Il fisico Alan Lightman contro Dennett: «gli atei dovrebbero rispettare i credenti»

Il fisico Alan Lightman, docente presso il prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT) e autore del bestseller internazionale “Einstein’s Dreams”, ha pubblicato un interessante articolo su life.salon.com parlando di “scienza e fede” e criticando Richard Dawkins.

Egli sostiene che scienza e fede possono essere compatibili fino a quando non si sostiene un Dio “interventista” che altera le leggi fisiche conosciute (con i miracoli, ad esempio). Un “Dio” immanente, è proclamato da molti, uno di questi è stato Einstein, dice Lightman. Tuttavia riconosce che un “significativo numero di scienziati” di spicco sono oggi “devotamente religiosi nel senso ortodosso”. Lightman cita ad esempio il recente studio condotto dalla sociologa Elaine Howard Ecklund della Rice University, la quale ha intervistato circa 1.700 scienziati d’élite delle università americane rilevando che il 25% è religioso e un altro 20% dice di avere un «rapporto individualizzato e non convenzionale» con Dio (cfr. Ultimissima 2/7/10). Il fisico del MIT cita come esempi di scienziati credenti il genetista Francis Collins, il fisico nucleare del MIT Ian Hutchinson e il professore emerito di astronomia e di storia della scienza all’Università di Harvard, Owen Gingerich. Tutti essi credono che le leggi autonome della fisica, biologia e chimica governano il comportamento dell’universo fisico e contemporaneamente ritengono che Dio possa intervenire al di fuori di queste leggi.

Lightman si definisce “non credente” ma dichiara «sono senz’altro d’accordo con Collins, Hutchinson e Gingerich sul fatto che la scienza non è l’unica via per arrivare alla conoscenza, che ci sono domande interessanti e vitali al di là della portata di provette ed equazioni. Credo che ci siano cose che accettiamo per fede, senza prove fisiche e anche a volte senza alcuna metodologia di prova». Il fisico parla anche di quegli scienziati che «hanno usato la scienza per contrastare argomentazioni stese per sostenere l’esistenza di Dio. La loro maggior voce è quella del biologo evoluzionista e scrittore britannico Richard Dawkins». Dopo aver esposto il pensiero di Dawkins, dichiara: «Richard Dawkins e gli altri possono spendere le calorie come vogliono per sostenere che Dio non esiste, ma la mia ipotesi è che convinceranno poche persone che hanno già la fede. O una persona crede in un Dio immanente e nel qual caso le sue “argomentazioni scientifiche” sono irrilevanti, o la persona, come il dottor Collins e i professori Hutchinson e Gingerich, credono che Dio viva al di là delle limitazioni della materia e dell’analisi scientifica. Lo sforzo di Dawkins provoca più una discussione sul tema che contribuire a potenziare l’espressione dell’ateismo». Ma non è finita: «Ciò che mi turba dei pronunciamenti Dawkins è il suo licenziamento all’ingrosso della religione e della sensibilità religiosa». Dopo aver citato alcune dichiarazioni farneticanti dello zoologo sulla religione e sulla fede (“scappatoia senza prove”, “sciocchezza pericolosa”, “stampella”), scrive: «A mio parere, Dawkins ha una visione ristretta della fede. Sarei il primo a sfidare qualsiasi convinzione che contraddice le scoperte della scienza, ma, come ho detto prima, ci sono cose in cui crediamo che non si sottomettono ai metodi e riduzioni della scienza. Inoltre, la fede e la passione per il trascendente sono state l’impulso per tante squisite creazioni del genere umano», e ancora: «è vero che gli esseri umani, in nome della religione, hanno talvolta causato grandi sofferenze e la morte ad altri esseri umani. Ma lo stesso ha fatto la scienza con le armi di distruzione. Sia la scienza e la religione possono essere utilizzate nel bene e nel male. E’ come vengono utilizzate dagli esseri umani quello che conta. Gli esseri umani sono stati guidati dalla passione religiosa per costruire scuole e ospedali, per creare poesia e musica, proprio come gli esseri umani hanno utilizzato la scienza per curare le malattie, per migliorare l’agricoltura, per aumentare il comfort dei materiali e la velocità di comunicazione».

Queste parole hanno dato evidentemente alla testa a quel gruppo di atei fondamentalisti di cui si è circondato Dawkins. Infatti sullo stesso sito web pochi giorni dopo, arriva la replica stizzita del filosofo Daniel Dennett, che ha attaccato il fisico dicendo: «Con il suo recente articolo Alan Lightman si unisce a una lunga serie di apologeti atei che si sentono costretti a rispondere negativamente alla campagna di Richard Dawkins». Dennett ha continuato evidenziando gli errori compiuti -secondo lui- da Collins e da Gingerich quando sostengono la loro fede e da bravo discepolo ha tessuto le lodi a Dawkins.

La replica di Alan Lightman è stata immediata, scrivendo l’articolo intitolato: “Perché gli atei dovrebbero rispettare i credenti”. Egli dice: «Sia Dennett che Dawkins assumono la posizione di un dualismo rigoroso, un ritratto in bianco e nero che non posso accettare. In effetti, direi che una posizione così assolutista ha alcuni degli stessi problemi come un fondamentalismo di qualsiasi tipo. Non è la chiarezza di Dawkins che mi preoccupa, ma la sua etichettatura dei credenti come un grande gruppo di persone non-pensatori. Ci sono migliaia di pensatori intelligenti, riflessivi e razionali che credono in Dio. Io non sono d’accordo con Collins e Gingerich nella loro fede in Dio, ma questo non significa che io considero Collins e Gingerich persone irrazionali o pericolose per la nostra società, come Dawkins implica nei suoi scritti. Mi si mostri un caso in cui Collins o Gingerich abbiano rifiutato di accettare una scoperta particolare della scienza o siano stati ostacolati nel loro lavoro scientifico a causa delle loro credenze religiose. Anzi, al contrario, queste persone hanno dato validi contributi alla scienza e alla storia della scienza. La loro capacità di farlo, infatti, dimostra che le credenze religiose e la scienza possono vivere fianco a fianco all’interno della mente umana». E infine ha concluso: «io non credo che sia stata la fede a causare le sofferenze degli esseri umani attraverso i secoli. Dennett mi ricorda che Richard Dawkins è profondamente grato della musica, dell’arte e della poesia che la religione ha generato, ma Dawkins ritiene che la religione, a conti fatti, ha realizzato più male che bene. Avrei difficoltà a tentare una tale riscontro».

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Il cattolicesimo italiano favorì la nascita dell’anatomia

Continuiamo nella presentazione dell’ultimo saggio di Francesco Agnoli intitolato “Case di Dio, ospedali degli uomini. Perché, come e dove sono nati gli ospedali” (Fede e Cultura 2011), di cui abbiamo già parlato in Ultimissima 25/10/11.

Diamo spazio alle parole con cui lo commenta Mario Gargantini, giornalista, divulgatore scientifico e direttore della rivista Emmeciquadro (www.emmeciquadro.it). Egli ritiene interessante il saggio storico perché dimostra come accanto alla Caritas incidesse, nella cultura italiana del Medioevo, la concezione di Dio come Logos. Citando le parole di Agnoli, informa che «la storia dell’anatomia insegna che l’autorità dei greci, se da un lato offrì uno spunto importante di partenza, dall’altro fu il freno più forte ad ulteriori sviluppi». I primi esperimenti di anatomia sono nati in Grecia, laddove si è colto, filosoficamente, l’ordine, l’armonia e la razionalità del cosmo, ma nonostante i contributi del pensiero greco -continua Gargantini-, l’anatomia moderna nascerà molto più avanti, nell’Europa cristiana, o, ancora meglio, nel cuore della cristianità: l’Italia.

Nell’Italia cattolica «sorgono le prime università ed è sempre lì che la dissezione dei cadaveri avviene già nel XIII secolo per conoscere meglio gli organi e l’architettura del corpo umano». Avviene a Bologna, città pontificia in cui sorge una delle tante università collegate piuttosto strettamente alla Chiesa. Il trattato più importante di anatomia medievale è l’Anathomia Mundini di Mondino dei Liuzzi dove l’autore si rifà alla scuola di Galeno, sottolinea la superiorità dell’uomo rispetto agli altri animali, e dimostra una conoscenza diretta della dissezione. Ad esso segue l’opera di Andrea Vesalius, De humani corporis fabbrica, pubblicata nel 1543, in cui anch’egli cita Galeno e i suoi oltre duecento errori, che dichiara di aver potuto rilevare grazie all’ampia possibilità goduta di sezionare cadaveri; possibilità che egli ha trovato in Italia, non nel resto d’Europa. Molti scienziati “galenisti osservanti” infatti «non vedevano alcuna connessione tra l’indagine anatomica e la capacità di curare i malati».

La libertà della ricerca scientifica in Italia, al contrario di quanto avvenne in Europa, trova risposta nella storia delle religioni: «Per molte religioni, infatti, la sepoltura del cadavere, ancora oggi, deve avvenire necessariamente e secondo un preciso rituale: altrimenti il morto non riesce a raggiungere l’aldilà, vaga nell’aldiqua, reclamando la sepoltura e persino perseguitando i vivi. Queste convinzioni, scomparse o quantomeno molto affievolite in Europa con l’avvento del cristianesimo, sono ancora vive, sotto svariate forme, in gran parte dell’Asia e dell’Africa odierne. Ebbene credenze analoghe a questa, molto diffuse nell’Europa pagana, non caratterizzano invece, se non per un qualche inevitabile e marginale permanere delle antiche superstizioni, l’Europa cristiana in cui l’anatomia nasce». La Chiesa, scrive Agnoli, «non poteva essere contraria: se lo fosse stata, con l’autorità morale che esercitava nel medioevo, in particolare sulle università, non avrebbe mai permesso la nascita dell’anatomia. Né essa sarebbe sorta proprio in Italia, cuore del papato e della Cristianità, e non, ad esempio, in Germania o in Inghilterra, dove l’insegnamento dell’anatomia sui cadaveri umani rimase eccezionale almeno fino alla metà del Cinquecento».

