I rischi (che nessuno dice) della Fivet

Da circa sessant’anni, con Pio XII, la Chiesa si occupa di procreazione assistita. In genere si pensa che la Chiesa, oscurantista per definizione, sia contro il progresso per il semplice gusto di esserlo. In realtà non è affatto così, e diversi documenti, tra cui i recenti Donum vitae” ed Evangelium vitae” di Giovanni Paolo II, lo dimostrano. Oggi la ricerca scientifica aiuta a confermare pienamente la posizione ecclesiale.

Nella “Donum Vitae”, si accetta la procreazione assistita a tre condizioni: a) deve svolgersi all’interno di una coppia legata da un vincolo stabile, che generalmente è quello matrimoniale; b) deve essere effettuata con un comune rapporto sessuale, e non evitando il rapporto coniugale; c) non deve comportare interventi invasivi o rischi rilevanti a danno dell’embrione o del feto. Attualmente queste tre condizioni si verificano solo nella inseminazione artificiale tra marito e moglie conseguente a un rapporto sessuale. Ogni altro intervento che prevede una terza persona, o un danno all’embrione o al feto o alla madre, o che non preveda l’atto sessuale, è per la Chiesa inaccettabile. Da ciò derivano i sette motivi per cui la Chiesa è contraria alla Fertilizzazione in vitro con embryo transfer (Fivet): 1) l’insuccesso di questa metodica; 2) l’enorme spreco di embrioni; 3) l’alta abortività, dal momento che il successo è solo del 15-20%; 4) la frantumazione antropologica e affettiva del legame sessualità-procreazione; 5) la presenza di terze persone, nel caso di donatore di ovuli o di spermatozoi; 6) una più grande proporzione di malformazioni o di malattie congenite; 7) gli effetti economici degradanti, che non sono indifferenti.

E qui, arriviamo al nucleo della notizia di oggi. Davvero la Fivet ha questi effetti indesiderati che la Chiesa teme e per cui non l’accetta? A quanto pare, sì. La rivista scientifica «HEC Forum» è andata a leggere i commenti lasciati in forum specializzati di più di un centinaio di donne che si erano sottoposte alla Fivet ed è arrivata a questa conclusione: «La Fivet ha strette regole che lasciano le donne fisicamente ed emotivamente esauste. Il trattamento di Fiv può avere un tremendo impatto sulle donne: è un iter assai impegnativo dal punto di vista fisico con effetti di vasta portata sul benessere psicologico di una donna […] oltre a causare rotture nel rapporto con il partner e nelle relazioni sociali». Spesso poi le donne si trovano sole in questo percorso perché in genere si pensa che la fecondazione artificiale sia una tecnica semplice e dai risultati garantiti. La speranza di riuscita invece è intorno solo al 15-20% (Istituto Superiore della Sanità).

Inoltre la stimolazione ovarica può provocare: distensione addominale; ciste ovariche; ingrossamento abnorme delle ovaie; nausea; vomito e diarrea; accumulo di trasudato nel peritoneo e nella zona della pleura; alterazione della respirazione; ipercoagulazione, che a sua volta può causare trombi; patologie neurotiche; cancro al seno e all’utero e, anche la morte (Nygren in “Human Reproduction” 2001). Tutto l’iter è così pesante che il 25% delle pazienti rifiuta un secondo tentativo. Ma neanche il nato da provetta è esente da rischi, tra cui il più frequente è la morte: poco più del 6% degli embrioni vedrà la luce. In particolare la mortalità perinatale è 4 volte superiore alle gravidanze normali. La mortalità neonatale è il doppio rispetto alle gravidanze normali (Olivennes, “Human Reproduction” 2002). Secondo uno studio condotto in Belgio, infine, su 2995 nati tramite Fivet il 30% nasce prematuro e con gravi problemi di peso, necessitando nel 25% dei casi di cure intensive. I ricoveri ospedalieri neonatali sono 3 volte superiori. La sindrome di Beckwith-Wiedman, che provoca malformazioni e tumori, nei bambini nati da Fivet è 6 volte superiore. Se mettiamo insieme tutti questi rischi, risulta che il 56% dei nati tramite Fivet ha o avrà qualche patologia. Ecco i rischi (che nessuno dice) della Fivet.

La redazione

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L’Olanda inserisce la cannabis nelle droghe pesanti: fallita la liberalizzazione

Il Dipartimento politiche antidroga (DPA) italiano plaude all’Olanda, terra dei sogni per radicali e intossicati, che vuole inserire l’«erba» nell’elenco delle droghe pesanti. «Come Dipartimento, la cui delega è affidata a Carlo Giovanardi», – si legge in una nota – «vogliamo sottolineare che è ormai da parecchio tempo che, l’Olanda sta dimostrando una chiara volontà di porre fine ad una insostenibile politica di tolleranza attuata da anni in tema di liberalizzazione».

Fallisce dunque la liberalizzazione e già nei mesi scorsi, ricorda “Il Giornale, il Consiglio di Stato olandese aveva deciso di mettere al bando i coffee shop e oggi lo stesso governo decide di equiparare la marjiuana alle droghe pesanti come la cocaina e l’eroina. Per il Dpa, «si tratta di un notevole e lodevole passo avanti che però necessita ancora di una normativa più chiara ed efficace soprattutto per la salvaguardia della salute dei giovani». Non possiamo che condividere questa inversione di tendenza da parte dell’Olanda – ha dichiarato Giovanni Serpelloni, specialista in medicina interna e capo del Dpa – «in questi anni è stato fatto un danno enorme diffondendo l’idea che la cannabis sia una droga leggera perchè non lo è affatto e produce danni al cervello ed in particolare alle funzioni cognitive. È bene che i ragazzi lo sappiano anche perchè la cannabis è il primo approccio con il mondo della droga».

