Il neurofarmacologo Vescovi: «da agnostico dico no alle staminali embrionali»

Il neurofarmacologo Angelo Vescovi, tra i più importanti studiosi di cellule staminali adulte a livello internazionale, dal 1998 ricercatore presso l’Istituto neurofarmacologico Besta di Milano e direttore scientifico della casa Sollievo della Sofferenza di san Pio di san Giovanni Rotondo, è stato intervistato da IlSussidiario.net in merito al grande appoggio dato da Benedetto XVI alla ricerca sulle staminali adulte.

Questo tipo di sperimentazione, ha detto il Pontefice«apre le possibilità per curare malattie croniche degenerative riparando il tessuto danneggiato e ripristinando la sua capacità di rigenerazione». La Chiesa, ha continuato, «offre il suo incoraggiamento a quanti sono impegnati nel condurre e sostenere la ricerca di questo tipo, sempre con la condizione che essa sia portata avanti col dovuto riguardo per il bene integrale della persona umana e il bene comune della società». Nessun problema etico, ha aggiunto, «quando le cellule staminali sono prese dai tessuti di un organismo adulto, dal sangue del cordone ombelicale al momento della nascita, o dai feti che sono morti per cause naturali». Il Pontefice ha voluto anche ribadire il no all’uso delle staminali da embrioni: «La distruzione anche di una sola vita umana non può mai giustificarsi in termini di beneficio che può plausibilmente portare a un’altra».

Nonostante il suo cognome, il professor Angelo Vescovi si dichiara agnostico e -come già hanno fatto altri scienziati recentemente– ha ribadito un concetto ancora poco accettato: «Condivido quel che ha detto il Papa nel modo più assoluto. La realtà è che dietro la spinta a procedere sulle cellule staminali embrionali c’è una spinta di carattere economico. Si sono spesi 40 milioni di dollari per anni senza produrre nulla, con una sperimentazione che è anche rischiosa nei confronti del paziente per il modo in cui viene condotta. Ma soprattutto non si possono fare affermazioni per giustificare tali sperimentazioni dicendo che essa è l’unica possibile».

«La logica del Papa», conclude il neuorofarmacologo, «e lo dice uno che è agnostico e ribadisce il suo essere agnostico, è straordinaria. La scienza che pensa di produrre la vita umana al fine stesso di distruggerla per creare delle cellule è una scienza che si dichiara sconfitta. Una scienza che crea vita per distruggerla con lo scopo di aiutare la vita ha fallito la sua concezione: è una tecnologia applicata, ma non al servizio dell’uomo».

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In stato vegetativo e cittadina onoraria di Bologna, alla faccia di Veronesi!

Una donna in stato vegetativo da 30 anni è diventata vanto e onore di una città tanto da meritare la cittadinanza onoraria. L’attaccamento alla vita e l’amore del padre per la sua «bambina» sono un esempio per tutti e per tante altre condizioni di gravissime disabilità. Questi i motivi per cui il consiglio comunale di Bologna ha deciso di conferire la massima onorificenza cittadina a Cristina Magrini, 45 anni. Una vita stravolta da quando, un maledetto giorno del 1981, diretta a casa di ritorno da scuola, venne investita da un’auto.

Il riconoscimento segue quello che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il 10 novembre scorso, ha indirizzato al papà di Cristina, Romano, nominato cavaliere della Repubblica. Lunedì scorso il consiglio comunale felsineo ha approvato all’unanimità la richiesta di cittadinanza onoraria a Cristina, promossa da un gruppo di famiglie. La vicenda, (raccontata anche dal sito www.cristinamagrini.it), ha riunito intorno ai Magrini migliaia di altre famiglie.Lo stesso sindaco Virginio Merola ha partecipato alla votazione esprimendo il «sì».

