Il neonatologo Bellieni risponde alle banalità di Stefano Rodotà sulla Fiv

Il docente di Terapia intensiva neonatale all’Università di Siena, Carlo Bellieni, membro della European Society of Pediatric Research, del Direttivo nazionale del Gruppo di Studio sul Dolore della Società italiana di neonatologia e del Comitè Scientifique des Journèes Francophones de Rècherche en Nèonatologie, ha risposto per le rime a Stefano Rodotà, docente di Diritto civile presso “La Sapienza” di Roma e classico militante anticlericale ex PCI dai capelli bianchi. Uno che ritiene, tanto per intendere il livello di fondamentalismo, che “l’obiezione di coscienza dei medici vada semplicemente abolita”, come ha scritto il 3 dicembre su “Repubblica”. Su “Liberazione” del 27 novembre, il guru dei “pro-death” italiani ha invece sostenuto che da quando esiste la procreazione assistita «è possibile sapere se, quando e come procreare». Al che, il neonatologo Bellieni ha risposto in modo molto pertinente e scientifico.

Innanzitutto ha respinto l’affermazione che con la Fiv si possa davvero decidere “quando procreare”. Innanzittuto perché dopo una certa età la fecondazione assistita non funziona più, o comunque funziona poco, e quindi «l’ipotesi che con la Fiv si riesca a procreare “quando si vuole”, ohimè salta». Oltretutto se ci lascia illudere da Rodotà e «non si sta attenti a questa regola, si rischia di procrastinare la procreazione illudendosi che comunque “tanto c’è la Fiv”, e invece si resta a bocca asciutta».

Bellieni passa poi a smontare l’idea che con la Fiv si può davvero scegliere “come” procreare. E’ il momento di parlare dei tanti rischi legati a questa pratica, il più possibile nascosti dalla cultura della morte: «per la donna i rischi da stimolazioni ormonali per produrre ovuli, e per il bambino un maggior tasso di prematurità, gemellarità e purtroppo anche di malformazioni sono dati che si possono ricavare da una semplice ricerca su un qualunque motore di ricerca medico affidabile, dunque sono verificabili, noti a tutti i medici». I quali mostrano che «il rischio c’è ed è maggiore della popolazione generale». Un riferimento su tutti: la metaanalisi pubblicata dal Lancet (28 luglio 2007) e da Best Practice & Research (21 febbraio 2007). Dunque, continua il neonatologo, «si “sceglie come procreare”, o sarebbe meglio dire che “in certi casi ci si arrende all’evidenza e si ricorre alle tecniche mediche che non sono pari a zero”?».

E infine l’assurdità che con la Fiv si possa “decidere se procrerare”. Lo scienziato risponde: «per me, nel mio mondo “naturistisco”, fare figli è naturale. Scegliere di non farne è un’eccezione. Perché esiste nelle scelte biologiche un comportamento naturale: si chiama “ecologia”, e non è una cosa da bigotti, ma da scienziati. Proprio su questo tema scrissi assieme a degli ecologisti un libro intitolato “Ecologia della gravidanza” (Edizioni SEF), per spiegare che il corpo umano deve essere riscoperto nella sua interezza, e che ha delle regole. E la prima regola è che le ovaie e i testicoli stanno lì per procreare, come gli occhi non stanno lì per riempire le orbite, ma per ammirare il sole all’orizzonte o il volto di un’amica. Ma, infine, ci voleva la Fiv per decidere se procreare?», afferma ironico Bellieni.

Analizzando la produzione scientifica degli ultimi anni, conclude il docente di neonatologia, «ci sono più studi e scoperte che rendono ragione di quello che la Chiesa afferma, di quante portino la nostra conoscenza in senso opposto».

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Il direttore del CERN invita Benedetto XVI: «sarebbe un ospite molto gradito»

Il direttore del Cern di Ginevra, ovvero l’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare e il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle ha invitato Benedetto XVI a fare visita ai laboratori.

Il fisico Rolf Heuer, responsabile da due anni del Cern, ha partecipato ad una intervista per Repubblica, rispondendo alla solita giornalista da strapazzo Elena Dusi, la quale ritiene che il dialogo fra scienza e fede non sia mai stato difficile come oggi (sempre lei, per intenderci, è quella che scrive sempre “trovato il gene della felicità”, “trovato il gene del linguaggio”, “trovato il gene del pentimento” ecc..). Heuer le risponde: «I rapporti fra Cern e Vaticano sono molto buoni, ho avuto un incontro con papa Benedetto XVI nel giugno 2011. All’inizio del prossimo anno abbiamo in agenda la visita di un gruppo di cardinali al Cern». Queste le sue parole dopo l’incontro con il Pontefice.

Entrando più nel merito, sostiene: «La domanda su cosa esistesse prima del Big Bang riguarda noi tutti, non solo gli uomini di fede. Ma il rischio di incomprensioni è alto, soprattutto a causa di una mancanza di vocabolario comune. Chiesa e scienza devono lavorare per far coincidere i significati delle parole che usano, ma se riusciamo a superare questa difficoltà, il dialogo può portarci lontano. La teologia, la filosofia e la fisica sono tutte facce del sapere umano. Nessuna può escludere le altre».

E concludendo afferma: «Se il papa stesso deciderà di visitare il Cern non spetta a me deciderlo. Ma lui sa di aver ricevuto un invito. Sarebbe un ospite molto gradito». Recentemente Heuer ha partecipato, assieme ai migliori fisici del mondo, ad un incontro di scienziati organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze in Vaticano e intitolato “Subnuclear Physics: past, present and future” (cfr. Ultimissima 10/11/11).

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E’ ufficiale: la Spagna ha guadagno 480 milioni dalla GMG 2011

Finalmente è arrivata la notizia ufficiale che dimostra ancora una volta la falsità delle notizie diffuse da militanti anticlericali e anticattolici. Prima, durante e dopo il grande evento cattolico di quest’estate, la Giornata mondiale della gioventù svoltasi a Madrid in agosto, le varie lobby anticlericali hanno infatti alzato appositamente un polverone sui presunti costi che lo Stato spagnolo avrebbe dovuto subire.