Inoltre, contrariamente alle falsità promosse dal Partito radicale, «i risultati degli studi portati avanti anche da questo Dipartimento da molto tempo ed effettuati sui giovani consumatori di cannabis hanno messo in evidenza con risonanze magnetiche come il consumo di cannabis distrugga i neuroni e riduca lo spessore della corteccia cerebrale. Si assiste cioè ad una riduzione dello spessore corticale della sostanza grigia che diventa più sottile soprattutto nei lobi prefrontali. E un cervello malato, sotto l’influenza della cannabis, non funziona a dovere, ma altera la propria rapidità di analisi e di decisione, di attenzione e di coordinamento», conclude la nota del Dpa.

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Recensione del libro: “Scienza: istruzioni per l’uso”

Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Alessandro Giuliani, biologo e Primo Ricercatore presso l’Istituto Superiore di Sanità dove si occupa della modellizzazione matematica e statistica di sistemi biologici. Fa parte del corpo docente del dottorato di ricerca in Biofisica dell’ Università “La Sapienza” di Roma e collabora con l’Università Keio di Tokio e con l’Università Rush di Chicago. Nel tempo si è occupato di temi molto diversi fra loro come la fisica dei sistemi complessi, la biochimica, la chimica organica, la psicobiologia, le neuroscienze, la biologia molecolare, l’ecologia. Oltre al libro che presenterà qui sotto, intitolato “Scienza: istruzioni per l’uso” (Rubbettino 2010), è co-autore de “Scienza della natura e stregoni di passaggio” (Jaca Book 2011) e “L’ordine della complessità” (Jaca Book 2009)”.

 

di Alessandro Giuliani*
*biostatistico e primo ricercatore presso l’Istituto Superiore di Sanità

 

Un punto topico della letteratura, oltre che del giornalismo e del pettegolezzo spicciolo, è quello della personalità pubblica, famosa, carismatica, vista dall’angolazione particolare del maggiordomo, dell’infermiera, del cuoco, del parrucchiere o in ogni caso di chi disponga di un osservatorio che gli consenta di scovarne il lato umano nascosto dalla preponderante immagine pubblica. Dopo più di un quarto di secolo di lavoro nel campo della statistica e, più in generale, dell’ analisi dei dati applicata alle scienze della vita, mi sono convinto di essere un po’ come l’infermiere (o il medico, il confessore, lo psicologo, il maggiordomo..) di quella multiforme personalità a cui diamo il generico nome di scienza. Forse questa mia esperienza potrebbe essere di qualche utilità nell’odierno dibattito su argomenti che a molti appaiono di grande importanza per il loro contenuto ma che dal mio particolare punto di vista appaiono piuttosto delle fantasie un po’ bislacche. Proverò a spiegare il perché…

Praticamente tutti i commentatori dei fatti scientifici, siano essi filosofi, letterati, politici, teologi, non mettono mai in discussione un assunto di base: che se una cosa l’hanno detta gli scienziati essa deve essere dotata di una forte carica di realismo, deve insomma essere (qualsiasi cosa questo voglia dire) “un fatto oggettivo”. Questa posizione, anche se derivante dal bellissimo sentimento di prendere sul serio ciò che un esperto di una materia che non conosciamo ci dice (sentimento senza il quale la stessa vita della società sarebbe messa in serio pericolo), provoca la curiosa distorsione che fa sì che tutti i pensatori non specificatamente interni al mestiere scientifico, si fanno l’idea che discipline come la logica matematica o la teoria dei giochi (che hanno un peso del tutto irrilevante sul formarsi delle convinzioni scientifiche) siano molto importanti per occuparsi con cognizione di causa delle scienze e, piuttosto che procurarsi una decente infarinatura di analisi dei dati, statistica e teoria della misura (le uniche cose veramente importanti per giudicare della congruità delle affermazioni scientifiche) preferiscono elucubrare sull’ambiguo statuto del dualismo onda-particella o sul carattere frattale della natura. Insomma, dando per assodato che se la “Scienza” afferma qualcosa vuol dire che ha i suoi buoni e solidi motivi, essi cadono nella trappolona brillantemente individuata da Nicolas Gomez-Davila «la scienza inganna in tre modi: trasformando le sue proposizioni in norme, divulgando i suoi risultati più che i suoi metodi, tacendo le sue limitazioni epistemologiche».

Prima di proseguire voglio però sia chiaro a tutti che, anche se la scruto quando più è indifesa, mentre si trucca e si imbelletta, ma anche quando piange o ride di cuore o ha il mal di pancia, io amo la scienza e assolutamente non credo che suo scopo precipuo sia l’inganno…tutt’altro, è proprio perché ho un grande amore per la scienza che mi sento in dovere di difendere il suo onore da chi usurpa il suo nome per propinarci mal cucinate ideologiche pietanze. In questo libro ho allora cercato di fornire al lettore e alla lettrice delle suggestioni che rendano (almeno spero) tutto sommato abbastanza futile una parte considerevole del dibattito sulla rilevanza antropologica delle neuroscienze o sul determinismo genetico. Insomma, se riuscirò a convincere i lettori che una buona parte di quelli che vediamo indicato come “risultati epocali” sulle pagine scientifiche dei giornali (per capirsi amenità come “l’area cerebrale della volontà di potenza” o il “gene dell’intelligenza”) sono semplicemente degli esempi di scienza abborracciata, privi di ogni relazione con la realtà, forse avremo più tempo per occuparci di cose veramente interessanti e smaschereremo le ideologie (spesso violentemente anticristiane, sempre disumanizzanti) nascoste dietro una (fragile) facciata scientifica.

