Studio USA: un adulto su tre è impegnato attivamente nella Chiesa

Abbiamo già avuto modo di informare (cfr. Ultimissima 09/07/10) che gli appartenenti alla cosiddetta “Generazione X”, educati in atmosfera post-sessantottina, siano in forte controtendenza nei confronti dei loro genitori, presso i quali l’allontanamento dalla Chiesa ha raggiunto il massimo storico.

Su The Journal for the Scientific Study of Religion, dell’University of Nebraska-Lincoln, il sociologo Philip Schwadel ha rilevato l’anno scorso che sebbene siano stati educati in ambiente non religioso, gli appartenenti della “Gen-X” «hanno molte meno probabilità, rispetto ai loro genitori, di separarsi dalla religione».

Un recente studio statistico del politologo americano John Miller, direttore del “Longitudinal Study of American Youth” presso l’UM Institute for Social Research, pare confermare questo dato, visto che ha rilevato, nei i nati tra il 1961 e il 1981, che uno su tre è impegnato attivamente nella Chiesa o comunque in associazioni religiose, e che gli appartenenti a tale generazione sono, anche socialmente, molto più partecipi di quanto le tendenze precedenti potessero far presagire.

È un dato incoraggiante che ci auguriamo possa essere uguagliato o superato nel vecchio continente, che fu culla della Chiesa e che ora vive in gran parte ciecamente, tristemente, senza di Essa.

Linda Gridelli

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Brasile: crescita continua delle vocazioni sacerdotali

Il direttore dell’ufficio brasiliano dell’organizzazione caritativa internazionale “Aiuto alla Chiesa che soffre”, José Correa, è stato recentemente intervistato dal programma televisivo “Where God Weeps”.

Egli spiega che la composizione della popolazione brasiliana è formata da immigrati europei arrivati dal Portogallo e dall’Italia, dagli africani, portati in Brasile come schiavi per lavorare nelle piantagioni e dalle etnie locali originarie di quei territori. «Contrariamente a quanto è avvenuto negli Stati Uniti», dice Correa, «in Brasile queste tre componenti si sono mescolate fra loro, formando l’attuale popolazione brasiliana». Questo, è potuto avvenire, come abbiamo riportato nel dossier “Chiesa e colonialismo”, grazie alla grande opera dei missionari gesuiti che riuscirono a conciliare le diverse etnie. Basta solo ricordare che la città di San Paolo si originò attorno al Collegio gesuita di San Paolo di Piratininga (1554).

Parlando di vocazioni, Correa afferma che esse «sono in aumento in Brasile. La crescita era maggiore qualche anno fa, ma continua ad avere un trend positivo dell’1, 2 o 3% l’anno. Per dare un’idea, 30 anni fa avevamo circa 900 seminaristi in tutto il Paese, oggi ne abbiamo più di 9.000. E in alcune diocesi i seminari sono pieni, nonostante la maggiore selettività dovuta all’accresciuto numero dei canditati. Per esempio, nella città di São Paulo, dove vivo io, quest’anno abbiamo avuto 55 candidati, da cui ne sono stati selezioni 15 da far entrare in seminario».

Nell’intervista, apparsa su Zenit.it, è possibile anche leggere della forza dirompente delle sette pentecostali e dell’inadeguata evangelizzazione dei cattolici. Una risposta molto efficace è quella delle cosiddette “missioni popolari” che si occupano di una maggiore distribuzione del catechismo, lezioni catechistiche, conferenze per le coppie ecc… Tornando all’aumento delle vocazioni, l’esperto afferma: «La crescita è stata dell’ordine del 700% nel numero dei seminaristi in Brasile, negli ultimi decenni», tuttavia «i vecchi edifici non sono più adatti a contenere il grande numero di giovani che vogliono diventare sacerdoti».