Tuttavia, fin da giugno 2011 il direttore finanziario della GMG, Fernando Giménez Barriocanal dichiarò che la manifestazione non avrebbe chiesto nulla alla pubblica amministrazione, ma il 30% del denaro sarebbe provenuto da fondi privati ​​e il restante 70% dai partecipanti. Pochi giorni prima dell’inizio della GMG spagnola, le parole di Barriocanal vennero confermate dal capo del Madrid’s Housing and Economy Office, Percival Manglano, il quale aggiunse anche che secondo i calcoli la manifestazione avrebbe addirittura portato 143 milioni dollari all’economia spagnola.

Ma tutti sanno quanto possono essere prigionieri della loro ideologia i sedicenti “liberi pensatori“, ed infatti queste rassicurazioni non vennero nemmeno prese in considerazione e furono organizzate (costose) manifestazioni anticattoliche nelle quali si condannavano le enormi spese che avrebbe portato la GMG. Ricordiamo anche l’accoglienza che pellegrini cattolici ricevettero al loro arrivo a Madrid da parte dei membri delle associazioni di atei e agnostici, basata su aggressioni fisiche, insulti e minacce come documentano questi video.

Nell’ottobre 2011 è comunque arrivata una prima conferma di quanto detto dagli organizzatori e dal Comune di Madrid prima dell’evento: la Comunità di Madrid ha infatti calcolato che la GMG ha prodotto un aumento di 199 milioni di dollari nel prodotto interno lordo della regione. Il contributo economico è stato anche riconosciuto dal Concistorio di Madrid che ha assegnato all’evento cattolico il “Premio Turismo” del Comune di Madrid, ritirato dal cardinale Antonio Maria Rouco Varela, per aver promosso la città a livello internazionale. La GMG è stata anche classificata come “Patrimonio Nazionale”. Secondo le statistiche del Governo, dopo la Giornata Mondiale della Gioventù la capitale spagnola ha infatti registrato un aumento (storico) del 42 per cento del numero di visitatori stranieri rispetto all’agosto 2010.

In questi giorni, come se non bastasse, è arrivata la definitiva dichiarazione ufficiale. Uno studio realizzato da PriceWaterhouseCoopers (PwC) ha indicato che la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid ha significato un’entrata di 476 milioni di dollari, di cui 37 milioni sono stati incassati dallo Stato in ragione dell’Imposta sul valore aggiunto (Iva). Secondo lo studio, presentato il 30 novembre, il 90% dei 476 milioni sono rimasti a Madrid, e gli altri si sono divisi fra le città che parteciparono agli eventi preparati nelle diocesi come preparazione alla Giornata. La GMG ha permesso inoltre la creazione di 4589 impieghi, 2984 di essi a Madrid.

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Studio inglese: il comportamento transessuale spiegato con l’autismo?

Circa sei mesi fa, il 5 maggio 2011, i siti di divulgazione scientifica annunciavano la pubblicazione di uno studio finanziato dal Medical Research Council (MRC) e pubblicato sul “Journal of Autism and Developmental Disorders”.

Esso ha importanti implicazioni per capire meglio il cosiddetto “Gender Identity Disorder” (GID), ovvero la patologia di cui soffrono, secondo il “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders” e “l’International Classification of Diseases”, le persone transessuali. Esso, come stabilisce questo lavoro del professor Simon Baron-Cohen, direttore dell’Autism Research Centre presso l’Università di Cambridge, deriverebbe da forme di autismo, presenti fin dalla giovinezza.

La transessualità, seppur considerata un disturbo psichiatrico, è l’unica a non essere trattata come tale poiché i tentativi che si fecero negli anni ’60 (con metodi risalenti ad anni ancora precedenti), non funzionarono. I ricercatori hanno stabilito che sopratutto i “Transmen” (femmine che pensano di essere maschi) mostrano un incremento di 11 volte di tratti autistici rispetto ai maschi tipici. «Noi ipotizziamo», scrivono i ricercatori, «che questo aumento del numero di tratti autistici abbia impedito di essere assimilati in un gruppo di coetanee femmine, facendo gravitare la persona verso i maschi. Questo può anche avere portato a difficoltà di socializzazione in un gruppo di femmine di pari età e una sensazione di maggiore appartenenza da un gruppo maschile, aumentando così la probabilità di Disturbo dell’identità di genere (GID)».

«All’interno del gruppo di 198 transwomen», invece, «ci sono stati 6 individui (cioè il 3%) con una diagnosi di autismo. Questo tasso è circa 3 volte di più che nella popolazione generale». Ma lo studio è concentrato sui “Transmen” e «in conclusione, questa ricerca fornisce la prova che i transmen hanno un elevato numero di tratti autistici», concludono gli scienziati, così che queste persone «credono di avere la mente di un ragazzo nel corpo di una ragazza».

La redazione

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Gli atei integralisti dell’UAAR compiono 25 anni, l’UCCR festeggia

L’UAAR compie 25 anni. Qualcuno se n’è accorto? No. Venticinque anni di aggressivo fondamentalismo ateo non sono poi molti se si paragonano ai 72 anni di ateismo di Stato dell’Unione Sovietica. Eppure, la presenza dell’UAAR è gravida di conseguenze, in massima parte positive per i credenti. Non ce ne vogliano i nostri amici uaarini, ma anche noi ci sentiamo di festeggiarli in qualche modo.

