Tra chi esprime una preferenza, il 90% dona l’8×1000 alla Chiesa

Buone notizie arrivano da “Geografia dell’Italia Cattolica” di Roberto Cartocci (Il Mulino 2011), nel quale viene analizzata la situazione del cattolicesimo in Italia. L’autore, ordinario di Scienze Politiche all’Università di Bologna, si concentra su diversi aspetti, ancora poco approfonditi dai media (non teniamo conto delle superficiali recensioni in chiave anti-cattolica apparse su alcuni quotidiani). Uno di questi indicatori è però stato rilevato da Antonio D’Angio su Zenit.it, ovvero la destinazione dell’8 per mille.

Partendo dalla dichiarazione dei redditi del 2004 emerge infatti che, su poco più di 40 milioni di dichiarazioni presentate (che non sono comunque di tutti i cittadini), quelle che avevano una scelta valida dell’8 per mille sono state poco oltre i 16 milioni, con un incidenza, quindi, del 40%. Pertanto, 6 italiani su 10 non hanno espresso alcuna indicazione sulla dichiarazione dei redditi. Concentrandosi sui 16 milioni che hanno espresso una preferenza, si nota che: l’89,8% ha scelto la Chiesa cattolica, il 7,7% ha preferito lo Stato, l’1,4% ha selezionato la Chiesa evangelica valdese e il restante 1,1% si è diviso tra comunità ebraiche, evangeliche, ecc.. Dunque possiamo dire che il 36% dei cittadini italiani ha scelto di destinare l’8×1000 alla Chiesa, mentre il 60% non ha espresso alcuna preferenza (ovviamente quei cittadini che hanno presentato la dichiarazione dei redditi). Tra coloro che invece hanno espresso una preferenza, il 90% si è rivolto alla Chiesa. Evidentemente sono ancora molti coloro che (anche tra i cattolici) non prestano attenzione all’utilità dell’8×1000 e andrebbe la pena diffondere maggiormente il sito web della Chiesa sull’8×1000.

Se si concentra l’interesse sulla ripartizione regionale della destinazione dell’8 per mille alla Chiesa Cattolica, si possono distribuirle in quattro gruppi: 7 regioni la cui percentuale varia dal 96,8 al 93,3 %: Puglia, Calabria, Campania, Sicilia, Molise, Basilicata, Abruzzo. 7 regioni la cui percentuale varia dal 92,1 all’88,4 %: Sardegna, Marche, Umbria, Lombardia, Veneto Trentino e Lazio. 5 regioni la cui percentuale varia dall’ 85,6 all’84 %: Piemonte, Friuli, Valle D’Aosta, Liguria e Toscana. E poi l’Emilia Romagna con il 78,2% che si differenzia in maniera netta dalle altre.

Per quanto riguarda invece la destinazione dell’8 per mille alle altre confessioni, si continua a leggere, da rilevare che il valore più elevato si trova in Piemonte (7,3% delle scelte valide) per una storica presenza della Comunità Valdese. Infine, passando all’approfondimento dei dati provinciali, da evidenziare che la provincia con la % più alta di destinazione dell’8 per mille alla Chiesa Cattolica è Vibo Valentia con il 97,9% mentre quella con la più bassa è Ravenna (con il 69,1%).

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La profezia delle “Settanta Settimane”: vaticinio della passione di Cristo?

Allontanando qualsiasi posizione catastrofista o apocalittica tipica di alcune sette cristiane e dei Testimoni di Geova, rimane comunque interessante domandarsi se la Bibbia contenga qualche tipo di profezia, essendo essa ispirata da Dio, come insegna la Chiesa. La tradizione cattolica, sempre molto realista, ha riconosciuto come veritiera in particolare la cosiddetta “Profezia delle Settanta Settimane”, contenuta nel Libro di Daniele (Dan 9,24-27).

