Il filosofo Antiseri: «il concetto di laicità lo dobbiamo al cristianesimo»

Il filosofo italiano Dario Antiseri, già docente presso l’Università “La Sapienza” di Roma, l’Università di Siena, l’Università di Padova e recentemente insignito (assieme a Giovanni Reale), di una laurea honoris causa presso l’Università Statale di Mosca, è intervenuto come relatore all’incontro “Il Cattolicesimo liberale nell’epoca del Risorgimento” svoltosi presso la Pontificia Università Lateranense.

Antiseri, definito uno «tra i più solidi filosofi del nostro tempo», ha dichiarato che «senza il cristianesimo questa Europa non sarebbe esistita. La Grecia ha dato all’Europa l’idea di razionalità ma non ha passato i suoi dei. Invece il cristianesimo ha passato l’idea che un conto è Dio e un altro è lo stato e le sue istituzioni. Quest’ultimo non deve essere adorato, ma semmai dal cristianesimo è venuto il dovere di “giudicare” lo stato e il suo rispetto della libertà e della dignità di ogni essere umano».

I cristiani, al contrario di tutti coloro che li hanno preceduti, «condividevano una idea di persona libera e responsabile, assegnando allo stato il compito di servire le necessità collettive”. Il “governo cristiano” ipotizzato da alcuni di loro consisteva nel decentrare con l’arte del “lasciar fare”, il contrario dello stato centralizzato che invece vuole “fare tutto», ha aggiunto.

Ho poi concluso con un vasto riferimento al ruolo dei cattolici nell’attualità. Sulla questione laicità era già intervenuto qualche mese fa dalle colonne de Il Corriere della Sera (cfr. Ultimissima 26/5/11) dicendo: «Laico è, dunque, il cittadino della società aperta — un cittadino che, come dice Popper, “riconosce che gran parte dei nostri scopi e fini occidentali, come l’umanitarismo, la libertà, l’uguaglianza, li dobbiamo all’influsso del cristianesimo“, e che, diversamente dal laicista fondamentalista, sa che “il vero liberalismo non ha niente contro la religione“». Laico, cioè cristiano.

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Le neuroscienze portano l’uomo al centro: il cervello non ha eguali nel cosmo

Nelle librerie anglosassoni è uscito un libro veramente interessante, decisamente scomodo per razionalisti e riduzionisti. Il titolo è The Brain is Wider Than the Sky (Il cervello è più ampio del cielo, W&N 2011) e l’autore è il giornalista scientifico Bryan Appleyard.

Il volume è basato su una serie di interviste ai più importanti neuroscienziati in circolazione sul funzionamento del cervello, per giungere alla conclusione che non siamo affatto vicini ad auto-comprenderci e che probabilmente non vi riusciremo mai. Il cervello è lo strumento più complesso e affascinante in tutto l’universo, superiore di gran lunga a qualsiasi mega-computer esistente.

Come scrive nella recensione il neuroscienziato Daniels Anthony, docente presso la Oxford University, «la natura, la qualità e la ricchezza della nostra vita interiore non sarà mai completamente spiegabile o traducibili in termini fisici, e – inoltre – sarebbe terribile se si potesse fare». Dire il contrario, continua Antony, significa assumere «l’arroganza scientifica e razionalista, primo perché ci si illude di credere che si possa capire pienamente noi stessi per mezzo del metodo scientifico, secondo perché il progresso tecnologico non migliora necessariamente la qualità della nostra vita, e terzo non si può catturare in modo descrittivo il controllo dei sistemi infinitamente complessi che guidano i nostri scopi».

Al contrario di tutte le filosofie atee e riduzioniste che aspirano a ridurre l’uomo ad un essere insignificante, a un “nient’altro che” per dimostrare che non c’è nessuna creazione a “immagine e somiglianza di Dio”, il cristianesimo ha sempre valorizzato e innalzato l’uomo, a partire dall’incarnazione stessa di Dio in un effimero corpo umano. Le neuroscienze oggi, abbandonata l’ideologia positivista, stanno riportando sempre più al centro dell’universo (della creazione) l’essere umano dimostrandone l’assoluta unicità rispetto a tutto il resto. Quasi come fosse davvero “il preferito” di tutto il cosmo, colui a cui tutto tende.