Nata da quattro o cinque perditempo in una pizzeria di Padova nel noioso dicembre dell’1986, si decise fin da subito che i soci fondatori avrebbero dovuto essere 12, giusto per imitare gli altri 12, quelli più famosi del primo secolo. Come primo segretario venne messo un tipo di nome Romano Oss, che fondò anche la rivista ufficiale, “L’Ateo” (la cui massima diffusione oggi si registra tra i 69 abitanti del comune di Maccastorna, in Lombardia). Qualcuno dice che Oss amasse firmare i documenti anteponendo il cognome al nome, e diventando quindi Oss Romano. Già, proprio come il quotidiano del Vaticano, la catto-dipendenza dell’UAAR non è mai stata troppo celata. Lo scettro passò poi per un anno a Luciano Franceschetti, il quale fece una cosa sola: collaborare al libro intitolato -guarda caso- “Anticatechismo”. Dopo un mese venne cacciato dal congresso uaarino, Oss non ne volle sapere di ritornare e allora Rizzotti (uno dei fondatori) dovette ripiegare sul piccolo (in tutti i sensi, vedi foto) Giorgio Villella: “o fai tu il segretario o si rischia di chiudere baracca e burattini”, più burattini che baracca. Zitto zitto Villella stette avvinghiato al trono fino al 2007, quando cedette finalmente il potere al mitico impiegato part-time e cultore di musica tribale, Raffaele Carcano.

Le uniche note importanti da segnalare nei primi 17 anni (1986-2003) sono il cambiamento di nome dell’associazione, da AAAR a UAAR (si preferì infatti passare dallo “sbadiglio” al “rutto” per ragioni meramente fonetiche), la nascita in anteprima nazionale della strepitosa mailing list «ateismo», qualche partecipazione tra anarchici e Gay pride per raccattare un po’ di adepti e uno spassosissimo articolo di Avvenire nel quale, riferendosi all’UAAR in occasione di un Congresso nazionale nel 1998, scriveva: «gli agnostici della penisola devono dosare le energie perché sono pochi: esattamente 176, meno dei panda in Cina. Nella sala si sprecano capelli brizzolati, barbe sapienti (ma borghesucce) alla Scalfari, occhiali da miope con catenella; giovani scarsi davvero. Gli atei italiani sono in crisi, e poco vale consolarsi con i dati (più volte citati) del calo della pratica religiosa». Dicono che ancora oggi, almeno una volta all’anno, Villella si faccia un giro in Cina a controllare se il numero dei panda stia superando quello degli uaarini.

Segnaliamo anche un significativo articolo del 2000, questa volta de Il Corriere della Sera, il cui vice caporedattore della Cultura definì l’UAAR come «quel che è rimasto della fede ottocentesca nel positivismo», la cui «parola d’ordine dunque è: lotta contro ogni fede». I seguaci della setta razionalista vengono definiti come «militanti puri e duri dell’ ateismo», e anche loro «hanno un Messia: Darwin, e soprattutto hanno una fede certa, granitica, incontestabile: “L’ uomo non si e’ solo evoluto da una scimmia: l’ uomo è una scimmia”», citando le parole di Oss Romano. L’orientamento religioso dell’associazione è comunque confermato nei suoi documenti ufficiali, dove si legge che l’UAAR «non può essere qualcosa di diverso da una associazione con fine di religione. La qualità oggettiva di associazione religiosa di ogni gruppo di ateismo militante è rafforzata dal­l’auto­in­ter­pre­ta­zio­ne effettuata dai soci all’interno della loro libertà di associazione: e l’UAAR, come si è detto, si interpreta come religione». Ha chiesto infatti al Capo dello Stato di essere riconosciuta come “confessione religiosa”, di poter ricevere l’8×1000 così da compiere il ««soddisfacimento del bi­­sogno religioso dell’ateo».

Il 4 novembre 2007 finalmente arriva sulla scena Raffaele Carcano, come dicevamo, e la musica cambia all’istante. L’intraprendente Carcano subito lancia a Genova l’assurda campagna degli ateobus. Prima iniziativa di livello nazionale e primo fallimento completo, critiche e risate da ogni dove, e perfino prese di distanza da parte dei guru dell’ateismo italiano, Corrado Augias prima e Piergiorgio Odifreddi dopo. Poco tempo dopo ci riprova e si convince nello sprecare quasi 2000€ nel finanziamento di una seconda Sindone di Torino, il cui unico scopo –come ha fatto notare il fisico Di Lazzaro, dirigente di ricerca presso l’Enea di Frascati (e tanti altri ricercatori)- è stato quello di confermare l’impossibilità a riprodurre l’immagine presente sul Sacro Lino, attribuendo quindi ancora più credibilità all’originale. Poi il grande salto: l’UAAR esce dai confini nazionali e grazie alla sua campagna “Togliamo i crocifissi dalle scuole”, riesce a farsi nemici ben 22 Stati Europei, compresa la Corte Europea che si pronuncia a favore del crocifisso nelle aule scolastiche (creando così un precedente fondamentale) e a far letteralmente lievitare il numero di simboli religiosi negli istituti, come abbiamo documentato. Forse è questo persistente flop che motiva lo scambio di minacce e insulti tra gli uaarini e gli atei integralisti di Micromega. All’interno dell’associazione è il caos completo e si giunge nel 2010 all’epurazione di numerosi responsabili dall’UAAR, definiti “eretici” per aver osato criticare il pontifex Carcano, garante del “libero pensiero”.

L’UAAR è stata anche utile finora per far capire come agli italiani non interessi poi molto la celebrazione religiosa dello sbattezzo, solo in 480 hanno aderito lo scorso anno nonostante una campagna assillate culminata con l’annuncio ufficiale direttamente presso la Sala stampa della Camera dei Deputati. A nessuno evidentemente interessa nemmeno il concetto di laicismo proposto da loro al posto della laicità, dato il pesante flop nel maggio di quest’anno della Giornata Internazionale della Laicità, organizzato a Genova. C’è da segnalare anche che proprio pochi giorni fa l’Associazione ha permesso che si colmasse un vuoto legislativo importante: di fatti, grazie all’UAAR, il Consiglio di Stato ha stabilito che d’ora in poi la visita pastorale di Vescovi o sacerdoti in una scuola pubblica si può liberamente fare, anche se c’è chi vorrebbe impedirla. Non dimentichiamo infine che in 25 anni di attività l’UAAR ha destinato nientepopodimeno che 500€ in beneficenza, spendendone nel solo 2010, 2.074€ per il “fondo progetto Odifreddi a scuola” e 750€ per le “vignette” anticlericali.