E’ certificato che questa profezia sia conosciuta in questa forma sicuramente dal 167/164 a.C. (anche se alcune fonti portano al 500 a.C.). Essa dice testualmente: «Settanta settimane sono fissate per il tuo popolo e per la tua santa città per mettere fine all’empietà, mettere i sigilli ai peccati, espiare l’iniquità, portare una giustizia eterna, suggellare visione e profezia e ungere il Santo dei santi. Sappi e intendi bene. Da quando uscì la parola sul ritorno e la ricostruzione di Gerusalemme fino a un principe consacrato, vi saranno sette settimane. Durante sessantadue settimane saranno restaurati, riedificati piazze e fossati e ciò in tempi angosciosi. Dopo sessantadue settimane un unto sarà soppresso senza colpa in lui. Il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario. Egli stringerà una forte alleanza con molti per una settimana e, nello spazio di metà settimana, farà cessare il sacrificio e l’offerta. Sull’ala del Tempio porrà l’abominio della desolazione e ciò sarà sino alla fine, fino al termine segnato sul devastatore» (Dan 9,24-27).

Appena si legge di questo “unto soppresso senza colpa”, viene ovviamente in mente Gesù Cristo, La pretesa è dunque enorme: la profezia annuncerebbe, sicuramente oltre 100 anni prima, la passione di Gesù Cristo. Ma è davvero così? Approfondendo la questione si capisce che c’è un unico modo corretto per interpretare questa profezia e seguendo questa strada: i calcoli portano effettivamente al 32 d.C., viene identificato il “principe consacrato” (ovvero Esdra) e viene centrata perfettamente la data della distruzione di Gerusalemme e del Tempio (70 d.C.).  La questione è dunque scottante, se fosse così sarebbe una prova dell’ispirazione divina del profeta.

Per questo motivo, su questa profezia si è scatenato il finimondo, il razionalismo illuminista ha agitato così tanto le acque che perfino gli esegeti cattolici post-conciliari si sono intimoriti nel proseguire con il giudizio della tradizione cattolica e, improvvisamente, hanno ritenuto questa profezia un “vaticinio post-eventum”, ovvero una profezia scritta dopo i fatti (dunque falsa). Essa non parlerebbe di Gesù ma di Onia III. Aprendo la Bibbia di casa infatti (quelle recenti), tutti possono osservare nelle note sotto questa profezia l’interpretazione moderna, razionalista. Eppure, nel nostro approfondimento, abbiamo rilevato come non sia possibile affermare l’interpretazione (le interpretazioni) razionaliste senza cadere in errori storici e di banale calcolo matematico. Inoltre, tutte le alternative proposte si scontrano con il fatto che Gesù stesso si riconobbe nella profezia di Daniele. Infine, un sostegno all’ipotesi tradizionale arriva anche dagli esseni (ovvero dalle grotte di Qumran) e dagli scritti dello storico ebreo Giuseppe Flavio.

Per chiunque voglia approfondire tutto questo, annunciamo dunque il nostro nuovo dossier, inserito nell’area “Fede e Storicità”La profezia delle “settanta settimane”

 

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Plagio dell’associazione di atei americani: citazione di Jefferson inventata

I sedicenti “liberi pensatori” non sembrano poi così tanto liberi se si riducono ad inventare frasi di famosi personaggi per sostenere la loro ideologia.

Qualche giorno fa, infatti in Costa Mesa (California), un’associazione di atei militanti che si definiscono “Backyard Skeptics” (l’UAAR californiana, insomma), ha lanciato una campagna di affissioni,   al costo di 4.000$, che riporta una frase anti-cristiana del terzo presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson: «Non trovo nel cristianesimo una caratteristica redentrice. Esso è fondato su favole e mitologia». Questa la citazione che avrebbe pronunciato il presidente Jefferson.

Bruce Gleason, responsabile dei razionalisti, ha dichiarato che la frase cristianofobica è stato messa per sostenere gli ideali laici, e ha sostenuto di aver letto tale citazione in una lettera che Jefferson avrebbe scritto ad un certo dr. Woods. Tuttavia la smentita arriva direttamente dalla “Jefferson Library”, la quale dichiara che in nessuna delle vaste collezioni di carte del presidente ci sia una lettera del genero o comunque un’affermazione quantomeno simile. Chi ben conosce la storia del presidente sa benissimo che negare una caratteristica redentrice, a proposito del cristianesimo, per Jefferson sarebbe stato impossibile dato il tempo passato a riorganizzare la Bibbia cristiana a suo piacimento, dato il suo interesse per la persona di Gesù Cristo.