Questo è riconosciuto apertamente dagli psicologi, come Margaret Boden della Sussex University: «La mente umana è unica. L’intelligenza artificiale ha aumentato il senso di meraviglia che provo al cospetto della mente umana» (R. Stannard, “La scienza e i miracoli” Tea 2006) e dagli stessi neuroscienziati, come Michael Gazzaniga (tra i massimi esperti viventi del cervello), il quale sostiene che Darwin aveva torto perché «noi non siamo in continuità con gli altri primati, la differenza tra noi e loro è qualitativa, non puramente quantitativa». Citiamo infine Massimo Buscema, computer scientist di fama internazionale, esperto in reti neurali artificiali e sistemi adattivi, il quale dice: «È credibile che all’età di 50 anni, io non abbia più neanche un atomo di quelli che avevo a cinque anni. Ma allora perché mi sento la stessa identità e mi ricordo anche di quando avevo cinque anni, se tutta la materia di cui ero fatto è cambiata? Dove sono stato registrato? Dov’è il disco rigido su cui è stato fatto il backup di me stesso? Non c’è. E allora perché ho memoria? E’ più probabile che la mia identità non sia fornita dalla mia struttura bio-materiale (che cambia continuamente) ma dalla funzione matematica che connette tutte le traiettorie di qualsiasi mio atomo. In altri termini: la mia identità è solo un’organizzazione di informazioni, un pensiero. Ora, se tutta la complessità che esploriamo nasconde un pensiero, e se è così ben congegnato da permetterci di esistere e di formulare una domanda sensata sull’origine del cosmo, è più che ragionevole credere che l’informazione iniziale non sia stata buttata lì a casaccio. “Penso quindi esisto” oppure “Esisto perché sono pensato”?».

La redazione

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Suicidio Magri: scelta coerente alla solitudine esistenziale

Con assoluta precisione, il suicidio di Lucio Magri fondatore del quotidiano “Il Manifesto”, viene reso noto il giorno del primo anniversario del suicidio del regista Mario Monicelli. Due persone con percorsi diversi, accomunati dalla solitudine esistenziale (i cosiddetti “senza Dio”) e dalla scelta, legittima, di chiudere la propria esistenza con un suicidio. L’uomo possiede il libero arbitrio e ha dunque il potere di scegliere quando morire. Ma il solo fatto di poter scegliere non ci rende affatto uomini liberi, è solo scegliendo il bene che l’uomo è libero, pienamente se stesso e dunque felice. La morte è il male ultimo, scegliere la morte non è scegliere il bene, chi sceglie la morte non è dunque libero, tant’è che non è felice. Chi parla di queste persone come persone “libere”, fa una grande confusione.

GESTO COERENTE PER CHI NON CREDE IN DIO. Magri e Monicelli erano credenti in altro, non in Dio. Il primo un anticlericale militante, il secondo un devoto di Sarte, che nel ’91 apriva le votazioni al PCI urlando “Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse-tung!”. In cosa si può riporre la speranza senza Dio? Nella politica? Nella rivoluzione? Nel denaro? Nel sesso? Tutte speranze effimere, illusioni, si rimane disperati (di-sperati, senza alcuna speranza).  Come dice Monica Mondo, «non basta la politica, non bastano neppure gli amici, se non sanno farti compagnia nel dolore, dare un senso al distacco dalle persone care, cercare con te un significato per vivere». Un significato adeguato all’uomo. E infatti, come già facemmo notare dopo la morte di Monicelli, anche per Magri tutti parlano di “gesto di coerenza con la sua vita”, confermando il fatto che solo per un credente, un cristiano si può parlare di incoerenza in caso di suicidio. I laici (intesi come “non credenti”) vedono dunque nel suicidio un gesto di verità e coerenza, Feltri ha parlato di “onore, non di pietà”, Englaro di “sacro rispetto” e un povero Silvio Viale ha ringraziato Magri per «il suo ultimo gesto d’amore per sé e per gli altri». Per i “senza Dio” il suicida pare dunque essere un’eroe, un uomo finalmente coerente. Da questo punto di vista ha perfettamente ragione Vittorio Messori quando dice che «l’eutanasia non è un dovere, ma un diritto per chi non condivida la prospettiva cristiana, cioè per chi ritiene inutile la sofferenza e la vita. Il dolore ha un valore altissimo solo nella prospettiva di chi crede in Gesù» (Qualche ragione per credere, Ares 2008, pag. 188).