Tanti auguri da tutti noi!

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Studio USA: il sacerdozio è l’occupazione che rende più felici

Tra le molteplici curiosità che si possono trovare nel web, una merita certamente di essere menzionata. Il tutto nasce da una domanda: “Ci può essere una relazione tra felicità e lavoro?”, la quale ha fatto si che la National Organization for Research presso l’University of Chicago si mettesse all’opera per stilare una sorta di classifica in cui si identificano le occupazioni che rendono più felici e quelle che invece, hanno il rendimento opposto. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Forbes.

Qualcuno ha definito questi risultati come sorprendenti, io sinceramente non mi sento di dare questo giudizio. E il motivo è semplice se si considera che la caratteristica comune delle occupazioni che rendono felici è il donarsi agli altri. Le dichiarazioni degli intervistati, infatti tengono tutte ad esaltare quanto renda felici l’interazione sociale e l’aiuto delle persone. E’ così che ovviamente, troviamo al primo posto il sacerdote (“i meno mondani sono segnalati per essere i più felici di tutti”, si dice sulla celebre rivista statunitense) seguito dai vigili del fuoco, fisioterapisti, scrittori, insegnanti, artisti, psicologi ecc.. La caratteristica comune dei mestieri che, al contrario di quelli sopra, causano insoddisfazione sono invece quelli che coinvolgono meno relazioni umane: il manager, il macchinista, i tecnici elettronici ecc..

Un’altra domanda che sorge è questa: “Perché i lavori con una paga più bassa rendono più felici degli altri?”. Ci ha pensato Todd May a rispondere, sostenendo sul New York Times che “la persona che vive la vita vuole essere impegnato da essa, una vita di impegno per le cause più degne – come dare cibo e vestiario ai poveri o soccorrere i malati – si riempie di significato”.

L’uomo, dunque ha bisogno di certezze e di significati autentici che possano giustificare la propria occupazione nella vita, che possano dare un senso alla vita stessa. Non c’è maggior realizzazione di ciò che nel ministero sacerdotale, in cui l’uomo con la vera vocazione si sente amato, protetto, figlio dell’unico Padre che ama tutti indistintamente; ma ciò avviene anche quando si opera il bene mettendosi a disposizione degli altri, senza differenze.

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Quando sarà la fine del mondo?

Il pastore americano Harold Camping aveva previsto la fine del mondo per il 21 ottobre scorso. Si è sbagliato per la terza volta: ignoriamo se i suoi fedeli siano stati più delusi sul piano religioso o più contenti su quello mondano, ma sappiamo che Camping ha dichiarato poi che l’interpretazione della Bibbia è più difficile di quanto pensasse.

L’escatologia (quella seria) è, come si sa, quella parte della teologia cristiana che specula sulla fine del mondo e dell’umanità. Essa interessa coloro che s’interrogano sulle aspettative ultime dell’uomo, ma ha anche aspetti pratici perché quelle aspettative influenzano la Weltanschauung ed il comportamento quotidiano di molte persone. Da qualche anno, con i progressi della fisica ed in particolare della cosmologia quantistica, è nata anche un’escatologia scientifica. Se John M. Keynes era solito dire che “il lungo termine” – per lui: qualche decina d’anni – “è una guida fallace per gli affari, perché allora saremo tutti morti”, per un drappello di ricercatori sparsi nelle università del globo, invece, il futuro ultimo dell’Universo – vale a dire tra 10…0 anni (gli zeri sono dell’ordine di miliardi di miliardi di miliardi), quando esso sarà imploso in un insieme di buchi neri isolati – è tema di studio e professione di lavoro pagati dai contribuenti. Se ci limitiamo al sistema solare, che esso debba finire e come finirà, è noto da quando Richard Feynman scoprì una cinquantina d’anni fa il meccanismo di funzionamento delle stelle, che gli valse il Nobel per la fisica nel 1965. Era fuori con la sua ragazza la notte dopo che aveva capito che a farle brillare erano reazioni nucleari di fusione di idrogeno in elio. Ella esclamò romanticamente: “Guarda, tesoro, come sono belle le stelle che brillano in cielo!”, ed egli: “Sì, e proprio adesso io sono il solo uomo al mondo che sa perché brillano”; al che lei scoppiò a ridere, racconta Feynman, che sentì in bocca il gusto dolce-amaro del genio incompreso. Fra 5 miliardi di anni il Sole avrà esaurito il suo combustibile nucleare e si dilaterà fino a diventare una gigante rossa che inghiottirà la Terra e gli altri pianeti, gli oceani bolliranno a milioni di gradi ed ogni forma di vita sul nostro pianeta, ammesso che sia sopravvissuta fino ad allora, scomparirà nella fornace di plasma. “Come nessuna passione, nessun eroismo, né abisso di pensieri o sentimenti, possono preservare una vita individuale dalla tomba; così tutte le fatiche degli evi, tutta la pietà, l’ispirazione, lo splendore accecante del genio umano sono destinati all’estinzione con la morte del sistema solare, quando l’intero tempio dell’Umanità sarà sepolto sotto le macerie d’un universo in rovina”: così il filosofo e matematico Bertrand Russell, il quale, tuttavia, non aveva previsto la possibilità di viaggi extra-solari.