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Lo psicoanalista Arènes: «il peccato originale è liberante»

Ogni tanto capita di leggere i pensieri di qualche sedicente “libero pensatore” nel quale si accusa il cristianesimo e la Chiesa di aver “buttato” addosso all’uomo innocente il peso di una colpa ancestrale derivante dall’errore commesso da Adamo ed Eva”. Bisogna sottolineare che in realtà il peccato originale è la più valida spiegazione per la debolezza umana per cui “anche volendo fare il bene si sceglie il male”. Proprio questo insegna la Chiesa, ovvero una fragilità intrinseca della natura umana che porta l’uomo all’inclinazione verso il male. E’ una visione assolutamente realista.

Lo conferma anche il noto psicoanalista e psicoterapeuta francese Jacques Arènes: «Nel mondo cristiano, fin dall’inizio, si credeva al peccato originale. Si condivideva più o meno questa “colpa”. Era impossibile esserne esenti, anche se si era comunque assolti. Trovo questo profondamente liberante. Il senso di colpa, quando non scade in un aspetto morboso, è libertà. Il fatto di avere un rapporto personale e soggettivo con la colpa, davanti all’altro – il prossimo e/o Dio – è molto importante per la libertà di ciascuno. Ma oggi siamo in una società che si vuole de-colpevolizzata. Invece di cercare “colpe” personali, si rinvia a “colpe” collettive identificando dei gruppi di “cattivi”». Per Arènes, ciò che è sbagliato è l’idea che «ci si possa premunire contro la “colpa”, essere dalla parte dei puri, di coloro che sono in buoni rapporti con gli altri, è molto “imprigionante”. Molte persone pensano ad esempio che si possa evitare di commettere errori se appena si è un po’ informati. Così, sono sprovvedute di fronte alla violenza, a volte alla loro violenza, e di fronte ai conflitti in generali. Ora, bisogna avere il realismo della fallibilità. C’è una opacità della vita umana che fa sì che non si possa sempre evitare di commettere errori».

Questo realismo è ben presente nel cristianesimo: «la vita non è quello che si percepisce immediatamente. C’è anche un realismo sulla sofferenza, sui limiti della vita, sulla fragilità e sulla vulnerabilità, anche sulla colpa. Certo, vogliamo essere persone “buone”, ma non ci riusciamo sempre. È la vita. Le religioni sono particolarmente realiste in rapporto alle questioni ampiamente rimosse oggi, come la fine della vita e il lutto. Tutti affronteremo questo problema. Ma la nostra società non propone che soluzioni dell’ordine della potenza. In quanto l’idea è di invecchiare restando giovani, o di scegliere una “buona morte”. È un tranello. Il cristianesimo ci insegna anche che si può scegliere una maggiore libertà interiore…, anche a costo di una certa sofferenza. Penso che non si debba eliminare completamente l’idea che nelle nostre vite ci siano mancanze. La vita cristiana postula che si possa attraversare la sofferenza con una forza che accompagna la persona».

La psicanalisi convive benissimo con la religione, come affermava similmente qualche mese fa il neuroscienziato Matthew S. Stanford, «non ho visto ostilità nel mondo universitario. Vent’anni fa, ci sarebbe stata un’accoglienza più fredda», continua lo psicoanalista. «È vero che il concetto di guarigione in psicanalisi è abbastanza vicino a quello del giudeo-cristianesimo. Ma la psicanalisi e la religione sono in parte irreconciliabili, soprattutto in Europa, dominata dalla psicanalisi freudiana. Per Freud, nato in un secolo positivista, l’inconscio è puramente laico. Per molto tempo, gli psicanalisti tendevano a dire: dell’interiorità dell’essere umano, tocca a noi occuparci, è il nostro territorio ed è puramente laico. L’essere umano diventa così in fondo padrone e possessore di se stesso. Ma subito si scontra con ciò che è sconosciuto dentro se stesso. Del resto, è per questo motivo che le persone vanno dagli psicologi/psicanalisti. Oggi, gli psicanalisti diffidano meno delle religioni. Il vero pericolo per gli psicanalisti non sono più le religioni, ma tutte le concezioni di pensiero puramente materialiste. Come certe derive naturaliste delle neuroscienze, che ci spiegano che lo spirito umano è un po’ come un hardware, come un “cablaggio” neuronico e che noi saremmo tutti determinati dai nostri neurotrasmettitori».