Se dunque è pienamente comprensibile il gesto di Magri, non deve essere giustificabile e sopratutto sbandierato come modello da imitare. Mentre i laici (intesi come “non credenti”) perdono facilmente la trebisonda commentando argomenti del genere, i credenti -che sono più abituati ad affrontare questi temi senza paura o contraddizione- sembrano avere molta lucidità. Paola Binetti ricorda che Magri non era né malato né incurabile, solamente un uomo depresso, dunque con un principio di autodeterminazione offuscato. Le fa eco il professor Antonio Tundo, direttore dell’Istituto di psicopatologia a Roma, il quale si sente disturbato del «messaggio disinformativo trasmesso attraverso questo caso», ovvero che «sono depresso e ho trovato un medico disposto ad ammazzarmi. La sua malattia era curabilissima». Fa notare che tra i suoi pazienti «almeno tre o quattro su dieci dichiarano apertamente di volersi suicidare. E quasi il 15% lo programma in tutti i particolari. Negli ultimi anni c’è stato un abbassamento della soglia di comparsa. Contribuiscono bevute, spinelli, sballo, mancanza di sonno». Mario Melazzini racconta di aver contattato anche lui la clinica svizzera ma per fortuna è rinsavito perché «il desiderio di morte non è altro che una domanda d’aiuto».

LO STATO NON VA CHIAMATO IN CAUSA. Tutto questo però non c’entra con la legalizzazione dell’eutanasia. Il suicidio se è questione privata deve rimanere tale, senza chiedere che sia lo Stato ad ucciderti. Lo ha detto bene Gaetano Quagliarello: «Non entro nelle scelte personali, ma non è possibile pretendere che scelte personali, che ritengo in contrasto con il diritto naturale, le compia lo Stato». Anche il teologo Lorenzetti percorre la stessa strada: «Nessuno ha un dominio incondizionato e assoluto sulla vita, così che possa arbitrariamente decidere se, come e quando darsi la morte. Se il non credente non arriva a comprendere che il padrone della vita è Dio, di certo può comprendere che il padrone della vita non è lo Stato. Questo, di conseguenza, non può concedere a nessuno, meno che meno al medico, la licenza di uccidere». La vita è un bene indisponibile e lo Stato è chiamato a tutelare la vita dei cittadini, anche da loro stessi. Questo dovere costituzionale, in cui non è prevista l’autodeterminazione assoluta della persona, viene applicato ad esempio nella circolazione stradale (cinture di sicurezza, casco ecc..), nella legislazione antinfortunistica, nella negazione della possibilità di fare commercio dei propri organi e anche quella di disporne discrezionalmente ecc..

La vita è un bene di così alto valore, ricorda il filosofo Tommaso Scandroglio, così prezioso che posso sì interpretarlo come voglio ma rispettando un limite. Questo limite è il divieto della distruzione del bene stesso proprio a motivo del suo altissimo valore morale. L’uomo è libero di non rispettare questo limite con una scelta personale, ma non chieda aiuto allo Stato.

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Svizzera: attacco degli abortisti ad una marcia di difensori della vita

Ci sono voluti gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per interrompere la manifestazione anti-vita organizzata contro una pacifica marcia pro-life composta da circa un migliaio di sostenitori che esprimevano democraticamente le loro idee per le vie di Zurigo.

Si registra l’intervento di Joannes Bucher, direttore europeo regionale di HLI (Human Life International), il quale ha affermato che “nonostante i manifestanti anti-vita fossero in inferiorità numerica, la polizia ha dovuto adottare misure pesanti volte a mantenere l’ordine, come gas lacrimogeni e cannoni ad acqua, dato il comportamento minaccioso dei pro-choice”.

Più di mille partecipanti, con bambini e anziani, a favore della vita hanno così sfidato con calma ed educazione i vari scherni ed insulti ad opera degli abortisti. Una cosa simile è avvenuta pochi mesi fa a Torino, come documentano questi video.

