Le scuole cattoliche inglesi sempre più ambite: crescono gli iscritti

«La percentuale di studenti provenienti da minoranze etniche è più alta nelle scuole cattoliche rispetto a quelle di Stato. Gli istituti cattolici sono sempre più popolari. E’ la risposta migliore alle critiche di chi attacca le nostre scuole dicendo che discriminano in base alla fede o al reddito». Così Greg Pope, vicedirettore del dipartimento per l’educazione della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles commenta a SIR Europa il censimento 2010 delle scuole cattoliche.

Esso dimostra che il 29,2% di alunni delle scuole elementari cattoliche provengono da minoranze etniche a fronte di un 25,5% delle scuole nazionali. Anche alle superiori la percentuale di alunni non inglesi nelle scuole cattoliche è più alta, il 25,2%, rispetto al 21,4% della media nazionale.

Il censimento pubblicato dal dipartimento (disponibile all’indirizzo www.catholic-ew.org.uk) dimostra anche che le scuole cattoliche sono sempre più ambite. La percentuale di alunni nei 2289 istituti gestiti dalla chiesa – si tratta del 10% di tutte le scuole e gli istituti superiori – è salita infatti dai 781.400 del 2009 ai 784.808 del 2010. Nell’intervista Pope spiega anche che la nuova legge sulle pari opportunità consentirà agli istituti della chiesa di continuare a usare il criterio della religione di appartenenza per scegliere insegnanti e alunni e che la percentuale dei cattolici rimane alta.

La stessa tendenza si verifica in Francia (cfr. Ultimissima 19/10/11) e in Australia (cfr. Ultimissima 30/8/11). In Ultimissima 22/3/11 informavamo che l’ente governativo inglese, “l’Office for Standards in Education, Children’s Services and Skills” (OFSTED), stabiliva che le scuole cattoliche del Regno Unito offrono anche più qualità rispetto alle altre.

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In libreria: “Case di Dio e ospedali degli uomini”, di Francesco Agnoli

Adoratori di un Dio che prima di tutto, si è fatto bambino. Questi sono i cristiani, che sin dai primi secoli si sono dimostrati in prima linea per salvare quei bambini trovatelli, non voluti, indesiderati, a differenza della quasi totalità dei popoli antichi per i quali era assolutamente nella norma lasciare alla morte i bambini o ridurli alla schiavitù. Solo con l’avvento del cristianesimo si sono sviluppate la medicina e l’accoglienza.

Questo è il contenuto del nuovo saggio storico di Francesco Agnoli, insegnante, scrittore, giornalista e collaboratore de “Il Foglio”. Il libro si intitola: “Case di Dio e ospedali degli uomini. Perché, come e dove sono nati gli ospedali” (Fede e Cultura 2011) ed è in libreria in questi giorni. Agnoli descrive la nascita di ospedali, orfanotrofi, lebbrosari, case d’accoglienza per prostitute ecc .. volti esclusivamente a garantire il semplice diritto alla vita a dei bambini innocenti, contrariamente a tutte le altre culture pre-cristiane. Già nel 787, leggiamo nella presentazione apparsa su “Il Foglio”, l’arciprete Dateo accoglieva i bambini abbandonati sulla porta della chiesa dedicandosi inoltre, ad allevare con l’aiuto delle balie, i bambini raccolti per strada.

Un altro esempio può essere sicuramente rappresentato da quello che era il metodo più diffuso per la raccolta degli esposti, ossia la ruota, la quale risale a Papa Innocenzo III, il protettore dell’ospedale di Santo Spirito nel 1214. Uscendo dall’Italia comunque, anche se tali situazioni erano decisamente meno diffuse, i cristiani sono stati in ogni modo presenti, per esempio a Parigi, Londra, Colonia, Norimberga ecc. Nella capitale francese ad esempio, nel 1363 una delle confraternite cittadine fondò il Saint-Espriten-Grève allo scopo di raccogliere i bambini di nascita illegittima abbandonati oppure gli orfani di ambedue i genitori aventi meno di nove anni. Nel 1409 erano una cinquantina e 200 un secolo più tardi, ovviamente totalmente a carico delle autorità ecclesiastiche. Dalla costante e ormai tradizionale attenzione verso i bambini abbandonati nacque anche il famosissimo “Spedale degli Innocenti” fondato a Firenze nel 1419, progettato dal grande Filippo Brunelleschi, e che trovò anche il sostegno del comune e della corporazione della seta; o ancora la struttura di San Girolamo Emiliani, che grazie all’appoggio del duca Francesco Sforza, nell’anno 1528 riuscì a fondare nell’oratorio di San Martino con la successiva protezione dei cardinali Carlo e Federigo Borromeo. Una vera e propria rivoluzione culturale e sociale, dunque, rispetto al mondo antico, romano e greco, oltre che germanico.

Lo storico Paolo Caucci, ordinario di Storia della cultura ispanica presso l’Università di Perugia ha commentato: «È un fatto che la medicina e il suo sviluppo abbiano nelle loro radici il fondamento dell’ospitalità e della carità più che un interesse scientifico, che sarebbe sorto invece dall’applicazione di questi princìpi. Una carità che vedeva la sofferenza come sofferenza di Cristo. È questo che ha generato un passaggio di civiltà». Parte del ricavato ottenuto con questo libro andrà al Medv (Movimento europeo difesa vita) per un progetto di aiuto economico al Caritas Baby Hospital di Betlemme.

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Intorno al libro di Monod: la teleonomia dei viventi come paradosso

“Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Umberto Fasol, laureato in Scienze Biologiche a Padova, docente di scienze naturali in un Liceo di Verona, di cui è preside. Esperto di evoluzione, morfogenesi, cosmologia e bioetica, collabora con la rivista “Emmeciquadro”, “Nuovaseconaria” e con “Il Timone”,  nel 1984 ha pubblicato sulla Rivista internazionale di Biologia “Meccanismi epigenetici nella morfogenesi dei vertebrati”, nel 2007 il libro “La creazione della vita” (Fede e Cultura)”, nel 2010 i libri “La vita una meraviglia  (Fede e Cultura) e “Evoluzione o Complessità? La nuova sfida della scienza moderna” (Fede e Cultura). Il prof. Fasol si è reso anche disponibile a rispondere a domande, dubbi ed eventuali critiche che potranno essere postate nei commenti sotto l’articolo”.

