USA: il numero dei seminaristi ha raggiunto una cifra record

Negli Stati Uniti, 3608 candidati al sacerdozio vivono attualmente nei seminari e tantissimi di essi stanno registrando il numero più alto dei candidati al sacerdozio dagli anni ’90. Questo viene riportato dall’agenzia di stampa dei vescovi degli Stati Uniti e da diversi siti web.

Vengono citati il seminario arcidiocesano di St. Paul, nel Minnesota, dove si verifica il più alto numero di iscrizioni dal 1980, mentre il dato che arriva dal Pontifical College Josephinum in Ohio è il più alto dal 1970. Lo stesso per il Theological College di Washington, il cui rettore padre Phillip Brown si dice «enormemente impressionato per la qualità dei candidati e il loro zelo. Vediamo un vero rinnovamento del sacerdozio».

Sotto il beato Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, la Chiesa in tutto il mondo è stata davvero benedetta da un boom di vocazioni sacerdotali. Il numero dei seminaristi maggiori -si continua a leggere- è salito da 63.882 nel 1978 a 117.978 nel 2009, un incremento di quasi l’85%, superando la crescita della popolazione mondiale (58%) e la crescita della popolazione cattolica (56%) durante lo stesso periodo.

Inoltre, come riportavamo in Ultimissima 6/7/11, nel 2011 più della metà delle ordinazioni sacerdotali negli USA ha riguardato giovani con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni. Lo ha stabilito un’inchiesta è stata realizzata dal CARA del centro di ricerca dell’Università di Georgetown.

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Prof. Cavarero, da «laica e progressista» grande rispetto del messaggio Cristiano

http://multisalampx.it/sites/multisalampx.it/files/immagini/adrianacavarero.jpgTra filosofia e religione, Adriana Cavarero ha recentemente rilasciato un’esclusiva intervista su Avvenire, dove –tra le altre cose- esterna, da «laica e progressista» dichiarata, il proprio rispetto per la tradizione cristiana, l’esperienza religiosa e il sempre attuale messaggio Cristiano. La Cavarero, filosofa, docente di filosofia politica all’università di Verona, Visiting Professor presso la New York University, esperta di Platone e Hannah Arendt è una delle pensatrici italiane più apprezzate all’estero e non a caso rifugge l’etichetta di “atea”, troppo facilmente assimilabile alla frangia anti-teista militante di personaggi di ben altro rilievo come Paolo Flores d’Arcais.

La filosofa, interrogata sull’attuale concezione e critica del messaggio cristiano replica: «Preso in quanto tale, come filosofa e come non credente, questo è un insieme di testi e anche di tradizioni interpretative, che trasmettono un messaggio estremamente umano. Se io leggo come filosofa i testi cristiani, trovo invece qualcosa di molto importante nell’attenzione per la fragilità umana e la vulnerabilità. […] Ho sempre distinto molto la eterna – e intendo dire infinita – possibilità di leggere ancora i Vangeli e di interpretarli, e la validità della loro rappresentazione dell’umano non in termini violenti e guerrieri ma secondo la visione della vulnerabilità e dell’apertura all’altro. Ritengo che il cristianesimo possa sempre essere un testo fresco di nuovo e che si può continuamente interrogare. In questo senso non mi pare che il cristianesimo invecchi, o che sia sotto attacco, o che sia spazzato via».

La testimonianza della filosofa sposta la sua attenzione anche sull’ala più estrema della critica e del rifiuto del messaggio di Cristo affermando: «Diffido moltissimo di questi che lei chiama “attacchi al cristianesimo” e contro il messaggio di Cristo. Tutto questo, quando viene fatto non da specialisti, ma da dilettanti, che non sono teologi né filosofi, che non hanno una lettura attenta del testo, è solo un modo per entrare in polemica con l’oggetto più importante del pensiero, Dio. […] Piuttosto, se devo fare una lettura critica del cristianesimo – nei suoi testi fondamentali: i Vangeli, sant’Agostino, san Tommaso e così via -, la faccio attraverso grandi studiosi, per esempio mediante Emmanuel Lévinas o Hannah Arendt». Poca considerazione, quindi per gli atei militanti attuali che fanno una magra figura.

E con un giudizio su Papa Benedetto XVI conclude: «Dico la verità: mi piace dal punto di vista intellettuale. È una persona con una buonissima formazione, un uomo molto “filosofico” e davvero colto, conosce in profondità la storia del pensiero. Sento molta affinità con un tipo di studioso del genere. […] Provo una simpatia immediata verso i suoi lavori perché sento un alfabeto comune, come uno che si occupa di musica e sente molta familiarità come musicista».

Nicola Z.