«L’approvazione all’unanimità» – commenta Gianluigi Poggi rappresentante del gruppo promotore ad “Avvenire«ha prevalso sulle alchimie politiche. Prova ne è che, oltre all’ordine del giorno del Pdl, ne è comparso uno del Pd che apre a gesti concreti, riconoscendo a ogni persona il diritto di cura e assistenza, e che impegna il consiglio comunale a dedicare una seduta, il 3 dicembre, al tema della cura delle persone in stato di fragilità estrema». Del resto, aggiunge Poggi, «La storia di Cristina dimostra che, grazie alla famiglia, è possibile vivere anche se minati da gravissime disabilità. Ma lo Stato deve fare la sua parte. Ci impegneremo da una parte ad abbattere la barriera culturale che ha confinato le persone come Cristina nelle pareti domestiche, dimenticando che vanno curate come quelle ospedalizzate; dall’altra, a dare il via a centri di “dopo di noi”, che possano rassicurare i familiari sul futuro dei loro cari con patologie severe».

Ricordiamo che nel 2000 il pensionato ed ex oncologo Umberto Veronesi (detto anche “Cancronesi”, per gli amici), prima di voler legalizzare il doping nello sport, prima di sostenere che le persone religiose sono incapaci di ragionare, prima di augurarsi che le persone anziane spariscano velocemente, prima di dichiararsi favorevole alla clonazione umana, prima di dire che l’amore omosessuale è più puro di quello eterosessuale (cfr. Ultimissima 26/6/11), parlando degli stati vegetativi come Cristina, dichiarò a Repubblica nel 2000: «C’è un migliaio di famiglie distrutte dalla penosa presenza di questi morti viventi».

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Fioriscono le vocazioni in Vietnam: oltre 1500 giovani seminaristi

«E’ la fede in Cristo la speranza per le nuove generazioni dei giovani vietnamiti», così afferma il teologo p. Joseph Do Manh Hung, Vicerettore del Seminario maggiore di Ho Chi Minh City e Segretario della Commissione per il Clero, nella Conferenza Episcopale del Vietnam intervistato da Agenzia Fides.

Il Segretario guarda con fiducia al futuro della comunità cristiana in Vietnam, notando da un lato “i segnali di apertura del governo” e, dall’altro, il fiorire delle vocazioni: «Le speranze per la fede cristiana si fondano soprattutto sui giovani. La Chiesa in Vietnam, su una popolazione di 87 milioni di persone, conta 7 milioni di fedeli. E i giovani ne sono larga parte. In 7 seminari maggiori (2 al nord, 2 al centro e 3 al sud) abbiamo oltre 1.500 seminaristi, e questa fioritura di vocazioni è per noi una iniezione di fiducia».

I laici sono molto importanti nella vita della Chiesa vietnamita, «su circa 80 mila catechisti che vi sono in tutto il paese, in 26 diocesi, la quasi totalità sono giovani. Dopo aver frequentato il catechismo, i giovani possono insegnare e diventare a loro volta catechisti».

Si registra anche una progressiva apertura da parte del governo ateo-comunista verso la fede cristiana e verso la Chiesa: «In periodi bui, come ad esempio quello dopo il 1975, tutto il paese era sotto il regime comunista e i seminari furono chiusi. Nel 1986 furono riaperti e ogni 6 anni ci era consentito l’ingresso di nuovi seminaristi; poi ogni 3 anni, poi ogni 2 anni, infine, dal 2008, il governo accetta che ci siano nuovi arrivi ogni anno. Bisogna comunque mandare la lista dei candidati alle autorità locali e averne l’autorizzazione. Nonostante ciò, possiamo dire che c’è stato un netto miglioramento dal 1986 in poi, e oggi i frutti si vedono».

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«L’aborto non è un diritto», arriva anche in Italia la “Carta di San Josè”

I San José Articles sbarcano finalmente anche in Italia. Ne abbiamo spiegato i fondamenti in Ultimissima 15/10/11, dove spiegavamo che essi sono il primo documento scientificamente e giuridicamente fondato, elaborato da esperti internazionali di ogni campo del sapere, che riafferma laicamente e in ossequio ai dettati del diritto internazionale la dignità della persona umana sin dal concepimento.

Mercoledì 9 novembre 2011, la “Carta di San José” – questa la dizione italiana usata per indicare il documento – è stata presentata alla Camera per iniziativa di Luca Volontè, deputato dell’Udc e presidente del gruppo del Partito Popolare Europeo al Consiglio d’Europa, coadiuvato da Giuseppe Benagiano, già Segretario Generale dell’International Federation of Gynecology and Obstetrics, per affermare la dignità della persona umana e negare che a livello internazionale possa esistere il diritto di aborto.