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I nati da fecondazione in vitro hanno più probabilità di avere malattie genetiche

In un discorso presso la Canadian Fertility and Andrology Society (University of Toronto), la genetista Rosanna Weksberg ha affermato che i bambini nati da fecondazione in vitro hanno 10 volte più possibilità di soffrire di malattie genetiche rare.

La Weksberg ha già avuto a che fare nella sua clinica con molti bambini nati dalla FIV con malattie genetiche rare, come la sindrome di Beckwith-Wiedemann e quella di Angelman. Come se non bastasse, in aggiunta ai problemi sopra descritti, il bambino ha maggiori probabilità di nascere con un peso decisamente basso o soffrire di autismo.

La causa esatta dei problemi genetici è probabilmente una combinazione di problemi di infertilità dei genitori biologici e la genetica, e gli stessi trattamenti. La visione della genetista è confermata da uno studio francese risalente al 2010, nel quale si evidenzia come le tecniche di riproduzione assistita aumentino del doppio il rischio di deformità del bambino. Lo studio ha inoltre rilevato che oltre il 4% dei bambini con questo trattamento presentava una forma di deformità congenita rispetto al tasso nella popolazione generale.

Altra autorevole prova può essere indubbiamente rappresentata dalla posizione della Human Fertilisation del governo britannico e dalla Embryology Authority, che hanno avvertito, nel 2009, che i bambini nati con FIV hanno un rischio ben superiore al 30% di anomalia genetica.

La Fivet dunque, oltre a creare un alto numero di embrioni umani scartati, congelati o distrutti, oltre ad effettuare una selezione dell’embrione umano perfetto (in modo molto eugenetico), aumenta anche il rischio di far nascere bambini con gravi sofferenze genetiche.

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Camera USA: «In God we trust» è motto nazionale (396 contro 9)

La Camera dei Rappresentati americana ha approvato con 396 votanti a favore contro 9 contrari, una risoluzione in cui si ribadisce che “In God We Trust” è il motto nazionale.

La risoluzione è stata introdotta da J. Randy Forbes anche se in realtà il Senato aveva già approvato una risoluzione simile nel 2006 per il 50° anniversario del motto. Il politico ha dichiarato di averlo fatto per chiarire una volta per tutte come stanno le cose negli USA, rispondendo ad una tendenza laicista che vorrebbe rilegare la fede in ambito privato.

«Nessuno l’ha minacciato. Nessuno ha detto che non è il motto nazionale. La risoluzione di oggi, che non ha forza di legge, ribadisce semplicemente quale sia il motto nazionale ancora una volta», ha dichiarato in una nota il politico.

Hanno votato a favore 233 repubblicani e 163 democratici, mentre un repubblicano e otto democratici hanno votato contro.

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Il premier David Cameron: via gli aiuti economici a chi discrimina i cristiani

I cattolici inglesi, in particolare il direttore britannico di “Aiuto alla Chiesa che soffre“, hanno recentemente elogiato il premier britannico David Cameron per aver riconosciuto la persecuzione a cui sono sottoposti i cristiani e aver minacciato di ritirare il sostegno economico a quei Paesi che persisteranno in questa discriminazione.

Giustamente il premier inglese ha anche fatto lo stesso discorso verso chi discrimina le persone omosessuali: «La Gran Bretagna è oggi uno dei donatori di aiuto più importante al mondo. Vogliamo vedere che i Paesi che ricevono il nostro aiuto aderiscano al corretto utilizzo dei diritti umani, che comprende il trattamento delle persone gay e lesbiche». Ha poi aggiunto: «”L’aiuto britannico dovrebbe avere più vincoli. Noi non pensiamo che sia accettabile sostenere chi perseguita le persone per la loro fede o il loro cristianesimo, o perseguita le persone a causa della loro sessualità».