La razza umana non dispone, però, dei miliardi di anni che ci separano dall’esplosione del sistema solare per trovarsi nuove dimore nei paraggi di qualche altra stella: la seconda legge della termodinamica – “L’entropia è crescente col tempo nei sistemi chiusi”: la più certa tra tutte le leggi di Natura – ci dà appena qualche migliaio di anni prima che siano state consumate tutte le risorse del sistema solare necessarie alla nostra evoluzione, e questo vale per qualunque tipo presente e futuro di energia. Infatti ogni tipo di attività, sia di ricerca scientifica o produzione economica o contemplazione mistica, è prima di tutto elaborazione d’informazione, e questa accresce l’entropia. All’attuale trend di crescita dell’elaborazione d’informazione della nostra civiltà (oggi, circa 10 gigabit/s per persona), la legge predice che le risorse del sistema solare saranno consumate in 5.000 anni. Pertanto, quale che sia lo sviluppo tecnologico d’una futura civiltà di origine terrestre che abbia anche colonizzato l’intero sistema solare, per sopravvivere essa dovrà trovare fuori di esso nuove sorgenti di energia entro questo intervallo di tempo, che è paragonabile a quello trascorso dalla nascita delle prime civiltà ad oggi. Sfortunatamente, però, a cagione dei disordini indotti dalle passioni umane combinati con la potenza devastante raggiunta dalla tecnica, il tempo effettivo a disposizione della specie Homo Sapiens (sapiens?!) per la sua salvezza è molto, molto minore di quello concesso dal disordine creato dall’entropia: probabilmente non più di cent’anni.

Stephen Hawking occupava fino a poco tempo fa a Cambridge la cattedra di matematica che era stata di Isaac Newton ed è famoso presso il vasto pubblico per molti libri di divulgazione scientifica, e presso gli specialisti anche per i pasticci che vi combina qualche volta, mischiando allegramente fisica, filosofia e teologia. Egli è tra i massimi studiosi viventi sui buchi neri e sull’origine dell’Universo, tanto da aver raccolto innumerevoli onorificenze, tra le quali a soli 34 anni la medaglia Pio XI da papa Paolo VI, ed essere associato membro a 54 anni della prestigiosa Accademia Pontificia delle Scienze da Giovanni Paolo II. Il passo che separa l’origine del mondo dalla fine è tanto breve in logica quanto lungo nel tempo: per questo Hawking ha alternato lo studio delle equazioni sulle singolarità spazio-temporali dell’Universo alle riflessioni sul fato degli umani. In un discorso tenuto a Padova cinque anni fa e in una serie di lezioni lette in seguito in giro per il mondo, egli ha predetto che la sopravvivenza della razza umana dipende sì dalla sua capacità di colonizzare lo spazio, ma che ciò va fatto in fretta perché cresce ogni giorno il rischio di un disastro che possa distruggere la Terra: solo se gli umani riusciranno entro il secolo a crearsi nello spazio colonie autonome dalla Terra, potranno secondo Hawking sopravvivere insieme al software del loro patrimonio genetico formatosi in miliardi di anni e alla memoria di massa del loro patrimonio culturale e scientifico accumulato negli ultimi 5.000. Ma è questa una speranza realistica?

Incapace di elaborare una congettura matematica sul futuro prossimo del tipo di quella delle stringhe riguardante il passato remoto e alla ricerca almeno di una risposta politicamente corretta, Hawking ha avuto l’idea di ricorrere al motore di ricerca Yahoo, che ha una rubrica, “Answers”, in cui tutti possono inserire domande o dare le proprie risposte alle domande pubblicate. Hawking ha inserito la questione: “In un mondo caotico sotto gli aspetti politico, sociale ed ambientale, come potrà la razza umana sopravvivere altri cento anni?”. In tre mesi sono giunte più di venticinquemila risposte, la maggior parte spicce (“Dobbiamo liberarci dalle armi nucleari”), o vaghe (“In qualche modo ce la faremo”), o dubbiose (“Non credo che sarà possibile a meno che…”), ma alcune più articolate. Scaduto il tempo assegnato da Hawking, la questione fu chiusa su Yahoo e, anche se l’interrogante si era inizialmente ripromesso di non rilasciare ulteriori commenti, alla fine è intervenuto per comunicare quella che gli era parsa la migliore risposta (di anonimo). La riassumo: “Il caos politico e sociale ci ha accompagnato da sempre, ma la razza umana ha finora esibito grande resistenza e capacità adattativa. Le minacce di una guerra nucleare, di una catastrofe biologica e del cambio climatico ora riportano di attualità la questione della sopravvivenza della specie umana. È plausibile che insieme alla crescita delle minacce, però, ci sia spazio anche per la crescita dell’ingegnosità umana. Nonostante tutti i nostri progressi tecnologici, non abbiamo ancora creato il mostro di Frankenstein. Nonostante i giacimenti di armi atomiche, non è scoppiata una guerra nucleare. La ricerca medica sta attraversando un nuovo rinascimento. Il clima rimane una preoccupazione, ma noi siamo una specie adattabile, lo siamo stati in passato ai tempi della Morte Nera che ha decimato gli europei ma non li ha cancellati, lo saremo in futuro”. E così via, nella sequela di wishful thinking e banalità, in risposta ad una domanda seria, che celava il prometeico desiderio d’immortalità della specie! Chi è interessato può trovare la risposta completa a questo link.

Allora mi viene da pensare: forse risulta logicamente inevitabile che quando scienza e tecnica (ovvero ciò su cui, in assenza di una fede fondata su basi più solide, si sono riposte tutte le speranze) mostrano i loro limiti insuperabili, anche lo scienziato solitamente razionale si rifugi nell’ottimismo irrazionale dell’uomo della strada. Eppure, lo stesso Dio che si rivela scientificamente nella necessità della fine del tempo e dell’Universo, duemila anni fa si è rivelato storicamente a chi non ha fatto un dio del caso, nel meraviglioso e poco noto libro dell’Apocalisse di San Giovanni nella medesima necessità, che non è la fine di tutto, ma il Fine di Tutto. Che importa che “le fatiche degli evi, tutta la pietà, l’ispirazione, lo splendore accecante del genio umano” durino qualche migliaio di anni in più, se sono comunque destinati “alle macerie di un universo in rovina”? Affidarsi ancora soltanto alla tecnica (i viaggi spaziali) e ai meccanismi ciechi dell’evoluzione (l’adattabilità della specie) per far guadagnare qualche millennio in più alla razza umana non è una forma di disperato accanimento terapeutico applicato ad una genìa comunque segnata? Non sarebbe più saggio immaginare anche come rendere questo mondo, compresi i pianeti che riuscissimo a colonizzare, meglio abitabile per tutti, per tutta la sua naturale durata?

