosa Università Ludwig-Maximilian di Monaco e dell’Università Cattolica di Eichstätt e attuale direttore del “Zentral Institut für Mittel- und Osteuropastudien, centro di studi dedicato all’Europa centrorientale: «Ratzinger, come Hans Urs von Balthasar o Henri de Lubac mezzo secolo fa, è uno degli uomini più colti del nostro tempo e anche uno dei più colti della lunga storia dei vescovi di Roma».

In questi giorni ha risposto ad Eco anche l’Osservatore Romano pubblicando una foto (qui a sinistra), in cui l’intellettuale italiano è beccato a ravanarsi il naso. L’articolo intitolato «Un fallimento di lusso»,  firmato da Silvia Guidi, spiega con pacatezza e ironia, che il grande Eco ha ottenuto una serie di stroncature proprio in Germania e alla vigilia dell’apertura della fiera del libro di Francoforte, dell’ultima fatica letteraria, ossia “Il cimitero di Praga” tradotto in tedesco.

Il libro viene definito dai critici tedeschi irrimediabilmente noioso, «talmente noioso da risultare illeggibile». Raramente, però, sottolinea la Guidi, compaiono sulla stampa italiana aggettivi così semplici e diretti quando un romanzo porta la firma di Umberto Eco. Per trovarli bisogna sfogliare le rassegne stampa internazionali. Altre stroncature internazionali sono arrivate recentemente dalla  Süddeutsche Zeitung e dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, dai quotidiani inglesi Sunday Telegraph e Independent, quando si occuparono del romanzo “L’isola del giorno dopo”. La Süddeutsche Zeitung scrive: Il cimitero di Praga «è, nel migliore dei casi, un fallimento di alto livello, un noioso ammasso di inverosimiglianze grottesche».  La Frankfurter Allgemeine Zeitung spiega che dopo le prime trecento pagine «non si tratta più di un romanzo ma di uno schedario di persone, mappe stradali e bibliografia», mentre «si leggono di continuo note a pié di pagina senza notare altra cosa se non che il libro prima o poi dà sui nervi, poiché hai capito da tempo ciò che voleva dirti». Nel suo articolo Gustav Seibt chiosa: «Il cimitero di Praga non centra quello che è proprio il punto più importante del materiale: la storia collettiva della nascita e l’effetto collettivo dei Protocolli dei Savi di Sion. Alla scrittura di questo testo tremendo hanno collaborato tre generazioni, e i suoi effetti perdurano da oltre un secolo. Dinanzi alla bassezza dello scritto, questo è molto più misterioso perfino della cloaca di Parigi, nella quale l’assassino Simonini getta i cadaveri. Umberto Eco ha sempre voluto essere uno scrittore dell’illuminismo, ma questa volta si è reso le cose troppo facili».

Già nel comunque 1995 lo storico ed editorialista Noel Malcolm ha definito Eco «l’Armani dell’Accademia», nel Regno Unito Ken Follett ha detto «Preferirei non essere così noioso», rispondendo a chi paragona i suoi romanzi a quelli di Eco. In Italia solo Alfonso Berardinelli ha avuto il coraggio di criticare il semiologo, dicendo «se fosse per le mie opinioni critiche, i romanzi di Umberto Eco e il libro di filosofia di Severino potrebbero sprofondare nella pattumiera».  Insomma, utilizzando le sue stesse parole, pare proprio che Umberto Eco non sia un grande filosofo, né un grande scrittore, anche se generalmente viene rappresentato come tale.

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Stati Uniti, sospesa a tempo indeterminato clinica per aborti senza licenze

As Clinics Close, More Women Are Left Without ChoicesAncora una volta, è stato riconfermato il recente trend statunitense sulle cliniche abortiste. È stata infatti recentemente chiusa una celebre clinica a Rockford, Illinois, diventata da tempo ormai, luogo fisso di protesta per gli attivisti pro-life. La chiusura –beninteso, temporanea- della struttura è dovuta –tra le altre cose- alla presenza di personale medico senza le qualifiche chirurgiche necessarie.