Come se non bastasse, gli esperti di Jefferson hanno anche smentito un’altra “convinzione” degli atei californiani, ovvero che Jefferson fosse un deista. Ma nella sua vita, dicono, il presidente non si è mai fatto chiamare così. E’ comunque vero, questo bisogna dirlo, che gran parte dei vari presidenti degli USA nutriva un certo disprezzo nei confronti dei sacerdoti, ma corrisponde ad altrettanta verità il fatto che gli Stati Uniti siano nati grazie a migliaia di cristiani molto devoti. I vari presidenti americani si sono anche sempre battuti per la libertà di religione, una delle prime cose che hanno voluto difendere.

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Recensione del libro “Terra Nova” di Vittorio Cocchi

Molti anni fa – fresco di laurea in fisica, e ancora alla ricerca di un senso da dare alla vita – leggevo tanti libri: divoravo soprattutto fantascienza, ma anche saggi scientifici e, molto più raramente, classici della letteratura. In realtà, credo che fossi spinto da un’esigenza fondamentale: il tentativo di ricucire insieme ogni più piccolo brandello luminoso di Verità, ovunque ci fosse una pur minima speranza di trovarlo. Ecco perché ero tanto attratto dalla fisica moderna e dalla speculazione scientifica, che promettevano (naturalmente senza mantenere, ora lo so) di svelare il Perché ultimo delle cose.

Perché vi racconto questo? Semplicemente per spiegare il fatto che anche oggi, ogni volta che mi capita tra le mani un libro che tratti di scienza (sia in forma speculativa, sia divulgativa) non posso fare a meno di sentire risuonare una quantità di echi delle mie passate letture, e di cercare sempre – quasi automaticamente, con un residuo dell’antica avidità – un frammento di luce. Inutile dire che spesso rimango deluso, come è accaduto innumerevoli volte in passato. In altri casi, invece, posso dire di chiudere il libro con una buona sensazione, quasi di sazietà soddisfatta.

Ho finito da poco di leggere un libro proprio così: “Terra Nova” (Clinamen 2011) di Vittorio Cocchi. Se dovessi incasellarlo in un genere, direi che è quello del romanzo filosofico, con una buona dose di detection story (sul tipo dei racconti del “Club dei Vedovi Neri” di Isaac Asimov, per intendersi). Mi sono molto divertito, soprattutto nel tentativo di sciogliere i tanti misteri della narrazione, che trovano una brillante spiegazione solo alla fine: il che, lasciatemelo dire, è un merito raro in qualsiasi libro. Eppure ritengo che il pregio principale di quest’opera stia altrove. Per spiegarmi meglio occorre che accenni brevemente alla trama.

L’ambientazione è intrigante: un lussuoso albergo, Villa Gaia, situato su un’isola al centro di un lago. Un giorno di primavera giungono alla villa, per motivi diversissimi, sette persone accomunate dalla passione per la conoscenza. Sono Francisco, un cieco dall’ego smisurato; Dilan, uno studente universitario pagato per fare da accompagnatore a Francisco; il fisico David; l’ingegnere Alex e sua moglie Rose; la biologa Olga; infine, la cosmologa Lara. Quasi per caso, i sette cominciano a intessere una rete di dialoghi che toccano gli argomenti-chiave delle scienze: dal determinismo della fisica classica all‘incertezza quantistica di quella moderna, dall’evoluzionismo biologico alla cosmologia, per giungere a sfiorare anche il problema della mente e del libero arbitrio. Il tutto tenendo sullo sfondo un’onnipresente domanda: chi regge lo scettro del mondo materiale? È forse il Caso? O è la Necessità? Oppure la domanda è mal posta, e la risposta andrebbe cercata da un’altra parte? Intanto, mentre i protagonisti sono impegnati a discutere, sull’isola si succedono eventi inquietanti e apparentemente inspiegabili. Sarà Dilan, alla fine, a svelare il mistero ai suoi compagni e al lettore.