L’escatologia cristiana sembra a me molto più razionale, proprio perché, a partire da ciò che è venuto, riflette su ciò che sta per venire, sul nuovo e sul definitivo, ed interpreta il presente per l’agire di ognuno di noi, qui ed ora.

Giorgio Masiero

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Marco Travaglio: «legalizzare il suicidio assistito? Ma siamo diventati matti?»

Il giornalista Marco Travaglio ha preso posizione sul suicidio assistito di Lucio Magri che, a causa di una comune depressione (anche se grave), ha scelto di togliersi la vita recandosi nella clinica Svizzera della morte.

Come abbiamo già detto, il gesto ci pare comprensibile (anche se non giustificabile) per chi abbia rifiutato la concezione cristiana della vita, l’unica in grado di rispondere in modo sensato e adeguato al dolore e alla sofferenza.

Travaglio aveva già mostrato una posizione condivisibile quando si espresse nel 2009 a favore del crocifisso nelle scuole. In quel caso, come abbiamo scritto, disse: «Dipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nelle scuole […]. Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula. È, da duemila anni, uno “scandalo” sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”)».

Il Fatto Quotidiano, assieme all’editoriale di Travaglio, ha pubblicato -forse per perseguire l’utopia della neutralità- anche quello di Paolo Flores D’Arcais. Un commento, quest’ultimo, violento e mistificatore, nel quale il filosofo si approfitta del controverso concetto di autodeterminazione totale della persona, inesistente nel diritto internazionale.

Della riflessione di Travaglio, invece, colpiscono queste parole:

«Vorrei spersonalizzare il gesto di Magri, quello che viene chiamato con orrenda ipocrisia “suicidio assistito” e invece va chiamato col suo vero nome: “Omicidio del consenziente”». Sono in molti, si lamenta Travaglio, a «tirare in ballo l’eutanasia, Monicelli o Eluana Englaro, che non c’entrano nulla perché Magri non era un malato terminale, né tantomeno in coma vegetativo irreversibile tenuto artificialmente in vita da una macchina: era fisicamente sano e integro, anche se depresso. Altri addirittura considerano il “suicidio assistito” un “diritto” da importare quanto prima in Italia per non costringere all’ “esilio” chi vuole farsi ammazzare da un medico perché non ha il coraggio di farlo da solo».

Travagli afferma di essere credente, anche se un “cattolico adulto” che confida in una fede esclusivamente privata. Al di là di questo, prosegue impeccabile la sua argomentazione contro al suicidio assistito:

«Chi sostiene il diritto al “suicidio assistito” afferma che ciascuno di noi è il solo padrone della sua vita. Ammettiamo pure che sia così: ma proprio per questo chi vuole sopprimere la “sua” vita deve farlo da solo; se ne incarica un altro, la vita non è più sua, ma di quell’altro. Dunque, se vuole farla finita, deve pensarci da sé». Poi ne parla dal punto di vista giuridico: «c’è una barriera insormontabile: l’articolo 575 del Codice penale, che punisce con la reclusione da 21 anni all’ergastolo “chiunque cagiona la morte di un uomo”. Sono previste attenuanti, ma non eccezioni: nessuno può sopprimere la vita di un altro, punto. Se lo fa volontariamente, commette omicidio volontario. Anche se la vittima era consenziente, o l’ha pregato di farlo, o addirittura l’ha pagato per farlo. Non è che sia “trattato da criminale”: “È” uncriminale. Ed è giusto che sia così. Se si comincia a prevedere qualche eccezione, si sa dove si inizia e non si sa dove si finisce. Se si autorizza un medico a sopprimere la vita di un innocente, come si fa a non autorizzare il boia a giustiziare un folle serial killer che magari è già riuscito ad ammazzare pure qualche compagno di cella?».

Il noto giornalista cita giustamente anche il codice deontologico del medico che richiama…

«il “giuramento di Ippocrate” che ogni medico, odontoiatra e persino veterinario deve prestare prima di iniziare la professione: “Giuro di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza…”». «Come si può chiedere a un medico di togliere la vita al suo paziente», si domanda Travaglio, «cioè di ribaltare di 180 gradi il suo dovere professionale di salvarla sempre e comunque? Sarebbe molto meno grave se chi vuole suicidarsi, ma non se la sente di farlo da solo, assoldasse un killer professionista per farsi sparare a distanza quando meno se l’aspetta». E poi, infine, un punto di vista più scientifico: «Quasi nessuna patologia, grazie ai progressi della scienza medica, è di per sé irreversibile. Nemmeno la depressione. Ma proprio una patologia passeggera può obnubilare il libero arbitrio della persona che, una volta guarita, non chiederebbe mai di essere “suicidata”. Qui di irreversibile c’è solo il “suicidio assistito”: ti impedisce di curarti e guarire, dunque di decidere consapevolmente, cioè liberamente, della tua vita. E se poi un medico o un infermiere senza scrupoli provvedono all’iniezione letale senza un’esplicita richiesta scritta, ma dicendo che il paziente, prima di cadere in stato momentaneo di incoscienza e dunque impossibilitato a scrivere, aveva espresso la richiesta oralmente? E se un parente ansioso di ereditare comunica al medico che l’infermo, prima di cadere in stato temporaneo di incoscienza, aveva chiesto di farla finita?». La casistica è infinita.

Ancora più interessante la conclusione:

«Se incontriamo per strada un tizio che sta per buttarsi nel fiume, che facciamo: lo spingiamo o lo tratteniamo cercando di farlo ragionare? Un attimo di debolezza o disperazione può capitare a tutti, ma se in quel frangente c’è qualcuno che ti aiuta a superarlo, magari ti salvi. Del resto, il numero dei suicidi è indice dell’infelicità, non della “libertà” di un Paese. E, quando i suicidi sono troppi, il compito della politica e della cultura è di interrogarsi sulle cause e di trovare i rimedi. Che senso ha allora esaltare il diritto al suicidio ed escogitare norme che lo facilitino? Il suicidio passato dal Servizio Sanitario Nazionale: ma siamo diventati tutti matti?».