Assieme alla sospensione a tempo indeterminato del servizio, la clinica sarà costretta a pagare una multa di 15.000 dollari, ha fatto sapere il Dipartimento della Salute Pubblica, che ha deciso d’intervenire dopo aver ricevuto numerose lamentele riguardanti la struttura negli ultimi mesi.

Per quanto si tratti di una clinica sola, essendo l’unica in zona, grande è stata la mobilitazione degli abortisti che sono riusciti ad affermare che in realtà, secondo loro: «I requisiti per ottenere le licenze e le regolamentazioni sull’aborto non sono altro che oneri aggiuntivi messi appositamente per costringere le cliniche abortiste a chiudere i battenti […]». Tutto ciò con buona pace della salute della donna, paradossalmente considerata in maggior pericolo quando viene chiusa la clinica abortista di quartiere che quando, in questa, opera personale medico senza licenza.
Informiamo anche che una commissione del Congresso americano ha avviato uno studio delle attività  del gigante dell’aborto, Planned Parenhtood,  per verificare le accuse di mancanza di personale adeguato, abusi sessuali, aborti non dichiarati e favoreggiamento alla prostituzione.

Nicola Z.

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Lo scrittore R.J. Stove racconta la conversione cattolica dopo l’ateismo

Lo scrittore ed editorialista australiano Robert James Stove ha recentemente reso pubblica la sua conversione al cattolicesimo avvenuta nel 2002. L’intellettuale è figlio del prominente ateo e filosofo della scienza David Stove, morto suicida nel 1994.

Nello scritto RJ Stove racconta di aver ricevuto un’educazione tranquilla anche se completamente atea: «mio padre, filosofo e polemista politico, cadde durante i suoi anni universitari sotto l’incantesimo del guru dell’ateismo militante John Anderson». Cresciuto in questo ambiente, lo scrittore spiega: «il cattolicesimo per la mia famiglia aveva due caratteristiche negative: in primo luogo era ritenuto volgare, in secondo luogo, totalitario. Per quanto riguarda il primo aspetto: i cattolici che conoscevamo avevano generalmente cognomi irlandesi e solitamente votavano per il partito laburista australiano. Questo era il peggiore peccato agli occhi dei miei genitori. Per quanto riguarda il secondo aspetto: mi avevano indotto pesantemente nella convinzione che il cattolicesimo era il tradimento filosofico, il più letale nemico del libero pensiero. Una volta cresciuto ho ovviamente abbattuto questo spauracchio senza eccessive difficoltà, ma sarei bugiardo se minimizzassi l’impatto che ebbe su di me questa convinzione giovanile». Un ordine monastico femminile, le Suore di Maria di Schoenstatt, costruì tuttavia una casa religiosa accanto alla famiglie Stove: «mio papà, con notevoli rischi fisici per se stesso, ogni anno saliva sui pini per tagliare dei rami che donava al convento per usarli come alberi di Natale. L’opposizione teorica dei miei genitori verso il cattolicesimo venne sempre più modificata da considerazioni del tipo: “Oh, certo, quando diciamo che i cattolici sono nemici del libero pensiero, non intendiamo voi”». La gratuita bontà di queste religiose «ha modificato non solo i pregiudizi dei miei genitori, ma anche la mia. Tuttavia mio padre certamente, e mia madre, probabilmente, pensavano che la bontà delle suore non aveva nulla a che vedere con la loro fede. In qualche modo le monache erano buone, nonostante la loro fede».

Ma a questa insolita amicizia lui ha reagito in modo più maturo: «Quando la possibilità di convertirmi al cattolicesimo divenne un pensiero reale, rimasi scoraggiato dall’immensità degli insegnamenti ricevuti. Trascorsi il tempo sull’Assunzione di Maria, la giustificazione per le opere così come la fede e altri concetti che tradizionalmente infastidiscono i non cattolici. Tuttavia debolmente e in maniera inadeguata, avevo imparato abbastanza la storia cattolica per capire che il cattolicesimo o era il più grande imbroglio della storia umana oppure era ciò che esso stesso diceva di essere. Per anni sono stato convinto che il cattolicesimo avrebbe avuto lo stesso impatto sulla mia mente di quello di un fiammifero acceso su una fabbrica di polvere da sparo. Se avessi saputo che era vero il contrario, non avrei mai esitato così a lungo. Conoscere genuini laici cattolici è stato per me un aprire gli occhi».