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Il laico Giuliano Ferrara: «il suicidio assistito usato contro il cristianesimo»

Ancora una volta il laico e non credente Giuliano Ferrara dimostra una lucidità di giudizio senza paragoni. Lo avevamo citato in Ultimissima 26/4/11, ma vale ancora la pena soffermarsi sulla recente puntata del programma “Qui Radio Londra”, dove il direttore de “Il Foglio” ha preso posizione sul gesto estremo e pubblicitario di Lucio Magri, che ha voluto togliersi la vita a causa della depressione recandosi nella clinica della morte svizzera.

Abbiamo già avuto modo di giudicare la vicenda sostenendo che per un “senza Dio” non ci può essere alcun valore nel dolore e nella sofferenza e che è quasi un obbligo il suicidio per chi non condivide la prospettiva cristiana, un dovere di coerenza estrema. Perciò tanti vedono in queste persone degli eroi, degli esempi. Ferrara ha però posto la questione del suicidio assistito, del diritto a suicidarsi richiesto allo Stato, come sfida diretta al cristianesimo, ovvero alla visione sacra dell’uomo, alla visione che difende la vita, la sua inviolabilità, che combatte l’autodeterminazione radicale. Ancora una volta la cultura della morte sfida i cristiani.

«Quello che è sicuro è che la pratica di stato del suicidio assistito», dice Giuliano, «la pratica di business e questa generale messa in scena come messaggio culturale significa una cosa sola: via Cristo dalla faccia della terra, via le beatitudini, via il Vangelo, via quell’idea e quella concezione della persona umana per cui c’è qualcosa di misterioso che non è riducibile alla nostra libertà, al nostro potere di fare della cose». E ribadisce la sua posizione: «Io sono di questa scuola, nel senso che non si regge il mondo occidentale su queste idee estreme, radicali di autonomia dell’individuo, di potere nichilista, annientatore dell’individuo […]. In molti hanno sostenuto questo atto di libertà per sradicare il cristianesimo dalla terra. Dal punto di vista della mia felicità personale, della mia coscienza», dice infine, «preferirei che restasse».

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Premiata suora cattolica per aver sconfitto l’AIDS in Uganda (senza condom)

L’University College di Cork (Irlanda) ha premiato suor Miriam Duggan per la sua dedizione ai malati di Aids/Hiv e per l’impegno nella lotta alla pandemia in Africa. Il suo metodo, basato su fedeltà nel matrimonio ed astinenza (senza condom), ha avuto successo.

Laureata in medicina e missionaria francescana delle Sisters for Africa, la religiosa ha lavorato in Uganda come responsabile medico del St. Francis’ Hospital, Nsambya, a Kampala. Nel 1987, ha lanciato il programma di prevenzione Youth Alive, per affrontare le cause principali della diffusione dell’HIV e aiutare i giovani a fare scelte responsabili per non contrarre l’AIDS, basate su fedeltà al matrimonio e astinenza.

Grazie a questo programma, il numero dei contagi in Uganda è diminuito. Il progetto, riferisce l’agenzia Fides, è stato promosso anche in altri 21 Paesi africani. In Uganda (paese in grande maggioranza cattolico), tra il 1991 e il 2001, si è riusciti a ridurre del 10% il numero di persone infette (unico stato africano), mentre nel 2002 il tasso di prevalenza di Aids ha fatto registrare un calo dal 28,9% al 9,8%. Nel 2006 suor Miriam è stata premiata dall’Università di Harvard e dall’Holy Cross College degli Stati Uniti, e nel 2008 ha ricevuto un premio di riconoscimento per la sua opera dal Presidente e dal Parlamento dell’Uganda.

Ricordiamo che proprio a febbraio di quest’anno, un ricercatore di Harvard, Daniel Halperin, ha dato pieno appoggio alle dichiarazioni di Benedetto XVI suggerendo che effettivamente è la «riduzione nei partner sessuali» a condurre «a una decrescita delle nuove infezioni da Aids», e non una massiccia diffusione del condom. Anzi, uno studio dell’Università di Navarra ha proprio concluso che il tentativo di fermare la diffusione dell’Hiv in Africa ha avuto così poco successo anche a causa dell’insistenza sulla diffusione massiccia del preservativo, dato che esso ha solamente incoraggiato un numero significativo di persone ad intraprendere rapporti sessuali multipli, aumentando le probabilità di infezione.