L’autore ricorda poi diverse posizioni dei Pontefici a favore dell’anatomia, come quella di papa Sisto IV nella De cadaverum sectione (1472) o quella di Benedetto XIV che invitava l’artista Ercole Lelli, in alleanza con l’Università di Bologna, a produrre cere anatomiche a scopo didattico per supplire alla carenza di cadaveri necessari per lo studio. La lettura di molti dei primi trattati di anatomia, infine, ci dice che gli stessi anatomisti erano rispettosi credenti che mettevano in luce “il valore filosofico e quasi teologico dell’anatomia” e ammiravano nel corpo “il tempio di Dio”. Un esempio è il beato Niccolò Stenone – ottimo anatomista, che sarebbe divenuto il padre della geologia -, che prima di iniziare la dissezione del cadavere di una donna giustiziata, scriveva sul suo diario: «Questo è il vero scopo dell’anatomia, che attraverso l’ingegnosa struttura del corpo l’osservatore sia tratto ad afferrare la dignità dell’anima e di conseguenza attraverso i miracoli del corpo e dell’anima impari a conoscere e amare il Creatore».

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Il vero obiettivo di Cristoforo Colombo? Liberare il Santo Sepolcro.

Italiano, perché nacque a Genova, ma anche spagnolo, di adozione. Grazie alla regina Isabella, infatti, Cristoforo Colombo poté portare a termine una delle missioni più grandi della storia.

«Impresa originata per un errore di calcolo. Ma un errore decisamente fortuito, che cambiò non solo i confini materiali, ma anche quelli mentali delle persone» spiega Marco Meschini, storico medievalista, membro della Society for the Study of the Crusades and the Latin East (SSCLE) e collaboratore con tanti istituti di ricerca, tra cui il CNR.

Intervistato da ilsussidiario.it in merito all’anniversario della scoperta dell’America (12 ottobre), lo storico ha parlato di alcune particolarità inerenti il viaggio di Colombo. A precisa domanda, Meschini affronta anche del tentato impedimento del viaggio di Colombo da parte della Chiesa, alcuni dicono per ragioni teologiche: «tutti all’epoca sapevano che la Terra era sferica. I maggiori scienziati, inoltre, non potevano che essere uomini di Chiesa: nelle università, tenute a battesimo da Papi e sovrani cattolici, i professori prendevano gli ordini minori, erano chierici. La Chiesa, quindi era assolutamente considerata come la scienza maggiormente all’avanguardia». Poi continua: «La commissione di saggi voluta dai regnanti spagnoli contestò il viaggio per ragioni puramente tecniche. Non pensava fosse fattibile. E, in fondo, aveva ragione. Tra gli errori compiuti, Colombo utilizzò anche un’unità di misura sbagliata».

Infine, lo storico ha ricordato che nel suo diario, Colombo -persona profondamente religiosa-, «sognava uno scambio di ricchezza tra Oriente e Occidente tale da permettere di ottenere le risorse per riconquistare il Santo Sepolcro. Fu un obiettivo spesso nascosto, non sempre esplicito, ma pur sempre presente nel profondo del proprio animo. In un certo senso, Colombo fu un crociato molto atipico».

La redazione

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Nuovi promettenti impieghi per le cellule staminali del cordone ombelicale

Le cellule staminali non sono ancora differenziate e sono quindi, almeno virtualmente, totipotenti, ovvero capaci di evolversi in qualsiasi tipo di cellula del corpo.

Al momento del parto, naturale o cesareo, è possibile ottenere dalla vena del cordone ombelicale cellule staminali che, opportunamente trattate, possono essere somministrate ad un paziente immunologicamente compatibile per combattere alcune malattie e particolarmente anemie e leucemie infantili. Queste cellule sono importanti anche per la ricerca scientifica e presentano l’ovvio vantaggio, rispetto alle cellule staminali embrionali, che il loro uso non comporta la soppressione di una vita umana, né altri problemi di bioetica.

Recentemente ricercatori milanesi dell’Istituto Mario Negri e della Fondazione Cà Granda Policlinico hanno verificato che, su topi da esperimento, queste cellule sono molto efficaci anche per migliorare la ripresa dopo un trauma cranico, incidente che colpisce 180.000 persone ogni anno in Italia.

Se confermato questo effetto anche nella specie umana, quindi, queste cellule vedrebbero aumentare enormemente la propria utilità e il numero di malati che possono trarne beneficio.

Linda Gridelli

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I neutrini del Gran Sasso: una nuova crisi del positivismo?

Un esperimento svoltosi nel settembre scorso nei laboratori del Gran Sasso ha rivelato che i neutrini prodotti dalle collisioni ad alta energia nel ciclotrone LHC di Ginevra avrebbero una velocità superiore a quella della luce: un risultato del tutto imprevisto che ha allertato la comunità scientifica perché metterebbe in dubbio la teoria della relatività speciale (TRS). Per prima cosa è necessario essere prudenti sull’esito di questo esperimento: molti fisici, compresi i ricercatori del Gran Sasso, ritengono possibile l’intervento di un errore di tipo sistematico ed invocano la necessità di ripetere l’esperimento in altri laboratori attrezzati per l’osservazione dei neutrini. Ma se altri esperimenti confermassero la velocità superluminale dei neutrini, quale sarebbe l’impatto sulla fisica che si poggia sulla TRS come una casa sulle sue fondamenta? Quali tra le conoscenze che abbiamo dell’Universo sarebbero messe in discussione?

Per rispondere a queste domande, cominciamo col separare il contenuto scientifico della TRS dalle sue interpretazioni filosofiche. Ricordo che ogni teoria fisica comprende:
a) un nucleo scientifico, che è l’insieme delle sue equazioni matematiche, dei suoi protocolli operativi e delle sue predizioni empiricamente controllabili
b) un accompagnamento di interpretazioni filosofiche, equivalenti dal punto di vista operativo.

Nelle loro ricerche i fisici usano il contenuto scientifico delle teorie, mentre tutte le concezioni filosofiche, e anche l’assenza di concezioni, sono opzioni scientificamente indifferenti. Per esempio, usano le equazioni della meccanica quantistica ed i suoi protocolli sperimentali per predire/controllare i livelli energetici d’un isotopo, senza necessariamente sposare l’interpretazione di Copenaghen, o rinunciare al realismo, o credere nell’indeterminismo, ecc. Occorre sempre separare il nucleo scientifico di una teoria dalle sue estrapolazioni interpretative.
Il nucleo scientifico della TRS è costituito dalle equazioni di Lorentz, dai metri ed orologi usati per le misure spaziali e temporali e dalle regole per standardizzare e sincronizzare gli strumenti da parte dei diversi osservatori inerziali. La filosofia non distingue le operazioni dei ricercatori, ma può separarne il giudizio su “ciò che accade in realtà”, soprattutto riguardo agli aspetti più paradossali della TRS. Filosoficamente, ci potremmo chiedere: come mai osservatori diversi misurano lunghezze e tempi diversi? Cosa accade allo spazio e al tempo (o a metri ed orologi)? Cosa cosa sono lo spazio e il tempo? Esiste un sistema di riferimento assoluto o lo stesso concetto non ha senso?

Ebbene, fin dall’origine, si sono confrontate due visioni filosofiche opposte nella TRS:
1. L’interpretazione di Einstein-Minkowski, che nega l’esistenza di oggetti fisici 3-dimensionali perduranti nel tempo a favore di oggetti 4-dimensionali esistenti senza una distensione temporale pura separata da quella spaziale. Questa concezione è dichiaratamente positivistica: tutto ciò che non è misurabile non deve trovar posto in fisica nemmeno a livello ipotetico ed è privo di senso: a cominciare dai concetti di spazio e tempo assoluti (anzi, di spazio e tempo tout court), giudicati idee metafisiche ed antiscientifiche. Questa concezione è un portato del clima neopositivistico dell’epoca in cui la TRS fu sviluppata, veicolato dal Circolo di Vienna, che sul giovane Einstein ebbe grande influenza soprattutto attraverso la filosofia di E. Mach.
2. L’interpretazione di Lorentz, che, come Galileo e Newton, crede nell’esistenza di oggetti 3-dimensionali perduranti nel tempo e d’un sistema di riferimento assoluto (“etere”), ancorché non osservabile. I fenomeni contro-intuitivi della TRS, come la contrazione spaziale e la dilatazione temporale, sono per Lorentz “effetti locali” del moto degli osservatori rispetto all’etere: l’etere è fisicamente attivo ed ogni movimento rispetto ad esso produce la contrazione delle lunghezze e la dilatazione dei tempi previste dalle equazioni della TRS. La velocità della luce risulta costante in tutti i sistemi inerziali perché l’uno e l’altro effetto si combinano a farla apparire tale.

Dal punto di vista epistemologico, i cultori della metafisica apprezzano le differenze ontologiche esistenti tra le due interpretazioni; i positivisti si limitano ad una scrollatina di spalle. Dal punto di vista scientifico, anche se è nettamente prevalsa la prima, le due interpretazioni sono (state fino a ieri) empiricamente equivalenti, perché è (o era) impossibile immaginare un esperimento che le distinguesse. Ma è proprio così? E’ possibile che anche la TRS, come la fisica newtoniana, postuli un riferimento assoluto? L’interpretazione positivistica può avere indotto assiomi aggiuntivi sul nucleo scientifico della TRS con conseguenze incompatibili con l’esperienza? A garanzia della possibilità della ricerca scientifica, oltre al principio di oggettività garantito in fisica classica dalla relatività galileiana e nella moderna dalla TRS, c’è il principio di causalità, secondo il quale la freccia del tempo ha lo stesso verso per tutti gli osservatori: se l’esplosione A di una supernova causa la ricezione B di neutrini da parte di un osservatore terrestre, questi registra nel suo orologio la causa A prima dell’effetto B. Ma ciò deve valere anche per un osservatore in un’astronave: gli orologi di osservatori diversi misureranno, al più, tempi diversi per A e per B, ma nessuno riceverà i neutrini prima dell’esplosione della supernova! Nessuno scienziato può rinunciare al principio di causalità, pena la distruzione di tutte le scienze naturali.