Continuando, Bucher ha affermato anche: “Troviamo deplorevole che il dispiegamento di decine di poliziotti in tenuta sia diventato necessario. Un’occasione che prevede la difesa del diritto alla vita non deve imporre costi esorbitanti per il personale dei mezzi di soccorso, idranti e gas lacrimogeni sui contribuenti, anche se la colpa di ciò va interamente imputata agli anarchici, agli amanti della violenza”. Nonostante tutto si è però detto entusiasta del numero di cittadini che hanno preso parte all’evento pro-life, concludendo: “Papa Benedetto sta difendendo il patrimonio cattolico europeo, e le persone di ogni credo lottano contro la cultura della morte. Noi non siamo separati da lingua o cultura. Noi siamo uniti in questa causa”.

Qui sotto un breve video della marcia pro-life

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William Lane Craig rovescia gli argomenti di Dawkins: tre prove a favore di Dio

Il 25 ottobre 2011 presso il Sheldonian Theatre di Oxford, Richard Dawkins è stato invitato dall’associazione di studenti cristiani della prestigiosa università a difendere il suo libro “L’illusione di Dio” durante un dibattito pubblico con il filosofo e teologo William Lane Craig. L’invito è purtroppo stato rifiutato da Dawkins e la sua sedia è rimasta simbolicamente vuota, tanto che la stampa inglese l’ha accusato di essere “un codardo”, come abbiamo già avuto modo di sottolineare. Craig ha comunque tenuto il suo discorso sottolineando le debolezze degli argomenti centrali del libro del noto polemista anti-religioso. Usando gli argomenti di Dawkins contro l’esistenza di Dio, il filosofo ha voluto ribaltare le affermazioni delineando tre prove dell’esistenza di Dio.

 

1) Argomento cosmologico:

Richard Dawkins intende rilevare l’irragionevolezza del postulare un Creatore scrivendo: «Anche se ci concediamo il dubbio lusso di far comparire arbitrariamente un essere che pone fine a un processo infinito e di dargli un nome solo perché ci serve, non c’è nessun motivo di attribuirgli le proprietà di norma ascritte a Dio: onnipotenza, onniscienza, bontà, progettualità, nonché attributi umani come l’esaudimento di preghiere, il perdono dei peccati e la lettura dei pensieri più riposti».

Ma, come afferma Craig, l’argomento cosmologico non vuole indicare le caratteristiche di onnipotenza, onniscienza, bontà, creatività, capacità di ascoltare preghiere come afferma Dawkins, se per lui chiamare “Dio” la causa dell’universo è fuorviante -continua- possiamo usare un altro nome. Dawkins ha confuso (volutamente?) i piani.

William Craig, partendo dall’argomento avanzato da Dawkins, sostiene:
1. Tutto ciò che ha cominciato ad esistere ha una causa.
2. L’universo cominciò ad esistere.
3. Quindi l’universo ha una causa.

Il filosofo fa notare come esistano prove sia scientifiche che filosofiche a sostegno dell’affermazione che l’universo ha cominciato ad esistere e dunque ha avuto un inizio. Anche nel caso della reale esistenza del “multiverso”, niente verrebbe risolto perché anche questo avrebbe bisogno di una causa iniziale di esistenza. La sua argomentazione prosegue poi indicando le caratteristiche che questa causa dell’universo deve possedere, deve essere: “immateriale, atemporale,s enza cambiamento e possedere una potenza inimmaginabile”.

 

2) Argomento morale:

Dawkins per sostenere l’inesistenza di Dio diventa un estremo relativista: «Non c’è nessun design, nessuno scopo, nessun male, nessun bene, niente, ma indifferenza impietosa, noi siamo macchine il cui unico scopo è propagare DNA…».
Ma, fa notare Craig, una volta che Dawkins ha negato l’esistenza del male e del bene, si dimostra invece un testardo moralista. Lui infatti ha più volte condannato vigorosamente azioni come: molestie sessuali, discriminazione degli omosessuali, indottrinamento religioso dei bambini, il sacrificio umano. Dawkins ci propone perfino dei suoi personali “10 comandamenti” che contraddicono il suo relativismo etico. E’  il primo a non credere a ciò che scrive.

Craig, partendo dall’argomento di Dawkins, sostiene invece:
1. Se Dio non esiste non ci sono valori morali oggettivi.
2. Valori morali oggettivi esistono.
3. Quindi Dio esiste.