Il tutto è stato confermato da Edward C. Green, direttore dell’AIDS Prevention Research Project al centro Harvard per gli Studi su Popolazione Sviluppo, il quale ha apertamente sostenuto la visione del Papa: «Il Papa è corretto, o per metterlo in un modo migliore, la migliore evidenza che abbiamo è di supporto alle dichiarazioni del Papa. C’è un’associazione costante, dimostrata dai nostrl migliori studi, inclusi i “Demographic Health Surveys”, finanziati dagli Stati Uniti, fra una maggior disponibilità e uso dei condoms e tassi di infezioni HIV più alti, non più bassi. Questo può essere dovuto in parte a un fenomeno conosciuto come “compensazione di rischio”, che significa che quando uno usa una ‘tecnologia’ a riduzione di rischio come i condoms, spesso perde il beneficio (riduzione di rischio) “compensando” o prendendo chances maggiori di quelle che uno prenderebbe senza la tecnologia di riduzione del rischio». E infatti lo stesso Green ha cambiato completamente posizione dichiarando nel 2009: «Diffondevo contraccentivi in Africa. Oggi dico che solo la fedeltà coniugale batterà l’Aids».

La redazione

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Il silenzio di Richard Dawkins e l’incapacità innovativa della selezione naturale

C’è un video che gira da anni, maggiormente promosso con tutta evidenza dal movimento creazionista, nel quale il più famoso difensore del neo-darwinismo nonché il maggiore leader dell’ateismo militante moderno, Richard Dawkins, rimane in assoluto e imbarazzato silenzio per ben 17 secondi alla domanda: “Ci può fare un esempio di una mutazione genetica o di un processo evolutivo in cui si possa vedere un incremento di informazioni nel genoma?”.

Non aderiamo affatto all’ideologia creazionista, tuttavia cogliamo l’occasione di questo per ribadire come l’interpretazione dell’evoluzione biologica fornita dal neodarwinismo risulta essere carente e scientificamente errata, nonché strumentalizzata per fini extra-scientifici.

Questo è il video:

Come si vede, Dawkins chiede imbarazzato di fermare la registrazione e poi riprende senza rispondere alla domanda. Come ha fatto notare il biologo Enzo Pennetta, che ha pubblicato recentemente questo filmato sul suo sito web www.enzopennetta.it, è abbastanza incomprensibile che non si possano mostrare casi verificati e osservabili di evoluzione in atto al di fuori della “favoletta” della solita Biston betularia, che non è affatto tale, come d’altra parte cominciano a riconoscere numerosi evoluzionisti (uno su tutti Michael Majerus, docente di Cambridge e tra i più importanti esperti di farfalle al mondo, ma anche uno dei suoi più noti promotori, Jerry Coyne). Nel migliore dei casi, infatti, si tratta di un altro esempio di microevoluzione, uno dei tanti che viene registrato continuamente (al contrario di quanto sostengono i creazionisti). Anche se, c’è perfino il dubbio nella comunità scientifica che questo tipo di farfalle allo stato selvatico si posi davvero sui tronchi di betulle, dato che si è scoperto che molte fotografie presenti sui libri di testo sono state inscenate appositamente (una sorta di Uomo di Piltdown moderno, insomma).

La selezione naturale, comunque, non può spiegare la forma e l’esistenza di tutti gli esseri viventi poiché non crea alcuna novità, non ne ha il potere. E Dawkins lo sa benissimo, come si è potuto notare, tant’è che non riesce a dimostrare il contrario. D’altra parte lo ripete da anni anche Gerd Müller, tra i più prestigiosi evoluzionisti europei, docente presso l’Università di Vienna dove dirige il Dipartimento di Biologia teorica, speaker del Center for Organismal Systems Biology e grande esperto di EvoDevo. Ha scritto nel 2003: «Nel mondo neodarwiniano il fattore motivante del mutamento morfologico è la selezione naturale, che può spiegare la modificazione e la perdita di alcune parti del corpo. Ma la selezione non ha capacità innovativa: elimina o conserva ciò che già esiste. Gli aspetti generativi e ordinatori dell’evoluzione morfologica sono pertanto assenti dalla teoria evoluzionistica» (G. Müller, “Homolgy: The Evolution of Morpholigical Organization”, Mit Press, Vienna Series in Theoretical Biology, Harvard 2003, pag. 51)

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Uno smacco per l’UAAR, l’avvocato Amato descrive i fatti…

Come informavamo ieri, l’associazione di atei fondamentalisti -l’UAAR- ha subito un’ennesima sconfitta, firmata direttamente da Giorgio Napolitano. Abbiamo chiesto a Gianfranco Amato, avvocato e bioeticista, tra i fondatori dell’Associazione Scienza & Vita di Grosseto, rappresentante per l’Italia dell’organizzazione internazionale “Advocates International” -che in questa vicenda ha rappresentato legalmente il vescovo di Grosseto Franco Agostinelli- di spiegarci nel dettaglio come si sono svolte le cose. Ne approfittiamo ancora una volta per ringraziarlo pubblicamente del suo impegno.

 
di Gianfranco Amato*
*avvocato e bioeticista

Nel novero delle stravaganti iniziative dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti, tra improbabili richieste di sbattezzo, eliminazione dei cappellani, abbattimento delle edicole religiose, cancellazione dei nomi di santi dalla toponomastica, silenziamento delle campane, cacciata delle suore dagli ospedali, e rimozione delle croci dalle cime delle montagne, vi è anche quella di intentare azioni legali contro le visite pastorali dei Vescovi alle scuole. Ne sono stato diretto testimone avendo avuto l’onore di rappresentare in giudizio, nella mia veste professionale di avvocato, Sua Eccellenza mons. Franco Agostinelli, Vescovo di Grosseto, e vittima delle azioni giudiziarie promosse dal locale circolo U.A.A.R. Questa volta ai nostri atei, agnostici e razionalisti è andata male.