Stove passa a raccontare della morte dei genitori: La madre, alcolista e fumatrice accanita, rimase vittima di un infarto. La sofferenza della moglie ha portato anche suo padre ad essere ricoverato in ospedale e in quel periodo, il prestigioso filosofo della scienza, ha rielaborato tutto il suo ateismo, «tutte le sue convinzioni, i suoi testi sacri, i suoi martiri, la sua chiesa militante, tutti i suoi macchinari intellettuali. Tutte queste cose, trasformate in polvere». Rifugiatosi nell’alcool, racconta il figlio, minacciava se stesso e gli altri e attaccava gli infermieri dell’ospedale per la loro scarsa conoscenza di Socrate e Cartesio. «E lo vidi piangere come un bambino. Di tanto in tanto si aggirava intorno al reparto in una disperazione confusa. L’ultima volta che l’ho visitato l’ho trovato, con mia grande sorpresa, immerso nella lettura di un piccolo brano della Bibbia». Uno psichiatra trovò il modo di lasciarlo uscire dall’ospedale: «entro 24 ore papà si era impiccato nel suo giardino». Era il giugno 1994.

Da quel momento le grandi domande della vita avvolsero RJ Stove, dando «un colpo mortale a tutta la casa di carte che costituiva la mia atea visione personale. Questa è la storia dei prossimi otto anni, fino al mio battesimo dell’11 agosto 2002», scrive. In questo periodo «ho letto soprattutto riviste, così come testi di catechesi, a volte intere biografie di santi e di eroi cattolici. Anche se ho letto Chesterton, Belloc, Waugh, Christopher Dawson, Fulton Sheen, Frank J. Sheed e Arnold Lunn, il volume più importante per me (e ringrazio Dio per il sacerdote che, essendo stato informato della mia esistenza da alcuni miei amici, me l’ha portato), è stato “Chats with Converts” di Fr. M. Forrest». Parallelamente cominciava a muovere i primi passi nella scrittura e «quando ho studiato la battaglia di Lepanto e la storia dei martiri nell’era elisabettiana, non potevo più rimandare l’ingresso nella Chiesa cattolica. In onore del Papa che tanto aveva fatto per rendere possibile Lepanto, così come il suo omonimo del ventesimo secolo così vilmente calunniato come il “Papa di Hitler”, ho scelto Pio come nome di battesimo».

Il racconto si sofferma su alcuni effetti collaterali della conversione, come l’abbandono del credo politico e la separazione dal think-tank politico in cui lavorava «che considerava il cattolicesimo solo con disgusto», la difficoltà nella preghiera e anche la commozione verso la musica liturgica della Chiesa cattolica. Torna a riflettere: «Gli anti-cattolici spesso accusano il cattolicesimo di limitare la vita intellettuale. Io non l’ho trovato così. E’ vero che la vita intellettuale cattolica non ha lo scopo di contribuire alla scrittura di romanzi pornografici o ideare una sceneggiatura per un video di Britney Spears, ma per la mia vita non riesco a vedere nessuna privazione». E ancora: «Non sarà sfuggito che il mio ingresso nella Chiesa cattolica è coinciso con l’emergere dell’attacco mediatico alla Chiesa per i “preti pedofili”. In primo luogo, non mi sono mai illuso supponendo che i sacerdoti fossero liberi dal peccato originale. In secondo luogo, sapevo che chi urlava più forte contro essi per essere pervertiti erano gli stessi individui che consideravano “ok” ogni perversione praticata dagli anti-cattolici».

Stove chiude infine rivolgendo un pensiero ad ogni ateo ancora esitante sull’orlo della conversione: «Informatevi su ciò che i cattolici sostengono effettivamente, non basandosi su quello che i loro nemici giurati immaginano che i cattolici debbano sostenere. Quante deviazioni avrei potuto risparmiare a me stesso se qualcuno mi avesse scritto questo a me».