La redazione

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Ha senso domandarsi chi ha creato Dio? Il Washington Post risponde.

Il Washington Post, uno dei quotidiani più diffusi nel mondo, sta ultimamente pubblicando diversi articoli di Vasko Kohlmayer, un convertito al cristianesimo, nato e cresciuto sotto il comunismo e l’ateismo di stato sovietico. Abbiamo già ripreso uno suo articolo sulla contraddizione della posizione atea in Ultimissima 11/11/11.

Alcuni articoli sono poco efficaci, altri invece sono sicuramente più interessanti. E’ il caso di quello pubblicato il 12 novembre scorso, nel quale l’opinionista affronta il vecchio argomento del “Chi ha creato Dio?”.

Kohlmayer inizia ad affrontare il discorso dicendo che “tutto ciò che comincia ad esistere deve essere causato da qualcosa”. Indipendentemente dai tentativi di Hume, oggi il principio causa-effetto è ancora alla base della mentalità scientifica. Dal momento che l’universo ha con grandissima probabilità cominciato ad esistere in un dato momento,  l’universo deve aver avuto una causa. Il cristianesimo ha sempre sostenuto che è Dio ad aver creato l’Universo e la descrizione del Big Bang richiama in modo inequivocabile quella che, assolutamente senza alcuna pretesa scientifica, viene data nella Genesi. Per tentare di controbattere a questa evidenza, gli anti-teisti si sono divisi in due gruppi (non per forza distinti): (1) chi sostiene che l’universo abbia potuto emergere dal nulla in modo casuale e (2) chi obietta che, se l’universo deve avere avuto una causa, allora deve averla anche Dio. Se Dio non è stato creato, dicono, allora nemmeno l’universo ha bisogno di essere creato. Ci si concentra ora su questa seconda obiezione.

San Tommaso d’Aquino ha già risposto in modo impeccabile a questa critica sostenendo la Causa incausata: partendo dall’esigenza metafisica secondo la quale la contingenza degli enti implica l’essere necessario assoluto (e non un necessario relativo), ha detto: «Se dunque l’ente da cui una cosa è mossa è a sua volta mosso, è necessario che sia mosso da altro e questo da altro ancora: ma non si può così procedere all’infinito, perché allora non vi sarebbe un primo motore e per conseguenza non vi sarebbe nessun motore, in quanto i motori secondi non muovono se non sono mossi dal primo […]. Perciò è necessario giungere a un primo motore non mosso da altro: in esso tutti riconoscono Dio». Si tenga conto che il termine “motus” indica per Tommaso il “divenire”, la “mutazione continua delle cose”, ovvero il passaggio dalla potenza all’atto, partendo dalla limitatezza e contingenza di ogni ente. Solo Dio è l’Essere perfetto che non “si muove”, dunque non può perdere o acquisire una sua perfezione entitativa. Non è un moto “fisico” quello postulato da Tommaso e dunque le critiche che gli sono state fatte si sono basate su un fraintendimento e non sono da ritenersi valide. «Dunque è necessario porre una prima causa efficiente che tutti chiamano Dio», sostiene l’Aquinate. Tommaso distingue la Causa prima dalle cause seconde, la necessaria causa prima deve essere incausata, perché se non lo fosse ci sarebbe un’altra causa e quindi non sarebbe più la prima.

Tuttavia il pensatore russo Kohlmayer, naturalizzato americano, non svaluta l’argomento “Chi ha creato Dio?” partendo direttamente da Tommaso (anche se si muove in modo parallelo), ma sostiene che tale obiezione sia sbagliata sostenendo l’evidenza che non c’è alcun bisogno di avere una spiegazione della spiegazione per riconoscere logicamente che una spiegazione sia la migliore spiegazione. Per farsi spiegare meglio utilizza questa analogia: «Immaginate che la NASA invii una sonda su Plutone. Dopo anni di viaggi nelle profondità del sistema solare, la sonda finalmente atterra sul pianeta. Nel filmato che viene registrato si vede quello che sembra essere un deposito di rottami di un complesso macchinario. Tutti dovremmo concludere immediatamente che questo apparecchio è stato costruito e messo lì da qualcuno, da qualche civiltà avanzata». Questa sarebbe la spiegazione migliore e più logica e non abbiamo alcun bisogno di spiegare “qual’è”, “chi è” o “come è nata” questa civiltà avanzata per affermare che si tratta della spiegazione migliore alla domanda “Chi ha creato quel macchinario?”. «Rifiutare questa conclusione sulla base del fatto che non sappiamo nulla circa i creatori», continua Kohlmayer, «sarebbe un errore logico». La stessa logica vale per “l’argomento cosmologico”.

Conclude quindi suggerendo una strada migliore e più efficacie: «Coloro che vogliono mettere in discussione questo argomento in modo logicamente valido dovrebbero mettere in discussione le sue premesse, ovvero cercare di dimostrare che qualcosa può venire all’esistenza senza una causa o che l’universo esiste da sempre e non ha bisogno di una causa. Dire che “l’argomento cosmologico” non è valido perché non spiega l’origine di Dio è solo una scappatoia per evitare l’ovvia conclusione a cui conduce l’argomento. Tale conclusione è questa: l’universo è stato posto in essere da una Causa trascendente, che noi normalmente chiamiamo Dio».

La redazione

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Il biochimico Stocchi: «l’uomo di scienza trova aiuto nell’aprirsi alla fede cristiana»

Il 22 novembre 2011 presso l’Aula Magna della Facoltà di Economia dell’Università di Urbino si è svolto un importante evento sull’interessante tematica “fede e scienza”. Proprio questo è stato infatti il titolo della conferenza a cui ha partecipato come principale relatore il Preside di Scienze Motorie e Professore Ordinario di Biochimica dell’Ateneo, Prof. Vilberto Stocchi, assieme al rettore Stefano Pivato.