Nella concezione di Lorentz la causalità è garantita, come nella fisica classica, dall’esistenza del sistema privilegiato dell’etere. In questo sistema, ci sono un passato, un presente ed un futuro assoluti; e non ci sono a priori coppie di eventi, per quanto distanti nello spazio e vicini nel tempo, in cui il successivo non possa essere effetto del precedente, perché non esiste a priori nelle equazioni della TRS alcun limite alla velocità di trasmissione di forze e segnali. Solo l’esperimento potrà dettare eventuali limiti fisici alla velocità delle particelle che veicolano le forze della Natura.
Nella concezione di Einstein-Minkowski, invece, dove non esiste un sistema privilegiato; dove gli stessi concetti di tempo e spazio sono vuoti al di fuori delle diverse misure di ogni osservatore, per salvare la causalità Einstein dovette aggiungere al nucleo scientifico della TRS un nuovo postulato, quello che la velocità della luce è la massima esistente in Natura.

Il nucleo della TRS non stabilisce, come si è detto, limiti alla velocità delle particelle, ma vieta solo la possibilità di accelerare una particella da una velocità subluminale ad una superluminale, in quanto ciò richiederebbe un’energia infinita. Con ciò esso non esclude particelle che viaggino sempre a velocità superluminali (i “tachioni”, mai osservati prima del Gran Sasso). L’esistenza dei tachioni sarebbe dunque una falsificazione empirica non del nucleo scientifico della TRS, ma della concezione positivistica di Einstein-Minkowski. Perciò, qualora l’esperimento del Gran Sasso sia confermato, se si vorranno salvare i principi di oggettività e di causalità della scienza, si dovrà anche nella TRS, come fece Newton per la relatività galileiana, postulare l’esistenza di un sistema di riferimento spaziale e temporale assoluto, ancorché non osservabile.

Per la verità, fin dal 1913, il risultato di un esperimento d’interferenza ottica collide con la TRS a meno di non postulare l’esistenza di un sistema di riferimento assoluto: l’effetto Sagnac. Ogni tentativo di far rientrare questa evidenza nell’interpretazione standard della TRS è fallito. Occorre anche rilevare che, a partire dalla teoria della relatività generale (1915), lo stesso Einstein si distaccò da Mach per avvicinarsi progressivamente ad una concezione realistica dello spazio. Al contrario di una mera speculazione, lo spazio vuoto si presenta nella relatività generale pregno di energia e di altre proprietà fisiche. Sembrano quasi un’autocritica le parole di Einstein rivolte direttamente a Lorentz nel 1919: «Sarebbe stato più corretto se nelle mie prime pubblicazioni mi fossi limitato a sottolineare l’impossibilità di misurare la velocità dell’etere, invece di sostenere soprattutto la sua non esistenza. Ora comprendo che con la parola etere non si intende nient’altro che la necessità di rappresentare lo spazio come portatore di proprietà fisiche» (cit. in L. Kostro, “Einstein e l’etere”, Andromeda, Bologna 1987). E nel 1920: «Anche se nel 1905 pensavo che in fisica non si potesse assolutamente parlare di etere, questo giudizio era troppo radicale, come possiamo vedere con le prossime considerazioni della relatività generale. È quindi permesso assumere un mezzo colmante nello spazio se ci si riferisce al campo elettromagnetico e quindi anche alla materia» (A. Einstein, “Grundgedanken und Methoden der Relativitätstheorie in ihrer Entwicklung dargestellt”, 1920). E ancora: «D’altra parte a favore dell’ipotesi dell’etere gioca un argomento molto importante. Negare l’etere significa, in ultima istanza, supporre che lo spazio vuoto non possieda alcuna proprietà fisica, il che è in disaccordo con le esperienze fondamentali della meccanica» (cit. in A. Einstein, “Opere scelte”, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri, Torino 1988)

Esattamente come per Galileo e Newton, Einstein si rese conto infine che l’etere, inteso come sistema di riferimento assoluto, era necessario per spiegare l’origine delle forze inerziali nei sistemi accelerati.
E qualche anno dopo, quando anche la meccanica quantistica con lo stato fisico del “vuoto” concordò nell’assegnare proprietà fisiche allo spazio, ora divenuto a pieno titolo un oggetto fisico e non un mero concetto metafisico, P. Dirac poteva dire: «La conoscenza della fisica si è sviluppata molto dal 1905, soprattutto con l’arrivo della meccanica quantistica e la situazione (circa la plausibilità scientifica dell’etere) è di nuovo cambiata. […] Possiamo vedere ora che si può benissimo avere un etere soggetto alla meccanica quantistica e conforme alla relatività» (P. Dirac, “Is there an ether?”, Nature, vol. 168 – 1951). Infine, c’è un altro argomento recente, di pura meccanica quantistica, che spinge a favore della visione realistica dello spazio: il teorema di Bell. Nell’interpretazione di Lorentz esiste la nozione di contemporaneità assoluta perché, ancora una volta, c’è il sistema dell’etere a stabilire se a due eventi qualunque corrispondono gli stessi tempi assoluti. L’assenza poi, in questa concezione, di un limite superiore per la velocità dei segnali, permette in linea teorica di immaginare tachioni con velocità infinita da usare per stabilire le linee di simultaneità assoluta tra gli eventi dello spazio e del tempo. Nell’interpretazione di Einstein-Minkowski, invece, la contemporaneità è solo relativa ai sistemi di riferimento, come sappiamo, e nemmeno per tutti ha un senso (tecnicamente, per due eventi “spazialmente separati” si può dare solo una definizione convenzionale di contemporaneità, senza alcun significato fisico. In questa negazione d’un tempo reale, l’influenza positivistica di Mach sul primo Einstein celebra il suo acme). Alcuni recenti esperimenti, però, riguardanti le predizioni del teorema di Bell, sembrano implicare l’esistenza di relazioni di simultaneità assoluta nell’Universo.

È inspiegabile che tutti i testi scolastici di relatività speciale assumano acriticamente come scontata la visione giovanile di Einstein, senza alcun accenno alle revisioni dell’età adulta, impostegli dalla relatività generale e dalla meccanica quantistica. È una scelta ideologica e non scientifica che si dia per accantonato definitivamente dalla fisica il problema di uno spazio e di un tempo reali privilegiati. Se all’effetto Sagnac si accompagnerà la conferma degli esperimenti riguardanti il teorema di Bell e l’ultravelocità dei neutrini, si dovrà finalmente abbracciare anche in TRS una visione realistica dello spazio e del tempo. Non crollerà certo la fisica, né saranno messe in discussione tutte le conoscenze che abbiamo dell’Universo; però andrà fatta una cernita tra ciò che si poggia solo sul nucleo scientifico della TRS, e quello che si poggia anche sui preconcetti d’insussistenza di uno spazio e di un tempo assoluti.

Giorgio Masiero

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Dawn Stefanowicz racconta la sua crescita con genitori omosessuali

Dawn Stefanowicz e i figli di genitori gay. La donna canadese ha confessato in un libro i fatti della sua infanzia, cresciuta all’interno della comunità Lgbt di Toronto. E’ portavoce di altri che hanno avuto la stessa esperienza.

 

In Ultimissima 16/9/11 informavamo dell’umiliazione provocata da due donne omosessuali australiane al loro figlio adottivo di sei anni, travestendolo da ragazza e pubblicando le sue foto su Facebook. Segnaliamo anche la storia di Dawn Stefanowicz, donna quarantenne che vive oggi in Ontario (Canada) con marito e due figli e autrice del libro: Out from Under: The Impact of Homosexual Parenting (Annotation Press 2007)

Racconta sul suo sito web www.dawnstefanowicz.org: «Il mio nome è Dawn Stefanowicz, sono cresciuta in una famiglia omosessuale a Toronto, esposta alla sottocultura GLBT (gay, lesbiche, bisessuali, transgender) e a pratiche sessuali esplicite. Ero ad alto rischio di esposizione a STD (malattie sessualmente trasmissibili) contagiose dovuti a molestie sessuali, all’alto tasso di rischio dei comportamenti sessuali di mio padre e dei suoi frequenti partner. Anche quando mio padre aveva ciò che sembrava una relazione monogama, continuava a cercare sesso anonimo».

Fin da bambina, continua Dawn che è stata anche testimone presso lo Standing Senate Commitee sugli Affari Legali e Costituzionali sulla legge C-250 (crimini riguardanti l’odio), «mio padre è stato sessualmente e fisicamente abusato da uomini. A causa di questo, ha vissuto con la depressione, problemi di controllo, sfoghi la rabbia, tendenze suicide, e compulsioni sessuali. Ha cercato di realizzare la sua legittima esigenza di affetto paterno attraverso rapporti omosessuali transitori e promiscui. Molti partner di mio padre si sono ammalati di AIDS e si sono suicidati. Purtroppo, anche mio padre è morto di AIDS nel 1991».

La donna parla della sua infanzia: «Mi sentivo spaventata perché non potevo parlare di mio padre, dei suoi compagni di stanza, dello stile di vita e degli incontri di quella sottocultura senza essere picchiata. Mentre vivevo a casa, ho dovuto vivere secondo le sue regole. Mi sentivo abbandonata e disprezzata perché mio padre mi lasciava diversi giorni a casa per partire con i suoi compagni. Ero indignata per la vita delle persone dello stesso sesso, i continui abusi domestici, le avances sessuali verso minori e la perdita di partner sessuali come se le persone fossero prodotti da utilizzare». Ma non solo: «Sono stata esposta a chat sessualmente esplicite, stili di vita edonistici, sottoculture GLBT e luoghi di vacanza gay. Sono stata esposta a manifestazioni della sessualità di tutti i tipi tra cui il sesso negli stabilimenti balneari, travestitismo, sodomia, pornografia, nudità gay, lesbismo, bisessualità, voyeurismo e sadomasochismo. Droga e alcol hanno spesso contribuito ad abbassare le inibizioni nelle relazioni di mio padre».