 

di Umberto Fasol*
*docente di scienze naturali

 

Il saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea scritto dal Premio Nobel per la medicina Jacques Monod nel 1970, “Il Caso e la Necessità”, rimane una pietra miliare nel nostro dibattito sulla natura della vita, sulla sua complessità e sulla sua origine. Particolarmente lucido ed assertivo risulta il filo rosso che unisce tutte le pagine e tutti i capitoli trattati: “il carattere teleonomico degli esseri viventi, per cui nelle loro strutture e prestazioni essi realizzano e perseguono un progetto” (pag. 30). La grande sfida per la riflessione filosofica sulla natura della vita è dunque costituita dalla teleonomia degli esseri viventi: il libro la affronta, la analizza e la rilancia di continuo, cogliendola da prospettive diverse, prese soprattutto dall’ambito della biologia molecolare. L’interrogativo fondamentale, cui si vuole rispondere è questo: “la teleonomia è reale o è solo apparente?”, ovvero: “è frutto di una scelta o è l’unica possibilità?”. Prima di giungere alla risposta procediamo per gradi.

Prima di tutto definiamo la teleonomia attraverso un esempio. “Se si ammette che l’esistenza e la struttura della macchina fotografica realizzano il progetto di captare immagini, si deve anche necessariamente ammettere che un progetto simile si attua nella comparsa dell’occhio di un vertebrato. … Lenti, diaframma, otturatore, pigmenti fotosensibili: le stesse componenti non possono essere state predisposte, nei due oggetti, che per fornire prestazioni simili. E’ impossibile concepire un esperimento in grado di provare la non esistenza di un progetto, di uno scopo perseguito, in un punto qualsiasi della Natura” (pag. 30). Con tale affermazione categorica si cancella qualunque dubbio il lettore o il ricercatore potesse avere in proposito: il progetto c’è! 

Si può e anzi si deve dunque parlare di progetti nelle forme di vita, senza il pudore che tutti gli insegnanti manifestano quando parlano con gli studenti: l’occhio serve per vedere, il cuore serve come pompa per spingere il sangue in tutti i distretti cellulari, le ali sono strutture disegnate per consentire il volo, ecc… Ricordiamo il celebre intervento del card. Schonborn sul New York Times, il 7 luglio del 2005, con un clamoroso “Finding design in Nature”, mirato ad accusare “di ideologia ogni scuola di pensiero scientifico che voglia escludere l’idea di progetto in natura”. Qual è dunque il problema se Monod prima e Schonborn poi, da prospettive filosofiche opposte, parlano di “disegno” in Natura come un’evidenza, che addirittura non si può smentire in modo sperimentale?

Il problema nasce nel momento in cui si vuole indicare la fonte di questi progetti, che non può assolutamente essere metafisica, per la scienza, in virtù del “postulato dell’oggettività della Natura, vale a dire il rifiuto sistematico a considerare qualsiasi interpretazione dei fenomeni in termini di cause finali, cioè di progetto” (pag. 29). Detto in modo diverso: il progetto c’è, ma non può essere spiegato con un altro progetto che lo precede. Esso nasce spontaneamente ogni volta che si forma la vita, non per scelta specifica, ma per l’esclusione automatica di tutte le altre possibilità, per opera sia della conformazione iniziale che della selezione naturale. E’ il concetto di gratuità che viene in soccorso di questa interpretazione. La gratuità è l’indipendenza chimica tra la natura molecolare del segnale e la funzione stessa che vuole realizzare. L’esempio più famoso è dato dal codice genetico. Non esiste alcuna relazione chimica tra la tripletta di nucleotidi e il suo significato, ovvero l’amminoacido specificato: la parola UUU significa la fenilalanina, ma per pura convenzione, non per complementarietà tridimensionale o per affinità chimica. Un altro esempio si può ricavare dal mondo degli ormoni. L’insulina è l’ormone prodotto dalle cellule beta delle isole del Langherhans del pancreas ed ha come bersaglio il glucosio del sangue: lo spinge all’interno delle membrane cellulari, abbassando così la glicemia. Bene: la relazione tra la molecola di insulina e il suo significato, ovvero la molecola di glucosio, è assolutamente gratuita: osservando la natura della prima non si può prevedere nulla della sua funzione.

Allora, ecco la conclusione di Monod: se i codici della vita sono gratuiti, significa che “tutto è possibile”: quando si formano le strutture vitali la completa libertà di scelta tra le infinite opzioni, essendo queste sciolte da qualsiasi vincolo chimico, costringe di fatto la natura ad escludere tutte quelle possibilità che non si configurano. Si afferma solo quella possibilità che “obbedisce meglio ai soli vincoli fisiologici, grazie ai quali tutto verrà selezionato secondo la maggior coerenza ed efficacia che conferirà alla cellula o all’organismo”Qual è allora la fonte della teleonomia? La causa ultima è la disposizione casuale dei nucleotidi del DNA che determina una sequenza altrettanto casuale di amminoacidi, che genera poi a cascata tutti gli eventi che caratterizzano il fenomeno della vita. Interessante, ma discutibile, la definizione di casualità del DNA come “assenza di regole che permettano di prevedere la successiva lettera”: l’osservazione è vera, ma non per questo il DNA appare non ordinato, anzi, è il libretto di istruzioni della vita” (Collins, Direttore del Progetto Genoma Umano). Chiunque abbia studiato la biologia molecolare del gene ha incontrato solo che “regole”: il processo di lettura del DNA e di sintesi delle proteine avviene secondo un vero e proprio “protocollo”, che garantisce la vita stessa.

Proviamo a riflettere su queste conclusioni di Monod. Ci troviamo di fronte ad un paradosso epistemologico: il riconoscimento esplicito e scientifico della teleonomia come la cifra della vita non porta alla classica conclusione metafisica (esiste un Progettatore esterno) che ha nutrito interi millenni di umanità, ma al suo contrario: “l’antica alleanza è infranta: l’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità indifferente dell’Universo da cui è emerso per caso. Il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo” (conclusione del libro). Possono convivere le due conclusioni? O quale delle due è quella vera? Rinvio la risposta al lettore. Aggiungo alcune riflessioni nel merito delle argomentazioni utilizzate da Monod: parto dalla “gratuità del codice genetico”, il fondamento di tutto il suo castello ideale. Se non esiste alcun legame chimico-fisico tra il messaggio e il suo significato, non si capisce perché la loro relazione dovrebbe essere determinata dall’ambiente: se la complementarietà materiale non è riuscita a legare i due oggetti, come possono fare due pezzi di lego, perché mai dovrebbe riuscirci un ambiente anonimo, che non ha alcuna affinità né alcun interesse? Come a dire: se i due pezzi di lego non si sono uniti perché hanno i fori e denti complementari, perché mai il tappeto su cui si trovano dovrebbe casualmente unirli? Insomma, l’ambiente di Monod ha proprietà morfogenetiche che né la chimica, né la fisica, né la biologia, gli attribuiscono. Che cosa c’entrano la temperatura, la pressione, la concentrazione iniziali, ma anche gli stessi atomi del DNA con tutto ciò che dovrebbe conseguire dalle loro informazioni: le membrane cellulari, i tessuti, gli organi, gli apparati, il naso, la bocca, gli occhi, lo sguardo stupito di chi ha appena letto il libro di Monod? Come si spiega solo a partire dal DNA che la cellula uovo, sferica e indifferenziata, in pochi giorni si struttura lungo tre assi, assume una forma allungata con una cavità interna che diventerà l’intestino, cresce e si differenzia formando un bambino completo di tutto, già dopo quattro settimane?