 

3) Argomento teleologico:

Richard Dawkins, tentando di sminuire la forza del principio antropico, si rifugia nel Multiverso e scrive: «Il multi verso potrebbe sembrare stravagante nel suo avere così tanti universi, ma se ciascuno di questi è semplice nelle sue leggi fondamentali, noi non stiamo postulando niente di altamente improbabile».

Tuttavia, Craig fa le seguenti obiezioni:
1) Nessun universo nel “multi verso” è semplice, perché è caratterizzato da una molteplicità di costanti, se tutti gli universi erano semplici perché Dawkins ha sentito il bisogno di rifugiarsi nel “multi verso”?
2) Dawkins ritiene che la semplicità del tutto è dovuta dalla semplicità delle parti che compongono questo tutto, ma questo è un errore ovvio, un mosaico complesso per esempio è composto da un grande numero di piccole e semplici parti, nello stesso modo il multi verso è complesso anche se gli universi che lo compongono sono semplici.
3) Il rasoio di Occam ci dice di non moltiplicare entità all’infuori del necessario e Dawkins fa esattamente questo per spiegare il “fine-tuning”.

Rovesciando l’argomento di Dawkins, Craig sostiene:
1. Il “fine-tuning” dell’universo può essere dovuto da: a) Necessità fisiche. b)Il caso. c) Design.
2. Il “fine- tuning” non può essere dovuto da necessità fisiche o casuali.
3. Quindi è dovuto da un Design.
La prima possibilità (“necessità fisiche”), è altamente improbabile perché le costanti sono indipendenti dalle leggi della natura. Dawkins ci fa sapere che anche Sir Martin Rees rigetta questa ipotesi e dice di essere d’accordo con lui.
La seconda alternativa (“il caso”), appare irragionevole perché è irragionevole continuare ad usare il “caso” per spiegare l’incredibilità del “fine tuning”. Consapevole di questo, deve infatti ricorrere al Multiverso per tentare di sminuirne la portata, incappando però nelle contraddizioni fatte notare poco sopra.

 

Qui sotto il video del discorso di Craig (in inglese)

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Studio canadese: rilevato comportamento volontario negli stati vegetativi

Uno studio canadese, svolto effettuando un normale elettroencefalogramma ad un gran numero di pazienti in coma cosiddetto vegetativo, ha rilevato che la gran parte di essi è molto più vigile e consapevole di quanto non si pensasse. La ricerca è stata pubblicata su The Lancet, una delle riviste mediche più prestigiose al mondo.

Questa ed altre simili ricerche rimettono in discussione presso la comunità scientifica internazionale il concetto stesso di stato vegetativo. Il New York Times ha riferito che, quando ricercatori hanno chiesto ai pazienti in “stato vegetativo” di immaginare di stringere la mano a pugno o muovere le dita dei piedi, hanno trovato che il 20% delle onde cerebrali di questi pazienti risponde esattamente nello stesso modo dei pazienti sani. Uno degli autori ha concluso che l’esperimento è «un segno forte della nostra incapacità di diagnosticare correttamente le persone in stato vegetativo».

Bobby Schindler, fratello di Terri Schiavo e fondatore di www.terrisfight.org ha commentato così la notizia: «Non solo la diagnosi di stato vegetativo è aleatoria, non scientifica e molto spesso errata, ma è anche disumanizzante essere etichettati come un vegetale. Ancora più importante e più inquietante però, è che tale diagnosi venga utilizzata come criterio per uccidere deliberatamente le persone con disabilità cognitive, come mia sorella». Terri Schiavo, in coma dal 1991, fu uccisa su richiesta del marito nel 2005, mediante cessazione dell’idratazione e dell’alimentazione, nonostante desse alcuni segnali di attività cerebrale. La notizia è stata ripresa anche in Italia da Il Sole 24 ore.

Linda Gridelli

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Chiesa, sessualità e metodi naturali: un convegno a Verona

Tutti i sostenitori della leggenda anticlericale del “sesso solo per fini riproduttivi” avrebbero dovuto partecipare all’Evento formativo intitolato “Quale orizzonte per la sessualità? Mappe, bussola, strumenti e metodi nella via dell’amore” ed organizzato dalla Confederazione Italiana dei Centri per la Regolazione Naturale della Fertilità (CICRNF) a Verona, dal 18 al 20 novembre 2011.