Tuttavia altri cattolici, come Ann Widdecombe, hanno ricordato che il Pakistan, dove è imprigionata la cristiana Asia Bibi condannata a morte per blasfemia, si è visto raddoppiare gli aiuti economici dal Regno Unito a 350 milioni di sterline all’anno, un caso che ha attirato la condanna internazionale.

Ricordiamo che anche il filosofo non credente Bernard Henri Lévy ha scritto recentemente un appello sul “Corriere della sera” chiedendo di proteggere i cristiani, che oggi «formano, su scala planetaria, la comunità più costantemente, violentemente e impunemente perseguitata». L’organizzazione “Aiuto alla chiesa che soffre” ha rilevato che il 75% delle persecuzioni sono contro fedeli cristiani. Massimo Introvigne invece, direttore Cesnur e rappresentante dell’Osce per la lotta alla discriminazione, al razzismo e alla xenofobia ha dichiarato che «ogni cinque minuti un cristiano viene ucciso a causa della sua fede».

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Il biologo Colombo: «lo sviluppo della scienza nasce con il patrocinio della Chiesa»

In Ultimissima 16/6/11 informavamo dell’ultimo lavoro di James Hannam, dottore in Storia e Filosofia della Scienza presso l’Università di Cambridge, intitolato La genesi della scienza: come il cristianesimo medioevale ha lanciato la rivoluzione scientifica, dove si confermava ancora una volta come la ricerca scientifica abbia potuto trovare spazio soltanto all’interno del cristianesimo medievale e sotto le ali della Chiesa cattolica. A questa visione, ormai ampiamente condivisa -come abbiamo mostrato anche nel dossier appositamente realizzato, si è unito recentemente anche Roberto Colombo, ordinario di Biologia Molecolare presso l’Università Cattolica Roma, direttore del laboratorio di Biologia molecolare e Genetica umana e membro del Comitato nazionale per la Bioetica. Uno scienziato molto importante, ma anche un sacerdote cattolico.

Su Avvenire commenta il Motu proprio Porta fidei con il quale Benedetto XVI ha indetto l’Anno della fede, sopratutto il passaggio con il quale ha sottolineato con decisione che non bisogna avere “timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto”. Alla radice della fede e della scienza «autentica» (come la chiama il Papa) stanno la ragione e la libertà, la prima getta luce su tutto l’orizzonte della conoscenza e la seconda -continua Colombo- accoglie la verità ovunque essa si manifesti, «fino a lasciarsi abbracciare dalla grande Presenza in cui abita corporalmente tutta la pienezza della Verità: Gesù Cristo». Dalla ragione e dalla libertà, dalla loro ricerca «il cui movente è il senso religioso dell’uomo, la fede è l’esito supremo e la scienza uno dei frutti più preziosi e affascinanti».

Laddove è fiorita la fede cristiana si è generata cultura e trasformata la vita sociale, e si è sviluppata anche la scienza. Il biologo afferma: «Riscoprire e approfondire la fede non può che alimentare le radici della scienza, immettendo in essa la linfa vitale della ragione irriducibilmente spalancata e della libertà davvero libera. Il primo sviluppo delle scienze e della tecnica in Occidente ha coinciso con l’approfondimento della fede e il radicamento della vita cristiana nella società medioevale. La fede in Dio creatore e ordinatore di tutta la realtà e l’esistenza della realtà stessa in quanto positiva, buona, e aperta alla conoscenza dell’uomo libero, è stata la potente molla che ha dato impulso al sapere scientifico dentro la società e con il patrocinio della stessa Chiesa». Un esempio è quello della nascita e sviluppo dell’anatomia, come abbiamo riportato in Ultimissima