Oggi si sa che gli esseri viventi sono organizzati a più livelli di complessità, uno sopra l’altro e non si possono spiegare a partire da quello sottostante: l’anatomia e la fisiologia del cuore non sono incluse nella cellula del miocardio, così come le proprietà della cellula non sono prevedibili a partire dai suoi ingredienti chimici,… e così via. Credo che Aristotele avesse ragione, ancora nel IV secolo avanti Cristo: le cause finali sono il motore di ogni movimento. Le cellule del nostro corpo si comportano “come se” fossero consapevoli di quello che devono fare in ogni istante per realizzare il progetto della vita e della sua perpetuazione. Ma: possono essere consapevoli? Se non abbiamo evidenza sperimentale di questa condizione della materia, credo possa risultare ragionevole ipotizzare una Causa finale al di fuori del sistema.

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Scienziati e giuristi plaudono alla sentenza contro la brevettabilità dell’embrione

Recentemente la Corte di giustizia europea si è espressa in maniera epocale in merito alla brevettabilità delle cellule embrionali umane: non è brevettabile un procedimento che, ricorrendo al prelievo di cellule staminali ricavate da un embrione umano allo stadio di blastocisti, comporta la distruzione dell’embrione stesso. Ce lo raccontava Aldo Vitale in Ultimissima 23/10/11. L’attesissima risposta rispecchia fortunatamente le previsioni che vennero avanzate a marzo di quest’anno (cfr. Ultimissima 26/3/11).

Bisogna dare il giusto merito alla Ong ambientalista Greenpeace per aver iniziato la controversia legale denunciando nel 1999 l’ottenimento di un brevetto da parte del neuropatologo tedesco Oliver Brüstle per produrre cellule neurali da staminali embrionali umane di una linea stabilizzata e commercialmente disponibile. In questi giorni tantissimi scienziati, bioeticisti e giuristi hanno preso posizione e la maggioranza di essi, sorprendentemente, è assolutamente a favore della decisione europea. Ne elenchiamo alcuni:

 

Il biologo e farmacolo Angelo Vescovi, direttore scientifico della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, recentemente insignito del premio «Alumnus of the year 2011» da parte dell’Hotchkiss Brain Institute, centro di eccellenza per le neuroscienze dell’università canadese di Calgary, dichiara su “Avvenire”: «Sentenza illuminata. L’elemento centrale della sentenza è che la vita umana non può essere sfruttata per fini commerciali, e questo è un principio eticamente condivisibile e importante. Non solo: questa decisione mette in luce l’aggravante della causalità in ciò che si vieta, ossia come non solo non si possa distruggere un embrione ma, meno che mai, costruirlo apposta con questa finalità. Si stabilisce, poi, che la vita comincia con la fecondazione dell’ovulo. La soddisfazione morale che provo è legata al fatto che, finalmente, anche dalla legge arriva un incitamento a svegliarsi, perché si capisca che è tempo di cambiare strategie politiche e bioindustriali. Non ha più senso continuare a investire sugli embrioni: ora l’alternativa c’è ed è data dalla tecnica della riprogrammazione delle cellule adulte sulla quale da tempo ha puntato la ricerca mondiale. Sono cellule più maneggevoli anche per la pratica industriale perché ottenibili in quantità elevate, utilizzabili sul paziente senza rischio di rigetto. A chi griderà all’oscurantismo del Vecchio continente, io rispondo che dimostra un’incompetenza tecnico-scientifica enorme. La ricerca non si ferma affatto perché la strada vincente, anche per l’industria, è la riprogrammazione».

 

Il genetista del Dipartimento di Scienze zootecniche dell’Università degli Studi di Napoli e filosofo della bioetica, Donato Matassino, dichiara su “Il Mattino”: «Da genetista, ricercatore e credente non posso che notare che, da due approcci diversi, quello cattolico e quello ambientalista, si è arrivati alle medesime conclusioni. Dimostrazione che esiste un nocciolo della questione condivisibile, mi faccia dire, laicamente. L’individuo inizia dal concepimento quindi sopprimere l’embrione, fosse anche per un farmaco, non si può […]. Le staminali embrionali le staminali embrionali si sono rivelate a rischio, geneticamente poco gestibili, possono anche produrre tumori invece che il tessuto atteso. Molto più gestibili sono quelle adulte già indirizzate per produrre il tessuto e l’organo che si vuole rimpiazzare». Lo scienziato si espone anche sulla problematica degli embrioni congelati.

 

Il genetista Bruno Dallapiccola, docente presso l’Università “La Sapienza” di Roma e direttore scientifico dell’Istituto Mendel, scrive su “Il Corriere della Sera”: «Il pronunciamento della Corte di Giustizia Europea è un atto di profonda civiltà e di rispetto per l’ uomo. È il riconoscimento dell’ inizio della vita umana fin dal momento del concepimento, come peraltro ci insegnano i libri di embriologia, in base ad evidenze di natura morfologica, biochimica e genetica, che comunque non è inopportuno ribadire attraverso un pronunciamento autorevole. La sentenza è del tutto in linea con un’idea che da medico e ricercatore ho fatto mia, dopo avere sottoscritto al momento della laurea in medicina il giuramento d’Ippocrate, forse datato, ma ancora oggi ricco di messaggi, in base ai quali sono diventato un sostenitore della libertà del ricercatore, ma fermo nell’affermare che quando la ricerca aggredisce l’uomo e lo distrugge in qualunque momento del suo sviluppo, quella libertà debba essere vigilata. La sentenza della Corte di Giustizia ridà voce a chi ancora non l’ha e ci riporta prepotentemente a riflettere sull’articolo 1 della legge 40, che «assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Non credo peraltro che questa sentenza mini la ricerca scientifica destinata alle malattie oggi non curabili. Gli straordinari progressi conoscitivi sulle cellule staminali, sulla loro pluripotenza, il mantenimento, la differenziazione, la riprogrammazione, gli effetti paracrini aprono prospettive di grande speranza per i pazienti, superando gli aspetti bioetici della ricerca sulle cellule staminali prelevate distruggendo l’ embrione».