L’Evento ha coinciso con la celebrazione dei 20 anni di attività della Confederazione che, dal 1991, riunisce le Scuole di Formazione dei tre principali metodi naturali diagnostici per la conoscenza della fertilità e infertilità umana (il metodo dell’Ovulazione Billings, il metodo Sintotermico secondo Roëtzer e il metodo Sintotermico secondo Camen), coinvolgendo, tra sensibilizzatori, educatori e insegnanti dei metodi naturali, circa 1000 operatori sul territorio nazionale. Il Seminario si è basato su un susseguirsi di laboratori, finalizzati sopratutto all’educazione dei formatori (“che sappiano educare alla bellezza della sessualità”), all’antropologia, alla psico-pedagogia dei rapporti affettivi e della sessualità, sull’ideologia del gender, “esito di un riduttivismo antropologico e di un volontarismo filosofico che, proclamando la libertà sganciata dalla verità, non solo “rende fluidi i confini tra i generi sessuali”, ma contribuisce anche ad annebbiarli e a frantumarli”.

La CICRNF, come si legge sul suo sito web (www.confederazionemetodinaturali.it), raccoglie attualmente varie Scuole italiane che con origini, storia e metodologie diverse, sono da anni impegnate nella formazione di Insegnanti dei Metodi Naturali. La Confederazione, attraverso i suoi centri, nati tra gli anni ‘70 e ‘80 , ha radici nell’enciclica “Humanae Vitae”, di Paolo VI laddove si invitano le coppie a farsi “guide di altri sposi” (H.V., 26) e gli operatori sanitari a considerare “come proprio dovere professionale quello d’acquistare tutta la scienza necessaria in questo delicato settore, al fine di poter dare agli sposi che li consultano i saggi consigli e le sane direttive, che questi da loro a buon diritto aspettano” (H.V., 27). In questo contesto il termine “naturale” che connota la regolazione della fertilità si riferisce al comportamento sessuale della coppia, la quale, per mezzo dell’individuazione del periodo fertile e dei periodi sterili del ciclo mestruale, è in grado di realizzare la sua vocazione all’amore fondando il suo comportamento “nella natura stessa della persona umana e dei suoi atti” (G.S., 51) e rispettando il significato unitivo e procreativo dell’atto coniugale, il quale per sua intima struttura, “mentre unisce profondamente gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna” (H.V., 12).

E’ possibile approfondire il pensiero della Chiesa sulla sessualità nel matrimonio e sui metodi naturali, al di là delle tante leggende create ad hoc, leggendo il messaggio che Benedetto XVI ha inviato in occasione del Congresso Internazionale “Humanae Vitae” del 3-4 ottobre 2008: «la conoscenza dei ritmi naturali di fertilità della donna diventa importante per la vita dei coniugi. Questi metodi consentono alla coppia di amministrare quanto il Creatore ha sapientemente iscritto nella natura umana senza turbare l’integro significato della donazione sessuale […]. Questi metodi che rispettano la piena verità dell’amore dei coniugi richiedono una maturità nell’amore che non è immediata, ma comporta un dialogo e un ascolto reciproco e un singolare dominio dell’impulso sessuale in un cammino di crescita nella virtù». Molto interessante riteniamo la riflessione del compianto Bruto Maria Bruti, docente di psicopatologia dei comportamenti sessuali presso l’Università Europea di Roma.

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Anche il Messico ritiene che il matrimonio omosessuale non è un diritto dell’uomo

In Inghilterra la lobby omosessualista si è inventata un altra forma di presunta discriminazione che subirebbero i propri adepti, ovvero la stessa parola “omosessuale”. Lo ha stabilito Gary Nunn sul quotidiano The Guardian, lanciando la campagna“Basta con la parola “omosessuale”, è offensiva e discriminatoria”.