E ovviamente la Stefanowicz ha dovuto fare i conti anche con l’ideologia unisex: «A mio padre piaceva vestirmi unisex e lo scambio di vestiti, fin da quando avevo 8 anni. Non ho mai visto il valore delle differenze biologiche complementari tra uomini e donne, né mai ho pensato al matrimonio. Più di due decenni di esposizione diretta a queste esperienze stressanti mi hanno causato insicurezza, pressione, pensieri suicidi, paura, ansia, bassa autostima, insonnia e confusione sessuale, ed è tutto documentato dagli psicologi che mi hanno seguito. La mia coscienza e la mia innocenza sono state gravemente danneggiate».

A 20 anni ha però detto “basta”: «riuscite ad immaginare cosa significhi essere costretti ad accettare relazioni instabili e diverse pratiche sessuali in età precoce e in che modo questo possa aver influenzato il mio sviluppo? La mia identità di genere, il benessere psicologico, le relazioni tra pari sono state colpite. Purtroppo, finché mio padre, mia madre e i loro partner sessuali non sono morti, non sono riuscita a parlare pubblicamente delle mie esperienze. Alla fine, sono i bambini le vittime reali e perdenti del matrimonio omosessuale».

Oggi porta in giro la sua storia in tutto il mondo chiedendo di non legalizzare l’adozione omosessuale e facendosi portavoce di tanti figli di omosessuali: «Secondo un numero crescente di testimonianze personali, esperti, e organizzazioni, ci sono sempre più prove di comunanze forte alle mie esperienze personali. Non solo i bambini stanno meglio con una madre e un padre in un vincolo matrimoniale duraturo, ma i bambini hanno bisogno che i genitori non abbiano relazioni extraconiugali». In questa battaglia è spesso affiancata dall’associazione di omosessuali HOPE (Homosexuals Opposed to Pride Extremism), il cui direttore esecutivo, John McKellar, afferma: «E’ egoista e presuntuoso per la comunità gay premere perché venga legalizzato il matrimonio omosesuale e vengano ridefinite le tradizioni e convenzioni della società solo per la nostra auto-indulgenza…le leggi federali e provinciali vogliono essere cambiate ed i valori tradizionali compromessi solo per soddisfare una piccola combriccola»

La redazione

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In Olanda eutanasia anche a chi soffre di solitudine

Dopo la legalizzazione dell’eutanasia in Olanda il piano scivoloso si fa sempre più ripido. Come riportavamo in Ultimissima 21/3/11 il Rapporto Remmelink, primo rapporto ufficiale commissionato dal Governo sulla “dolce morte”, ha rivelato che almeno un terzo dei 5.000 pazienti ai quali è stata somministrata la “dolce morte”, non aveva dato alcun esplicito consenso. Nel St Pieters en Bloklands invece, un centro anziani di Amerfott, si è deliberatamente deciso di non rianimare i pazienti al di sopra di 70 anni e un movimento politico si batte per ottenere il “suicidio assistito” per quanti, superati i 70 anni, si sentissero “stanchi di vivere”.

Oggi la Royal Dutch Medical Association (KNMG) ha rilasciato nuove linee guida per l’interpretazione della legge sull’eutanasia del 2002 e ora si dovrebbe includere chi ha “disturbi mentali e psico-sociali” come “perdita di funzionalità, la solitudine e la perdita di autonomia “come criteri accettabili per l’eutanasia”. Chi soffre di solitudine dunque può chiedere l’eutanasia.

Le linee guida inoltre, si legge su Lifenewssite.com permettono ai medici di collegare anche la mancanza di “abilità sociali, risorse finanziarie e un social network” a “sofferenza insopportabili e durature”, aprendo così la porta della morte assistita sulla base di fattori “psicosociali” e non più soltanto alla malattia terminale.

Il documento conclude sostenendo che il “concetto di sofferenza” è “ampio” rispetto alla sua interpretazione ed esso dovrebbe includere anche “disturbi della vista, dell’udito e della mobilità, cadute, confinamento a letto, affaticamento, stanchezza e perdita di fitness”. Alex Schadenberg, direttore e presidente del Comitato Internazionale di Euthanasia Prevention Coalition ha dichiarato che quel che avviene in Olanda è ciò che accadrà ovunque se l’eutanasia e il suicidio assistito venissero legalizzati.

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Un approccio scientifico alla formazione dell’immagine della Sindone (II° parte)


 
 
di Paolo Di Lazzaro*
fisico e dirigente di ricerca presso l’ENEA di Frascati

 

RIASSUNTO DELLA PRIMA PARTE
Nella prima parte di questo contributo (20 Ottobre 2011) abbiamo discusso le caratteristiche dell’immagine corporea sulla Sindone di Torino. Queste caratteristiche sono talmente peculiari da rendere molto difficile la riproduzione di un’altra immagine avente le stesse proprietà. Di fatto, tutti i tentativi di replica dell’immagine sinora effettuati con le più moderne tecnologie sono falliti, e ad oggi la Scienza non è ancora in grado di spiegare come si sia formata l’immagine sulla Sindone. In particolare, i metodi chimici a contatto si sono rivelati inadatti a ottenere alcune delle più singolari caratteristiche dell’immagine sindonica, in particolare lo spessore di colorazione estremamente sottile, pari ad un quinto di millesimo di millimetro. Viceversa, in linea di principio un processo fotochimico generato da un impulso di luce con le opportune caratteristiche di spettro, durata e intensità potrebbe generare una colorazione molto simile a quella dell’immagine sindonica, incluso lo spessore di colorazione e l’immagine nelle zone del lino non a contatto con il corpo.

In questa seconda parte presentiamo i principali risultati sperimentali di irraggiamento di tessuti di lino tramite impulsi laser eccimero atti a verificare se e in che misura la radiazione nell’ultravioletto e nel lontano ultravioletto è adatta ad ottenere una colorazione simile a quella dell’immagine della Sindone di Torino.

 

RISULTATI SPERIMENTALI OTTENUTI IRRAGGIANDO TESSUTI DI LINO CON LUCE LASER UV e VUV
Tutti i sistemi laser sono costituiti da un mezzo attivo, una sorgente di pompaggio e una cavità ottica (http://it.wikipedia.org/wiki/Laser). Nel caso dei laser eccimero, il mezzo attivo è una miscela di gas, pompata da una potente scarica elettrica che genera la cosiddetta inversione di popolazione e quindi l’emissione di luce ultravioletta (UV) (http://it.wikipedia.org/wiki/Laser_a_eccimeri).

Nei nostri esperimenti, gli impulsi di luce emessi dal laser eccimero vengono focalizzati da una lente fino a colpire un tessuto di lino fissato sopra una cornice. L’intensità degli impulsi laser (cioè l’energia per unità di tempo e per unità di superficie, incidente sui tessuti) può essere variata cambiando la superficie del lino che riceve l’impulso laser, in pratica avvicinando o allontanando il tessuto dalla lente che concentra la luce laser [Baldacchini 2008]. Quando abbiamo irraggiato le stoffe di lino con una sequenza di impulsi laser eccimero XeCl (lunghezza d’onda λ = 0,308 μm, energia laser 5 Joule/impulso, durata temporale di ciascun impulso 120 miliardesimi di secondo), non siamo riusciti ad ottenere alcuna colorazione. Infatti, i tessuti irraggiati ad alta intensità risultavano carbonizzati, mentre a minore intensità non presentavano alcuna modifica apprezzabile. Questo “fallimento” o mancanza di colorazione era già stata riscontrata da precedenti tentativi di colorazione di lino tramite laser eccimero effettuati anni prima presso i laboratori di Los Alamos [Rogers 2002, Rogers 2004].

Non ci siamo arresi, e abbiamo irraggiato i lini con la radiazione emessa da un altro laser eccimero XeCl che emette impulsi 4 volte più brevi ed una energia per impulso 12 volte minore rispetto al precedente laser. In questa nuova configurazione siamo riusciti ad ottenere una colorazione permanente del lino. I risultati di questo esperimento sono dettagliati negli articoli [Baldacchini 2006, Baldacchini 2008]. In sintesi, abbiamo dimostrato che la durata temporale degli impulsi laser è un parametro critico: per ottenere la colorazione del lino gli impulsi devono avere una durata minore di 50 miliardesimi di secondo, e siamo riusciti a trovare la combinazione di parametri laser (intensità, numero di impulsi, frequenza di ripetizione) più adatta a colorare il lino. Tuttavia, la tonalità della colorazione (marrone scuro o chiaro, a seconda dell’intensità laser e del numero di colpi) risultava più scura del giallo-seppia della immagine sindonica, e la profondità della colorazione nei fili di lino era maggiore dei 0,2 μm delle fibrille di immagine della Sindone [Fanti 2010a].

Allo scopo di ottenere una colorazione più simile a quella sindonica, abbiamo usato un laser eccimero ArF che emette una lunghezza d’onda più corta (λ = 0,193 μm) nello spettro dell’ultravioletto da vuoto (VUV). Gli effetti della radiazione laser ArF sul lino sono proporzionali all’intensità totale IT data dal prodotto “numero impulsi per intensità laser” e non sono correlati alla intensità di ciascun impulso. Una colorazione gialla come quella mostrata nella figura 1 è ottenuta quando la combinazione di intensità di singoli impulsi e di numero di impulsi è tale da generare un’intensità totale IT ≈ (2000 – 4000) MW/cm2. Ricordiamo che 1 MW = un milione di watt. Quando IT > 4500 MW/cm2 il lino è ablato (cioè, una parte del tessuto è vaporizzata e rimossa), e quando IT > 6000 MW/cm2 il lino è sublimato (il tessuto è completamente vaporizzato e forato in corrispondenza dell’area irraggiata dalla radiazione laser).

Figura 1. Microfotografia di un filo di ordito del tessuto di lino irraggiato con laser ArF (λ = 0,193 μm) e una intensità laser totale IT = 2200 MW/cm2. Il filo è stato schiacciato con una pinza per separare le fibrille e mettere in evidenza la colorazione gialla di alcune di esse. Al centro del filo si nota una zona non colorata a causa della copertura di un filo della trama che ha fatto ombra alla radiazione laser incidente. Foto tratta dall’articolo [Di Lazzaro 2010a].