Mi è stato notificato, infatti, il decreto del Capo dello Stato emesso lo scorso 6 maggio 2011, con cui si è disposto il rigetto del ricorso straordinario presentato dal coordinatore del Circolo UAAR di Grosseto, nella sua qualità di genitore di un allievo frequentante una scuola elementare del capoluogo maremmano, contro la visita pastorale di S.E. mons. Agostinelli. Nella sua motivazione il decreto del Capo dello Stato si rifà al parere n.335/2009 emesso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato nell’Adunanza del 21 aprile 2010. I giudici amministrativi hanno riconosciuto che la «questione obiettivamente delicata e complessa in linea generale, coinvolge profili che attengono alla libertà di culto e di coscienza e alla funzione di servizio pubblico degli istituiti scolastici, statali e comunque integrati nella rete della scuola dell’obbligo». Hanno però ritenuto anche di poterla «agevolmente risolvere sulla base delle norme che disciplinano l’autonomia delle istituzioni scolastiche (art. 10 del d.lgs. n. 297/1994 – con particolare riguardo al disposto del comma 3, lett. e) – e art. 4 del D.P.R. n. 275/1999); nell’ambito di tale autonomia, che è didattica e culturale, gli organi collegiali (…) possono senz’altro organizzare, sulla base della programmazione delle attività didattiche e delle proposte dei singoli docenti, opportunamente discusse e approvate, anche incontri con le autorità religiose locali, rappresentative della comunità sociale e civica con cui la scuola pubblica è chiamata ad interagire».

«Effettivamente la visita pastorale», continua il Consiglio di Stato «è avvenuta nelle ore di lezione; ma essa non si è svolta attraverso il compimento di atti di culto (eucarestia, benedizione, eccetera), ma attraverso una testimonianza sui valori, religiosi e culturali, che sono alla radice della catechesi cattolica, visti in connessione con l’esperienza religiosa e sociale della comunità territoriale; analoga iniziativa potrebbe ben essere svolta con riferimento ai valori di altre confessioni religiose o di altri orientamenti spirituali, presenti nella comunità territoriale in cui agisce la scuola, a condizione che essi siano portatori di valori coerenti con i principi di tolleranza e rispetto delle libertà, individuali e collettive, garantite dalla nostra Carta Costituzionale democratica e dal nostro ordinamento giuridico positivo». Per i giudici di Palazzo Spada «i ricorrenti in sostanza non hanno dato la prova del carattere di culto della visita di cui trattasi, con riferimento sia alle sue modalità organizzative, sia al suo effettivo svolgimento». «Del resto», continua il parere, «la visita pastorale è stata programmata e si è svolta in modo da evitare la partecipazione degli alunni e delle famiglie che comunque non intendevano aderire alla iniziativa, in modo da garantire il principio di imparzialità dell’azione amministrativa». Un analogo fallimentare tentativo dell’UAAR contro il Vescovo di Grosseto, attraverso il ricorso al T.A.R. Toscana, si è miseramente concluso con un decreto di perenzione depositato il 7 settembre 2010. Qui finisce la questione legale.

Mi si consenta, però, una considerazione di altro profilo sulla vicenda. Appare davvero incomprensibile l’ostinato tentativo di esasperare, in un Paese già lacerato come il nostro, il confronto tra laici e cattolici. Sembra proprio che qualcuno goda nel fomentare un’inutile quanto dannosa contrapposizione, un anacronistico revival delle faide tra guelfi e ghibellini. Ed è sintomatico che, negli ultimi tempi, siano proprio i cosiddetti “laici” ad alzare inspiegabilmente i toni. L’incresciosa vicenda della negata visita del Papa all’università di Roma evidentemente non ha insegnato nulla, se ancora oggi abbiamo dovuto assistere al ricorso alla magistratura da parte dell’Unione degli Atei e degli Agnostici razionalisti per impedire al Vescovo di Grosseto la visita alle scuole, nell’ambito del programma pastorale diocesano. In nome della Ragione e della Tolleranza, è partita – e fortunatamente conclusa – una simile offensiva di cui, sinceramente, dubitavamo la necessità. C’è proprio bisogno, nel particolare momento storico che attraversa l’Italia, di brandire l’arma della ragione in modo così maldestro?