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Il 60% delle suore possiede una laurea prima di entrare in convento

Suore ed istruzione scolastica. Uno studio sull’alto numero di suore con laurea smentisce l’idea che la scelta del convento sia una scelta secondaria per chi non è riuscito ad ottenere una buona formazione scolastica o abbia difficoltà nel lavoro.

 

Se qualcuno ancora pensa all’ingresso in conventi femminili come a una scelta di ripiego per donne che non riescono a realizzarsi nel matrimonio o con una buona professione, verrà smentito (se mai ciò è stato vero) da un sondaggio realizzato dal “Center for Applied Research in the Apostolate” (CARA), con sede nell’Università di Georgetown.

Il sondaggio basato su 52 diversi ordini monastici femminili, ha rilevato che le ragazze che prendono i voti hanno per il 60% almeno il bachelor’s degree (paragonabile alla laurea breve), contro il 35% delle donne americane in genere; e il 25% ha la laurea, un master o la specializzazione, rispetto al 9% delle donne.

Vediamo quindi, tra coloro che scelgono di prendere il velo, una proporzione di donne con titolo di studio circa doppia rispetto alla popolazione femminile generale.

In Ultimissima 30/8/11 informavamo che durante l’ultimo meeting annuale dell’American Sociological Association è stato presentato uno studio secondo cui i bianchi americani non laureati hanno due volte più probabilità di non frequentare più la Chiesa rispetto a coloro che sono in possesso di un diploma di scuola superiore.

Linda Gridelli

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Chiara Lalli e “Giornalettismo” discriminano gli ex omosessuali

Una delle modalità di discriminazione degli ex-omosessuali è quella di mettere in dubbio la loro stessa esistenza. Il motivo è semplice: se esistono significa che l’omosessualità non è immutabile come la lobby omosessualista vuole far credere (chissà perché, poi), così, appena qualcuno fa “coming out” e riferisce di essere tornato sui suoi passi ecco scatenarsi attacchi violenti che dubitano che lui sia veramente riuscito “nell’impresa” o, addirittura, si arriva a negare che egli sia mai stato veramente omosessuale.

L’ultima discriminazione in ordine cronologico arriva da una sorta di non ben definito quotidiano online fai-da-te. Si chiama “Giornalettismo” (-ismo, notare già il profilo ideologico nella desinenza del nome). L’autrice è Chiara Lalli, dipendente de “La Sapienza” di Roma, omosessualista militante, appassionata di Marijuana, tanto da apologizzare verso la sua legalizzazione e  autrice di “C’è chi dice no. Dalla leva all’aborto. Come cambia l’obiezione di coscienza”, in cui si scaglia contro la libertà dei medici di rifiutarsi nel compiere azioni contrarie alla loro moralità.

Dopo che UCCR ha avviato la collaborazione con Adamo Creato, un ragazzo ex-omosessuale che ha voluto raccontare la sua esperienza di vita (cfr. Ultimissima 23/9/11), la Lalli ha stizzosamente reagito, negando -non si sa su quali basi- che l’autore dell’articolo sia realmente un ex-omosessuale. Ha scritto un frettoloso post “a caldo”, titolandolo: “Lo strano caso del gay curato con la Chiesa”.  Già da qui è possibile capire in quale confusione versi l’autrice: che senso ha dire “curato con la Chiesa”? La Chiesa è per caso una terapia, una medicina, una cura? Ma il contenuto è quello che diverte maggiormente: inizialmente sostiene che «Adamo Creato è un sedicente ex gay che ora è diventato etero ed è felice di correre dietro alle sottane». Dopo aver ricordato con un’infelice ironia che le sottane le hanno pure i sacerdoti e che le persone cattoliche non possono avere la razionalità, asserisce: «il sospetto che la sua testimonianza voglia essere normativa rende odiosa la lettura della sua testimonianza». La Lalli ovviamente non si è accorta che l’unica cosa fastidiosa è la ripetizione di parole identiche all’interno delle sue frasi. Infine, dopo aver rassicurato i propri lettori che ancora una volta non c’è nessuno che sia riuscito ad uscire dall’omosessualità, l’omosessualista si accanisce contro il Catechismo della Chiesa cattolica.