 

Il neurologo Paolo Calabresi, ordinario di Neurologia all’Università di Perugia e membro di un gruppo europeo di studio sul Parkinson, dice a “Il Messaggero”: «con le staminali contiamo molte sperimentazioni ma pochi risultati clinici davvero soddisfacenti. Oggi si utilizzano staminali prese dalla cute del paziente e si lavora per indurle a differenziarsi in neuroni in grado di rilasciare il neurotrasmettitore mancante in questi pazienti. I codici etici vanno comunque rispettati».

 
Il microbiologo Augusto Pessina, responsabile del Laboratorio di Colture Cellulari dell’Istituto di Microbiologia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano, Presidente della Associazione Italiana Culture Cellulari (AICC), branch nazionale della European Tissue Culture Society (ETCS), e membro dello Scientific Advisory Board of NICB (National Institute for Cellular Biotechnology) presso l’Università di Dublino, ha scritto su “L’Osservatore Romano”: «Questa sentenza era attesa per il maggio scorso e, a quel tempo, non sono mancati tentativi di influenzarne il giudizio. Infatti sulla rivista «Nature» del 28 aprile un appello firmato da Austin Smith del Wellcome Trust Center di Cambridge e da alcuni suoi colleghi (in Italia era sostenuto da Unistem dell’università di Milano), — aveva avviato il dibattito con lo scopo di forzare la decisione della Corte nel senso di autorizzare la possibilità di brevettare cellule embrionali umane. In quel documento si sosteneva che le cellule staminali embrionali sono solo linee cellulari e non embrioni. Ma lo stesso documento ometteva deliberatamente di dire che queste linee sono derivate dalla distruzione di embrioni umani, esseri umani in via di sviluppo, definiti «surplus di ovociti fertilizzati in vitro» (sic!). Esistono già centinaia di queste linee (qualcuno sostiene migliaia), molte delle quali brevettate negli Stati Uniti. Il principio di dignità umana della direttiva 98/44 che «vieta l’uso di embrioni umani per scopi commerciali e industriali» è un principio da applicare non solo a una persona umana adulta e a un neonato, ma anche al corpo umano fino dal suo primo stadio di sviluppo. Quindi anche le cosiddette cellule staminali embrionali — che pure non sono in grado individualmente di produrre un essere umano completo, come le cellule che ha utilizzato Brustle — devono essere sottoposte alle stesse regole, in quanto non possono essere ottenute dalla blastocisti senza distruzione della stessa, e quindi senza distruzione dell’embrione umano. La sentenza sembra avere accolto in pieno questi principi. Speriamo soltanto che duri».
 

Il neonatologo Carlo Bellieni, docente all’Università di Siena, spiega a “Tempi”: «La sentenza dice una cosa che sanno tutti i bambini: la vita umana comincia con l’atto procreativo. Non è vero che si blocca la ricerca. Intanto diciamo che tutte le ricerche, se non sono etiche, si bloccano. Se uno studio non è ritenuto etico, si blocca: non è censura, è un rispetto per la persona. Inoltre, stracciarsi le vesti perché si ferma uno studio tra dieci milioni di studi che possono essere fatti per migliorare la situazione della medicina nel mondo, mi sembra poco proporzionale. Grazie a Dio le ricerche vanno avanti: usando le cellule staminali adulte o quelle prese al momento della nascita».

 

La bioeticista Assuntina Morresi, docente di Chimica fisica all’Università di Perugia e membro del Comitato nazionale di bioetica, ha scritto su “L’Occidentale”: «Un pronunciamento importante, che innanzitutto spazza via tante critiche strumentali alla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, trattata per anni da certi commentatori e politici come una norma “oscurantista”, “antiscientifica”, sostanzialmente la quintessenza dell’illegalità. Un embrione umano non può mai essere mercanteggiato perché la qualifica di “umano” è sua fin dal primo istante della sua esistenza, e non dopo certe fasi di sviluppo – per esempio a quattordici giorni di vita- fantasiosamente stabilite in alcuni paesi, in basi a convenzioni del tutto discutibili».

 

Il giurista Francesco D’Agostino, presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani (UGCI) e membro del Consiglio Scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, scrive su “Avvenire”: «Di notevolissima onestà intellettuale la sentenza della Corte europea di giustizia […] ha stabilito che per tutelare a tutto tondo la dignità umana, la nozione di embrione umano va interpretata nel senso più ampio possibile. È embrione non solo l’ovocita fecondato (e fin dal momento della fecondazione), ma qualunque ovocita che a seguito di qualsivoglia manipolazione abbia la potenzialità di svilupparsi e di dar vita a un individuo umano. Conseguenza coerente di quest’affermazione è la conferma dell’esclusione dalla brevettabilità di qualunque “invenzione” su materiale cellulare che presupponga la distruzione di embrioni umani e questo non solo nel caso che il brevetto risponda a meri interessi commerciali dell’”inventore”, ma anche quando esso venga richiesto da scienziati nel contesto di ricerche scientifiche. La Corte ribadisce così un principio fondamentale della biogiuridica e cioè che il rispetto della persona umana, fin dalle prime fasi sul suo sviluppo, ha un primato sui meri interessi della scienza e della ricerca, per quanto apprezzabilissimi. Una sentenza come questa costituisce però un ottimo esempio di ciò che Papa Benedetto, nel recente discorso al Reichstag di Berlino, ha qualificato come «ecologia umana»: una difesa dell’uomo fondata non su assunzioni ideologiche e politiche, ma su una seria e onesta riflessione su dati antropologici incontrovertibili».

 

La giurista Mariachiara Tallacchini, docente di Filosofia del diritto e di Scienza, tecnologia e diritto alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Piacenza, commenta su “Avvenire”: «La sentenza non si occupa di vietare né la ricerca né la commercializzazione. Dice solo che non si può ottenere rispetto agli embrioni quella particolare forma di tutela giuridica e di esclusiva economica rappresentata dal brevetto – cioè forme di protezione che garantiscono un elevato profitto. Per esempio nel settore della brevettabilità delle sequenze genetiche, c’è forte polemica sull’uso dei brevetti, che sono giudicati un ostacolo alla ricerca: basta pensare a quelli sui geni Brca1 e Brca2 – correlati all’insorgenza di tumori al seno – che sono stati oggetto di sentenze contrastanti in Europa e negli Stati Uniti. Allora: perché i brevetti dovrebbero essere strumento di libertà quando si tratta della ricerca sulle cellule embrionali e ostacolo all’innovazione quando si tratta di sequenze genetiche?»