Per non cadere negli stessi difetti che dico di voler emendare il discorso però non può che essere basato sul puro “canone artigiano” che nella scienza altro non è che una buona e sensata metodica sperimentale. Quindi si cerca di costruire una sorta di manuale di stile scientifico basato sui concetti principali dell’analisi dei dati e della metodologia statistica. Non sono io di certo la persona adatta a giudicare se ci sia o meno riuscito ma confido che la stretta relazione tra vera scienza e senso comune (aspramente negata dagli scientisti ma solo perché ne hanno una gran paura) possa avermi aiutato in questo tentativo.

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Bersani: «Stato laico non è neutrale o agnostico», Raffaele Carcano sbrocca

La notizia positiva è che i Radicali sono finalmente stati cacciati dal centrosinistra, come annuncia Emma Bonino. Quella cattiva è che hanno avuto contatti con il leader del centrodestra. Tuttavia, se già contavano poco (hanno sempre contato poco) a sinistra -area tradizionalmente più anticlericale- è veramente improbabile che le loro idee laiciste possano trovare molto più spazio a destra, tradizionalmente molto più vicina alla Chiesa.

Si capisce dunque la reazione stizzita del povero Raffaele Carcano, impiegato part-time, cultore di musica tribale, sedicente “studioso delle religioni” e riferimento italiano del razionalismo ateo, che non può fare altro che prendersala con il leader del centrosinistra, reo di essersi dichiarato “laico adulto” e aver promosso una sana, naturale e ovvia idea di laicità. Attacca Carcano: «Bersani […] non ci ha fatto una gran bella figura. […] Il vezzo di aggiungere aggettivi alla parola “laicità” tracima oramai da ogni dove». Il primo militante dell’UAAR ne approfitta per accanirsi anche contro Sarkozy, Ratzinger e Vannino Chiti, “un altro peso massimo del Pd”. Purtroppo per lui l’ateismo di Stato in Italia non c’è mai stato e mai ci sarà.

Pierluigi Bersani in realtà ha detto cose sacrosante e lo stesso ha fatto il vicepresidente dei senatori Pdl (ed ex radicale) Gaetano Quagliariello. Il primo, incontrando il presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, Rino Fisichella, si è dichiarato “laico adulto” e ha detto: «Per noi lo Stato è laico, per distinguerlo dallo Stato etico o confessionale. Ma laico non significa Stato agnostico, neutrale o solo tollerante, poiché la convivenza presuppone che vi siano codificati alla base dei valori condivisi. Il relativismo assoluto è la ‘bomba N’ della convivenza». E sul ruolo del cristianesimo in Europa: «Non ho nessuna difficoltà a riconoscere la matrice cristiana europea».

Quasi contemporaneamente Quagliarello invece afferma correttamente: «Io ho sempre pensato che il principio della centralità dei valori cristiani, l’incontro tra credenti e non credenti, fosse una conquista più importante dell’unità politica dei cattolici tout court. E’ solo grazie al pluralismo che i cattolici non sono più irrilevanti. In questo paese i cattolici sono stati irrilevanti negli anni Settanta, cioè quando esisteva la Democrazia cristiana. Si perdevano tutte le battaglie: aborto, divorzio… Un tempo dire “laico” equivaleva a dire “anti cattolico”, oggi abbiamo invece conquistato un nuovo senso alla parola laicità. Abbiamo abbandonato il braccio secolare della Dc per parlare direttamente dal pulpito. L’Italia è uno di quei luoghi dove l’ideologia dominante del positivismo non ha trionfato».

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La bufala della “bomba demografica” smontata ancora una volta dai demografi

Sono passati solo pochi mesi dall’editoriale dell’eco-abortista Giovanni Sartori quando sosteneva: «Io dico che la crescita demografica va fermata ad ogni costo», attaccando la Chiesa per l’opposizione all’aborto. Già allora pubblicammo alcune delle numerose risposte di demografi professionisti, i quali smontavano la “bomba demografica” (cfr. Ultimissima 20/8/11).