Ma su questo è doveroso ascoltare la veloce replica inviataci da Adamo Creato.

«Tralasciando le insinuazioni iniziali che mi descrivono quale “sedicente ex gay che ora è diventato etero ed è felice di correre dietro alle sottane”, mi concentro sull’accozzaglia di copia & incolla del magistero della Chiesa che viene posto a corredo dell’acuto articolo scritto dalla signorina Chiara Lalli. Nella sua foga patetica nel difendere i dogmi della sua religione scientista, citando documenti ecclesiali dei quali non conosce neanche il verso di lettura, ha dimenticato di connettersi col mondo del reale. Mi verrebbe da dire “peggio per lei, signorina Lalli, se è costretta a passare i suoi giorni tra color che son sospesi nella confutazione spasmodica di ciò che, evidentemente, cozza con la sua visione limitata della vita”. Potrei dirle che non sa assolutamente nulla di cristianesimo ne, tanto meno, di cattolicesimo. Potrei risponderle che, nella vita reale, la Chiesa cattolica è proprio quel luogo di accoglienza che ho descritto nel mio articolo. E che l’omosessualità non è affatto una condizione stabile e permanente, impossibile da modificare. Qualora riuscisse a sbloccare Google dai blocchi che ha appositamente inserito, potrà certamente trovare su Internet tutto ciò di cui ha bisogno, meraviglia delle meraviglie, per mettersi l’anima in pace: non solo molte persone hanno lasciato l’omosessualità, ma il numero di coloro che desiderano e cercano questa possibilità, è in pauroso (per lei) aumento. Consideri, la mia, una semplice puntualizzazione e non una risposta perché, come sa, una risposta ad una risposta diventerebbe immancabilmente una polemica. Lei continui pure a vivere nel mondo dei sogni, ma impari le regole minime necessarie per poter esprimere la propria opinione: il non parlare a vanvera ed avere a disposizione un organo intellettivo allenato».
Adamo Creato

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La “Sindrome post aborto” è presente anche nei bimbi sopravvissuti


di Stefano Bruni*
*pediatra

 

Si parla e si scrive con una certa frequenza delle sofferenze e delle problematiche di salute fisiche e mentali delle donne che decidono di abortire. Anche su questo sito sono stati segnalati studi scientifici (ed anche io personalmente ho segnalato parecchi link su questo argomento) che sottolineano come l’interruzione volontaria di gravidanza possa avere in molti casi conseguenze devastanti per chi la vive sulla propria pelle.

Un po’ meno si parla della sofferenza del feto che viene abortito benché siano disponibili alcuni studi scientifici sulla sensibilità dolorifica del feto nell’ambiente uterino. Si tende invece ad oscurare le problematiche e le sofferenze dei bambini sopravvissuti ad un intervento abortivo, mentre praticamente mai si affronta il problema della sofferenza psicologica cui vanno incontro i bambini sopravvissuti all’aborto di un fratellino, o sopravvissuti, a seguito di una pratica di fecondazione assistita, alla soppressione di un certo numero di embrioni “soprannumerari” e non desiderati.

Si tratta di quella che gli autori definiscono “PASS”: Post Abortion Survivors Syndrome. Una sindrome, appunto, cioè una serie di segni e di sintomi ben codificati. In una sua lettera all’Editore (una forma di comunicazione scientifica che un autore fa agli addetti ai lavori utilizzando una rivista scientifica peer reviewed) del Southern Medical Journal di qualche anno fa (2006), il Dr Philip Ney psicologo e psichiatra del Department of Family Practice, Faculty of Medicine, University of British Columbia, Victoria, British Columbia (Canada) descrive segni e sintomi della PASS, una sindrome simile, ma non sovrapponibile in tutto e per tutto, a quella cui vanno soggetti i sopravvissuti ad altre catastrofi (campi di concentramento, disastri aerei, guerre, attentati terroristici, …).