 

Il presidente emerito della Pontificia accademia per la Vita, il cardinale Elio Sgreccia, esprime soddisfazione su “Avvenire”: «Per la Corte anche se giustificata da motivi terapeutici, la brevettazione ha sempre di mira la commerciabilita’ delll’embrione umano e quindi come tale e’ vietata. L’uso dell’embrione per diagnosi e terapia sperimentale e’ autorizzato solo quando e’ a beneficio dell’embrione stesso: non si interviene per farlo morire, ma per farlo vivere meglio, per guarirlo da malformazioni. I procedimenti terapeutici sono a salvaguardia dell’embrione su cui si procede. Solo in questa situazione e’ consentita la sperimentazione sull’embrione».

 

Qui sotto l’interessante posizione di Giuliano Ferrara durante la puntata di Qui Radio Londra del 19/10/11

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Eleonora Bianchini e Il Fatto contro gli ex-gay: è polemica!

E’ sempre interessante notare quali reazioni si sviluppino per tentare di reprimere l’idea che possano esistere persone ex-omosessuali. Essi non devono esistere e quindi alcuni media organizzano saltuariamente campagne intimidatorie per scoraggiare futuri fastidiosissimi “coming out”.

Chiara Lalli ci aveva goffamente provato su un aggregatore di futili notizie chiamato “Giornalettismo” qualche giorno fa, accanendosi sul nostro collaboratore ex omosessuale, Adamo Creato, volendo convincere i suoi lettori che ancora una volta era tutto falso (cfr. Ultimissima 12/8/11). L’articolo però si presentava come una “reazione” a caldo, oggettivamente fatto male. La lobby omosessuale ha allora pensato di far scendere in campo i “pezzi da 90” e così il 14/10/11 ci ha contattato Eleonora Bianchini, freelance de Il Fatto Quotidiano”, appassionata di “celodurismo” leghista, laureatasi sui Simpson nel 2005 e subito approdata a Radio Radicale.

Conoscendo gli intenti maliziosi le abbiamo chiesto di voler rispondere alle sue domande esclusivamente per iscritto piuttosto che al telefono, in modo che la conversazione rimanesse meglio documentata. E abbiamo fatto senz’altro bene. La Bianchini sostanzialmente -in modo molto più professionale della Lalli- inventa su Il Fatto Quotidiano un tipico titolo “accalappiapolli”, accennando a presunte aspre polemiche attorno ad Adamo Creato. Qualcuno si è mai accorto di nulla? Non è che si vuole avviare una polemica inventandosi con un trucchetto che essa ci sia di già? Un ragazzo racconta di essere ex-omosessuale e quindi c’è polemica, si comincia bene. Il titolo parla anche di “guarigione” quando in realtà nessuno ne ha mai parlato, come mai questa invenzione? Forse che la giornalista vuole convincere di qualcosa i suoi sprovveduti lettori? In modo impeccabile la Bianchini -evidentemente esperta in questo gioco- dichiara anche che la testimonianza dell’ex omosessuale abbia «riportato alla ribalta la “terapia riparativa” di Joseph Nicolosi». Eppure Adamo Creato nella sua testimonianza cita Nicolosi una sola volta, limitandosi a dire: «Ho studiato approfonditamente tutto ciò che c’era da approfondire: dalla storia del movimento di liberazione omosessuale, al magistero della Chiesa cattolica, dalla GAT (Gay Affirmative Therapy) alla Terapia Riparativa di Joseph Nicolosi». Dunque nessuna teoria riparativa per lui. Per coronare la sua inchiesta, la Bianchini, ha il coraggio di sfoggiare poi anche il link al blog omosessualitaeidentita. Peccato però che ne sia venuta a conoscenza proprio grazie alla redazione UCCR: la 7° domanda che ci ha inviato verteva infatti proprio sulla richiesta di link a blog di ex omosessuali, confermando dunque lo scarso livello di capacità giornalistica e competenza in materia.

In un’opera di discriminazione degli ex-omosessuali non può non comparire la citazione all’American Psychiatric Association, ci si dimentica però di parlare della pressione delle lobby omosessuali, della posizione politica dell’associazione americana (schierata anche a favore dell’aborto) ed evitando di citare che l’ex responsabile dell’APA –Robert Perloff-, libero dalla responsabilità politica, ha aderito ufficialmente alla “National Association for Research & Therapy of Homosexuality” (NARTH) –www.narth.com sostenendo: «sono felice di aderire alla posizione della NARTH: essa rispetta la dignità di ogni cliente, l’autonomia e il libero arbitrio. Ogni individuo ha il diritto di rivendicare un’identità gay o di sviluppare il suo potenziale eterosessuale. Il diritto di cercare una terapia per cambiare il proprio adattamento sessuale è considerato ovvio e inalienabile. Condivido pienamente la posizione della NARTH». Tra l’altro esistono numerosi studi scientifici che attestano come non ci sia alcuna controindicazione per coloro che si sentono a disagio con la loro omosessualità e decidano di farsi aiutare. Anzi, molto spesso l’aiuto è efficace (cfr. Ultimissima 3/10/11). Perché impedirglielo?

Parte poi il solito “pistolotto” sul Catechismo della Chiesa, il quale riporta una legittima opinione: «la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”. E questo è il giudizio sull’omosessualità. Il giudizio sugli omosessuali invece recita: «Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione». Ecco l’abbraccio della Chiesa sperimentato da Adamo Creato, ma anche da Nichi Vendola, ad esempio: «Sono sempre stato anche cattolico e comunista, come la mia famiglia. Ed è stato forse più facile dire la mia omosessualità ai preti che al partito». Facciamo presente che il partito politico che Vendola ritiene “omofobo” è lo stesso a cui appartiene la Bianchini, probabilmente. Continua il leader di SEL: «Non mi sono mai sentito rifiutato. Sono state anzi interlocuzioni belle, profonde. La Chiesa è un universo ricchissimo e complicato, non riducibile a nessuna delle categorie politiche che usa la cronaca».