La tonalità della colorazione del lino irraggiato con luce VUV varia continuamente dal giallo-chiaro al giallo-seppia all’aumentare di IT. In altre parole, è possibile aggiustare il valore di RGB (vedi http://it.wikipedia.org/wiki/RGB) semplicemente variando la intensità laser totale, ad esempio tramite il numero degli impulsi laser. Per quanto riguarda lo spessore della colorazione, le microfotografie (un esempio è mostrato nella figura 2a) mostrano spessori colorati compresi tra 7 μm e 26 μm nei fili irraggiati con differenti intensità totali IT [Di Lazzaro 2010b]. Si tratta di un intervallo di profondità di colorazione da 11 a 3 volte più sottile della profondità raggiunta dagli impulsi a λ = 0,308 μm [Baldacchini 2008] vedi figura 2b.

Figura 2. Microfotografie di sezioni di fili di lino rispettivamente colorati da irraggiamento laser VUV (a) e UV (b) con gli impulsi laser incidenti “dall’alto” rispetto alle foto. La differente profondità di colorazione nei due casi è evidente: mentre nella foto a) gli impulsi laser VUV colorano una piccola parte superficiale del filo, corrispondente ad alcune fibrille in alto, nella foto b) gli impulsi laser UV colorano quasi tutta la sezione del filo. Entrambi i fili hanno un diametro medio di 0,3 mm. Foto tratta dall’articolo [Di Lazzaro 2010b].

Questa evidenza sperimentale conferma che una minore lunghezza d’onda della radiazione laser produce una colorazione più superficiale. Poiché i fili del nostro tessuto di lino hanno un diametro medio di 0,3 mm, deduciamo che la luce laser a λ = 0,193 μm penetra dal 2% al 9% del diametro del filo di lino a seconda delle specifiche condizioni di irraggiamento. Abbiamo analizzato al microscopio un migliaio di fibrille su un totale di circa mezzo milione di fibrille irraggiate. Tra queste, ne abbiamo trovata una che mostra la parte interna (medulla) incolore (vedi foto negli articoli Di Lazzaro 2010a, Di Lazzaro 2010b), e in questo caso la colorazione interessa solo la pellicola più esterna della stessa fibrilla, la parete primaria cellulare, che ha uno spessore di circa 0,2 μm. Questo risultato si avvicina alla profondità di colorazione della immagine sindonica misurata nell’articolo [Fanti 2010a].

 

COLORAZIONE LATENTE
Il processo di invecchiamento (e conseguente disidratazione) può provocare una colorazione dei fili nella sola area irraggiata dalla luce laser anche quando non appare nessuna colorazione subito dopo l’irraggiamento. In altre parole, è possibile ottenere una colorazione latente, che si manifesta uno o più anni dopo l’irraggiamento. Abbiamo tagliato a metà una porzione di lino già irraggiata con IT = 1400 MW/cm2, cioè sotto la soglia di colorazione, (il lino irraggiato non appare colorato). Abbiamo quindi scaldato una delle due parti con un ferro da stiro alla temperatura di 190 °C per 10 secondi, e una colorazione appare subito dopo il riscaldamento nella sola area irraggiata dal laser. La figura 3 mostra che il processo di riscaldamento (che simula invecchiamento) colora solamente l’area irraggiata sotto soglia e non colora le zone non irraggiate.

Figura 3. Tessuto di lino dopo irraggiamento laser ad di sotto della soglia di colorazione. Il taglio divide a metà la zona irraggiata. 1) Area irraggiata e sottoposta a riscaldamento. 2) Area irraggiata non sottoposta a riscaldamento. 3) Area non irraggiata. Foto tratta dall’articolo [Di Lazzaro 2010b].

Abbiamo ottenuto risultati analoghi a quello della figura 3 anche utilizzando luce UV, verificando che la colorazione latente appare dopo un invecchiamento naturale di oltre un anno, mantenendo il lino irraggiato sotto soglia (non colorato) in un cassetto al buio [Baldacchini 2008]. L’importanza di questi risultati di colorazione latente è duplice. Da una parte c’è l’interesse scientifico di un doppio meccanismo sinergico di colorazione (la luce UV e VUV che spezza alcuni legami chimici favorendo l’effetto ossidante e disidratante del calore). D’altra parte c’è l’interesse degli storici, attratti dalla possibilità che l’immagine sulla Sindone possa essersi manifestata e resa visibile a distanza di tempo (anni) dal momento in cui si è formata la stessa immagine.

 

FLUORESCENZA ULTRAVIOLETTA
I tessuti di lino, come tutti i materiali organici, emettono luce visibile di fluorescenza quando sono illuminati da luce UV. Tuttavia, le fibrille di immagine della Sindone non emettono luce fluorescente [Gilbert, Pellicori, Jumper]. Si tratta di una delle peculiari caratteristiche dell’immagine sindonica. Abbiamo illuminato il tessuto di lino irraggiato dal laser eccimero con la luce UV di una lampada. Tutto il tessuto di lino fluoresce, ad eccezione della zona irraggiata e colorata dal laser [Di Lazzaro 2010a, Di Lazzaro 2010b] in modo analogo a quanto avviene per le fibrille colorate della Sindone. Questo risultato suggerisce che la radiazione laser VUV ha modificato la struttura delle fibrille di lino irraggiate in modo da inibire le transizioni elettroniche che determinano la fluorescenza del tessuto. Analogamente a quanto osservato nel processo di colorazione, la mancanza di fluorescenza delle fibrille irraggiate avviene solamente in un ristretto intervallo dei parametri di irraggiamento. Ad esempio, un irraggiamento laser troppo intenso inibisce la fluorescenza solamente in un anello, laddove l’intensità degli impulsi laser, che hanno un profilo spaziale a forma di campana, avevano il giusto valore di IT. All’interno di questa zona anulare la intensità laser è troppo forte, mentre al suo esterno è troppo debole per inibire la fluorescenza [Di Lazzaro 2010a].

 

ULTERIORI ESPERIMENTI
A valle dei risultati ottenuti, ci siamo posti alcune domande, alle quali abbiamo dato risposta con ulteriori esperimenti come descritto nel seguito.

Il nostro lino è diverso dal lino della Sindone?
In un esperimento di colorazione simil-sindonica è logico domandarsi: quanto è diverso il tessuto di lino che si utilizza rispetto al lino della Sindone, a parte ovviamente l’età?
I nostri esperimenti sono essenzialmente di tipo ottico, quindi abbiamo effettuato misure atte a fornire le principali caratteristiche ottiche del nostro lino per confrontarle con quelle del lino della Sindone. A tale scopo, abbiamo misurato la riflettanza spettrale assoluta del nostro lino tramite uno strumento di elevata tecnologia, uno spettrofotometro Perkin-Elmer Lambda 950TM.
I risultati della misura della riflettanza assoluta in funzione della lunghezza d’onda (cioè la percentuale di luce riflessa dal nostro lino rispetto a quella incidente) hanno dato dei risultati in perfetto accordo con quelli delle analoghe misure effettuate sul lino della Sindone [Gilbert]. Quindi, dal punto di vista ottico, il nostro lino si comporta esattamente come il lino della Sindone [Di Lazzaro 2010a, Di Lazzaro 2010b].
Ma c’è una conseguenza forse ancora più importante. Questa inattesa identità tra i risultati della misura di riflettanza del lino effettuata dagli scienziati STURP e quelli ottenuti oggi con uno spettrofotometro molto più preciso ed avanzato di quello disponibile nel 1978 la dice lunga sul valore assoluto degli scienziati STURP e sulla estrema cura con la quale furono effettuate le misure in situ sulla Sindone.

La luce laser invecchia il lino?
Il processo di ossidazione e disidratazione che produce l’immagine sindonica può essere considerato una sorta di invecchiamento accelerato del lino [Heller]. Per verificare se l’irraggiamento laser comporta un analogo invecchiamento abbiamo osservato alcune fibrille di lino poste tra due polarizzatori incrociati in un microscopio petrografico (http://it.wikipedia.org/wiki/Microscopio_polarizzatore). Quando le fibrille sono allineate all’asse di polarizzazione dell’analizzatore, appare un’area scura: infatti, in questo caso le fibrille sono poste “ad estinzione”, e la birifrangenza non è visibile. Se una parte della fibrilla allineata ad estinzione viene danneggiata, questa diviene birifrangente e appare luminosa.
La figura 4 dimostra che nel nostro esperimento solo nella parte della fibrilla irraggiata ci sono diverse zone luminose, sintomo di fragilità e difetti indotti dalla radiazione laser, in analogia a quanto osservato sulle fibrille di lino molto antiche, in particolare sulle fibrille della Sindone [Schwalbe, Rogers 2005].

Figura 4. Osservazioni al microscopio petrografico di una fibrilla di lino. Al centro c’è una fibrilla parzialmente colorata, osservata tra due polarizzatori incrociati. La parte sinistra della fibrilla è la zona non irraggiata, ingrandita nell’inserto basso della figura. La parte destra della fibrilla è la zona irraggiata con laser XeCl, ingrandita nell’inserto in alto della figura. Foto tratta dall’articolo [Baldacchini 2008].

La colorazione tramite luce laser eccimero è un effetto termico o fotochimico?
Allo scopo di verificare se la luce UV e VUV interagisce in modo fotochimico con il lino, senza indurre un significativo riscaldamento del tessuto irraggiato, abbiamo utilizzato una fotocamera sensibile all’infrarosso, fornita dal Prof. G. Fanti, che permette di misurare la temperatura di un oggetto con un errore ± 0,2 °C. La fotocamera è stata posta di fronte al tessuto durante gli irraggiamenti laser, monitorando in tempo reale la temperatura di tutto il tessuto di lino, sia nella zona irraggiata dagli impulsi laser che in quella non irraggiata. Durante queste misure la temperatura ambiente era tra 20 e 21 °C. I risultati mostrano che la zona irraggiata con impulsi laser UV si scalda fino a 33 °C, mentre quella irraggiata con impulsi laser VUV si scalda appena a 25 °C. Possiamo quindi concludere che l’effetto di colorazione in entrambi i casi è dovuto ad un processo fotochimico che non coinvolge effetti termici significativi [Di Lazzaro 2011].