Ecco, secondo me il libro di Cocchi meriterebbe di essere letto anche solo per i dialoghi: attraverso di essi vengono infatti esposti con grande chiarezza e semplicità (ma anche con rigore) tutti quegli aspetti della crisi del determinismo/riduzionismo positivista, che tante volte abbiamo affrontato sulle pagine di questo sito. Per fare solo un esempio, la cosmologa Lara riesce a far capire correttamente a noi e a Dilan (che è totalmente digiuno di astrofisica) il cosiddetto problema del “fine tuning” e le sue implicazioni sull’origine della vita, mettendo allo stesso tempo lucidamente in evidenza la debolezza logica dell’ipotesi del multiverso – che, come è noto, viene sempre più spesso invocata come un deus ex machina per produrre comode soluzioni materialiste a quegli stessi problemi. Va detto che Cocchi non cede mai alla tentazione di negare l’importanza della conoscenza scientifica, né si azzarda a proporre improbabili teorie pseudo-scientifiche. Analogamente, non prova a convincere nessuno dell’esistenza di una finalità trascendente, di un Dio creatore e amante; eppure questo concetto, mai esplicitato, percorre come un fiume sotterraneo tutto il testo, affiorando fugacemente di tanto in tanto.

Più importante, però, è secondo me il fatto che l’autore riesce a dimostrare – in maniera semplice e divertente – che anche la scienza dovrebbe ormai considerare apertamente la concreta possibilità che la vita, e l’Uomo in particolare, abbiano un ruolo non meramente accidentale nella storia dell’Universo.

Michele Forastiere
michele.forastiere@gmail.com

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Benigni al Parlamento Europeo: «i monaci di San Benedetto, creatori della civiltà»

Roberto Benigni e il video al Parlamento Europeo. Il noto comico ha celebrato l’opera di San Benedetto che, assieme ai monaci, ha rifondato la civiltà europea tramite la filosofia, la scienza, la poesia e l’arte: «protagonisti della modernità».

 

Per celebrare il 150esimo della Repubblica italiana, Roberto Benigni ha recitato un brano della Divina Commedia di Dante Alighieri, in particolare il commento del XXVI canto dell’Inferno, nell’emiciclo del Parlamento Europeo di Bruxelles in occasione dell’evento “La lingua italiana come fattore d’identità e unità nazionale”.

Nella sua introduzione iniziale ha ironizzato sull’attuale situazione politica dell’Italia e ha tessuto le lodi della sua storia, soffermandosi anche su San Benedetto, patrono d’Europa: «Nei secoli bui San Benedetto, che è il mio Santo preferito e il Patrono d’Europa, nel V sec. d.C., dove veramente tutto era morte e non c’era niente, proprio niente, un uomo di Norcia, un italiano così, una personcina, ha aggiunto alla parola “prega” la parola “lavora”: Ora et labora. Li ha fatti lavorare quei monachetti, dalla mattina alla sera, in giro per tutta l’Europa (in Belgio quanti ce ne sono stati!), a raccogliere, catalogare, archiviare, iscrivere il pensiero, la filosofia, l’agricoltura, la scienza, la poesia, sennò non c’era niente senza San Benedetto. Una cosa spettacolare, un miracolo, un vero miracolo».

 

Qui sotto il video, pubblicato anche sul nostro canale Youtube

 

Benigni ha ragione, nel Medioevo cattolico è nata la modernità, il metodo scientifico, le Università, gli ospedali, sempre nei monasteri nascono nuovi modi di approcciarsi alla natura (apicultura, la viticultura e l’olivocultura, piscicultura ecc..). Sono decine e decine le invenzioni che hanno permesso e agevolato lo sviluppo della civiltà nate all’ombra dei campanili medievali.