Ma essendo anche un cavallo di battaglia del Partito Radicale e della cultura pro-death è bene occuparsene costantemente: un libro appena pubblicato, intitolato Cose da non credere. Il senso comune alla prova dei numeri” (Laterza 2011) e scritto dal demografo Gianpiero Dalla Zuanna, professore ordinario presso la facoltà di Scienze Statistiche dell’Università di Padova e dell’ economista Guglielmo Weber, del Dipartimento di Scienze Economiche della stessa università, attacca con un’analisi critica i punti fondamentali della “bomba demografica”. Lo presenta Gian Antonio Stella  su “Il  Corriere della Sera”, ricordando che questo concetto era già un incubo per Niccolò Machiavelli e ovviamente per Thomas Malthus. Ma i numeri smentiscono tutto questo:  «In Italia, i quintali di granoturco prodotti per ettaro passano da 9 nel 1861, a 12 nel 1911, a 25 nel 1961, addirittura a cento nel 2011, più che decuplicati nel secolo e mezzo di unità nazionale». Di più: «Secondo i dati della Fao e delle Nazioni Unite, nel cinquantennio 1961-2011 il cibo prodotto nel mondo è più che triplicato, mentre la popolazione è “solo raddoppiata”. Di conseguenza, ogni uomo di oggi ha a disposizione – in media – quasi il 50% in più di cibo rispetto a cinquant’ anni fa». L’ idea che la demografia dei paesi poveri sia destinata a sommergere il pianeta, si continua, va presa con le pinze. Ovviamente i flussi di popolazione vanno tenuti sotto attenzione, ma dai numeri «viene contraddetta un’ idea cardine del modello di Malthus, ossia che il miglioramento economico spinga le coppie ad avere più figli». Oggi la popolazione del pianeta sta mediamente meglio rispetto a trent’ anni fa.

Si pensi all’ India, che favorendo «la democrazia, l’ istruzione e l’ agricoltura, è passata da 390 milioni di abitanti nel 1947 al miliardo attuale» e dopo essere stata il paese delle carestie, «oggi esporta cereali in Medio Oriente e Africa» ed è destinata alla più impetuosa crescita economica dei prossimi decenni. O alla Cina, passata dalla fame alla Ferrari Testarossa. Eppure, «fra il 1980 e il 2010 il numero medio di figli per donna nei paesi in via di sviluppo è passato da 5,1 a 2,9. La rapidità e la forza di questo declino fa ancora più impressione se si considerano alcuni grandi Paesi islamici, che nell’ immaginario collettivo dell’ Occidente vengono visti come arretrati, sia dal punto di vista culturale che da quello economico e demografico. Nel giro di appena trent’ anni, seicento milioni di persone – gli abitanti dei cinque paesi appena citati, popolosi come l’ Europa senza la Russia – sono usciti dal mondo di Malthus, entrando a vele spiegate nella demografia contemporanea». Per gli stranieri che arrivano in Italia, come spiegano Dalla Zuanna e Weber, succede che siamo noi a cambiare loro e non tanto il contrario. A partire dal tasso di fertilità, che tra le donne immigrate precipita presto ai nostri livelli.

Un concetto simile è stato espresso anche dal demografo Gian Carlo Blangiardo, professore ordinario presso la facoltà di statistica dell’Università Bocconi di Milano, il quale il 17 ottobre durante un incontro presso l’Università Cattolica di Milano per la presentazione del Rapporto-proposta “Il cambiamento demografico” a cura del Comitato per il progetto culturale della Cei,  ha dichiarato: «In Italia c’è voglia di maternità e paternità, ma vi è l’incapacità di soddisfare questo desiderio. Nel nostro Paese il numero di figli per donna è di poco sotto l’1,5, questo significa che siamo al di sotto del ricambio generazionale. Se andiamo, però, a chiedere alle coppie quanti figli desiderano vediamo come questa cifra sia più alta, di gran lunga al di sopra dei due figli che segna la soglia necessaria al ricambio generazionale». Nell’analizzare i dati forniti dal Rapporto Cei, il demografo ha invitato a «evitare imbrogli e illusioni. Spesso si sente dire che gli immigrati rappresenteranno una soluzione al problema demografico. Questo, seppure l’immigrazione rappresenti un elemento importante per la crescita demografica del Paese, non è vero perché le famiglie immigrate tendono a prendere le abitudini delle famiglie italiane. La media di figli per donna immigrata è calata dai 2,5 nel 2007, ai 2,13 nel 2010».

All’incontro era presente anche il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, che ha annunciato la presentazione di una legge delega a favore della famiglia e della natalità. Segnaliamo, per chi vuole approfondire, il dossier: L’aborto e la menzogna della bomba demografica”.

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Ad Assisi anche rappresentanti di un ateismo sano e non violento

Oggi Papa Benedetto XVI si è recato ad Assisi per la “Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo”, evento voluto dallo stesso Pontefice 25 anni dopo il primo grande incontro interreligioso promosso da Giovanni Paolo II nella città di San Francesco (il 27 ottobre 1986) e quasi dieci anni dopo quello svoltosi sempre ad Assisi nel gennaio 2002. Ancora una volta, come mostra Zenit.it, il mondo guarda al Pontefice.

Tra le novità di questo appuntamento anche la scelta di invitare ad Assisi -oltre ai rappresentati delle religioni- anche non credenti e agnostici, dimostrando in modo corretto che la ricerca del vero e del bene appartiene a tutti gli uomini di buona volontà. Sono presenti dunque la filosofa e psicanalista francese Julia Kristeva, il filosofo italiano Remo Bodei, il messicano Guillermo Hurtado e l’austriaco Walter Baier. Nella parte conclusiva del discorso, il Pontefice ha detto: «La vera risposta all’ateismo che nega Dio viene da quei non credenti che cercano la verità, che sono in cerca di Dio». Qui il discorso integrale.