 

ANALISI DEI RISULTATI
Ricapitolando, siamo riusciti ad ottenere una colorazione del lino avente sia la tonalità di colore sia uno spessore di colorazione che si avvicinano a quelle della immagine impressa sulla Sindone di Torino (figure 1 e 2). Inoltre abbiamo dimostrato che la radiazione laser UV e VUV produce una fragilità e uno stress alle fibrille di lino equivalenti ad un invecchiamento accelerato del tessuto (figura 4). Abbiamo anche ottenuto una colorazione latente (figura 3), cioè che appare a distanza di tempo dall’irraggiamento laser grazie ad un doppio meccanismo sinergico di colorazione (la luce UV e VUV che spezza alcuni legami chimici favorendo l’effetto ossidante e disidratante del calore). Infine, abbiamo dimostrato che la colorazione non è dovuta ad un effetto termico, in analogia con le caratteristiche dell’immagine sindonica [Schwalbe, Jumper, Fanti 2010b, Rogers 2002].
Ovviamente, nessuno può ipotizzare che l’immagine corporea della Sindone sia stata prodotta da una serie di lampi di luce nel VUV emessi da un laser. Piuttosto, i nostri risultati mostrano come il laser eccimero è un potente strumento di indagine per simulare i processi chimici e fisici che potrebbero aver causato la peculiare colorazione dell’immagine sindonica. Allo scopo di comprendere meglio questi processi, è necessario ora entrare nel dettaglio dell’interazione della luce UV e VUV con il lino.

Processi chimici.
Un filo di lino è formato da circa 200 fibre elementari aventi una struttura cilindrica con lunghezza media di 30 millimetri e diametro medio di 20 micrometri, chiamate fibrille. Le fibrille sono costituite da una parte interna (medulla) di pura cellulosa, e da una sottile (0,2 μm) pellicola esterna composta da emicellulosa, cellulosa e altri componenti minori, chiamata “parete primaria cellulare” [Perez]. Ricordiamo che l’emicellulosa è un polisaccaride simile alla cellulosa, ma consiste di catene più corte (da 500 a 3000 unità di glucosio) in confronto alle 7.000 – 15.000 molecole di glucosio per polimero osservate nella cellulosa.
Le differenti profondità di colorazione ottenute con luce UV e VUV (vedi figura 2) possono essere dovute alla differente lunghezza d’onda λ. Tuttavia, nell’articolo [Di Lazzaro 2010b] abbiamo mostrato sperimentalmente che c’è solo una differenza dell’11% nell’assorbimento del lino tra λ = 0,193 μm e λ = 0,308 μm. Allora è necessario individuare un meccanismo addizionale per spiegare i differenti spessori di penetrazione e colorazione, cioè giallo o giallo-seppia dopo irraggiamento VUV a 0,193 μm e marronechiaro dopo irraggiamento UV a 0,308 μm.
Questo meccanismo addizionale potrebbe essere causato dal picco di assorbimento spettrale al di sotto di 0,26 μm dei gruppi carbonili chetonici (−C=O) che promuovono l’ingiallimento della emicellulosa nella parete primaria cellulare [Bos, Perez]. In altre parole, la luce a λ = 0,193 μm è assorbita dai carbonili chetonici e conduce alla degradazione fotolitica dell’emicellulosa, causando la dissociazione dei legami molecolari che promuove le reazioni chimiche necessarie alla formazione del cromoforo. A livello macroscopico, tali reazioni producono la colorazione gialla simil-sindonica (figura 1).
Si noti che la radiazione a 0,308 μm non rientra nella banda di assorbimento dei carbonili chetonici, mentre può essere assorbita dai gruppi aldeidi (−CHO) [Bos]. Quindi, la radiazione a 0,308 μm non è in grado di iniziare il processo a molti passi sopra descritto che conduce all’ingiallimento della cellulosa ed emicellulosa. Infatti, sperimentalmente la radiazione UV produce una colorazione marroncina del lino e una maggiore fragilità evidenziata dalla birifrangenza (figura 4).
In questo contesto, la formazione delle immagini latenti può essere spiegata dalla ossidazione della cellulosa (causata del calore) che produce strutture coniugate insature che vanno a rinforzare l’effetto disidratante della radiazione UV e VUV. Infatti il processo di colorazione iniziato dalla esposizione alla radiazione UV e VUV è accelerato e rinforzato dal calore, come descritto nell’articolo [Yatagai].

Processi fisici.
Cerchiamo ora di comprendere perché è difficile ottenere la colorazione della sola parete primaria cellulare della fibrilla di lino. Il profilo di intensità del fascio del laser eccimero non è uniforme, e mostra fluttuazioni spaziali di frequenza elevata, che possono essere misurate da una camera CCD ad alta risoluzione spaziale, come illustrato nella figura 5.

Figura 5. Profilo unidimensionale dell’intensità di un fascio laser misurata da una camera CCD, con una risoluzione di singolo pixel pari a 22 μm = 0.022 mm. L’inserto mostra un ingrandimento delle fluttuazioni spaziali di alta frequenza. Figura tratta dall’articolo [Di Lazzaro 2010a].

Le fluttuazioni di intensità in figura 5 hanno un periodo irregolare, con gradienti di intensità (derivata spaziale dell’intensità) fino a 350 MW/cm2 per centimetro. In altre parole, il valore di intensità laser incidente su due punti del lino distanti un solo millimetro può variare fino a 35 MW/cm2. Questo enorme valore del gradiente di intensità può spiegare il motivo per cui sia possibile ottenere il “giusto” valore di intensità per una colorazione sub-micrometrica solamente in una zona limitata, difficile da individuare tramite microfotografie.
Passiamo ora a discutere le principali differenze tra la nostra colorazione del lino tramite luce laser e l’immagine sindonica Le microfotografie della Sindone mostrano che il passaggio da zone più colorate a zone meno colorate (la sfumatura dell’immagine) è il risultato della diversa concentrazione di fibrille colorate gialle alternate a fibrille non colorate [Pellicori, Rogers 2002, Fanti 2010a, Fanti 2010b] e NON da fibrille colorate in modo diverso. Inoltre la colorazione dell’area di immagine possiede una distribuzione discontinua lungo i fili intrecciati della Sindone, e sono presenti striature [Pellicori]. Queste caratteristiche non si riscontrano nei tessuti irraggiati con laser, che presentano fluttuazioni di colorazione su distanze più ampie delle singole fibrille.
Tuttavia, sarebbe possibile ottenere queste caratteristiche tramite impulsi laser aventi una peculiare forma spaziale di intensità, simile al profilo a “dente di sega” con periodo variabile. Grazie all’attuale stato dell’arte dell’ottica diffrattiva, è possibile oggi modulare la distribuzione spaziale dei fasci laser in modo da creare un profilo di intensità in grado di riprodurre striature e una distribuzione discontinua di fibrille colorate lungo la trama dei lini. In linea di principio, dunque, un esperimento condotto con luce laser VUV associata a opportune ottiche diffrattive collegate ad un computer e a un sistema di movimentazione micrometrica consentirebbe di replicare con grande precisione le caratteristiche dell’immagine della Sindone. Uno sforzo in tal senso, però, andrebbe ben oltre lo scopo delle nostre ricerche. Infatti il nostro obiettivo non è la perfetta riproduzione della intera immagine sindonica con un laser, ma vuole piuttosto essere un contributo alla migliore comprensione dei processi fisici e chimici che hanno portato all’immagine impressa sulla Sindone.

 

RIASSUNTO E CONCLUSIONI
Nella prima parte di questo contributo abbiamo riassunto lo stato dell’arte delle conoscenze sulla immagine sindonica, e spiegato i motivi dell’estrema difficoltà nel riprodurre una immagine avente le stesse caratteristiche fisiche e chimiche, con la conseguenza che, ad oggi, la Scienza non è in grado di spiegare come si sia formata l’immagine corporea sulla Sindone. Alla luce di queste difficoltà tecnologiche, l’ipotesi di un falsario medioevale non sembra ragionevole.

Nella seconda parte abbiamo riepilogato gli esperimenti svolti presso i laboratori del Centro Ricerche ENEA di Frascati che hanno dimostrato la possibilità di colorare tessuti di lino in modo similsindonico tramite la luce UV e VUV di un laser eccimero impulsato della durata di alcuni miliardesimi di secondo. Questa capacità della luce UV e VUV di colorare il lino in modo similsindonico è un risultato assai importante, perché permette di chiarire in modo definitivo i termini di una polemica a distanza tra due dei maggiori scienziati STURP: da una parte Jackson che nel 1990 già prevedeva la possibilità di colorare il lino tramite radiazione VUV [Jackson 1990], dall’altra Rogers convinto che un irraggiamento laser avrebbe scaldato e vaporizzato il lino, senza colorarlo [Rogers 2002, Rogers 2004]. L’opinione di Rogers era basata sul fallimento dei tentativi di colorazione di tessuti di lino tramite laser eccimeri negli esperimenti effettuati dai suoi collaboratori a Los Alamos, ma i nostri risultati dimostrano che la mancata colorazione era dovuta ad una durata dell’impulso laser (50 miliardesimi di secondo) troppo lunga e ad una intensità fuori il giusto intervallo di valori.

Per comodità, proviamo a suddividere le conseguenze dei nostri risultati in “dirette” e “indirette”.