Sottolineiamo, come spunto, questo intervento del noto storico Léo Moulin, già docente presso il Collegio d’Europa di Bruges, l’Università Cattolica di Lovanio e l’Università di Notre-Dame, autore anche di “La vita quotidiana secondo San Benedetto” (Jaca Book 2008):  «S. Benedetto è proprio il padre d’Europa, della nostra civiltà; non si può spiegare la nostra civiltà senza la presenza dei benedettini. Durante secoli, e da sempre, ed oggi ancora, la Chiesa offre al popolo le più belle produzioni dello spirito umano. Questo popolo del Medio Evo […] l’ha riunito, ogni domenica, nei più begli edifici della nostra storia – dalle sontuose cattedrali alle più umili pievi romaniche, dalle vastissime abbazie, come Cluny – il monumento più imponente della cristianità prima dell’edificazione di S. Pietro – ai priorati più rustici». Moulin cita anche un lungo elenco di invenzioni dei monaci: dai vini e liquori alle tecniche elettorali e deliberative democratiche (unanimità, il voto segreto, lo scrutinio, il turno di scrutinio, il ballottaggio ecc..), dal nome dei pranzi (cena, colazione, pranzo) al galateo.

Nella stessa occasione è intervenuta anche Régine Pernoud, celebre storica francese e specialista del Medioevo, la quale si è soffermata sul ruolo della donna, celebrando i contributi dei monasteri femminili (in alcuni di essi la donna aveva autorità sull’uomo, cosa fino ad allora assolutamente impensabile) dai quali è emersa, ad esempio, la prima enciclopedia che abbia visto la luce in Europa.

A seguire anche lo storico Jean Gimpel, esperto di architettura e tecnologia medioevale, il quale ha voluto allontanare l’idea che il Medio Evo sia un’epoca di tenebre: «In verità il Medio Evo aveva una conoscenza profonda dell’antichità filosofica e scientifica». Ha parlato dell’uso del compasso e si è detto dispiaciuto del fatto che «vi sono in occidente personalità che continuano a credere che nel Medio Evo si pensasse che la Terra fosse piatta, ma nessuno al Medio Evo la pensava così. Un documento che prova la consapevolezza che aveva il Medio Evo della rotondità della Terra è l’illustrazione che rappresenta due angeli che avvalendosi di strumenti meccanici, fanno girare la Terra».

Recentemente è uscito anche il saggio storico di Thomas E. Woods, storico ed economista americano, intitolato Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale (Cantagalli 2007). In un capitolo, qui pubblicato, descrive proprio come “i monaci ebbero un ruolo determinante nello sviluppo della civiltà occidentale”.

La redazione

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Si dicono “atei” ma è una contraddizione: l’inesistenza di Dio non è dimostrabile

Il credente ritiene che possano esistere verità che vadano al di là della possibilità di essere dimostrate oggettivamente. L’ateo invece, nega la razionalità dell’atto di fede e afferma con decisione l’inesistenza di Dio. Questa è una delle più evidenti contraddizioni dell’ateismo, sottolineata da tantissimi pensatori nella storia. Thomas Huxley, il cosiddetto “mastino di Darwin”, coniò ad esempio il termine “agnosticismo” riconoscendo proprio che esso fosse molto meno contraddittorio.

Si è parlato di tutto questo in un interessante articolo apparso recentemente sul “The Washington Post”, intitolato: Ateismo: non c’è nulla di simile. L’articolista è partito dalla definizione di “ateo” che viene data dal dizionario: «chi nega l’esistenza di Dio». E su quali basi si può “negare l’esistenza di Dio”? Nessuna. Infatti, lo si ripete da secoli, la Sua esistenza o la Sua inesistenza non sono dimostrabili scientificamente. Si può “credere” che Egli esista o si può “credere” che Egli non esista. In entrambi i casi siamo davanti ad un atto di fede, più o meno razionale a seconda delle ragioni a sostegno (perché la fede parte sempre dalla realtà), ma l’ateo -al contrario del “credente”- nega la razionalità dell’atto di fede e dunque non può che trovarsi in una posizione contraddittoria.