Tra questi “non credenti in ricerca” c’è Remo Bodei, filosofo, docente all’University of California, il quale ritiene che vada «portata avanti una comune ricerca della verità. Soprattutto nel contesto attuale» dove «la verità viene concepita come una “torta da spartirsi”, in cui ciascuno prende una fetta a condizione che anche l’altro ne prenda un’altra. Ma questa è una visione della verità degradata a opinione. Invece Benedetto XVI, che stimo per i suoi scritti su Agostino, ha il grande merito di aver sottolineato la valenza “greca” del cristianesimo, ricordando che la fede non è solo intenzione o emozione, ma anche razionalità». Continua Bodei: «Mi auguro che, come ha fatto il cardinal Bagnasco a Todi, la Chiesa voli sempre più alto. Credo che, dalla Cattedra dei non credenti del cardinal Martini fino al Cortile dei gentili di Benedetto XVI, l’istituzione ecclesiale abbia manifestato la disponibilità a rileggere (senza metterli in discussione) i propri dogmi in rapporto al presente […] ciò diventa un fatto positivo anche per i “laici”, cioè quei non credenti che non vogliono vivere nella banalità. E non si conformano all’astronomo Laplace quando disse: “Ho scrutato il cielo e non ho visto Dio”. Riscoprire la dimensione del sacro, soprattutto in un periodo di crisi come questo, in cui l’economia e il futuro dei giovani appaiono incerti (noi occidentali diventeremo più poveri), costituisce un lavoro comune per credenti e non credenti, al di là dei colori dei partiti. Qui si situa il giusto ruolo della rilevanza pubblica della Chiesa, senza che essa arrivi a dettare legge. Questa collaborazione è in definitiva benefica per la società».

Julia Kristeva afferma invece che «attaccandosi all’oscurantismo, la secolarizzazione ha dimenticato di interrogarsi sul bisogno di credere che è sotteso al desiderio di sapere, così come sui limiti da porre al desiderio di morte per vivere insieme. Tuttavia, non è l’umanesimo, sono le derive settarie, tecnicistiche e negazionistiche della secolarizzazione che sono precipitate nella «banalità del male», e che oggi favoriscono l’automatizzazione in atto della specie umana. «Non abbiate paura!», queste parole di Giovanni Paolo II non erano rivolte solamente ai credenti, che incoraggiavano a resistere al totalitarismo. L’invocazione di questo Papa – apostolo dei diritti dell’uomo – ci incita anche a non temere la cultura europea, ma al contrario ad osare l’umanesimo: costruendo complicità tra l’umanesimo cristiano e quello che, scaturito dal Rinascimento e dai Lumi, ambisce a rischiarare le vie rischiose della libertà».

Infine il filosofo Guillermo Hurtado spiega la sua presenza dicendo che un agnostico ad Assisi accompagna «i credenti nella ricerca della verità e della pace, come ha detto Benedetto XVI». Ritiene ci siano diversi tipi di ateismo, così come tante e diverse sono le religioni: «è un ventaglio che va dagli atei belligeranti giacobini (che pretendono di cancellare la religione) fino agli agnostici aperti alla manifestazione della religiosità».

Insomma, un ateismo sano, civile, non banale ed intelligente. Sempre più in estinzione, purtroppo.

 

Qui sotto il discorso di Benedetto XVI

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Il Parlamento russo approva una legge restrittiva sull’aborto

Il Parlamento nazionale russa (Duma) ha approvato una legge che limita l’aborto e che verrà presto firmata dal presidente russo Dmitry Medvedev. Essa vieta l’aborto dopo la 12° settimana di gravidanza e impone un termine perentorio di attesa di 2-7 giorni prima di abortire, conosciuto come la “settimana del silenzio”, per permettere alle donne di riconsiderare la loro decisione.

La Duma ha tuttavia respinto le richieste della Chiesa ortodossa che chiedeva l’approvazione obbligatoria del marito in caso di donne sposate, il consenso dei genitori nei casi di minori e il diritto dei medici di rifiutare di eseguire un aborto. Queste restrizioni tuttavia significano il primo tentativo per fermare il calo demografico che è in corso da quando è stata liberalizzata la legge sull’aborto a metà degli anni 1960.

Ricordiamo che la Russia è stata anche la prima nazione in cui è stato legalizzato l’aborto (1920), per la chiara volontà del dittatore Vladimir Lenin, seguito a ruota dai nazisti tedeschi. Nell’ex patria dell’ateismo scientifico, piegata oggi anche dalla piaga dell‘alcolismo e dallo stile di vita malsano che ha ridotto l’aspettativa di vita dell’uomo medio a 58 anni, vi è anche uno dei tassi più alti al mondo di aborto con oltre un milione di interruzioni di gravidanza ogni anno (Ministero della Salute), anche se altre fonti parlano di diversi milioni. Il numero pare comunque essere diminuito negli ultimi anni: nel 2005 si sono verificati 104,6 aborti ogni 100 nascite mentre l’anno scorso gli aborti erano 58,7 ogni 100 nascite.

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Il filosofo Spaemann: «grazie a Nietzsche teorizzo il legame tra Dio e verità»

Segnaliamo la bella intervista realizzata da La Stampa al filosofo cattolico Robert Spaemann, conisderato uno dei massimi pensatori tedeschi viventi (forse europei), professore emerito presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco. E’ in Italia in questi giorni ospite del X ciclo di seminari della Scuola di Alta Formazione Filosofica di Torino (su Avvenire un’anticipazione del suo discorso). In libreria, edito da Lindau, è presente il suo ultimo libro: “Tre lezioni sulla dignità umana“.