Lo ribadisce ancora  il docente di biologia concludendo l’articolo: «Non possiamo dimenticare (con gratitudine) che essa ha sostenuto lo studio delle scienze anche dal punto di vista finanziario, mettendo a disposizione i suoi uomini e i suoi mezzi. Fino alla Rivoluzione francese, la Chiesa è stata lo sponsor principale della ricerca scientifica e medica, nelle università, negli ospedali e nei conventi. Nel XVII secolo, i Gesuiti erano diventati la principale organizzazione scientifica in Europa e, a metà dell’Ottocento, un monaco agostiniano, Gregorio Mendel, potè dedicarsi per numerosi anni ad uno studio dal quale nacque la genetica moderna […]. L’Anno della fede che si apre è un anno per tutti. Nessuno, tanto meno lo scienziato, gli è estraneo, perché quando fiorisce e matura la fede, si irrobustisce la ragione e si spalanca libertà dell’uomo».

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Il “New York Times” parla degli ex omosessuali e intervista Michael Glatze

Un’altra notte insonne si prospetta per Stefano Bolognini, Chiara Lalli, Eleonora Bianchini, Franco Grillini e tutti quei militanti omosessualisti che si battono per convincere i propri seguaci che gli ex omosessuali non esistono, anche attraverso campagne mediatiche di intimidazione per scoraggiare possibili “coming out”.

Negli USA tuttavia le associazioni di ex omosessuali (con mogli e figli) sono tante e vengono molto meno discriminate dalla società. Certo, sopravvive un po’ di “eterofobia”, tuttavia le cose sembrano proprio migliorare. Anzi, addirittura di loro ne parla il più grande quotidiano americano, il New York Times” (altro che la Bianchini de “Il Fatto Quotidiano”!). L’ultimo articolo in merito è apparso a luglio ed è intitolato: “Il mio amico ex-gay”. Si parla dell’incontro tra l’autore dell’articolo, Benoit Denizet-Lewis, gay dichiarato, con un suo vecchio amico, Michael Glatze, 36 anni ed ex gay dichiarato. Nonostante l’autore sia omosessuale l’articolo è rispettoso verso gli ex omosessuali e non eccessivamente di parte.

Michael e Benoit lavoravano insieme anni fa a “XY”, una rivista d’interesse nazionale per i giovani gay, Il giornalista racconta che quando Michael arrivò per la prima volta in redazione, «sembrava aver letto ogni libro gay che fosse mai stato scritto. Era impegnato a meditare sulle teoria “queer”, cioè l’idea che le identità sessuali e di genere sono culturalmente costruite piuttosto che biologicamente fissate, marciando alle manifestazioni per i diritti dei gay e sollecitando i giovani a festeggiare (non solo accettare) la loro attrazione omosessuale […] Non avevo mai incontrato nessuno così sicuro di se stesso». Molti giovani gay lo ammiravano, si legge, «lui e il suo fidanzato di allora, Ben, erano una bella coppia […]. Non sembravano oppressi (dalla vergogna, dall’insicurezza) e perseguivano quello che lo scrittore Paul Monette definiva l’esperienza gay di “gioia deflagrante”. Ma a differenza di alcuni nostri amici che hanno viaggiato sul treno della “deflagrante gioia” fino ad arrivare a centri di riabilitazione, Michael e Ben raramente sembravano perdere il controllo. Insieme sembravano aver compreso come essere giovani, gay e felici».

L’ultima volta che il giornalista lo ha visto, «lui e Ben avevano fondato una nuova rivista gay (“Young Gay America”), avevano girato il paese per realizzare un documentario sugli adolescenti gay, e Michael era diventato rapidamente la voce principale dei giovani gay, fino al giorno in cui, nel luglio del 2007, annunciò di non essere più gay». Un vero e proprio Luca Di Tolve americano, dunque. Chissà se anche Michael sarà stato minacciato di morte come accade quasi quotidianamente a Luca…In un articolo su “WorldNetDaily.com” Michael ha scritto: «All’omosessualità sono arrivato facilmente, perché ero già debole. L’omosessualità proposta a giovani menti, è per sua stessa natura pornografica». In un altro durissimo articolo ha detto di «provare repulsione al pensiero dell’omosessualità». Da un estremo all’altro dunque. In una lettera aperta a Ricky Martin ha invece scritto: «L’omosessualità è una gabbia in cui sei intrappolato in un ciclo infinito in cui desideri sempre di più – sessualmente – ma che in realtà non potrai mai ricevere, senti costantemente un profondo vuoto interiore e cerchi di giustificare le tue azioni contorte attraverso la politica e un linguaggio con cui si vuole convincere gli altri che “si sta benissimo”». Ovviamente Michael rinunciò al suo lavoro per le riviste gay “XY” e “Y.G.A”.