Messi alle strette tuttavia, gli atei si dimostrano “non particolarmente atei”. E’ accaduto durante il recente dibattito tra il filosofo cristiano William Lane Craig e il filosofo ateo Peter Slezak. Ad un certo punto, come si vede da questo video, il prof. Slezak afferma sotto pressione: “non possiamo sapere con certezza se Dio esiste o no”. Nonostante la sua ammissione, tuttavia, il filosofo australiano intende ancora definirsi “ateo”, cioè, qualcuno che sostiene che Dio non esiste. Richard Dawkins è ancora meno ateo di quanto in realtà voglia far credere: nell’“Illusione di Dio” (Mondadori 2007, pag. 60), afferma infatti che Dio è «improbabile» (perché è inevitabilmente complesso, dice lui) e «che non si possa dimostrare l’inesistenza di Dio è un fatto riconosciuto». Eppure quante volte ha sostenuto che il suo ateismo si basa sulla ragione, sulla logica, sulle prove e sulla scienza? Margherita Hack nel suo ultimo libro, “Il mio infinito” (Dalai Editore 2011), parte dal presupposto che tanto il credente quanto il non credente non possono dimostrare scientificamente l’esistenza o la non esistenza di Dio e quindi: «scienza e fede possono benissimo convivere». Tuttavia anch’essa continua a definirsi “atea”.

Tutto questo fa venire in mente i temibili paradossi di Blaise Pascal: «Preferirei sbagliarmi credendo in un Dio che non esiste, piuttosto che sbagliarmi non credendo a un Dio che esiste» perché «se non c’è nulla, dopo, ovviamente non lo saprò mai, sprofondando nell’annichilimento eterno; ma se c’è qualcosa, se c’è Qualcuno, dovrò rendere conto del mio rifiuto». E il card. Joseph Ratzinger, nel suo celeberrimo “Introduzione al cristianesimo”, sembrò completare la riflessione: «Chi pretende di sfuggire all’incertezza della fede dovrà fare i conti con l’incertezza dell’incredulità, la quale, dal canto suo, non potrà mai nemmeno dire con inoppugnabile certezza se la fede non sia realmente la verità. È proprio nel rifiuto che si rende visibile l’irrefutabilità della fede».      Per evitare contraddizioni, lasciate perdere l’ateismo, fatevi per lo meno agnostici!

Flavio Ottoni

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La pioniera delle mamme-nonne: «avevate ragione, ho sbagliato»

In Ultimissima 22/9/11 davamo spazio alla testimonianza di un figlio di genitori-nonni: «Ho avuto la sventura di nascere da genitori di 51 e 42 anni, e non è stata un’esperienza per nulla piacevole».

«A parte i rischi alla nascita», ha proseguito, «c’è da considerare cosa significhi essere adolescenti con genitori ultrasessantenni, incapaci di capire i loro figli, che demonizzano qualunque cosa esuli dalle loro esperienze giovanili […], crescere sentendosi continuamente definire “bastone della mia vecchiaia” […] costruirsi un futuro con genitori ormai anziani e bisognosi di assistenza, barcamenandosi tra pannoloni, medicine e colloqui di lavoro; tra orari d’ufficio e improvvise chiamate da casa per imprevisti legati all’età. […] Sarebbe quindi ora che la si smettesse di considerare i figli come un diritto assoluto dei genitori, ignorando il loro diritto ad avere una famiglia «normale»; e che si imparasse a rispettare i limiti dettati da Madre Natura, che evidentemente non esistono per caso».

Su “Il Corriere della Sera” è comparsa la testimonianza dal punto di vista della madre-nonna. Si tratta di Susan, la prima donna inglese ad aver messo al mondo una bambina, Freya, a 57 anni, ricorrendo a un intervento di ovodonazione. Allora suscitò molte critiche la sua età, pur temperata da quella del padre di undici anni più giovane. Ma oggi riflettendo sulla sua esperienza, riconosce che i detrattori non avevano torto e propone lei stessa che non si superino i cinquant’ anni. E’ dunque passata la fase della “dittatura del desiderio” quando la volontà di essere madre a tutti i costi porti ad ignorare il diritto del bambino a nascere in una famiglia veramente predisposta a lui. Ma non tutto quello che può fare la scienza è giusto che venga fatto.