Il prof. Stocchi, già docente di Biologia Molecolare e Biochimica Applicata presso l’Università di Urbino, socio della Società Italiana di Biochimica, della International Biochemistry Society, della Biochemical Society, della Protein Society e della New York Academy of Sciences e autore di oltre 170 lavori su riviste scientifiche internazionali, ha iniziato il suo intervento citando una frase riassuntiva della sua convinzione: «Io credo che ogni uomo, nella propria vita, al di là del luogo in cui è nato, cresciuto ed educato e al di là del proprio credo, desideri crescere nella conoscenza della verità e vivere nella verità. Il bisogno di verità è inscritto nel cuore dell’uomo». Parlando ai molti studenti presenti, ha richiamato all’importanza della filosofia e della teologia che «hanno contribuito a mantenere vivo questo dibattito in quasi tremila anni di storia dell’uomo». Ha dunque considerato la “scienza” e la “fede” come due livelli di conoscenza diversi, concentrandosi inizialmente sul primo e sul valore di essere ricercatore, ovvero colui che documenta «per la prima volta ciò che prima non era noto». Tuttavia ha anche riconosciuto il grande limite: «La scienza –nel senso più ampio– non è in grado di dare risposte a domande di fondo che caratterizzano il percorso dell’esistenza umana: Chi sono? Da dove vengo e dove vado? Perché la presenza del male? Cosa ci sarà dopo questa vita?». Eppure da queste domande «dipende l’orientamento da dare alla nostra esistenza […]. L’uomo è una realtà ben più complessa rispetto ad ogni altro organismo vivente: non possiamo pensarlo costituito soltanto da cellule. Benché possa essere per noi difficile comprenderlo pienamente, in realtà l’uomo è spirito e corpo. Questo mistero ci introduce ad una dimensione e ad un altro livello di conoscenza: quella spirituale».

Ecco dunque che secondo lo scienziato, «la Fede apre a un livello di conoscenza superiore. La persona che crede poggia la propria fiducia in una realtà superiore: il Creatore. Se qualcuno mi rivolgesse la domanda: “Per te, chi è Dio?”, io mi troverei in seria difficoltà a dare una risposta», si ripeterebbero delle definizioni che però «esprimono soltanto una realtà incomprensibile per la mente dell’uomo». Incomprensibile tuttavia fino ad un certo punto, dato che «più di 2000 anni fa si assistette ad un Evento che trasformò la storia dell’uomo: Dio si manifestò attraverso l’Incarnazione assumendo anche la natura umana in Gesù Cristo. Gesù Cristo opera, parla, istruisce. Ora, sebbene l’Evento dell’Incarnazione rimane un mistero per l’uomo, per me questo Evento inizia a riempirsi di significati concreti che meritano di essere sviscerati e compresi». Ecco dunque -continua il biochimico- che dall’atto incomprensibile, la venuta di Cristo permette che «l’orizzonte si amplia e di fronte a questa nuova prospettiva l’uomo inizia gradualmente a prendere coscienza di una realtà nuova, anche se permane l’impossibilità di una piena comprensione di misteri quali l’Incarnazione e la Risurrezione».

Il prof. Stocchi ha così citato tre celebri convertiti come un esempio di questo inizio di comprensibilità del mistero dopo l’incontro cristiano. Il primo è San Paolo, poi tocca ad Agostino e a San Francesco, ovvero tre uomini la cui esperienza «è vero nutrimento, un aiuto concreto per vivere, un insegnamento anche perla nostra vita». Eppure, continua Stocchi, nonostante le numerose esperienze autentiche, fatte da tanti uomini, per noi può essere difficile credere. Viene così citato un articolo apparso sulla rivista Science il 15 agosto 1997, in cui si riportavano i risultati di una indagine condotta da Edward Larson dell’Università della Georgia (Stati Uniti) che dimostrava come il 40% degli scienziati che lavoravano nell’ambito della fisica e della biologia fossero credenti molto convinti. E ha commentato: «Questi dati dimostrano in definitiva una sola cosa, che l’uomo è libero e l’Onnipotenza di Dio si arresta difronte alla libertà che Dio stesso ha dato all’uomo. L’uomo dunque è realmente libero di credere o meno». Tra le testimonianze di prestigiosi scienziati che vennero intervistati per l’occasione, il biochimico ha riportato le parole di Francis Collins, attuale Direttore del National Instituteof Healt (NIH) e Direttore del Progetto Genoma Umano che ha permesso il completo sequenziamento del nostro genoma. Collins, convertitosi a 27 anni, disse: «Quando si conosce qualcosa di nuovo che riguarda il genoma umano, io provo una grande emozione perché l’umanità ora conosce qualcosa che soltanto Dio prima conosceva”».

Lo scienziato ha così concluso l’intervento rivelando la sua posizione: come ricercatore, ha spiegato, «io non trovo alcun contrasto tra Scienza e Fede. Quando nel corso della mia carriera ho avuto la possibilità di fare direttamente gli esperimenti in laboratorio, ho sempre provato grande soddisfazione di fronte ai risultati che ottenevo e che documentavano qualcosa di nuovo. Oggi, provo la stessa soddisfazione di fronte ai risultati ottenuti dai miei allievi. Quando, riflettendo sulla Parola del Signore – con tutti i limiti e la mia fragilità – intuisco e a volte comprendo appena a quale straordinaria realtà l’uomo è destinato, provo stupore e meraviglia». Scegliendo tra Scienza o Fede «di fatto si esprime un atteggiamento di parzialità». L’uomo di scienza, aprendosi anche alla fede, «riceve già un aiuto concreto che consiste nella capacità di dare un giusto valore alle cose: la fiducia riposta nel Creatore genera dunque nell’individuo la speranza. In questo contesto, l’uomo di fede riconosce il valore della Scienza come
strumento indispensabile per crescere nella conoscenza della realtà oggettiva, ma anche il limite a dare risposte sul significato vero della vita»
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