Nell’intervista sul New York Times Michael racconta di non aver messo in discussione il suo percorso di vita fino a quando non si è spaventato per la sua salute nel 2004. Ciò lo ha condotto a quello che definisce il suo “risveglio spirituale”: accortosi di soffrire dello stesso difetto cardiaco congenito che aveva ucciso suo padre anni fa, sentì che era sfuggito alla morte e si era ritrovato “faccia a faccia con Dio”. Dice di essersi sentito “rinato” in quel momento e che “ogni concetto che la mia mente aveva assorbito – la mia intera esistenza – era stato completamente rimessa in discussione”. Verso la fine del 2005 tutto ciò che riguardava la sua vita cominciava a farlo sentire male: il suo rapporto non convenzionale (il “fidanzamento” decennale con Ben si era trasformato in un rapporto a tre), le sue amicizie gay e la sua rivista dedicata a sostenere i giovani gay. «Per un anno ho lottato per comprenderne il motivo ma continuava a sfuggirmi», racconta l’ex omosessuale. «Ma poi venne fuori, chiaro come la luce. Il problema era la mia identità sessuale. Ed era davvero spaventoso. Pensavo, sul serio? E’ ridicolo. Sono un omosessuale. Lottavo cercando di capire cosa mi stesse accadendo. Mi era sempre stato detto che se avevo dei dubbi sulla normalità della mia omosessualità, dubbi che avevo avuto per un pò ma stavo cercando di sopire, era proprio perché non avevo risolto il conflitto con la mia omofobia interiorizzata. Ma questo non sembrava più vero adesso». Un giorno del 2005, continua Michael, seduto nel suo ufficio della redazione per la rivista gay, ha scritto al PC: “Io sono etero, io scelgo la vita”. Si è alzato ed ha lasciato l’edificio per sempre.

Come ha raccontato anche Adamo Creato (cfr. Ultimissima 23/9/11), le cadute sono sempre dietro l’angolo e all’inizio non sparisce completamente l’attrazione omosessuale. Michael racconta infatti che quando inizialmente sentiva un’attrazione erotica verso un altro uomo, «cercavo di analizzarla. Osservavo la mia omosessualità invece di metterla in pratica, e ho cominciato a vederla come un aspetto del mio malessere, non come mia identità. Quanto più lo facevo, meno sentivo il desiderio». Ha poi proseguito aggiungendo che non si era mai sottoposto a nessuna terapia riparativa o partecipato ad una pastorale per ex-gay. In un articolo sul “WorldNetDaily”, ha scritto quali erano, secondo lui, le ragioni che lo avevano portato ad assumere, erroneamente, un’identità gay: «Quando avevo circa 13 anni ho deciso che dovevo essere gay perché non ero in grado di gestire la mia mascolinità». Ha biasimato il padre per questo, il che è coerente con tante testimonianze di ex-gay: l’attrazione maschile per persone dello stesso sesso è il risultato di un deficit di virilità, in genere causato da una spaccatura nel legame padre-figlio.

Oggi Michael non ha più desideri sessuali verso persone del suo stesso sesso, racconta Benoit Denizet-Lewis sul quotidiano americano. «Hai imparato l’eterosessualità?» gli chiede il giornalsita. «Sì», risponde lui, aggiungendo che dopo il suo “coming out” come ex-gay è anche uscito con due donne. L’articolo continua descrivendo i particolari dell’intervista: «Ad un incrocio ho chiesto a Michael se avrei dovuto svoltare a sinistra o andare diritto», scrive il giornalista. «”Straight”, mi ha detto, indicando la via (la parola “straight” in inglese significa anche “Etero” oltre che “dritto”). “E’ strano sentirti dire questo, poiché ai tempi della “XY” insistevi sempre sul fatto che dovevamo dire “avanti”, quando guidavamo. Tu correggevi ogni persona gay che usava la parola “straight” quando guidava», ha detto sorpreso Benoit. «Dicevo tante stupidaggini a quei temp» ha replicato Michael con una risata.