In Messico invece, dove la lobby ha minore presa, il vicepresidente della difesa dei Diritti umani dell’ufficio del Procuratore Generale della Repubblica del Messico, ha giustamente dichiarato che il tentativo di legalizzare il “matrimonio” tra persone dello stesso sesso non ha nulla a che vedere con i diritti umani. Juan de Dios Castro Lozano, che è anche consigliere giuridico della Presidenza della Repubblica, ha commentato questo durante una conferenza a Puebla il 16 novembre scorso discutendo sulla costituzione messicana. Ha sottolineato che le unioni civili per le coppie dello stesso sesso potrebbero ottenere un riconoscimento limitato, ma non quello del matrimonio. Castro Lozano ha anche espresso forte opposizione all’adozione da parte di coppie omosessuali: «L’adozione non è solo un diritto che appartiene agli adulti, ma anche ai bambini», ha detto spostando giustamente l’attenzione al diritto dei bambini di crescere con un padre e una madre.

Quella messicana (capitale a parte) è la stessa posizione assunta anche dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo nel giugno 2010, quando ha stabilito che il matrimonio tra omosessuali non è un diritto. O meglio, negarlo non significare negare un diritto, né tantomeno una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E’ stata data quindi ragione all’Austria, cui le autorità avevano rifiutato ripetutamente il permesso a contrarre matrimonio a due cittadini.

I ricorrenti sostenevano che era stato violato il loro diritto a sposarsi, come sancito dall’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e affermavano di considerarsi discriminati nel loro diritto a creare una famiglia. Il caso è arrivato fino a Strasburgo ma la sentenza conclusiva ha ribadito che gli Stati non sono obbligati, in base alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ad assicurare l’accesso al matrimonio alle coppie dello stesso sesso. I giudici della Corte europea hanno fatto inoltre osservare che in Europa non esiste un consenso al riguardo e che spetta alle autorità nazionali valutare in merito. La Corte ha anche stabilito che lo Stato che introduca tali misure non è tenuto a garantire con queste gli stessi diritti riconosciuti alle coppie eterosessuali.

Inoltre oggi, su 200 stati nel mondo solo in 11 è possibile contrarre un matrimonio omosessuale. In Europa solo in 7 stati su 45.

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E gli astronauti russi portano l’icona della Madonna nello spazio

Un’icona della Vergine ha viaggiato a 400 chilometri dalla terra. La notizia, riportata anche dal portale “Vatican Insider”, ha fatto letteralmente il giro del mondo.

Lo scorso 16 novembre, tre nuovi astronauti si sono uniti all’equipaggio della ISS: la Stazione Spaziale Internazionale. In un video girato poco dopo l’attracco (visibile qui sotto), il team, capitanato da Dan Burbank, racconta l’esperienza del volo. Sullo sfondo, accanto alla foto di Gagarin, si nota distintamente l’immagine della Vergine di Kazan. L’icona era stata donata lo scorso marzo dal Patriarca di Mosca al direttore del “Roscosmos”, l’agenzia spaziale russa.

L’icona era stata donata lo scorso marzo dal Patriarca di Mosca al direttore del “Roscosmos”, l’agenzia spaziale russa. “Spero che venga presa a bordo della navicella nel viaggio che celebrerà il 50esimo anniversario del primo lancio di un uomo nello spazio”, aveva auspicato il primate ortodosso riferendosi alla missione del Soyuz TMA-24: il modulo che sarebbe partito il 30 marzo per raggiungere l’ISS.

Come commenta il blog inglese “Protect the Pope”, “quando il cosmonauta Yuri Gagarin disse che nello spazio non vi erano segni della presenza di Dio, molti suoi compatrioti atei si entusiasmarono. E’ meraviglioso che, a cinquant’anni da quell’impresa storica, sia proprio un cosmonauta russo a portare l’immagine della Vergine nello spazio. Ora, in risposta a Russell e a Dawkins, possiamo dire che nessuna teiera di porcellana orbita attorno al sole. In compenso c’è una bellissima icona della Madre di Dio” a cui possiamo esprimere una preghiera di ringraziamento quando, alzando di notte gli occhi al cielo, “scorgeremo l’ISS muoversi velocemente da un orizzonte all’altro”.

Filippo Chelli

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Un agnostico racconta la conversione: «finalmente ecco il vero cristianesimo!»