Parlandone su “La Bussola Quotidiana”, Volontè spiega che «la “Carta” demolisce ogni tentativo delle lobby filoabortiste di affermare un qualunque “diritto all’aborto”, ancor più un “diritto umano all’aborto”. Erano presenti più di una ventina di deputati appartenenti a diverse forze politiche e i media hanno diffuso la notizia in modo adeguato». Il deputato racconta anche delle altre presentazioni a livello internazionale: «Austin Ruse, presidente dello statunitense Catholic Family & Human Rights Institute, all’Onu, Anna Zaborska al Parlamento Europeo e io stesso, attraverso una dichiarazione scritta, all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa». Questa iniziativa è fondamentale perché «trova d’accordo sensibilità politiche differenti. Al di là degli schieramenti partitici o delle convinzioni religiose personali, il fatto che la scienza e che il diritto internazionale riconoscano la dignità della persona sin dal suo inizio è un dato incontrovertibile e raccoglie il consenso sia di laici sia di cattolici». Ora quindi «Il documento verrà usato come strumento – e di grande efficacia – nella vita politica nazionale e internazionale, e, auspicabilmente, anche nella vita culturale dei Paesi a cui gli estensori, i firmatari e i sostenitori appartengono, così come negli organismi internazionali in cui essi fossero eventualmente impegnati».

Il presidente del Pp al Consiglio d’Europa chiude facendo un quadro generale sulla politica pro-life, che appare molto positivo: «Se fino a qualche anno fa un certo pregiudizio era giustificato, con realismo occorre dire che di recente numerose cose sono cambiate. L’approvazione di un documento fortemente impegnativo per la Promozione della Obiezione di Coscienza al Consiglio di Europa di Strasburgo – il 7 ottobre 2010 – e l’approvazione di un primo “limite” all’aborto on-demand sempre a Strasburgo quest’anno sono piccoli segnali molto importanti. La stessa Corte dei Diritti Umani di Strasburgo nonché la Corte di Giustizia del Lussemburgo stanno emanando sentenze molto positive e rispettose della dignità del concepito».

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L’antropologo Yves Coppens: «l’uomo nasce religiosus»

Tra i più celebri paleoantropologi viventi c’è certamente il francese Yves Coppens, passato alla storia per essere lo scopritore della nostra antenata più famosa e antica, «Lucy». In una recente intervista apparsa su Avvenire, riprende il discorso sull’Homo religiosus che aveva cominciato un anno fa (cfr. Ultimissima 22/9/10).

Allora aveva detto: «L’homo religiosus coincide con l’uomo in generale. L’essere umano, fin dallo sbocciare della sua umanità, è sensibile al sacro e possiede una dimensione spirituale. Personalmente, sono convinto che non ci sia distanza fra l’apparizione dell’uomo e l’apparizione del suo pensiero religioso». Rispetto al darwinismo dichiarava invece: «Le concezioni di Darwin hanno centocinquant’anni. Da allora, la scienza ha fatto progressi considerevoli. È evidente che la selezione naturale predicata da Darwin resta verificata, ma oggi si riconosce che la parte dovuta al caso è molto inferiore rispetto a quanto Darwin immaginasse […]. L’evoluzione come oggi la intendiamo non può più essere definita col nome di darwinismo. Darwinismo ed evoluzione sono ormai due parole ben separate, anche se il darwinismo rappresentò una delle origini della riflessione sull’evoluzione».

Qualche giorno fa, come dicevamo, ha approfondito il discorso: «il primo oggetto fabbricato dall’uomo è già un simbolo sacro. D’altronde, quando vedo i popoli nativi ed osservo che i loro gesti sono tutti rituali, non posso pensare che non sia successo lo stesso con l’uomo primitivo. La percezione della forma è già la comprensione di qualcosa di sacro […]. Il cambiamento progressivo che ha permesso all’uomo di sviluppare delle idee, gli ha fornito anche la possibilità di percepire qualcosa d’altro: l’avvenire, il passato. Uno sguardo sull’infinito e insieme dentro di sé». I «laici» non ci resteranno bene, riflette l’intervistatore. Lui replica: «Non credo che esista davvero una reale laicità se non come un’altra maniera di pensare il sacro. L’uomo è irrimediabilmente simbolico, almeno in questo stadio dell’evoluzione; e in questo non vedo differenza d’essenza tra il primo uomo e noi, se non nel progresso e nell’affinamento del pensiero».