L’articolo del giornalista omosessuale chiude, come prevedibile, con un lieve scetticismo, sostenendo che d’altra parte è difficile essere gay in uno Stato poco popoloso e senza un bar gay, riconoscendo però che Michael è oggi «un ex-gay intenzionato a rimanere tale».

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Il filosofo della scienza Evandro Agazzi: «errato escludere a priori l’idea di finalità»

Su “Avvenire” sono recentemente apparsi alcuni stralci del contributo di Evandro Agazzi, prestigioso filosofo della scienza e già docente all’Università di Genova ad un recente convegno promosso dall’Associazione medici cattolici della diocesi ambrosiana. L’intervento è inserito, assieme a quelli di altri relatori (card. Gianfranco Ravasi, il biologo Giorgio Manzi ecc.), nel volume L’evoluzione biologica. Dialogo tra scienza, filosofia e teologia (San Paolo 2011).

Agazzi  è intervenuto dicendo che «la contrapposizione di scienza e religione è un fenomeno recente (se misurato con il metro della storia). Esso è l’arma di cui si serve oggi di preferenza una posizione ideologica che, questa sì, esiste in certo senso da sempre dentro tutte le culture, ossia la concezione antireligiosa del mondo e della vita. Si tratta in sostanza di una fede atea che cerca di convincere la gente che la scienza contraddice la religione e che questa cerca di contrastare il progresso scientifico». Secondo il filosofo della scienza fu il positivismo ottocentesco«movimento di scarso spessore filosofico»– a preparare il terreno. Esso «si presentò come paladino della scienza contro le remore oscurantiste delle religioni e delle filosofie “metafisiche”». Ma in realtà -continua Agazzi- il positivismo era “il parassita” della scienza.

Oggi non è molto diverso: «I sostenitori dell’incompatibilità fra scienza e religione si riducono a far leva su due esempi storici, il processo di Galileo e l’evoluzionismo. Nel primo si assistette per davvero ad un intervento censorio dell’autorità ecclesiastica nei confronti di una teoria scientifica. Si trattò comunque di un episodio isolato. Nel caso dell’evoluzionismo non ci fu mai una contrapposizione intrinseca con la religione, poiché sin dagli inizi ci furono fautori e oppositori delle teorie dell’evoluzione tanto religiosi quanto atei. Invece parecchi intellettuali antireligiosi, diedero un’interpretazione in senso ateomaterialista che pretesero di far passare per una conseguenza logica delle conoscenze scientifiche, anche se in realtà non lo è».

Il filosofo affronta poi proprio l’ingarbugliata questione dell’evoluzione: «Proprio il fatto che spesso la teoria darwiniana dell’evoluzione viene presentata come confutazione scientifica della religione, in quanto ha confutato il “creazionismo”, ha prodotto una reazione di segno opposto (non meno scorretta). Infatti alcuni gruppi di credenti, impegnati a  difendere la tesi della creazione divina del mondo, ritennero di doverlo fare attaccando l’evoluzionismo». E negli Stati Uniti è emersa una vera propria guerra tra avvocati. Il problema del “creazionismo scientifico” è quello di «estrapolare in campo scientifico un concetto teologico, facendogli svolgere un ruolo non corrispondente alle sue caratteristiche definitorie e quindi, alla fine, scientificamente improprio (in sostanza perché introduceva cause soprannaturali nel discorso scientifico)». La critica passa poi verso il Disegno Intelligente: «Proprio di fronte alle inadeguatezze emerse nell’esecuzione del loro progetto, i difensori del creazionismo scientifico vollero mitigarne il riferimento esplicitamente religioso e lo vennero sostituendo con la dottrina del “disegno intelligente”. Questa conserva le caratteristiche di una concezione metafisica, e in essa è altresì chiara l’intenzione di giustificare il riferimento a Dio come autore di tale “disegno”, pur senza alcun riferimento esplicito a una concreta religione. Essa è stata altresì formulata utilizzando un corredo non banale di concettualizzazioni, argomentazioni teoriche e riferimenti empirici conformi allo stile della ricerca scientifica che si compie in biologia; tuttavia non ha incontrato sinora il credito della maggior parte della comunità scientifica dei biologi».