E’ proprio su questo infatti che si sofferma la mamma-nonna inglese: lo choc per la nascita di una figlia tardiva ha messo in crisi la coppia, il padre se n’ è andato lasciandola sola con la bambina e, pur essendo in pensione e soffrendo di vari acciacchi, ha dovuto riprendere a lavorare e, al tempo stesso, accudire i vecchi genitori. Inoltre si sente estranea alle altre mamme, molto più giovani di lei. Alcune difficoltà sono comuni a tante donne, si legge nell’articolo, ma rese più acute dalla percezione della brevità del tempo che le resta e dalla consapevolezza che non sarà accanto alla figlia quando questa avrà ancora bisogno di lei, nei momenti fondamentali della sua crescita.

In Ultimissima 5/4/11 e Ultimissima 20/6/11 davamo spazio ai pronunciamenti di medici e specialisti fortemente contrari alla gravidanza in tarda età, sia per l’utilizzo della fecondazione assistita, sia per i  rischi della madre, sia per quelli dei figli.

La redazione

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I migliori fisici del mondo riuniti in Vaticano

Spesso la maggioranza dei luoghi comuni ci porta a pensare che tra fede e scienza ci siano così tante divergenze da non poter nemmeno provare a collaborare insieme. Non è affatto così. Una vera e propria dimostrazione deriva da un simposio svoltosi proprio in Vaticano, al quale hanno partecipato oltre 50 illustri fisici di tutto il mondo.

È la prima volta che la fisica subnucleare entra nel cuore della Pontificia Accademia delle Scienze, e il merito deve obbligatoriamente andare al nuovo presidente dell’accademia, il biologo svizzero (e Premio Nobel) Werner Arber, ma anche al cancelliere Monsignor Marcelo Sanchez, profondo sostenitore della scienza galileiana.

Dell’evento ne ha parlato il fisico Antonino Zichichi su Il Giornale, il quale ha introdotto e concluso l’evento. Ha raccontato della presenza di uno dei massimi studiosi della «teoria delle stringhe», John Schwarz. E’ intervenuto anche il numero uno del più grande laboratorio di fisica subnucleare negli Usa – il «Fermi Lab» – Pier Maria Oddone, seguito da Robert Aymar che ha portato il CERN ad avere la più potente macchina di fisica subnucleare oggi in funzione (LHC). Dei “quanti” ha parlato Costantino Tsallis, uno dei massimi esperti di meccanica quantistica non-lineare, mentre tratterà di buchi neri il fisico Raphael Bousso, scopritore di una proprietà formidabile. Qui tutti gli altri nomi e il programma dell’evento.

Bousso, docente presso il Dipartimento di Fisica dell”Università di Berkeleyun e anche lui esperto di “teoria delle stringhe”, ha dichiarato che teoricamente «l’universo dovrebbe essere molto ostile alla vita. Tuttavia numerosi parametri naturali appaiono piuttosto attentamente sintonizzati per noi». Ha però voluto mettere in guardia contro ciò che è stato chiamato “il Dio delle lacune”, ovvero l’uso di Dio per spiegare ciò che la scienza non è ancora in grado di decifrare.

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Spagna: il PP toglierà il “catechismo di Zapatero” dalle scuole

Dopo aver annunciato l’abrogazione delle leggi su aborto e matrimonio omosessuale (cfr. Ultimissima 30/9/11), il Partito Popolare spagnolo -che secondo un recente sondaggio pubblicato da “El Mundo”, si attesta a pochi giorni dalle elezioni al 47,4% delle preferenze, contro il 30,7% del Partito Socialista –  ha inserito nel suo programma elettorale l’eliminazione del controverso sistema  scolastico varato dal governo Zapatero, in particolare per quanto riguarda l’ “Educazione alla cittadinanza” (Epc).