L’istante della creazione può essere collocata in quell’istante di passaggio tra l’ominide e l’uomo? «Questo devono dirlo i teologi, non è il mio mestiere. Io mi limito a osservare i dati sul campo e a constatare il momento di passaggio di una soglia. Certo qualcosa in quel momento è successo: l’uomo non è stato più il pre-uomo che era prima. Non so se questo sia l’attimo della creazione, però una volta ricordo di aver sconcertato il cardinale Jean-Marie Lustiger, il defunto arcivescovo di Parigi, affermando: “Più le cose si spiegano in modo naturale, meglio è per il soprannaturale!“…».

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L’ex presidente dell’APA: «dall’omosessualità si può uscire, l’APA è solo politica»

Secondo diverse persone, mentre si può diventare omosessuali nel corso della vita,  dall’omosessualità non si può più uscire. Lo avrebbe detto l’American Psychological Association (APA).

Oltre al fatto che non è vero, è interessante notare che molti dei presidenti dell’APA (e chissà quanti membri!), una volta scaduto l’incarico, liberi quindi dalla posizione politica-istituzionale di facciata, abbiano l’abitudine di aderire all’attività di Narth, la National Association for Research and Therapy of Homosexuality, o comunque aiutare psicologicamente gli omosessuali che provano un disagio verso la loro sessualità.

Uno di essi è ad esempio il noto psicologo Robert Perloff, ex presidente dell’APA, che nel 2004 ha aderito ufficialmente a Narth sostenendo: «sono felice di aderire alla posizione della NARTH: essa rispetta la dignità di ogni cliente, l’autonomia e il libero arbitrio. Ogni individuo ha il diritto di rivendicare un’identità gay o di sviluppare il suo potenziale eterosessuale. Il diritto di cercare una terapia per cambiare il proprio adattamento sessuale è considerato ovvio e inalienabile. Condivido pienamente la posizione della NARTH». Ma in questi giorni, un altro ex presidente dell’American Psychological Association, Nicholas Cummings, professore emerito di Psicologia presso l’Università del Nevada, capo di salute mentale del “Kaiser-Permanente Health Maintenance Organization” e fondatore della “Cummings Foundation”, ha preso posizione.

In realtà si era già espresso molte altre volte: nel 2005 aveva ad esempio partecipato ad una Conferenza NARTH dicendo: «Durante i 20 anni in cui sono stato a “Kaiser-Permanente” (1959-1979) […] ho visitato personalmente più di 2.000 pazienti con attrazione per persone dello stesso sesso e il mio staff ne ha visti altri 16.000». Lo psicologo ha parlato delle problematiche più diffuse nel mondo omosessuale (promiscuità continua, infelicità, ricerca perenne di sesso anonimo, tossicodipendenza, alta incidenza di abuso di droghe, vero e proprio terrore del sesso ripetuto con la stessa persona ecc..) e ha criticato aspramente l’APA, l’associazione di cui è stato membro e presidente: «Per prima cosa, lasciatemi dire che sono stato un campione permanente dei diritti civili, compresi quelli delle lesbiche e dei gay. Ho nominato il primo presidente della task force dell’APA sulle questioni gay e lesbica, che poi è divenuta una delle divisioni dell’APA. In quel periodo il problema era proprio la scelta di una persona dello stile gay, mentre ora è messa in discussione la scelta di un individuo a non essere gay, questo perché la leadership dell’APA sembra aver concluso che l’omosessualità è immutabile. Relegando l’attrazione dello stesso sesso come immutabile -come si fa con un gruppo di afro-americani per esempio- distorce la realtà. Far passare il tentativo di rendere “immorale” la terapia del riorientamento sessuale viola la scelta del paziente e rende l’APA il determinante de facto degli obiettivi terapeutici». E non è finita: «L’APA ha permesso che la correttezza politica trionfasse sulla scienza, sulla conoscenza clinica e sull’integrità professionale. Il pubblico non può più fidarsi della psicologia organizzata per parlare di prove, piuttosto si deve basare per quel che riguarda l’essere politicamente corretti. Al momento la governance dell’APA è investita da un gruppo elitario di 200 psicologi che si scambiano le varie sedi, commissioni, comitati, e il Consiglio dei Rappresentanti. La stragrande maggioranza dei 100.000 membri sono essenzialmente privati dei diritti civili. Alla Convenzione APA del 2006 a New Orleans, ho tenuto un discorso intitolato “Psicologia e la necessaria riforma dell’APA”, che è stato ampiamente diffuso nei listserves di psicologia ma è stato totalmente ignorato dalla leadership dell’APA». Accuse fortissime dunque da parte di uno che sa come vanno le cose, ed emerge con chiarezza evidente la natura politicamente corretta, ma poco scientifica, dell’APA rispetto all’omosessualità (e all’aborto, come dimostrano studi recenti).