Fa specie, infatti, constatare che proprio chi si proclama, se pur ateo o agnostico, “razionalista”, chi invoca la razionalità galileiana, non dimostri in realtà nessuna passione per quell’uso ampio e allargato della ragione da cui dipende originalmente tutta la nostra scienza e, più ancora, l’immediato futuro della nostra convivenza e civiltà. Come ha evidenziato lo stesso discorso di Benedetto XVI, censurato nella “laica” università della Sapienza, se la ragione diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea, ed italiana in particolare, ciò significa che se la ragione vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma. Di fronte ad una ragione a-storica – ricordava sempre il Papa in quel celebre discorso mai pronunciato – che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale (la sapienza delle grandi tradizioni religiose) è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee.

In questo contesto e in un’ottica davvero “laica” va recuperato il senso della tradizione culturale religiosa che è incontestabilmente alla radice della nostra civiltà, del nostro comune sentire dello stesso uso adeguato della nostra ragione. E in questo contesto si inserisce anche la figura e l’attività pastorale del Vescovo di Grosseto, così come quella di tutti i vescovi di tutte le diocesi del mondo. Ora, nessuno può osare mettere in dubbio il diritto di opinione critica che spetta a chiunque, ivi compreso gli atei e gli agnostici razionalisti. Sarebbe, però, buona cosa farlo civilmente o quantomeno senza usare gli armamentari arrugginiti di un anticlericalismo ottocentesco, ormai quasi folcloristico. Non serve l’accecamento ideologico di un laicismo positivista ottuso e battagliero. Né serve confrontarsi su temi così delicati in un’aula di giustizia, come hanno fatto i ”razionalisti” grossetani. Mi permetto sommessamente di far presente ai membri dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, che è solo mediante un dialogo onesto ed un confronto sereno che si superano gli steccati del fanatismo e dell’intolleranza. Non attraverso temerari ricorsi al Capo dello Stato o ai Tribunali Amministrativi Regionali.

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Strategia del linguaggio gay: che cos’è realmente l’omosessualità?


 
di Adamo Creato*
*ex omosessuale

 

Il sorprendente seguito che i cosiddetti “diritti gay” registrano rappresenta il trionfo dell’inganno sulla semplice logica. Anche le persone intelligenti arrivano immancabilmente a conclusioni che fanno acqua da tutte le parti. I simpatizzanti dei “gay” non sono necessariamente più creduloni degli altri, sono semplicemente portati ad accettare delle conclusioni senza prima esaminarne le premesse. Chi decide il significato delle parole controlla il dibattito e, nel nostro caso, i termini sono stati definiti (e inventati) dai sofisti del movimento omosessualista. Il sofisma è l’arte greca di persuasione attraverso un falso e sottile ragionamento. La chiave per superare i sofismi, quindi, è quella di semplificare e chiarire ciò che è stato intenzionalmente reso complesso e vago. Bisogna iniziare a definire i termini e i concetti utilizzati negli argomenti del dibattito. Si scopre così che la maggior parte degli argomenti a sostegno dei “diritti dei gay” dipendono da falsi presupposti  e da termini volutamente ambigui. In pratica “fumo negli occhi”. Tra i termini e i concetti più comunemente usati dagli omosessualisti troviamo, ad esempio, omosessualità, orientamento sessuale, eterosessismo, omofobia, tolleranza, ecc. Queste parole sono usate per forzare la questione dell’omosessualità nel contesto dei diritti civili. Un contesto, questo, scelto per favorire l’assimilazione dei “gay” a vittime e mettere i loro avversari nella posizione di oppressori.

Che cos’è l’omosessualità ad esempio? Qualcuno potrebbero essere tentato di saltare questa parte perché pensa di conoscere già questo termine commettendo il primo errore. Con la mancanza di chiarezza sui termini essenziali si cade immediatamente intrappolati da ipotesi errate. La definizione di omosessualità non è così evidente come si potrebbe pensare. Fino al 1986, l’omosessualità è stata universalmente definita come “condotta sessuale con persone dello stesso sesso“. Un omosessuale, quindi, era colui (o colei) che metteva in pratica tale condotta. Il movimento omosessualista si accontentava di questa definizione, secondo la quale il termine “omosessualità”  aveva senso solo in relazione al comportamento sessuale con lo stesso genere. Dopo il 1986, gli omosessualisti hanno cominciato a ridefinire l’omosessualità come una “condizione normale e immutabile equivalente all’eterosessualità“, uno “stato d’essere”, quindi, completamente indipendente dal comportamento.