Infine la giornalista d’assalto de “Il Fatto” tenta un affondo contro UCCR, sostenendo che “organizza incontri per ex omosessuali” -come specificato nelle domande inviateci per e-mail- e scrive che noi consigliamo agli omosessuali di “rivolgersi alla Narth”. La risposta che le abbiamo fornito in realtà è molto articolata e vi si dice (tra l’altro) che nel caso la redazione venga contattata da ex omosessuali che provano disagio con la loro sessualità: «invitiamo ad un confronto con uno psicologo di fiducia ed eventualmente a prendere contatti con la NARTH». Conclude poi l’articolo usando le parole del collaboratore di UCCR che ha risposto alle sue domande: «ogni tanto qualcuno ci scrive dicendoci che gli ex-omosessuali non esistono e, anche se sono sposati con moglie e figli, sono omosessuali che stanno mentendo o sono repressi”. Solitamente non riteniamo opportuno rispondere». Ma se la Bianchini usa questa frase come “chiusura” del suo articolo, non è che lo fa in modo ironico perché anche lei pensa che gli ex-omosessuali siano omosessuali repressi e bugiardi?

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La Corte Europea nega la brevettabilità della vita


di Aldo Vitale*
*ricercatore in filosofia e storia del diritto

 

«Per curare i nonni, non si possono sacrificare i nipoti», sembra lasciar intendere il noto bioeticista Elio Sgreccia quando su Avvenire, a commento della recente sentenza della Corte di Giustizia Europea, chiarisce che «il brevetto ottenuto da Oliver Brüstle per le cellule staminali embrionali umane usate per la terapia del Parkison, con la giustificazione che si trattava di parti separate dall’embrione, viene invalidato dalla Corte perché il loro prelievo ha provocato la morte dell’embrione».

La Corte, confermando la nullità del brevetto richiesto in Germania da Brüstle consacra alcuni principi fondamentali. Così, infatti, recita la sentenza (dello scorso 18 ottobre 2011 C-34/10 ) nel suo passo, forse, più decisivo: «Sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un embrione umano dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano». La Corte ha sostanzialmente evitato che si possa oggi ed in futuro commercializzare la vita umana e sfruttarla per finalità lucrative, applicando in modo corretto l’art. 6, n. 2, lettera c della Direttiva del Parlamento Europeo del 1998 n. 98/44/CE che testualmente così recita: «Sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all’ordine pubblico o al buon costume[…] Ai sensi del paragrafo 1, sono considerati non brevettabili in particolare: a) i procedimenti di clonazione di esseri umani; b) i procedimenti di modificazione dell’identità genetica germinale dell’essere umano; c) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali».

Se per un verso la Corte ha rimesso ai singoli legislatori nazionali la definizione completa ed esaustiva del concetto di embrione, dall’altro ha ribadito, in linea con le più autentiche risultanze biologiche, che l’essere umano è specificato nel suo inizio al momento della fecondazione; del resto, come spiegano i genetisti privi di finalità ideologiche ed antiscientifiche, è in quel momento che geneticamente si forma un soggetto terzo che eredita il patrimonio genetico dei suoi genitori, ma che all’un tempo è diverso da essi. La presente sentenza oltre a erigere un significativo argine giurisprudenziale nei confronti di una forma di scienza tesa allo sfruttamento economico-industriale delle proprie scoperte perfino nell’ambito più vicino all’uomo, potrebbe sancire un cambio di rotta nell’ermeneutica giuridica delle corti europee sul valore intangibile della vita umana, ovvero sulla sua ontologia che la contraddistingue quale bene giuridicamente indisponibile per le parti, per la legge e per qualunque altra istanza umana.

Se, infatti, l’uomo e la sua dignità sono riconosciuti tali fin dal proprio concepimento, sarà necessaria una non più postergabile rilettura del fenomeno abortivo, soprattutto per quello che maggiormente suscita problemi sotto l’aspetto bio-giuridico, cioè quello legittimato da motivi sociali ed economici. Ciò nonostante s’impone ovviamente come doverosa la puntualizzazione proposta da Francesco D’Agostino su Avvenire, allorquando, avverte che «nessun bioeticista deve essere così ingenuo da ritenere che una sentenza possa avvalorare definitivamente la vita umana (come in questo caso) o toglierle definitivamente valore (come è pur successo – ahimé – in altri casi). Una sentenza come questa costituisce però un ottimo esempio di ciò che Papa Benedetto, nel recente discorso al Reichstag di Berlino, ha qualificato come «ecologia umana»: una difesa dell’uomo fondata non su assunzioni ideologiche e politiche, ma su una seria e onesta riflessione su dati antropologici incontrovertibili».

In conclusione può affermarsi che una simile pronuncia altro non sia che un piccolo passo per la giurisprudenza, ma un balzo da gigante per il riconoscimento della dignità umana dell’embrione.

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Il “gene gay” non esiste, dunque…


di Adamo Creato*
*ex omosessuale

 

Si deposero le trombe ed i cortei furono annullati. I titoloni sui giornali e le campagne informative furono accantonate. Certo, la notizia sarebbe stata una bomba, ma non conteneva quello che alcuni avevano sperato.

Il 14 aprile 2003, l’International Human Genome Consortium annunciò il successo del completamento del Progetto Genoma Umano, due anni prima del previsto. La maggior parte delle riviste scientifiche più importanti pubblicarono i risultati dei progressi compiuti nel campo della genetica, ma tutte dimenticarono, guarda caso, di informare l’umanità che non era stato identificato il cosiddetto “gene gay”. Molte altre importanti scoperte nel campo della genetica sono state pubblicate in questi anni, da allora fino ad oggi, ma nessuna di queste ha confermato la scientificità di una origine genetica dell’omosessualità.

L’omosessualità è praticata da migliaia di anni e, in poche parole, è riferita a rapporti sessuali che avvengono tra generi uguali (ad esempio, due maschi o due femmine). Sigmund Freud per primo suppose che le interazioni tra i genitori col proprio bambino, in ultima analisi,  determinano l’orientamento sessuale del ragazzo. Ma questo aspetto “educativo” ha di fatto lasciato il posto all’aspetto “naturale” della questione. Alcuni comportamenti come ad esempio l’alcolismo, l’omosessualità o la schizofrenia, possono essere spiegati con la genetica? Possono essere influenzati da questioni innate (naturali) o sono il frutto dell’educazione (ambiente)? Sono iscritte nel DNA o appresi vita natural durante? Qualcuno credeva (sperava) che la risposta si sarebbe trovata nascosta tra i cromosomi analizzati nel Progetto Genoma Umano.