Il dr. Cummings, riconosciuto tra i più influenti e innovativi psicologi americani, ha anche partecipato all’Annual NARTH Convention del 2011 svoltasi proprio qualche giorno fa (nella foto in alto assieme alla Dr. Julie Hamilton, presidente della Narth), intervenendo come relatore assieme ad altri scienziati e psicologi. Nella relazione ufficiale apparsa sul sito, www.narth.com, si legge che l’ex presidente dell’APA ha raccontato di dubitare da tempo, come scienziato, sulla direzione dell’APA, influenzata più dalla politica che dalla scienza. Ha scritto a lungo sui modi in cui l’APA è basata politicamente piuttosto che scientificamente, descrivendo tutto ciò in uno dei suoi libri più recenti, “Eleven Blunders that Cripple Psychotherapy in America: A Remedial Unblundering” (Routledge, 2008). Ha anche descritto la sua esperienza nel trattare gli omosessuali, tra uomini e donne, tormentati da attrazioni omosessuali indesiderate. Ha dichiarato che personalmente ha lavorato con clienti omosessuali che si sono sposati e vivono una felice vita eterosessuale, a conferma di chi afferma che il cambiamento è possibile.

Il dr Warren Throckmorton, professore associato di Psicologia presso il Grove City College (Pennsylvania), uno dei tanti scienziati a favore del cambiamento omosessuale, sostenuto dal famosissimo psichiatra Robert L. Spitzer (l’allora responsabile dell’eliminazione dell’omosessualità dal “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders”), ha ripreso nel 2007 alcune dichiarazioni del dr. Cummings, in particolare quando spiegava che: «nel corso del tempo, siamo stati in grado di identificare entro 4 o 5 sessioni quali clienti omosessuali avrebbero potuto perseguire il cambiamento sessuale e quali non lo erano». Cummings ha rilevato, sottolinea Throckmorton, che i clienti omosessuali che avevano più probabilità di cambiare orientamento erano quelli con un forte sistema di valori interiorizzato. Dunque ecco una spiegazione del fatto per cui tanti ex omosessuali diventano tali dopo una conversione religiosa, come è accaduto a Michael Glatze intervistato dal “New York Times”. Tuttavia non sono tanti gli omosessuali che hanno cambiato orientamento con il suo aiuto, però Cummings ricorda: «ho ancora note e biglietti di Natale da parte di clienti che sono sposati e molto riconoscenti del nostro lavoro in terapia. Sono anche contattato da clienti che mi ringraziano per averli aiutati a raggiungere una relazioni gay a lungo termine». Throckmorton commenta così queste parole di Cummings: «Le osservazioni del Dr. Cummings coincidono abbastanza bene con la mia esperienza e la lettura della scienza. Non sappiamo abbastanza per essere dogmatici con i clienti su ciò che causa l’omosessualità o quanto sia flessibile per una data persona. Tuttavia, possiamo aiutare i clienti a vivere coerentemente con i loro valori e convinzioni, qualunque esse siano».

Facciamo notare che su Wikipedia, mentre nella pagina dedicata a Warren Throckmorton è chiaramente visibile il suo supporto al cambiamento omosessuale, in quella dedicata al dr. Nicholas Cummings non vi è traccia di tutto questo, seppure le sue dichiarazioni siano ben più “forti”.