I motivi di questo cambio di strategia da parte degli attivisti gay è presto detto: nel 1986 la Corte Suprema degli Stati Uniti, chiamata a pronunciarsi sul caso Bowers contro Hardwick, ha confermato il diritto degli Stati di considerare reato alcuni comportamenti sessuali. Il movimento “gay” aveva sostenuto che la sodomia omosessuale doveva essere considerata dalla Corte come un diritto fondamentale, riguardante la sfera privata, non diverso dai rapporti sessuali coniugali. La Corte respinse fermamente tale argomento e il diritto costituzionale degli Stati di regolare la condotta omosessuale rimase legge. Veniva così ostacolato l’obiettivo di legittimare il comportamento omosessuale considerandolo un diritto fondamentale. L’unico argomento rimasto, col quale si poteva pretendere una protezione costituzionale, era riuscire ad accedere allo “status di minoranza“. La Corte Suprema degli Stati Uniti, però, riconosce lo status di minoranza solo per quei gruppi che: 1) hanno subito una storia di discriminazione, 2) sono incapaci di difendere se stessi, 3) sono definiti da caratteristiche immutabili.

Ecco perché il movimento “gay” ha avuto assoluto bisogno di negare che l’omosessualità sia basata su un comportamento, insistendo sul fatto che è innata e immutabile. Non è più questione di scienza, ma si tratta di una strategia giuridica e politica. Il problema è che non è possibile provarlo perchè non esiste un mezzo obiettivo per accertare se una persona è per sua natura omosessuale. Non si può fare un esame del sangue o test del DNA per dimostrare che “si è gay”. Dobbiamo dipendere unicamente dalla pretesa di una persona che dichiara che la sua omosessualità è innata. Chiaramente questo rende tale elemento di prova totalmente inaffidabile: auto-dichiararsi omosessuali non prova che la propria omosessualità è innata. Sulla questione della scelta, dobbiamo anche osservare che tutti i rapporti sessuali, eccetto lo stupro (ogni genere di violenza sessuale), sono atti volontari tra almeno due persone, e dunque, ogni atto sessuale implica una scelta consapevole. Oltre tutto, anche se l’inclinazione di una persona verso una forma di comportamento sessuale potrebbe, per varie ragioni, non essere consapevolmente scelta, la sola esistenza del desiderio non giustifica l’atto. Altrimenti bisognerebbe accettare come validi l’adulterio e la pedofilia. Esistono, infine, molti “gay” che ammettono liberamente che il loro stile di vita è una preferenza volontaria.

Paradossalmente, gli omosessualisti non vogliono neppure che sia trovata una causa biologica. Se la scienza dovesse identificare una causa biologica dell’omosessualità, quel giorno inizierebbe la “corsa alla cura” da parte di uomini e donne omosessuali anche se, in pubblico, continuerebbero a dichiarare il loro orgoglio gay. Dal momento che gli omosessualisti non possono dimostrare che gli omosessuali sono “nati così”, essa rimane solo un’ipotesi la quale non giustifica la modifica di politiche sociali abbondantemente collaudate. Non è la società che deve dimostrare che l’omosessualità non è innata, ma sono gli attivisti “gay” ad avere l’onere della prova. Al contrario, vi è abbondanza di prove che l’omosessualità non è innata: esiste un considerevole numero di testimonianze di migliaia di uomini e donne che una volta vivevano come “gay”. Questi “ex gay” hanno rinunciato al loro stile di vita precedente e molti sono tornati eterosessuali (in quanto ad auto-identificazione e nei desideri), mentre altri si sono fermati al raggiungimento della libertà da desideri omosessuali. La lotta del movimento omosessualista contro gli ex omosessuali (ovvero di dimostrare che essi in realtà non avevano una omosessualità innata oppure che mentono), è cruciale  perchè essi si posizionano in prima linea per smentire l’immutabilità omosessuale. L’odio dimostrato nei confronti degli ex omosessuali è causato proprio dalla questione dell’immutabilità. Una persona che lascia l’omosessualità è la dimostrazione vivente che essa è mutabile.

L’unica definizione accettabile di omosessualità risulta essere quindi: condotta sessuale con lo stesso genere. Un “gay” è una persona che definisce se stessa come colei che mette in pratica (o ha il desiderio di mettere in pratica) tale condotta. I sostenitori della tesi “nato così” dovrebbero riconoscere che non possono dimostrare la verità della loro tesi, e che dal momento che non possono provarlo, devono ammettere la possibilità che l’omosessualità può essere acquisita, senza discriminare gli ex omosessuali.