A riportarlo è un articolo apparso pochi giorni fa sul sito spagnolo “Religion en Libertad”. L’ “Educazione alla Cittadinanza”, come suggerisce il nome, è una materia obbligatoria promossa con il presunto obiettivo di favorire lo sviluppo «di persone libere attraverso il consolidamento di autostima, dignità personale, libertà e responsabilità, per la formazione di futuri cittadini con un pensiero autonomo, rispettosi, partecipativi e solidali, che conoscano i loro diritti, si assumano i propri doveri e sviluppino abitudini civiche».

Nell’ordinamento scolastico dal 2007, l’iniziativa si è dimostrata, invece, simbolo di una cultura laicista che, lungi dal promuovere la formazione di un pensiero autonomo, ha offerto esempi di vero e proprio indottrinamento ideologico. E’ stato infatti soprannominato il “Catechismo di Zapatero”.  In un articolo pubblicato per il settimanale “Tempi” nel 2007 vengono riportate le dure parole della Conferenza episcopale spagnola all’interno di un comunicato ufficiale: «è una forma di educazione statale e obbligatoria della coscienza, che impone il relativismo morale. Non ci sarebbe nulla da obiettare a una materia scolastica che faciliti la conoscenza oggettiva dei princìpi costituzionali o delle norme civiche della convivenza, ma questi sono alcuni insegnamenti concreti che, sotto il nome di “Educazione alla Cittadinanza”, costituiscono una grave lesione del diritto dei genitori a determinare l’educazione morale che desiderano per i figli. Inoltre, nel modo in cui appaiono programmati, significano l’imposizione del relativismo e dell’ideologia del “genere”»

Molte associazioni di docenti e genitori avevano sin da subito lamentato che all’interno di queste ore scolastiche obbligatorie venivano affrontate questioni di ordine morale, inclusa la dimensione umana della sessualità, il concetto allargato di famiglia (anche omosessuale) e il pluralismo morale. Dopo lunghi anni di lotte contro l’indottrinamento statale, 55.000 casi di obiezioni e migliaia di procedimenti giudiziari, per l’ “Educazione alla Cittadinanza” questi potrebbero essere gli ultimi giorni di lezione. Se infatti il PP dovesse vincere alle politiche anticipate del 20 novembre, questo insegnamento obbligatorio si vedrebbe rimpiazzato da un’altra disciplina basata esclusivamente sui valori della Costituzione.

Il presidente dell’Associazione dei Professionisti per L’Etica, Jaime Urcelay, commentando con soddisfazione la scelta del Partito Popolare, spiega che «questo passo non sarebbe stato possibile senza la testimonianza ed il coraggio di genitori, studenti ed associazioni che hanno lottato quasi cinque anni per la loro libertà e quella di tutti i cittadini». Facciamo presente che in soli 6 giorni il leader del PP  ha ricevuto oltre 5.000 richieste per eliminare questa forma di indottrinamento obbligatorio.

Filippo Chelli

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Nubifragio di Genova: la Chiesa dona 1 milione di euro

Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova, riferisce di essere stato «diretto testimone delle violenze delle conseguenze devastanti del nubifragio» che si e’ abbattuto venerdi’ 4 novembre su Genova.

L’arcivescovo chiede che «si accresca la mobilitazione di ogni persona di buona volontà per alleviare le difficoltà più urgenti di queste ore». Parroci e seminaristi, spiega ancora, sono, in prima fila «per affrontare i problemi più impellenti e stare accanto alle persone più sole». Il cardinale si è recato in visita nei quartieri martoriati di Marassi e Quezzi, per portare conforto e ascoltare le terribili testimonianze dei cittadini ancora attoniti e traumatizzati.

«Esprimo sincera vicinanza – ha detto il cardinale – ed elevo al Signore della vita la preghiera più intensa, anzitutto per le vittime e, quindi, per tutte le persone coinvolte in questo doloroso evento». Intanto per rispondere alle necessità delle popolazioni liguri e toscane colpite in questi giorni dall’alluvione, la Presidenza della Cei ha disposto un contributo straordinario di un milione di euro dai fondi dell’otto per mille destinati alla Chiesa cattolica. Tale somma si aggiunge alle raccolte promosse a livello locale dalla Caritas.

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