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Il libro di Benedetto XVI verrà presentato in diverse università italiane

Sono ormai lontani i tempi quando “70 cretini” si opposero alla visita di Benedetto XVI all’università La Sapienza di Roma. Così li ha definiti, e non solo lui, l’attuale rettore dell’ateneo, Luigi Frati (cfr. Ultimissima 8/4/11), rinnovando l’invito al Pontefice.

Fu un clamoroso autogol della violenta e intollerante cultura laicista, una reazione infantile che rimane però un orrendo caso isolato della storia italiana. Oggi infatti le Università aprono le braccia con gioia a Benedetto XVI e alla presentazione del suo ultimo libro, per la precisione quelle di Urbino, Messina, Parma e Sassari. Lo rivela don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana (Lev), durante la presentazione del ciclo di incontri «”Gesù di Nazaret” all’università» (ovviamente “Gesù di Nazareth” è il titolo dell’ultimo libro di Benedetto XVI).

Il volume — continua il salesiano«rappresenta del resto il coronamento dello studio di un uomo che ha quasi sempre insegnato. Cosa di più naturale che presentarlo in ambienti universitari? Abbiamo fatto la proposta a quattro atenei che hanno accettato con entusiasmo e così abbiamo organizzato gli incontri nelle . Appena si è sparsa la notizia, altre università ci hanno chiesto di fare altrettanto». Il primo appuntamento è oggi, mercoledì 16 novembre, all’università Carlo Bo di Urbino. Nell’aula magna presenterà il libro il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, mentre interverranno Stefano Pivato, rettore dell’ateneo, Giovanni Tani, arcivescovo di Urbino , Giuseppe Costa, direttore della Lev e Marco Cangiotti, preside della Facoltà di Scienze politiche.

Il rettore Pivato, nel suo indirizzo di saluto, ricorda come fu Papa Giulio II ad avere creato l’Università di Urbino: «Oltre cinque secoli fa Guidubaldo riordinava il Collegio dei dottori di Urbino. Pochi mesi più tardi Papa Giulio II, con una bolla datata 18 febbraio 1507 perfezionava il nucleo originario dell’ateneo conferendogli la facoltà di dottorare e ponendo, di fatto, il sigillo sulle origini della nostra università. Da allora, e nel corso di cinque secoli, gli scambi fra la cultura laica e quella religiosa hanno trovato un fertile terreno di incontro nelle nostre aule». Il libro del Papa, continua il rettore dell’ateneo marchigiano, è un’occasione di «allargamento della ragione», per riecheggiare i termini della lectio magistralis pronunciata dal Papa nel settembre 2006 a Ratisbona. «L’occasione è fornita dalla riflessione attorno a Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione. Sappiamo del grande successo editoriale del volume ma siamo consapevoli dell’alto valore del suo contenuto, altamente stimolante per chi, come nell’ambiente universitario, ha a cuore la crescita del sapere». Il rettore appare molto informato dato che il libro del Papa,  ”Gesù di Nazaret, seconda parte – Dall’ingresso a Gerusalemme alla Risurrezione”  è diventato in brevissimo tempo un best-seller sia in Italia (cfr.Ultimissima 24/3/11 ) che all’estero (cfr. Ultimissima 1/4/11). Proprio oggi il card. Bertone ha dichiarato che «Hanno superato i cinque milioni le copie del “Gesu’ di Nazaret” vendute complessivamente nel mondo. Entrambi i volumi infatti si sono rivelati un successo editoriale al di la’ delle aspettative».

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Nuovo test per valutare la “coscienza” nei pazienti in stato vegetativo

Il Coma Science Group (CRCyclotron, Università di Liège), guidato dal dottor Steven Laureys, ha sviluppato, insieme ai suoi partner di Londra, Ontario, (Canada) e Cambridge (Inghilterra ), un test portatile che permetterà una diagnosi semplice e poco costosa sui pazienti in stato vegetativo per valutare il loro livello di “coscienza”, anche se essi non abbiano i mezzi per esprimerla.