Il prestigioso pensatore, compagno di ricerche di papa Benedetto XVI e da lui molto apprezzato, è autore di una moderna dimostrazione di Dio, una tesi che muove da presupposti nietzscheani. Il destino vuole che sia proprio il più alto nemico di Dio che la storia abbia mai avuto, Friedrich Nietzsche, ad aver contribuito maggiormente a preparare il terreno per il suo lavoro: «Contrariamente a quanto si crede», spiega Spaemann, «Nietzsche è il migliore teorizzatore del legame tra Dio, l’esistenza e la verità. Negare Dio equivale a dire che si nega la verità. Nella visione nietzscheana, gli uomini si limitano a conoscere i propri stati d’animo soggettivi. Ma se ci basiamo sull’identificazione tra il mondo e la sua rappresentazione, le rappresentazioni non coincideranno mai. Se vogliamo essere reali dobbiamo rimanere attaccati all’esistenza di Dio, che è il garante dello spazio della verità, entro il quale il soggetto può recuperare la propria identità oltre l’autocoscienza istantanea».

Il filosofo tedesco critica il Superuomo di Nietzsche, creato per sostituire Dio: «Il Superuomo ha accantonato la verità, a esistere sono solamente le interpretazioni del mondo. Ma l’Übermensch è pura fantasia. Gli uomini hanno dimostrato di non volere il Superuomo, bensì l’Ultimo uomo, quello che crede che la felicità sia divertimento, una vita piena di comodità, in cui si consumano le droghe. Ma io dico che ogni sostituto di Dio abbassa l’uomo. È la definizione di Dio l’essere insostituibile».

Prendendo spunto dalla proposta del card. Ratzinger nel 2005, quando chiese a tutti di «vivere come se Dio fosse», Speamann sottolinea che questa è una necessità: «La verità è una sola e non si basa sulla reciprocità. L’uomo è capace di verità perché senza di essa, intesa oggettivamente, non si riesce a rendere ragione dell’esperienza. Al fondamento di questa garanzia c’è Dio».

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L’astrofisico Marco Bersanelli: «tutto, ultimamente, viene da Lui»

L’astrofisico Marco Bersanelli, ordinario presso l’Università degli Studi di Milano, collaboratore presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica e l’Agenzia Spaziale Europea e responsabile della progettazione e sviluppo del Low Frequency Instrument utilizzato dal satellite Planck, è intervenuto il 15 ottobre all’incontro in Vaticano sui nuovi evangelizzatori, tenendo una relazione intitolata: «La scienza nasce dalla meraviglia per l’esserci delle cose». E’ possibile leggere il suo intervento integrale sul sito di Euresis (www.euresis.org), qui verranno sintetizzati alcuni passaggi più interessanti.

Lo scienziato ha iniziato raccontando del fascino per la «natura, soprattutto per la vastità e la bellezza del cielo» fin da quando era ragazzino. «Ho seguito gli studi di astrofisica e oggi, dopo tanti anni, con molta fortuna e poco merito, mi trovo sulla frontiera della ricerca». E ancora oggi è sconcertato per la «vastità dell’universo che emerge dall’indagine scientifica contemporanea», un’estensione abissale. L’astrofisico recita le parole del Salmo 8 quando dice “Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, / la luna e le stelle che tu hai fissate, / che cosa è l’uomo perché te ne ricordi / e il figlio dell’uomo perché te ne curi?”. E commenta: «Che cos’è l’uomo, che cosa è ciascuno di noi nella stanza smisurata della creazione? Polvere. L’uomo è “quasi nulla” nell’immensità dell’universo. La scienza moderna, ben lungi dal ridimensionare questa sproporzione, la amplifica a dismisura. Ma il Salmo non finisce qui, e subito mette in luce l’altro versante del paradosso della condizione umana: “Eppure l’hai fatto poco meno di Te, / di gloria e di onore lo hai coronato”».

L’uomo non è affatto messo da parte dalla vastità degli spazi, egli «è una particella infinitesima nell’universo, eppure ogni essere umano, l’io di ciascuno di noi, è un punto vertiginoso nel quale l‘universo diventa cosciente di sé», «fra tutte le creature è quella in grado di ammirare la creazione, di percepire con meraviglia la presenza delle cose, e di cercarne il significato. È impressionante pensare alla piccolezza dell’uomo, e al tempo stesso alla grandezza della sua natura, commensurabile solo con l’infinito. L’uomo è l’autocoscienza del cosmo». La scienza nasce proprio dallo stupore della «presenza della realtà come qualcosa che lo precede, come qualcosa di “dato”». L’ammirazione del ricercatore oggi si fissa «nel fatto che la scienza stessa sia possibile. Mi sorprende fino alla commozione ogni volta che riusciamo a “capire” qualcosa, e anche se una scoperta è stata il risultato di un grande sforzo, mi sembra sempre un regalo, qualcosa di non-dovuto. Vi è qualcosa di inspiegabile nella capacità della nostra ragione (pur con tutti i suoi limiti ed errori) di cogliere il meraviglioso ordine nascosto che regge l’universo». Chi siamo noi, granelli di polvere nella vastità del cosmo, si chiede l’astrofisico, «per essere dotati della capacità di intendere – con il linguaggio della matematica – la struttura del mondo fisico fino alle sue rive più lontane, distanti dalla nostra esperienza diretta, dalle particelle elementari alle galassie, dalla cosmologia alla fisica quantistica?».