I cromosomi umani X e Y (i due cromosomi del “sesso” ) sono stati completamente sequenziati. Grazie al lavoro svolto dai laboratori di tutto il mondo, sappiamo che il cromosoma X contiene 153 milioni di paia di basi e porta a un totale di 1168 geni. Il National Center for Biotechnology Information riporta che il cromosoma Y, molto più piccolo, contiene “solo” 50 milioni di paia di basi e si stima che contengano appena 251 geni. Istituzioni educative come la Baylor University, il Max Planck Institute, il Sanger Institute, la Washington University di St. Louis ed altri, hanno speso risorse umane e milioni di dollari per la ricerca, analizzando questi cromosomi unici.  Non appena i dati cominciavano ad evidenziarsi fu possibile per gli scienziati costruire mappe genetiche,  (sequenze di geni “reali”)  utilizzate  dal Progetto Genoma Umano. E tuttavia, né la mappa del cromosoma X né quella del cromosoma Y contengono alcun “gene gay”.

Qual è la verità incontrovertibile riguardo l’omosessualità? Troppo spesso, le speculazioni, le emozioni e la politica giocano un ruolo importante nella sua valutazione. Nel tentativo di influenzare la politica e guadagnare l’accettazione dell’omosessualità da parte della società, si usa sostenere che gli omosessuali meritano gli stessi diritti di altri gruppi minoritari e che non dovrebbe essere proibito o punito esprimere la propria omosessualità. La lotta per l’accettazione dell’omosessualità è spesso legata alla lotta per i “diritti civili” delle minoranze razziali. Agli inizi della rivoluzione sessuale, a causa della mancanza di una completa accettazione di questi diritti (cioè piena e uguale cittadinanza delle minoranze razziali), le femministe e gli attivisti omosessuali ebbero un perfetto “cavallo di troia” da sfruttare per raggiungere i rispettivi obbiettivi. Usando questo camuffamento (le libertà civili sono dovute e “innate”) gli omosessualisti furono in grado di distogliere l’attenzione dal “comportamento” per  focalizzarla sui “diritti“. L’argomentazione è la seguente: “Proprio come una persona non può non essere di colore, di sesso femminile, o asiatica, così non può non essere omosessuale qualora lo fosse. Siamo tutti nati così, e come tali dovremmo essere trattati, allo stesso modo”. Tuttavia, questa giustificazione non riesce a sfruttare appieno le ragioni dei movimenti che lottano per i ” diritti civili “. La legge oggi, in Occidente, tutela già i diritti civili di tutti, neri, bianchi, maschi, femmine, omosessuali o eterosessuali. Gli attivisti omosessuali godono degli stessi diritti civili di tutti gli altri. Il conflitto nasce quando leggi specifiche proibiscono determinati comportamenti a tutti i cittadini come, ad esempio, azioni contro il comune senso del pudore oppure accedere al matrimonio (all’adozione, ad agevolazioni fiscali) qualora non vengano rispettati certi criteri.  Dovremmo tenere a mente che queste leggi sono uguali per tutti i membri della società.

Prendendo l’occasione da determinate privazioni comuni a tutti i cittadini, gli attivisti omosessuali rivendicano certi diritti che vengono negati a tutti gli altri. Il colore della pelle e altri tratti genetici possono essere rintracciati attraverso modelli di ereditarietà o la semplice genetica mendeliana. Gli omosessuali non sono identificati da un tratto o un gene, ma da comportamenti. Senza questi comportamenti, sarebbero indistinguibili da tutte le altre persone. E solo quando essi mettono in atto il loro comportamento essi diventano un gruppo che è riconosciuto come diverso. Se dovessimo assumere momentaneamente che l’omosessualità è genetica, allora il massimo che si potrebbe concludere è che quegli individui non sono moralmente responsabili di essere omosessuali. Tuttavia, ciò non implica che essi non siano moralmente responsabili di comportamenti omosessuali. Il semplice fatto di avere il gene non obbliga ad assumere un comportamento. Per esempio, se gli scienziati fossero stati in grado di documentare l’esistenza di un “gene dello stupro”, certamente non sarebbe colpa di un individuo possedere questo gene, ma non gli permetteremmo di agire in base a quella predisposizione. Neil Risch (genetista umano e professore alla  University of California, San Francisco ) ha ammesso: “C’è disaccordo sul fatto che l’orientamento omosessuale maschile sia un tratto mendeliano (genetico). In realtà, a priori, ci si aspetterebbe che il ruolo di un gene dell’orientamento omosessuale maschile sarebbe limitato a causa di forti pressioni selettive (selezione naturale) contro tale gene. E’ quindi estremamente improbabile che un gene così importante, che sottolinea un tratto così comune e fondamentale per la specie, potrebbe persistere nel tempo senza un meccanismo di contro bilanciamento straordinario”. Evan S. Balaban, neurobiologo presso il  Neurosciences Institute di San Diego ha osservato: “La ricerca delle basi biologiche  di comportamenti complessi dei tratti umani ha una triste storia di fallimenti. Negli ultimi anni, i ricercatori e i media hanno proclamato la “scoperta” di geni legati alle malattie mentali, all’alcolismo così come all’omosessualità. Nessuna di tali affermazioni sono state confermate”.

Il vero problema, quindi, sono i comportamenti omosessuali. Dal momento che nessuno studio ha scientificamente stabilito una causa genetica dell’omosessualità, gli argomenti che vengono proposti dagli attivisti gay per poter accedere a determinati “diritti” sono, per il momento, contestualmente infondati e illogici. Ma questo non esaurisce la “questione omosessuale”. Sebbene vi siano probabilità del fatto che l’impulso omosessuale non sia una scelta esclusivamente volontaria (e quindi condizionata in qualche misura anche da fattori di carattere spontaneo), non esistono ad oggi conoscenze scientifiche che possano considerare sbagliato, o dannoso, un trattamento medico orientato  alla modificazione di un comportamento omosessuale non desiderato.

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Aborto: l’Irlanda non si piega al volere dell’Onu

Il governo irlandese ha recentemente respinto le raccomandazioni a legiferare in materia di aborto contenute nel resoconto dell’Universal Periodic Review del Consiglio per i diritti umani dell’Onu poste da sei paesi europei (Olanda, Spagna, Norvegia, Regno Unito, Germania e Slovenia).