Le conclusioni dei ricercatori sono pubblicati questa settimana su The Lancet. Il desiderio di sviluppare questo semplice test di coscienza, dicono i ricercatori, fa seguito a precedenti ricerche svolte dal Coma Science Group, le quali hanno dimostrato nel corso del 2009, che il 40% dei cosiddetti pazienti in stato vegetativo hanno mantenuto un certo grado di coscienza. Nel 2010 i ricercatori del Coma Science Group e i loro colleghi di Cambridge (Inghilterra) ha fatto un altro passo avanti fondamentale nel mostrare che era possibile comunicare con gli stati vegetativi attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI).

Questa nuova scoperta è rivoluzionaria perché è possibile valutare la presenza di coscienza anche se il paziente non può muoversi (a causa di infortuni ai nervi, al midollo spinale o al cervello). Si va dunque a misurare direttamente l’attività della corteccia motoria usando l’elettroencefalografia (EEG). Questo significa che il test portatile può essere effettuato in tutti i centri di assistenza sanitaria (e anche a casa).

Un casco simile è stato ideato anche in Italia presso il Centro don Orione di Bergamo (cfr. Ultimissima 6/4/11), è stato chiamato “Elu1″, in omaggio ad Eluana Englaro e, al costo di 90€, aiuta a ricostruire un “dialogo” tra i pazienti e i loro cari. Pazienti che, probabilmente, avrebbero altrimenti fatto la fine della figlia del militante radicale Beppino Englaro.

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Nick Matzke ammette che la selezione naturale non spiega l’evoluzione


di Michele Forastiere*
*insegnante di matematica e fisica in un liceo scientifico

 

I frequentatori del sito UCCR conoscono molto bene il nostro interesse per le ricerche scientifiche che, sempre più chiaramente ormai, evidenziano l’incapacità del paradigma darwinista nello spiegare i meccanismi evolutivi (vedi, per degli esempi recenti, qui, qui, e qui). I nostri lettori sanno anche che – contrariamente a quanto la divulgazione scientista tende a far credere – esistono diversi approcci critici al darwinismo, tutti razionalmente validi, e che l’UCCR non propende pregiudizialmente per nessuno (vedere qui, per citare solo un caso tra i tanti).

Siamo sicuri solo di un fatto (che riteniamo ampiamente sostenuto dai risultati scientifici): il meccanismo darwiniano di mutazione casuale/selezione naturale non è in grado di rendere conto della comparsa di nuova informazione biologica – vale a dire, della speciazione o macro-evoluzione. Fatta questa doverosa premessa, passiamo ad analizzare il caso scientifico da cui è emersa la sorprendente dichiarazione del darwinista Mick Matzke.

Dunque, tutto nasce da un articolo di Dennis Venema (“L’evoluzione e l’origine dell’informazione biologica”, Parte 1 e Parte 2) pubblicato sul blog di BioLogos – l’organizzazione fondata dal genetista Francis Collins allo scopo di promuovere l’integrazione tra scienza e fede cristiana. Nella seconda parte, Venema esprimeva la sua opinione che il punto di vista dell’Intelligent Design (vale a dire, l’idea che dell’informazione complessa specificata non possa comparire attraverso meccanismi naturali) sia errata, portando – a sostegno della sua tesi – i risultati del lavoro pluriennale di Richard Lenski sull’Escherichia coli, il cosiddetto Long Term Evolution Experiment (Esperimento di Evoluzione a Lungo Termine). Nel settembre 2011 Casey Luskin, del Discovery Institute (il centro studi del movimento dell’Intelligent Design), dà il via a una lunga risposta, suddivisa in otto parti, alla provocazione di Venema. Fin qui, secondo me, niente di particolarmente nuovo o strano: fa tutto parte della normale dinamica interpretativa dei risultati scientifici, soprattutto quando questi riguardano i meccanismi dell’evoluzione; e in certi casi la dialettica tra due punti di vista quali quello dell’Intelligent Design e del BioLogos – sebbene indubbiamente entrambi critici della filosofia darwinista – può assumere toni anche abbastanza accesi.