Sullo stesso argomento il Dr Ney aveva pubblicato in precedenza un altro lavoro sul Child Psychiatry and Human Development (1983), intitolato:  “A consideration of abortion survivors” (è solo un estratto ma il lavoro intero è acquistabile online per chi fosse interessato a leggerlo). In sintesi, gli studi effettuati dal Dr Ney lo hanno portato a concludere che i bambini che realizzano che i propri genitori hanno precedentemente (o successivamente alla loro nascita) abortito un fratellino sono ad alto rischio di sviluppare disturbi dello sviluppo o patologie psichiatriche (depressione, psicosi, aggressività, suicidio, insofferenza nei confronti dell’autorità, …).

Alla determinazione di questi disturbi concorrono diversi elementi. Tra gli altri:
1. la paura del bambino nei confronti di genitori che si sono dimostrati capaci di sopprimere la vita di un essere umano di cui invece avrebbero dovuto curarsi; il bambino si sente a rischio di essere rifiutato da un momento all’altro come il fratellino abortito e vive nella paura e nell’incertezza di essere non amato;
2. il senso di colpa (“perché sono in vita io e non gli altri?”) che si genera nel bimbo sopravvissuto come se la scelta di sopprimere il fratellino e mettere al mondo lui fosse in qualche modo legata a lui stesso;
3. una sensazione di onnipotenza o di megalomania nel bambino sopravvissuto che si sente più forte degli altri, più forte della morte stessa, indistruttibile dal momento che è sopravvissuto;
4. l’atteggiamento di sovra-protezione, per i sensi di colpa dei genitori, di cui il bambino viene fatto oggetto;
5. le attese impossibili che il genitore ha sul bambino quando questo è vissuto come «figlio-sostituto» del figlio abortito;
6. un disturbo dell’attaccamento con entrambi i genitori che può portare anche all’abuso o all’abbandono nei confronti del figlio “sopravvissuto”.

Questi sentimenti contrastanti di colpa e di onnipotenza, di abbandono e di iperprotezione talora coesistono paradossalmente e si accompagnano ad un’esposizione al rischio di autolesionismo (il bambino, poi ragazzo e infine adulto si mette in situazioni di pericolo) o di sviluppare malattie psicosomatiche o psichiatriche. In un’altra lettera all’editore, questa volta del Canadian Journal of Psychiatry (1993; 38(8): 577-578), il Dr Philip Ney spiega anche che sebbene ci sarebbe tanto da studiare e da capire relativamente a quanto accade nelle donne che abortiscono o nei bambini sopravvissuti a questa scelta, questi argomenti sono considerati taboo dalla stessa comunità scientifica ed è molto difficile (se non addirittura deliberatamente scoraggiato) per un ricercatore compiere indagini scientifiche su questi temi.

Si dirà che il Dr Ney è persona evidentemente credente e contraria all’aborto e che dunque nelle sue ricerche c’è un bias, un “pre-concetto”.  Tuttavia, se quanto affermato dal Dr Ney è vero (ed io credo che lo sia anche perché le evidenze in questo senso sono tante) allora forse il pre-concetto non toglie obiettività ai credenti contrari all’aborto ma piuttosto la toglie a coloro che sono favorevoli a questa pratica.

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Il matematico di Oxford, John Lennox, tra scienza e fede

Abbiamo già avuto modo di parlare in Ultimissima 23/8/11 del prestigioso matematico John Lennox, docente presso l’Università di Oxford. Avendo pubblicato da poco il suo ultimo libro, God and Stephen Hawking: Whose Design Is It Anyway? (Lion UK 2011), è frequentemente intervistato dalla stampa e in questi giorni ha rilasciato un’interessante intervista a Roland Ashby, spaziando a tutto campo sulle tematiche in comune tra scienza e fede.

FINE TUNING. Dopo aver parlato del continuo stupore per l’intelligibilità razionale dell’Universo, Lennox ha descritto quelle che lui vede come le “impronte di Dio“: «una di questi è l’ordine e il disegno che sono espressi dall’eleganza delle leggi che sono state scoperte. Il design può anche essere valutato in un “fine tuning” dell’universo, che è la “versione scientifica” della Genesi. Essa ci dice che c’è una sequenza che porta ad un obiettivo: gli esseri umani. Il “fine tuning”, afferma che le costanti fisiche fondamentali che regolano la struttura dell’universo devono essere “sintonizzate” in modo incredibilmente preciso per permettere che la vita possa esistere».