In particolare, si legge nel resoconto del gruppo di lavoro sull’UPR, la Norvegia ha chiesto all’Irlanda di «portare la legislazione sul’aborto in linea con l’ICCPR» la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici che in realtà non si è mai occupata di aborto, la Danimarca di «prendere misure per rivedere la legge sull’aborto con l’intenzione di permettere l’interruzione di gravidanza nei casi in cui la gravidanza sia il risultato di stupro, incesto, o in situazioni in cui la gravidanza metta in pericolo la salute fisica o mentale o il benessere della donna o della ragazza incinta» e la Spagna di «depenalizzare l’aborto in determinate circostanze». Tutte richieste che sono finite nella lista delle raccomandazioni «che non godono del supporto dell’Irlanda» e che dunque non verranno prese in considerazione dal governo di Dublino.

Nonostante le pressioni in sede Onu e quelle meno recenti della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo l’aborto in Irlanda continua quindi ad essere vietato dalla legge e consentito solamente se la vita (e non la salute) della madre è in pericolo. Il terzo comma dell’articolo 40 della Costituzione irlandese infatti recita: «Lo Stato riconosce il diritto alla vita del nascituro e, tenendo in debito
conto l’eguale diritto alla vita della madre, garantisce nelle sue leggi di rispettare e, per quanto possibile, con le sue leggi di difendere e rivendicare questo diritto». Nonostante il divieto di aborto, l’Irlanda è tra i Paesi più sicuri per le donne incinte, come riferito dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità.

La Pro Life Campaign, la più importante organizzazione per la vita irlandese, ha commentato con entusiasmo la notizia: «accogliamo con favore la decisione del governo di non sostenere le raccomandazioni di diversi paesi all’Irlanda per introdurre l’aborto. Questi inviti all’introduzione di una legislazione sull’aborto vanno contro la recente ricerca delle Nazioni Unite (Report on Maternal Mortality, UN, UNFPA, World Health Organisation 2010) che mostrano come l’Irlanda, senza l’aborto, sia leader mondiale in termini di sicurezza per le donne in gravidanza. La sicurezza della maternità in Irlanda, va notato, è migliore che nei sei paesi che fanno pressione sull’Irlanda affinché introduca l’aborto».

Maurizio Ravasio

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In libreria “L’enigma di Shakespeare”: il celebre drammaturgo era cattolico

Come informavamo in Ultimissima 4/10/11, il primate anglicano, l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, ha riconosciuto che William Shakespeare «con tutta probabilità era cattolico». Un saggio storico appena pubblicato dimostra l’autenticità di questa affermazione.

Il libro s’intitola “L’enigma di Shakespeare” (Edizioni Ares 2011) e l’autrice è Elisabetta Sala, insegnante di Lingua, Letteratura e Storia inglese nei Licei statali e collaboratrice con diverse testate. Il saggio ripercorre per intero la vita e tutte le opere del Bardo dell’Avon, dipingendo un ritratto ricchissimo di particolari, attingendo dall’originale dei testi e dando via via luce a una figura nitida ancorché finora inedita di colui che è stato definito il più grande drammaturgo di tutti i tempi.

La prof. Sala segue il filo rosso della dissidenza di Shakespeare, rivelando gli stretti rapporti che egli ebbe con il mondo sotterraneo del cattolicesimo inglese braccato dalle autorità. Le sue simpatie infatti, stando a quanto emerge in modo sempre più chiaro, andavano alla minoranza perseguitata e le sue opere cercarono, più o meno cautamente, di dar voce a chi non aveva più il diritto di parlare.

 

Qui sotto la presentazione del volume realizzata dal Tg2

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Ecco chi è il black bloc ateo che ha distrutto la statua della Madonna

Sabato scorso, la distruzione di una statua della Madonna, di un crocifisso e la devastazione della sacrestia con tanto di scritta “Jesus Christ supercazzola” avvenuta nella parrocchia di San Marcellino e Pietro all’incrocio tra via Merulana e via Labicana a Roma da parte dei black bloc, hanno suscitato reazioni di sdegno e indignazione in tutta Italia.

Come si racconta su “Il Corriere della Sera”, mentre sacerdoti e seminaristi permettevano ai manifestanti civili di rifugiarsi nelle chiese, seguendo “la millenaria vocazione della Chiesa all’accoglienza e al soccorso”, a poca distanza gli atei incappucciati riuscivano a sfondare la porta della sala del catechismo della Chiesa di San Marcellino e distruggere tutto. Segnaliamo un bell’articolo di condanna apparso su Il Tempo, uno su Panorama e le significative parole di Paolo Conti, importante firma de “Il Corriere della Sera”: «un gesto senza precedenti nelle cronache di tanti scontri di piazza registrati a Roma da decenni […]. Vandalizzando due icone indifese (cosa può fare da solo un parroco?) ha frantumato anche ogni ponte con una realtà, il mondo cattolico, che da sempre si adopera per gli ultimi, i più poveri, gli emarginati, i giovani in difficoltà. Guarda caso, gli stessi temi che gli Indignati (quelli veri) pongono alla ribalta del dibattito sociale, non solo in Italia. I Black bloc non sono solo violenti. Sono anche irrimediabilmente perdenti». Il Sindaco di Roma Gianni Alemanno ha annunciato che parteciperà alla Messa che verrà celebrata il prossimo 5 novembre nella chiesa di S. Marcellino, alla quale «inviterò anche l’intera Giunta Capitolina». Il quotidiano “Il Giornale” ha invece pubblicato la foto (qui a sinistra) dell’autore della gratuita violenza chiedendo che ora venga arrestato. Micha Van Hoecke, direttore del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma, ha invece annunciato che dedicherà un balletto a «quella Madonna massacrata, violata».

Come spiega il parroco don Giuseppe Ciucci ad Avvenire, dopo l’atto vandalico, c’è stata una gara di affetto e solidarietà per la parrocchia. I bimbi del catechismo «che spesso sono distratti», nel vedere quella statua in pezzi sono stati «scossi» e si sono affrettati a portare spontaneamente i loro disegni. Da parte di molti c’è stata «una risposta di fede, di partecipazione e di dolore nei confronti dell’immagine mutilata». E ancora: «Ci sono tante offerte e progetti per le statue, alcuni parrocchiani hanno proposto di ricostruire quella colpita. Ma in più parti il gesso si è proprio sbriciolato». Nessun astio verso coloro che si sono introdotti con la forza e hanno distrutto la statua della Madonna e il Crocifisso, piuttosto perdono. «Ho visto il ragazzo che usciva brandendo la statua mariana. Sembrava che avesse in mano un trofeo».

 

Qui sotto il video in cui si rivela il volto del Black bloc ateo, le forze dell’ordine dichiarano che ormai ha le ore contate.

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