Qualcosa di molto interessante, invece, è accaduto nei commenti al quinto articolo della serie di Luskin. Qui, infatti, è intervenuto a un certo punto Nick Matzke, già portavoce del National Center for Scientific Education e noto ultra-darwinista. Per capire bene come siano andate le cose, mi riferirò da qui in avanti al resoconto che ne dà lo stesso Casey Luskin dalle pagine di Evolution News.  Discutendo con Luskin di un vecchio articolo comparso su Nature, relativo all’evoluzione di un certo gene presente nei maschi della Drosophila (indicato come “Sdic”), Matzke ammette – sorprendentemente – che la “spiegazione più dettagliata” della sua origine secondo lo schema evolutivo darwiniano è un caso in cui non si sa nemmeno dire quale fosse l’ipotetica funzione per cui la selezione naturale stava operando. Nonostante ciò, Matzke afferma che “nessuno è riuscito a fornire una spiegazione migliore”!
Si noti che gli autori del lavoro sulla Drosophila avevano affermato, nell’articolo in questione: “Non sappiamo ancora come [il gene] Sdic contribuisca alla funzione dell’assonema spermatico, o perfino se sia essenziale per la fertilità maschile […] Sebbene un promotore specifico testicolare sia essenziale per [il gene] Sdic, questa insolita regione regolatrice non si è realmente ‘evoluta’. Essa era, al contrario, originale, creata de novo dalla giustapposizione fortuita di sequenze [genetiche] opportune”

Luskin fa notare a Matzke che la sua affermazione ha conseguenze alquanto funeste per la filosofia darwinista: “Se si asserisce che la selezione naturale era all’opera, e non si sa nemmeno esattamente quale funzione veniva selezionata, allora non si sa molto, e certamente non si è dimostrato che la selezione naturale fosse all’opera […]. Hai appena ammesso che la “spiegazione più dettagliata” dell’evoluzione di un gene rappresenta un caso in cui i ricercatori: non conoscono nemmeno la precisa funzione del gene; perciò non sanno esattamente quale funzione veniva selezionata; e perciò non sanno se ci sono passi che richiedano mutazioni multiple per garantire un vantaggio [evolutivo];
• e perciò non hanno nemmeno iniziato a dimostrare che i geni possano evolvere in maniera passo-passo;
• e perciò non sanno se ci siano sufficienti risorse probabilistiche per produrre [direttamente] il gene mediante duplicazione+mutazione+selezione.
In effetti, hai appena ammesso che le spiegazioni darwiniane dell’origine dei geni sono incredibilmente povere di dettagli

Luskin conclude: “In quanto indicazioni rivelatrici della forza delle spiegazioni darwiniane, i commenti di Matzke dovrebbero preoccupare i suoi colleghi attivisti nella lobby dell’evoluzione”. Non possiamo che concordare.

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Nuovo studio: le donne che frequentano la chiesa sono meno depresse

I ricercatori della Yeshiva University, guidati da Eliezer Schnall, professore associato di psicologia clinica, si sono concentrati sulle donne, verificando uno stretto legame tra ottimismo/felicità e la frequenza alle funzioni religiose.

Coloro che partecipano ai servizi religiosi, infatti, risultano avere il ​​56% in più di probabilità di possedere una visione positiva e ottimistica della vita rispetto a quelli che non lo fanno. Inoltre, hanno il ​27% di probabilità in meno di essere depresse, dicono gli studiosi. La ricerca è pubblicata sull’ultimo numero di “Journal of Religion and Health” e il campione utilizzato è stato di 92.539 donne, in postmenopausa, provenienti da ambienti diversi e di età superiore ai 50 anni. Schnall ha però avvertito, correttamente, che non c’è un determinato principio di causalità tra l’andare in Chiesa e la felicità, potrebbe anche essere l’inverso, ovvero che le persone più positive scelgano di andare in Chiesa.

La ricerca oltre a confermare pienamente uno studio abbastanza simile pubblicato nel 2010, appare decisamente in linea con tutta una serie sterminata di risultati di ricerche precedenti che dimostrano il fortissimo legame tra l’essere praticanti e l’essere felici. Tanto che perfino la rivista dell‘American Psychological Association (APA), ha in qualche modo voluto consigliare agli psicologi di promuovere il coinvolgimento religioso ai propri pazienti vittime di disturbi mentali, come la depressione (cfr. Ultimissima 7/3/11).  Abbiamo raccolto tutti questi tipi di studi scientifici nel dossier presente sul nostro sito web: “Fede e benessere psicofisico”.

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