Evandro Agazzi però non intende «esprimere un giudizio sulla validità scientifica di questa dottrina». Certo, non ha credenziali scientifiche serie ma questo non intacca «la legittimità di parlare di un disegno intelligente a livello di interpretazione filosofica del mondo naturale e neppure la legittimità di operare un “conferimento di senso” di natura religiosa a questo disegno». Bisognerebbe, secondo il filosofo, capire se il rigetto della dottrina del “disegno intelligente” sia fondato su una critica tecnica o parta da un «rifiuto aprioristico della categoria di finalità che fa catalogare automaticamente come “scientificamente errato” o semplicemente “non scientifico” ogni discorso in cui traspaia la categoria di finalità». Sarebbe più ragionevole, conclude Agazzi, «l’accettazione del concetto di disegno intelligente utilizzato sul terreno filosofico e teologico, senza lasciarlo debordare sul terreno scientifico. Il che, d’altro canto, non esclude che anche in campo scientifico si possa tentare di darne una precisazione accurata e scevra da riferimenti espliciti ad interpretazioni filosofiche o ad immagini antropomorfiche, come è stato fatto nella scienza per tanti concetti, e potrebbero derivarne allargamenti fecondi di prospettive teoriche e linee di ricerca fuori da ogni ibrida mescolanza di scienza, filosofia e fede, le quali possono reciprocamente arricchirsi nella misura in cui siano chiare le loro specifiche differenze non meno che i possibili punti d’incontro».

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Arizona: il numero di aborti cala sensibilmente grazie alle leggi restrittive

Il tasso di aborto è sceso di quasi un terzo nel mese di settembre 2011 dopo l’entrata in vigore di una legge pro-life. Ecco dunque qual è il vero antidoto all’aborto e non certo la sua liberalizzazione.

Lo stato, si legge su Opposing Views, ha segnalato che ci sono stati 729 aborti in Arizona nel mese di settembre, un calo di quasi il 31% dal settembre 2010. La diminuzione degli aborti è avvenuta dopo che la Corte d’Appello dell’Arizona ha confermato all’unanimità nel mese di agosto 2009 una legge statale che prevede delle forti limitazioni ai servizi sull’interruzione di gravidanza: solo i medici possono eseguire aborti, le donne devono ricevere informazioni sui rischi dell’aborto, lo sviluppo del feto e le possibili alternative (adozione ecc.) 24 ore prima, è obbligatorio il consenso dei genitori per i minori, protezione per la libertà di coscienza dei medici e operatori sanitari.

Intanto in Mississippi sta avvenendo qualcosa di unico e rivoluzionario: gli elettori dello Stato decideranno il prossimo 8 novembre, in un referendum che avrà profonde ripercussioni nel resto d’America, se la condizione di persona inizia al concepimento o meno. Se vinceranno i «sì» –come informa Avvenire, il Mississippi avrà così messo a segno il più importante “colpo” contro l’aborto mai subito dalla legislazione americana dal 1973. Già in altri otto Stati fra cui Florida, Montana e Ohio è iniziata la raccolta di firme necessaria a indire un referendum analogo il prossimo anno. Una vittoria in Mississippi darebbe una spinta a tutti i gruppi “pro-life” impegnati in simili campagne e catapulterà il tema dell’aborto al centro delle elezioni presidenziali 2012.

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