Conseguenze dirette:
1. Il processo di colorazione ottenuto è di tipo fotochimico, in quanto il riscaldamento associato all’irraggiamento laser sia UV sia VUV è di pochi gradi centigradi e quindi irrilevante ai fini della colorazione. Questo risultato ben si accorda con le risultanze degli studi STURP che avevano escluso un processo di colorazione a temperature elevate, superiori ai 200 °C [Schwalbe, Jumper].
2. La colorazione del lino si può ottenere solo in un ristretto intervallo di parametri laser: in particolare, la
durata temporale del singolo impulso laser deve essere più breve di 50 miliardesimi di secondo [Baldacchini 2006, Baldacchini 2008].
3. I risultati più interessanti sono stati ottenuti con luce VUV. La colorazione permanente risulta essere un effetto a soglia, cioè la colorazione si ottiene solo se l’intensità totale laser supera un certo valore (stiamo parlando di alcune migliaia di megawatt per centimetro quadro). Per intensità superiori al “giusto” intervallo di valori il lino viene vaporizzato, per intensità inferiori a 1100 MW/cm2 il lino non si colora affatto. Anche quando l’intensità totale è sopra la soglia, non tutte le fibrille irradiate sono colorate, a causa delle fluttuazioni spaziali di intensità degli impulsi laser mostrate nella figura 5.
4. Abbiamo osservato una fibrilla colorata nella sola parete primaria cellulare [Di Lazzaro 2010a, Di Lazzaro 2010b] paragonabile con la sottile penetrazione del colore osservata nelle fibrille di immagine della Sindone di Torino [Heller, Rogers 2002, Fanti 2010a].
5. La tonalità del colore dipende da due parametri: la lunghezza d’onda λ della radiazione e il numero degli impulsi incidenti sul lino (proporzionali all’intensità totale). Irraggiamenti a λ = 0,308 μm generano una colorazione marroncina, mentre a λ = 0,193 μm i fotoni inducono una colorazione gialla, vedi figura 1, simile al colore della immagine sindonica. In entrambi i casi il contrasto della colorazione aumenta con il numero degli impulsi laser, permettendo un accurato controllo del valore RGB variando l’intensità totale.
6. La diversa colorazione del lino ottenuta dai laser UV e VUV è dovuta a differenti catene di reazioni fotochimiche. La radiazione VUV a λ = 0,193 μm, grazie al picco di assorbimento dei carbonili chetonici, induce una degradazione fotolitica della cellulosa del lino che promuove la formazione di cromofore aventi un doppio legame C=C che determina la colorazione gialla delle fibrille [Heller, Jumper, Bos].

Conseguenze indirette:
I. Dopo irraggiamenti laser che non producono una colorazione visibile, appare una colorazione latente per invecchiamento artificiale del lino (figura 3), oppure un anno più tardi per invecchiamento naturale [Baldacchini 2008, Di Lazzaro 2010a, Di Lazzaro 2010b, Yatagai]. La colorazione latente è importante sia per il doppio meccanismo sinergico di colorazione, sia per gli storici, attratti dalla possibilità che l’immagine sulla Sindone possa essersi resa visibile a distanza di tempo (anni) dal momento in cui si è formata.
II. La mancanza di fluorescenza indotta da luce UV osservata nelle zone irraggiate dal laser eccimero è un’ulteriore caratteristica della nostra colorazione analoga all’immagine sindonica. La fluorescenza indotta è anche in grado di riconoscere selettivamente l’uniformità della colorazione.
III. La luce UV e VUV che colora il lino è compatibile con l’assenza di colorazione sotto le macchie di sangue della Sindone (l’emoglobina anche in spessori sottili di sangue assorbe completamente la luce UV e VUV) e secondo alcuni studiosi (vedi ad esempio [Goldoni]) la luce UV potrebbe essere responsabile di un’altra caratteristica molto particolare della Sindone, il colore rosso delle macchie di sangue a distanza di così tanto tempo dalla loro deposizione.
IV. Usando un microscopio petrografico, abbiamo osservato alcuni difetti indotti dalla radiazione UV nella struttura cristallina delle fibrille di lino irraggiate con laser, vedi figura 4, analogamente a quanto osservato in tessuti molto antichi, incluse le fibrille di immagine della Sindone [Schwalbe, Rogers 2005].

Ut breviter dicam, i nostri risultati dimostrano che un brevissimo e intenso lampo di radiazione VUV direzionale può colorare un tessuto di lino in modo da riprodurre molte delle peculiari caratteristiche della immagine corporea della Sindone di Torino, incluse la tonalità del colore, la colorazione superficiale delle fibrille più esterne della trama del lino, e l’assenza di fluorescenza.
L’immagine sindonica: presenta alcune caratteristiche che non siamo riusciti a riprodurre, per esempio le striature e la sfumatura dell’immagine dovuta ad una diversa concentrazione di fibrille colorate gialle alternate a fibrille non colorate. Esistono sofisticate ottiche diffrattive che permetterebbero di replicare anche queste caratteristiche, ma questo va ben oltre le nostre intenzioni: il nostro scopo infatti non è dimostrare che una batteria di diecimila laser eccimeri possono riprodurre esattamente l’immagine corporea della Sindone. Il nostro scopo principale è effettuare esperimenti accurati, controllati e riproducibili, adatti a comprendere il dettaglio dei meccanismi fisici e chimici che hanno prodotto l’immagine sindonica, grazie ad un potente e versatile strumento quale il laser eccimero. In questo senso, i nostri dati sperimentali possono essere di aiuto agli studiosi che cercano di colorare il lino con esperimenti che coinvolgono la luce VUV ma che sono difficili da controllare, riprodurre e caratterizzare, quali le scariche corona [Fanti 2010b] o scariche elettrostatiche e radon emesso durante eventi sismici [de Liso].
Non siamo alla conclusione, stiamo componendo i tasselli di un puzzle scientifico affascinante e complesso. L’enigma dell’origine dell’immagine della Sindone di Torino rimane ancora “una provocazione all’intelligenza” [Giovanni Paolo II].

 
RINGRAZIAMENTI
Doverosi e sentiti ringraziamenti vanno ai Colleghi che hanno collaborato al lavoro di ricerca riassunto in questo contributo: in ordine alfabetico, Baldacchini Giuseppe, Fanti Giulio, Murra Daniele, Nichelatti Enrico, Santoni Antonino. Senza il loro prezioso contributo professionale e la loro disponibilità a lavorare come team i risultati descritti non sarebbero stati ottenuti.

 

Clicca qui per leggere la prima parte.

 
BIBLIOGRAFIA

Baldacchini G., P. Di Lazzaro, D. Murra, G. Fanti: “Colorazione di tessuti di lino con laser ad eccimeri e confronto con l’immagine sindonica” Rapporto Tecnico ENEA RT/2006/70/FIM (2006).

Baldacchini G., P. Di Lazzaro, D. Murra, G. Fanti: “Coloring linens with excimer lasers to simulate the body image of the Turin Shroud” Applied Optics 47, 1278-1285 (2008).

Bos A.: “The UV spectra of cellulose and some model compounds” J. Applied Polymer Science 16, 2567-2576 (1972).

De Liso G.: “Shroud-like experimental image formation during seismic activity”, Atti dell’International Workshop on the Scientific approach to the Acheiropoietos Images, IWSAI 2010, edito da P. Di Lazzaro, (ENEA 2010) pp. 11-18. ISBN 978-88-8286-232-9 Disponibile in rete su www.acheiropoietos.info/proceedings/proceedings.php

Di Lazzaro P., D. Murra, A. Santoni, G. Baldacchini: “Sub-micrometer coloration depth of linens by vacuum ultraviolet radiation”, Atti dell’International Workshop on the Scientific approach to the Acheiropoietos Images, IWSAI 2010, edito da P. Di Lazzaro, (ENEA 2010 a) pp. 3-10. ISBN 978-88-8286-232-9 Disponibile in rete su www.acheiropoietos.info/proceedings/proceedings.php

Di Lazzaro P., D. Murra, A. Santoni, G. Fanti, E. Nichelatti, G. Baldacchini: “Deep Ultraviolet radiation simulates the Turin Shroud image” Journal of Imaging Science and Technology 54, 040302-(6) (2010 b).

Di Lazzaro P., D. Murra, E. Nichelatti, A. Santoni, G. Baldacchini: “Colorazione similsindonica di tessuti di lino tramite radiazione nel lontano ultravioletto: riassunto dei risultati ottenuti presso il Centro ENEA di Frascati negli anni 2005-2010” Rapporto Tecnico ENEA (2011). In stampa.

Fanti G., J. Botella, P. Di Lazzaro, R. Schneider, N. Svensson: “Microscopic and macroscopic characteristics of the Shroud of Turin image superficiality” Journal of Imaging Science and Technology 54, 040201-(8) (2010 a)

Fanti G., J. Botella, F. Crosilla, F. Lattarulo, N. Svensson, R. Schneider, A. Wanger: “List of evidences of the Turin Shroud” Atti dell’International Workshop on the Scientific approach to the Acheiropoietos Images, IWSAI 2010, edito da P. Di Lazzaro, (ENEA 2010 b) pp. 67-75. ISBN 978-88-8286-232-9 Disponibile in rete su www.acheiropoietos.info/proceedings/proceedings.php

Fanti G., “Can corona discharge explain the body image of the Turin Shroud?” J. Imaging Science Technology 54 020508–020508-11 (2010b).

Gilbert R., M. Gilbert: “Ultraviolet visible reflectance and fluorescence spectra of the Shroud of Turin” Applied Optics 19, 1930-1936 (1980).

Giovanni Paolo II, omelia a Torino il 24 Maggio 1998: “La Sindone è provocazione all’intelligenza. Essa richiede innanzitutto l’impegno di ogni uomo, in particolare del ricercatore, per cogliere con umiltà il messaggio profondo inviato alla sua ragione ed alla sua vita. Il fascino misterioso esercitato dalla Sindone spinge a formulare domande sul rapporto tra il sacro lino e la vicenda storica di Gesù. Non trattandosi di una materia di fede, la Chiesa non ha competenza specifica per pronunciarsi su tali questioni. Essa affida agli scienziati il compito di continuare ad indagare per giungere a trovare risposte adeguate agli interrogativi connessi con questo lenzuolo che, secondo la tradizione, avrebbe avvolto il corpo del nostro Redentore quando fu deposto dalla croce. La Chiesa esorta ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite, che diano per scontati risultati che tali non sono; li invita ad agire con libertà interiore e premuroso rispetto sia della metodologia scientifica sia della sensibilità dei credenti”.