EVOLUZIONE E DNA. Affrontando il classico tema dell’evoluzione, il matematico di Oxford afferma: «E’ importante sottolineare che, qualunque cosa si pensi dell’evoluzione, non è possibile dedurre l’ateismo da essa. Dopo tutto, l’evoluzione è essenzialmente un meccanismo che fa qualcosa, e l’esistenza di un meccanismo che fa qualcosa non è di per sé un argomento contro l’esistenza di un Designer che ha progettato il meccanismo per fare quel qualcosa». Non fa critiche all’evoluzione nel senso darwiniano, il suo scetticismo risiede «nella presunta capacità creativa dell’evoluzione, che credo la scienza non abbia dimostrato. Quello che mi interessa come matematico è l’origine della vita stessa, e l’evoluzione non ha nulla da dire su questo, come anche Richard Dawkins ha dovuto recentemente riconoscere. L’evoluzione darwiniana, in quanto dipende dall’esistenza di un replicatore mutante, chiaramente non può spiegare l’esistenza di un replicatore». Il DNA, dice Lennox, «è il più sofisticato linguaggio che abbiamo mai incontrato. E’ un testo, un testo creato da un’intelligenza, e che, a mio avviso, è una forte conferma della dichiarazione biblica “In principio era il Verbo”. Il DNA punta in alto verso un Progettista, non verso il basso su irragionevoli processi senza guida. Come scienziato, preferisco di gran lunga preferito una spiegazione che ha un senso, ed è coerente». Lennox ha citato il fisico e premio Nobel Robert Laughlin, il quale ha spiegato di essere stanco dell’uso dell’evoluzione come “tappabuco”. Dice infatti Laughlin: «Un pasticcio di proteine diventa un pollo. Come? Lo ha fatto l’evoluzione. Questo è un non-argomento». Anche il professor William Provine, tra i principali biologi evoluzionisti americani, afferma che la selezione naturale, per quanto egli può ora vedere, fa molto poco. Tuttavia, assicura Lennox, «la mia fede in Dio non dipende certo dalla soluzione di un problema biologico, ma è la mia scienza a rendermi scettico verso la macro-evoluzione».

LA FEDE SI APPOGGIA SU DELLE PROVE. Dopo una riflessione sul Big Bang e sui suoi inevitabili richiami biblici sull’inizio dell’universo, il docente di Oxford ha parlato ottimamente della compatibilità tra scienza e fede: «Quando mi chiedono di tenere una conferenza su “scienza e fede”, la mia risposta è quella di sottolineare come questo titolo dia la falsa impressione che la fede sia un concetto religioso che non ha nulla a che fare con la scienza. Molte persone hanno acquisito un’errata visione della fede, per cui essa è credere quando non ci sono prove. In realtà, la fede cristiana si basa su prove. La fede è inseparabile dalla ricerca scientifica».

MIRACOLI NON VIOLANO LEGGI DELLA NATURA. Lennox risponde perfino ad una domanda sulla Risurrezione, criticando la visione di David Hume secondo cui essa violerebbe tutte le leggi della natura. Lennox afferma: «La risurrezione non viola le leggi della natura. Dio può avviare un nuovo evento in un sistema. Che cos’è una legge scientifica? Non è una legge nel senso della giurisprudenza, si tratta di una legge nel senso matematico, e questo significa che è la nostra descrizione di quel che accade normalmente, ma non è la causa di quel che accade, e questo è il punto cruciale». Un grande studioso di Hume è stato il filosofo della scienza Antony Flew, l’ateo più famoso del mondo, padrino di Richard Dawkins e convertitosi al deismo nel 2004 per motivazioni esclusivamente scientifiche. Egli arrivò a contestare duramente la nozione di miracolo come violazione della legge della natura.

Il matematico di Oxford ha infine ricordato la profonda stima verso CS Lewis, tra i più grandi pensatori inglesi. Ne ha citato anche una frase: «Gli uomini sono diventati scienziati perché si aspettavano delle leggi in natura, e loro si aspettavano delle leggi in natura perché credevano in un Creatore delle leggi».

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