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Il bioingegnere Smith: «i media tacciono sui successi delle staminali adulte»

Tra i più importanti diretti oppositori dell’ateo bioeticista pro-infanticidio Peter Singer, c’è sicuramente Wesley J. Smith, consulente per la International Task Force on Euthanasia and Assisted Suicide, consulente speciale per il Center for Bioethics and Culture, nel 2004 è stato nominato dal National Journal come una dei massimi esperti della nazione in bioingegneria per il suo lavoro in bioetica. Collaboratore con i più importanti quotidiani americani (dal New York Times al Washington Post), si batte contro l’eutanasia e il suicidio assistito e sostiene la teoria della “eccezionalità umana”.

Smith ha recentemente parlato della ricerca con le cellule staminali, accusando i media di «non aver dato copertura ai benefici di gran lunga superiore delle cellule staminali adulte». Ha spiegato che il successo delle cellule staminali adulte «è stato ignorato del tutto, o in genere sottovalutato». Come esempio ha citato il basso profilo usato dai quotidiani nel riportare la notizia che la californiana Geron biopharmecuetical ha annunciato il 18 novembre di aver interrotto il programma di ricerca sulle embrionali perché completamente improduttivo (cfr. Ultimissima 22/11/11).

il bioingegnere ritiene che i media hanno semplicemente scelto di gonfiare le notizie sui successi delle embrionali («finora, quasi esclusivamente negli studi sugli animali») e sottovalutare la ben più utile ricerca sulle cellule staminali adulte. Il motivo? E’ sempre il solito, la guerra alla Chiesa. Ha infatti parlato di “disprezzo per il punto di vista pro-life”, così come di sentimenti “anti-cattolici”. In questo modo «il malcostume che affligge la cronaca è doppiamente deplorevole, poiché non solo i redattori e giornalisti minano alla reputazione dei media, ma molte persone che soffrono assieme alle loro famiglie vengono illuse e non riescono ad apprendere notizie di vera speranza dalla ricerca sulla medicina rigenerativa».

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Napolitano zittisce l’UAAR: i vescovi possono fare visita nelle scuole

Per tutto l’1 dicembre 2011 il sito web dell’UAAR, l’associazione di atei fondamentalisti, ha pubblicato notiziole di gossip religioso, tenendo all’oscuro i propri adepti dall’ennesimo fallimento subito dall’associazione, nonostante diversi quotidiani ne parlino in prima pagina.

Oltre a voler esaminare scientificamente l’Eucarestia per trovare la presenza di Dio (cfr. Ultimissima 3/2/11 ), l’UAAR ha fatto ricorso contro il vescovo di Grosseto, Franco Agostinelli, e il terzo Circolo didattico della città toscana che nel 2007 aveva autorizzato il dialogo fra il presule e gli alunni della scuola elementare di via Sicilia. Ma oggi il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha respinto tale ricorso affermando che la visita pastorale in una scuola pubblica si può fare, anche se c’è chi vorrebbe impedirla. Un vescovo ha tutto il diritto di incontrare i ragazzi in aula e questo non è «in contrasto con le garanzie di autonomia culturale e libertà di culto» sancite dalla Costituzione e che, anzi, è una «testimonianza sui valori» che fondano «l’esperienza religiosa e sociale di una comunità», si legge nel parere della seconda sezione del Consiglio di Stato che il presidente della Repubblica ha posto a fondamento della sua decisione. Qui si può leggere il documento ufficiale.

L’avvocato Gianfranco Amato, che ha rappresentato Agostinelli in giudizio, afferma: «Si tratta del primo precedente che affronta la questione della visita pastorale in un istituto statale. Ed è uno smacco per l’Uaar. Perché definisce un orientamento preciso di cui si dovrà tenere conto e perché potrà essere utilizzato nei procedimenti che sono pendenti di fronte ai Tar di alcune regioni». Dunque, ancora una volta -così come è accaduto per il tentativo di rimuovere i crocifissi nelle aule (conclusosi con la creazione di un precedente fondamentale in tutta Europa e l’aumento del numero di simboli religiosi nelle scuole), bisogna davvero ringraziare l’UAAR per le sue battaglie che riescono sempre a colmare dei vuoti legislativi sulla presenza religiosa nella società e promuovere con grande efficacia il concetto di laicità positiva. Tutti ora in Italia sapranno che per il Consiglio di Stato, «l’autonomia delle istituzioni scolastiche consente agli organi collegiali di programmare anche incontri con le autorità religiose locali, rappresentative della comunità sociale e civica con cui la scuola pubblica è chiamata a interagire». Ne tengano conto i presidi e coordinatori scolastici!

Lo stesso Gianfranco Amato ironizza sull’UAAR dal sito di Cultura Cattolica: «Finalmente un freno alla arroganza laicista! Mi permetto sommessamente di far presente ai membri dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, che è solo mediante un dialogo onesto ed un confronto sereno che si superano gli steccati del fanatismo e dell’intolleranza. Non attraverso temerari ricorsi al Capo dello Stato o ai Tribunali Amministrativi Regionali», anche perché ancora una volta si sono rivelati controproducenti. La notizia è per ora apparsa con un ottimo titolo in prima pagina su Il Messaggero, con lo stesso titolo su Il Gazzettino e sul blog di Andrea Tornielli, vaticanista de La Stampa.