Dopo aver citato un episodio nel suo rapporto con don Luigi Giussani, riflette: «Tutto, ultimamente, viene da Lui. Le stelle del cielo, fino alle ultime galassie in fondo all’abisso, l’universo informe e infuocato dei primi istanti. E il nostro piccolo pianeta, le nuvole e le montagne, i fiori. Tutto, ultimamente, viene da Lui. La scienza ci mostra tesori di bellezza altrimenti inaccessibili, ci parla dell’evoluzione e del mutare delle cose, dei nessi nascosti tra i fenomeni, ma non ci dice nulla della radice ultima del loro “esserci”, del loro significato, della loro singolarità. Tutto, ultimamente, viene da Lui. Qualunque analisi scientifica è muta di fronte alla singola persona, al dramma del suo dolore, alla sua attesa di felicità». E conclude: «È commovente pensare che il mistero infinito che trae dal nulla l’universo in ogni istante si è preso cura di ciascuno di noi, fino a diventare compagnia umana alla nostra vita. “Per noi Dio non è un’ipotesi distante”, ha detto Benedetto XVI, “non è uno sconosciuto che si è ritirato dopo il Big Bang. Dio si è mostrato in Gesù Cristo. Nel volto di Gesù Cristo vediamo il volto di Dio, nelle sue parole sentiamo Dio stesso parlare con noi”».

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EllaOne: l’ennesima aggressione alla vita mascherata da contraccezione



di Stefano Bruni*
*pediatra e ricercatore scientifico

 
 
 

INTRODUZIONE (può essere d’aiuto, ma non è indispensabile alla comprensione del testo successivo. La sua lettura è pertanto facoltativa)

L’inizio della vita di un individuo (inteso come essere vivente dotato di un codice genetico unico e irripetibile) è l’incontro tra uno spermatozoo e un ovocita, che avviene nella tuba uterina intorno al 14° giorno del ciclo mestruale. Gli spermatozoi sopravvivono nella cervice uterina fino a 5 giorni. Dopo un rapporto sessuale risalgono fino nelle tube, in una delle quali, se è avvenuta l’ovulazione, incontreranno l’ovocita. Dopo un rapporto sessuale la donna avrà dunque spermatozoi vitali e fecondanti al suo interno per circa 4-5 giorni. Gli ovociti maturano in una particolare struttura detta follicolo, nei primi 13-14 giorni circa del ciclo mestruale grazie all’azione dell’ormone follicolostimolante (FSH) secreto dall’ipofisi e degli estrogeni secreti dal follicolo stesso. Quando il follicolo giunge a maturazione, grazie all’azione dell’ormone luteinizzante (LH) si rompe e libera all’esterno dell’ovaio l’ovocita che ha al suo interno (ovulazione): siamo circa al 14° giorno del ciclo mestruale. La fecondazione è la conseguenza della penetrazione di uno spermatozoo in una cellula uovo all’interno della tuba. La fusione del nucleo della cellula uovo e dello spermatozoo impiega circa 24 ore per completarsi e determina la formazione della prima cellula dell’embrione (zigote), la prima cellula della nuova persona. Circa 5-6 giorni dopo la fecondazione l’embrione ha raggiunto l’utero e per sopravvivere deve necessariamente “impiantarsi” ovvero “attaccarsi” all’endometrio che è il tessuto che tappezza internamente la cavità uterina. Se questo processo non avviene correttamente l’embrione non riesce a sopravvivere perché non ha più a disposizione sostanze nutritizie. In questa fase sia l’embrione che l’endometrio giocano un ruolo attivo: entrambi secernono svariate sostanze determinando fra loro un vero e proprio “dialogo biochimico”. L’organismo materno secerne soprattutto gli estrogeni ed il progesterone, la cui funzione è quella di preparare l’endometrio ad accogliere l’embrione. In particolare il progesterone (che per agire deve essere riconosciuto da specifici recettori presenti sulle cellule endometriali) contribuisce allo sviluppo del prodotto del concepimento prima ancora che si impianti, esaltando specificatamente le secrezioni tubariche ed uterine necessarie al suo nutrimento e sviluppo, prepara un ambiente uterino idoneo all’impianto aumentandone lo spessore ed alterando la viscosità del muco cervicale con lo scopo di bloccare batteri e sperma, induce lo sviluppo di cellule deciduali nell’endometrio, importanti per la nutrizione dell’embrione nei primi stadi e inibisce la contrattilità dell’utero gravidico, evitando la possibilità di un aborto spontaneo.

 
 

LA PILLOLA DEI 5 GIORNI DOPO: FATTI E MISFATTI

In Italia, dopo aver ottenuto l’approvazione da parte del Consiglio Superiore di Sanità, ellaOne, un farmaco reclamizzato come pillola anticoncezionale, ha ottenuto l’autorizzazione da parte del comitato tecnico scientifico dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), purché prudentemente prima dell’assunzione sia stato effettuato un test di gravidanza per escludere una gestazione in atto. Questa “clausola” ha ovviamente scatenato polemiche a non finire perché a detta di alcuni complicherebbe le cose alla donna che ha deciso di assumere la pillola per correre ai ripari dopo un rapporto sessuale imprudente per il periodo nel quale è stato consumato (cioè nei giorni prossimi all’ovulazione).