Goldoni C.: “The Shroud of Turin and the bilirubin blood stains” Atti dell’International Conference on The Shroud of Turin: Perspectives on a Multifaceted Enigma, edito da G. Fanti (Edizioni Libreria Progetto Padova 2009b) pp. 442-445. http://www.ohioshroudconference.com/papers/p04.pdf

Heller J., A. Adler: “A chemical investigation of the Shroud of Turin” Canadian. Society Forensic Science J. 14, 81-103 (1981).

Jackson J.P.: “Is the image on the Shroud due to a process heretofore unknown to modern science?” Shroud Spectrum International 34, 3-29 (1990).

Jumper E., A. Adler, J. Jackson, S. Pellicori, J. Heller, and J. Druzik, “A comprehensive examination of the various stains and images on the Shroud of Turin”, Archaeological Chemistry III: ACS Advances in Chemistry 205, edito da J. Lambert (American Chemical Society, Washington, 1984), pp. 447-476.

Pellicori S., M. Evans: “The Shroud of Turin through the microscope” Archaeology January-February issue 35-43 (1981).

Perez S., K. Mazeau: “Conformation, structure and morphologies of cellulose” Capitolo 2 di Polysaccharides: structural diversity and functional versatility (M. Dekker Inc. 2004).

Rogers R., Arnoldi A. “Scientific method applied to the Shroud of Turin, a review” http://www.shroud.com/pdfs/rogers2.pdf (2002)

Rogers R. “Testing the Jackson “theory” of image formation” http://www.shroud.com/pdfs/rogers6.pdf (2004).

Rogers R.: “The Shroud of Turin: radiation effects, aging and image formation” http://www.shroud.com/pdfs/rogers8.pdf (2005).

Schwalbe L., R. Rogers: “Physics and chemistry of the Shroud of Turin, a summary of the 1978 investigation” Analytica Chimica Acta 135, 3-9 (1982).

Yatagai M., S. Zeronian: “Effect of ultraviolet light and heat on the properties of cotton cellulose” Cellulose 1, 205-214 (1994).

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Esercito di obiettori tra i medici, ma la 194 non è in pericolo

http://images.vanityfair.it/Storage/Assets/Crops/224209/9/89124/infermiere-ospedale_225x150.jpg«Ha fatto dimezzare gli aborti e reso le coppie più consapevoli verso la maternità». Esordisce così, Maria De Luca in un articolo pubblicato su “Repubblica” qualche giorno fa. Se di primo acchito, si potrebbe addirittura pensare che la giornalista si riferisca al Magistero della Chiesa Cattolica o alle campagne pro-life, ogni dubbio viene presto a cadere. Ebbene sì, –perlomeno secondo la De Luca- invero il responsabile di tutto ciò è nientepopodimeno che la legge 194. La quale sarebbe seriamente minacciata, “travolta da un esercito di obiettori”.

Il presunto allarme è stato lanciato dalla «Laiga», (Libera associazione Italiana ginecologi per l´applicazione della 194), secondo le previsioni della quale la 194 rischia di sparire “nell´arco di cinque anni o poco di più”. Aldilà delle provocazioni e della retorica abortista, la situazione degli obiettori in Italia è cosa nota e già trattata (cfr. Ultimissima 10/8/11), come anche sono tristemente noti gli attacchi alla libertà di coscienza del personale medico, proprio da chi invita quotidianamente all’autodeterminazione radicale della persona. La Laiga inoltre, vede nell’adesione in massa all’obiezione fra le file dei medici motivazioni più legate alla carriera che all’etica, che porterebbero alla lunga a una inapplicabilità sostanziale della norma.

Mentre Giuseppe Noia, presidente dell’Associazione ginecologi Cattolici risponde dicendo: «la libertà di coscienza attiene alla libertà dell’uomo e deve essere tutelata», l’on. Eugenia Rocella, sottosegretario al Ministero della Salute,interrogata su ilsussidiario.net replica: «Un problema che, in realtà, non esiste, dal momento che la 194 prevede, oltre all’obiezione, dei meccanismi che consentono di ovviare quando il fenomeno è diventato di tale portata da impedire l’accesso alla pratica abortistica – e continua- […] il trend non è solamente italiano. Anche in Francia, ad esempio, c’è una forte percentuale, ed è crescente, di obiettori. Evidentemente è necessario chiedersi il perché». Proprio questo è il punto: perché l’80% dei medici (70% di ginecologi) vede nell’embrione un essere umano non sacrificabile? Perché la scienza in questo caso viene messa da parte? Ricordiamo anche il giudizio del Consiglio d’Europa di un anno fa. Sulla questione costituzionale sollevata dalla D’Amico inoltre, l’onorevole risponde recisamente: «Il diritto all’obiezione, è costituzionalmente garantito. Sarebbe, inoltre, necessario dimostrare che la legge 194 è inapplicata». . Il che –checché se ne dica- non corrisponde alla realtà, anzi, «tanto è vero –spiega il sottosegretario- che il tempo di attesa per l’intervento abortivo è, nel 70% dei casi di una settimana». Pare quindi, che la Laiga –purtroppo- si sbagli nelle sue previsioni.

Nicola Z.

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Il biologo Colin Tudge critica e smonta l’ultimo libro di Richard Dawkins

Per la sua opera di proselitismo ateo Richard Dawkins punta direttamente ai bambini dedicando loro un libro. Uscito a settembre, “The Magic of Reality” si propone come strumento indispensabile per quei genitori che vogliono educare i loro figli all’ateismo, mitigando, con parole dolci, il peso di una frustrante verità. Sui siti inglesi si rincorrono le recensioni e, ovviamente, non manca chi replica. E’ il caso di Colin Tudge, biologo di Oxford, noto per la sua attività divulgativa presso le più importanti riviste e testate giornalistiche, “The Times”, “The New Scientist”, “Nature”, per citarne alcune. In un suo recente articolo per “The Independet”, Tudge commenta l’ultima fatica di Dawkins smontandone abilmente i contenuti.

Scrive il biologo: «Dawkins accusa i cattolici di educare i bambini ad una particolare visione della vita prima che loro abbiano modo di pensare con la propria testa. Ora, in “The Magic of Reality”, rivolto ai lettori di nove anni, Dawkins fa esattamente la stessa cosa. Afferma che “la realtà è tutto ciò che esiste” e con “esiste” intende tutto ciò che possiamo vedere con i nostri occhi, toccare con le dita, osservare e studiare con microscopi e telescopi. Il resto, comprese le cose di cui potremmo ipotizzare l’esistenza (come la gelosia e l’amore), è in gran parte illusorio». Continua poi Tudge: «Quattro secoli prima di Cristo, Platone sosteneva che la realtà ultima non è rappresentata dalla sostanza, ma dall’idea. San Giovanni Evangelista scrive che “In principio era il Verbo”, dove “verbo” è tradotto dal greco “logos” il quale può essere usato per intendere “idea”, ma anche “mente”. Molti filosofi, come Baruch Spinosa, hanno affermato che la coscienza non è solo un rumore prodotto dal cervello, ma parte del tessuto dell’intero universo. Negli ultimi novant’anni, i fisici quantistici, a partire da Bohr e Erwin Schrödinger, hanno dimostrato che la mente simula il risultato degli esperimenti condotti sulle particelle fondamentali. Alla luce di queste riflessioni, ci si rende conto di quanto “grezzo” sia il materialismo di Dawkins».

Lo scienziato di Oxford prende poi in considerazione l’assurda speranza di onniscenza che l’autore del libro ripone nella ricerca scientifica. Dawkins afferma che conosciamo esattamente come funziona il DNA. Questo tuttavia è «falso, assurdo e pericoloso. Se fosse vero non ci sarebbe più nulla da scoprire. Tuttavia “Nature” pubblica continuamente nuove scoperte sull’epigenetica», la scienza che studia la costante relazione tra l’ambiente ed il DNA. «L’idea di onniscenza si è dimostrata estremamente pericolosa, sin dall’inizio del novecento, con l’avvento dell’eugenetica. Oggi, un ramo della classe industriale promuove ricerche per riprodurre in laboratorio intere coltivazioni ed allevamenti (persino noi stessi), tramite l’ingegneria genetica. Eppure la più grande lezione del ventesimo secolo – scrive Tudge – è che la scienza non si può occupare di certezze: che tutti i suoi risultati non sono che verità parziali e provvisorie, in attesa di essere scagliate dal loro piedistallo».

A conclusione della sua analisi, l’autore analizza l’aspetto della religione. Dawkins afferma che «le persone veramente “religiose” sono obbligate a credere a tutti i miti e ai miracoli propri della loro tradizione, pur essendo ovvio che sono privi di fondamento». Ma, come spiega Tudge, la religione non dipende certo da questi aspetti«Né è vero, come Dawkins sostiene, che i miracoli possano essere paragonati alla zucca di Cenerentola. Tra l’altro, non bisogna essere cattolici per trovare grottesca la sua descrizione della Vergine Maria: “una specie di dea di una religione locale”». Tudge plaude invece alle parole di Dawkins quando parla dell’aspetto apparentemente fondamentale del suo libro: «La scienza è di per sé magica perché contribuisce a dimostrare quanto sia meraviglioso il mondo in cui viviamo. Ma l’idea che le scoperte scientifiche siano in contrasto con la religione non può favorire nessuno. Nel diciassettesimo secolo, – conclude l’autore – i fondatori della scienza moderna (Galileo, Newton, Cartesio, Leibniz, Boyle, John Ray) erano tutti credenti. Secondo loro, esplorare l’universo era un modo per glorificare Dio. Anche Bach ha detto lo stesso della sua musica. A confronto, la visione ultra materialista di Dawkins è obsoleta».
Conclude ironicamente Tudge: «Come non credere ai miracoli quando un libro del genere si autodichiara un valido contributo all’educazione dei nostri figli?».

Filippo Chelli

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