L’americano Chad Torgerson ha voluto rendere noto il suo percorso dall’agnosticimo al cattolicesimo. Nato in un sobborgo di Chicago, è stato cresciuto nella fede luterana dai suoi genitori che non erano persone molto devote, ma volevano che i figli ricevessero comunque un’educazione cristiana. Tuttavia Chad non ha mai aderito: «Per anni sono stato un agnostico. Sulla base di ciò che imparavo a scuola, la religione non aveva alcun senso per me. La scienza era diventata la mia religione e sembrava completamente opposta a quello che avevo imparato al catechismo. La mia mente analitica mi ha portato più vicino alla scienza, e più lontano dalla fede. Per credere in Dio, dicevo, ho bisogno di una prova della sua esistenza. Non trovandola, dopo il liceo sono passato dall’essere un vero agnostico ad un vero cinico».

A causa di una serie di circostanze negative però, Chad si è trovato presto vittima della depressione e un’amicizia si è rivelata una sfida per lui: «La mia amica era una devota cristiana, una che apparteneva ad una locale “mega-chiesa”. Di volta in volta la mettevo in ridicolo per la sua fede e le sue convinzioni. Infine, mi ha sfidato. Mi ha chiesto: “Ciad, hai mai letto la Bibbia?” Naturalmente, non l’avevo fatto. Chi ha tempo per questo? Quando le dissi che non l’avevo mai fatto, mi ha sfidato dicendo: “Beh, non appena hai finito di leggerla, allora potrai mettere in dubbio le mie convinzioni”». Queste parole, continua a raccontare, hanno cambiato la sua vita: «Come un testardo, egocentrico ventenne, ero determinato a dimostrare i suoi errori. Ho deciso di leggere la Bibbia, dalla prima all’ultima pagina, e di ritornare con più munizioni. Invece di trovare munizioni contro di lei, ho scoperto una verità che non avevo mai visto prima». Questo accade a tanti che partono lancia in resta per distruggere e finiscono per sgretolare le proprie piccole convinzioni.

«Nell’autunno del 1997 mi sono definito “cristiano” per la prima volta», dice. Nei seguenti 12 anni ha letteralmente girato il mondo saltando da una chiesa all’altra. Tornato a casa un po’ confuso, ha capito di non essersi «mai sentito parte di una comunità. Alcune delle chiese che ho incontrato erano abbastanza belle, ma semplicemente non mi “sentivo” a casa», ricorda. Sulla Chiesa cattolica è sempre stato cinico: molti dei suoi amici sono cattolici e spesso finivano per discutere animatamente: «Nella mia testardaggine, non ho mai ascoltato nulla di quello che avevano da dire. Ero così testardo che ho coniato il termine “Chad-ismo”. Avevo il mio insieme di credenze, e nessuno le avrebbe cambiate», ammette Chad.

Intanto la sua ricerca continuava, anche se i predicatori cristiani che seguiva dicevano cose molto banali. Era una teologia del “sentirsi bene”, spiega, e mai approfondivano le questioni. «Era il momento di dare un’occhiata a qualcosa di diverso. Alla fine, il mio cuore ha iniziato ad aprirsi un’idea: forse era il momento di dare una seconda occhiata al cattolicesimo». Ha colto l’occasione in una uscita con il fratello ad un campus sportivo cattolico, dove è rimasto molto colpito dalla comunità. Quello è stato l’inizio dell'”arrivo a casa”: «Più di ogni altra denominazione, i cattolici sembravano essere saldi nella loro fede». Ha così iniziato il percorso di catecumenato, ovvero il percorso degli adulti che vogliono ricevere i sacramenti. Ricorda: «Avevo un sacco di domande, ma non importa quante ne facessi, c’era sempre una risposta. Cercavo ovunque, anche online, di trovare la “falla fatale” della Chiesa cattolica. Quel giorno non è mai arrivato». Grazie alla preghiera e allo studio si è poi convinto a fare il passo finale, verso la conversione e «nella notte di Pasqua, sono stato accolto nella Chiesa cattolica».

La sua “mente analitica” ha approfondito sempre più la proposta cattolica, «ho notato che era una teologia molto profonda. Molti graffiano soltanto la superficie di ciò che il cattolicesimo porta al cristianesimo nel suo complesso. Mi sono accorto che c’erano tante persone in ricerca della verità» e nel febbraio del 2011, ho lanciato il sito web wakingupcatholic.com, come un modo per condividere la sua storia con il mondo. «Un decennio dopo la mia conversione al cristianesimo originale», conclude Chad, «il mio rapporto con Cristo non è mai stato più forte, e lo devo alla bellezza, profondità, e la ricchezza della fede cattolica».

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