Su Avvenire del 6 Ottobre scorso era riportata un’intervista al Dr Bruno Mozzanega, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze ginecologiche e della riproduzione umana dell’Università di Padova, che nell’ultimo numero dell’Italian journal of gynaecology and obstetrics ha pubblicato una ricerca su ellaOne, meglio nota come la pillola dei cinque giorni dopo. Nell’intervista il Dr Mozzanega sottolinea come il farmaco, presentato come anticoncezionale, per il suo meccanismo d’azione e per la finestra terapeutica (5 giorni) per la quale è indicato abbia in realtà potenziale abortivo molto spiccato. Proverò a dimostrarvi come ellaOne sia l’ennesimo tentativo di mistificazione, cioè di far passare come anticoncezionale una pillola che ha un altissimo potenziale abortivo. Onestà intellettuale e correttezza professionale medica  vorrebbero che alle donne non fosse fatta disinformazione, come invece sta avvenendo.

L’ulipristal acetato, questa la molecola che costituisce ellaOne, è un farmaco proposto come metodo di contraccezione d’emergenza durante le 120 ore (5 giorni) successive ad un rapporto sessuale non protetto o a rischio. Come riportato nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP), per intenderci la scheda tecnica nella quale sono riassunte le informazioni più rilevanti per il medico relativamente al farmaco, “ulipristal acetato è un modulatore selettivo sintetico del recettore del progesterone che agisce legandosi con grande affinità al recettore umano del progesterone”. Nell’RCP si legge che “si ritiene che il meccanismo d’azione primario consista nell’inibire o ritardare l’ovulazione” (tanto per cominciare sottolineo il “si ritiene”: voi lo assumereste un farmaco che “si ritiene” funzioni in un certo modo o preferireste sapere che il mondo scientifico sa “con certezza” quello che avviene nell’interazione tra un farmaco e il nostro organismo?!).

L’Agenzia regolatoria predisposta all’approvazione dei medicinali (EMA) ha autorizzato la commercializzazione di ellaOne dal Maggio 2010 dopo avere discusso il dossier scientifico portato dalla ditta produttrice. Come si potrà notare, nella sezione 2.3 di questo assessment (cfr. ultimo capoverso di pag. 9/49) vengono riportati correttamente tutti i possibili meccanismi d’azione del farmaco: capacità di bloccare/impedire/ritardare l’ovulazione, anche dopo il picco di LH, e capacità di ritardare la maturazione dell’endometrio in modo tale da prevenire l’impianto dell’embrione. A pag. 11/49 (cfr. secondo capoverso) dello stesso documento di EMA si conferma che, su colture di cellule, ulipristal acetato inibisce in maniera evidente la proliferazione delle cellule dell’endometrio stimolata da progesterone ed estrogeni. Addirittura, nella sezione relativa al meccanismo d’azione (cfr. pagina 22/49) si accetta “candidamente” (ma surrettiziamente) che, “poiché il progesterone è critico per l’impianto, si è pensato che ulipristal acetato potesse essere promettente come agente contraccettivo”.  Le conclusioni (cfr. capoverso 4, pag. 23/49) sono che “il principale meccanismo d’azione del farmaco si pensa sia l’inibizione o il ritardo dell’ovulazione, ma alterazioni dell’endometrio possono anche contribuire all’efficacia del prodotto. D’altra parte gli stessi concetti sono riportati in alcune pubblicazioni scientifiche tra le quali, per chi volesse approfondire, vi riporto i link alle seguenti:

 

Nella “Sintesi destinata al pubblicopredisposta da EMA, relativamente alle caratteristiche del farmaco si trovava chiaramente indicato quanto segue: “Perché inizi la gravidanza occorre che si verifichi l’ovulazione seguita dalla fecondazione dell’ovulo e dal suo impianto nell’utero. Il progesterone [ … ] svolge un ruolo nel determinare i tempi dell’ovulazione e preparare la parete uterina ad accogliere l’ovulo fecondato. Il principio attivo di ellaOne, [ … ] si lega ai recettori ai quali normalmente si lega il progesterone, inibendo così all’ormone di avere effetto. Attraverso la sua azione sui recettori del progesterone, ellaOne impedisce le gravidanze principalmente mediante la prevenzione o il ritardo dell’ovulazione.” Significativo, a mio giudizio, notare come ci si limiti a riassumere l’azione del farmaco come “principalmente” legata all’azione sull’ovulazione (effettivamente anticoncezionale) evitando il riferimento alla sua azione sulla parete uterina (impedire l’annidamento dell’uovo fecondato equivale all’aborto di un essere umano).

Inoltre, che ulipristal acetato abbia un grande potenziale abortivo è anche chiaramente indicato nell’assessment di EMA dove, a pag. 45/49 si sottolinea come un test di gravidanza debba essere effettuato prima di assumere il farmaco nei casi in cui non si possa escludere una gravidanza in atto e come la ditta produttrice debba mettere in atto azioni atte a prevenirne l’uso scorretto (a fini abortivi, appunto, come chiaramente specificato). Sull’efficacia delle azioni consigliate (registro delle prescrizioni) è legittimo secondo me nutrire seri dubbi, anche perché ne viene consigliata l’implementazione non prima di un paio d’anni dalla commercializzazione del prodotto (pag. 46/49, primo paragrafo).

In conclusione, nella fisiologia della riproduzione, l’embrione a 5 giorni dal concepimento è in utero per annidarsi. È dunque inequivocabile il potenziale e l’azione abortiva di questo farmaco il quale, potendo essere assunto fino a 5 giorni dopo un rapporto a rischio (e quindi a un potenziale concepimento) agisce togliendo sostentamento all’embrione e dunque uccidendolo.
 
 

Per chi fosse interessato ad approfondire rimando ai seguenti link:

 

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