Informiamo anche che la setta degli atei razionalisti italiani (come la chiamano gli ex adepti, si veda Ultimissima 31/3/11), ha portato parallelamente avanti un iter burocratico in cui chiede in modo imbarazzante di poter essere riconosciuta dallo Stato come “confessione religiosa” aspirando così al tanto invidiato 8×1000. Come riportavamo in Ultimissima 25/4/10, nel Ricorso straordinario al Capo dello Stato del 30/5/1996 il presidente Carcano & Co si lamentano perché «è stato disconosciuta la qualificazione non solo di confessione religiosa, ma anche quel­­la di associazione religiosa: ma un’u­­nione di atei non è né una società sportiva né un partito politico può essere qualcosa di diverso da una associazione con fine di religione. La qualità oggettiva di associazione religiosa di ogni gruppo di ateismo militante è rafforzata dal­l’auto­in­ter­pre­ta­zio­ne effettuata dai soci all’interno della loro libertà di associazione: e l’UAAR, come si è detto, si interpreta come religione». E ancora: «l’ateismo non potrebbe nemmeno essere distinto dalla religione per un altro motivo: infatti la soglia di distinzione tra religione e non religione è mobile e dipende dalla definizione adottata». L’UAAR vorrebbe che lo Stato riconoscesse «il soddisfacimento del bi­­sogno religioso dell’ateo», il quale «si manifesta nella critica alle religioni», anche se ha pure «delle manifestazioni positive». Un vero e proprio delirio, insomma. Tutto questo per avere «vantaggi di tipo patrimoniale (attribuzione dell’otto per mille del gettito IRPEF, deducibilità del­le erogazione liberali dei fedeli) e non patrimoniali (ac­cesso al servizio radiotelevisivo pubblico e riserva di frequenze; insegnamento dottrinale su richiesta nelle scuo­le pubbliche.

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Se perfino “L’Unità” celebra l’operato della Caritas…

In occasione del 40° anniversario della Caritas Italiana, perfino l’ex organo di stampa del PCI ha dovuto riconoscere l’impegno della Chiesa nel mondo: «Quando si è stretti nella morsa degli usurai o quando improvvisamente ci si scopre poveri. Quando si è persa la casa e gli affetti e con loro la dignità e l’umanità. Per chi vive queste situazioni drammaticamente «consuete» in questi tempi di crisi, incontrare la Caritas significa trovare un ricovero, una risposta al bisogno immediato, avere di fronte qualcuno disposto con competenza di ascoltare e prendersi cura. È un’occasione per risalire la china dell’emarginazione sociale».

Il vaticanista dell’Unità, Roberto Monteforte, continua: «E’ stato così per tanti in questi anni. Qualcosa di più della semplice assistenza e di diverso dall’elemosina. Un presidio di umanità. Sia per chi ha usufruito dei servizi, sia per quell’esercito di volontari che hanno arricchito di senso loro vita». E probabilmente con grandissimo disappunto da parte di Marco Politi, non esita a dire: «È un merito della Chiesa italiana».

Il giornalista parla della grande ramificazione della Caritas sul territorio nazionale, «una presenza spesso scomoda per il potere e per le istituzioni. Un testimone straordinario di questa fedeltà al Vangelo e all’uomo è stato nella Roma degli anni ‘80 monsignor Luigi Di Liegro. Il primo direttore della Caritas diocesana era in prima linea dove scoppiavano le emergenze: tra i senza casa che avevano occupato i locali abbandonati della Pantanella, tra i malati di Aids, tra i poveri e i barboni cui assicurava un tetto, un pasto caldo, assistenza sanitaria e accoglienza. Di Liegro invitava a guardare alle cause del disagio, alle ingiustizie che offendevano l’uomo. Senza timore ha denunciato chi speculava sulle aree e sul lavoro. Perché considerava la fedeltà al Vangelo più forte del potere economico e politico, della difesa degli interessi dei potenti. Ha pagato il prezzo dell’incomprensione e dell’isolamento, ma la sua testimonianza ha reso credibile la Chiesa di Roma e ha dato frutto».

La Caritas si è ramificata nelle parrocchie, continua. Ha operato nelle zone di frontiera più difficili. Giovani, minori, immigrati, donne in difficoltà, anziani soli ed oggi sempre più i «nuovi poveri»: «gente normale», di ceto medio, precipitata improvvisamente nel disagio, aiutati dai «centri di ascolto», dagli «Osservatori delle povertà» e dai «laboratori» delle parrocchie e gli oltre 14 mila servizi socio-sanitari.

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