Recensione del libro “Quando è nato Gesù?”

Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Michele Loconsole, dottore in Sacra Teologia Ecumenica, docente di Religione cattolica nella Diocesi di Bari-Bitonto, giornalista pubblicista e scrittore, presidente dell’ENEC (Europe-Near Easr Centre) e vice-presidente della Fondazione Nikolaos. Conduce dal 2008, per l’emittente televisiva Antenna Sud, la rubrica settimanale “Il Verbo e la Parola”, a cui partecipa S.E. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo della Diocesi Bari-Bitonto. Coordinatore dell’Ufficio Chiesa e Mondo della Cultura della Curia barese, è iscritto nell’Albo degli esperti per l’IRRE Puglia. In questo articolo presenterà il suo libro “Quando è nato Gesù?” (San Paolo 2011). Acquistandolo su Libreria del Santo si sosterrà indirettamente il nostro sito web

 

di Michele Loconsole*
*docente di religione cattolica e saggista

 

Spesso si afferma che Gesù di Nazaret potrebbe non essere nato il 25 dicembre dell’anno zero. Anzi, che non si sa nulla circa la sua reale data di nascita sia per quanto riguarda il giorno, sia il mese che l’anno. Informazioni cronologiche del tutto assenti, tanto nei testi evangelici che in altre fonti e documenti del tempo, siano essi civili o religiosi. Pertanto, la data del 25 dicembre, giorno in cui il cristianesimo da secoli fa memoria della nascita di Gesù bambino a Betlemme di Giudea, non è da considerarsi storica ma convenzionale, simbolica. Riguardo al suo anno di nascita, poi, generalmente collocato nel cosiddetto “punto zero”, la confusione regna – ancora oggi – sovrana. Molti storici, infatti, collocano l’anno di nascita di Gesù tra il 6 e il 7 a.C., semplicemente perché, secondo le indicazioni di Giuseppe Flavio, il re idumeo Erode muore nel 4 a.C. Quindi, non potrebbe aver ordinato la “strage degli innocenti” sei anni dopo la sua presunta data di morte.

Ma le cose stanno proprio in questo modo? A mio sommesso avviso, no! Convinzione che ho maturato avvalendomi dei lavori di autorevoli studiosi del cristianesimo antico, quali Giorgio Fedalto, Antonio Ammassari e Nicola Bux, nonché di lavori specialistici di Vittorio Messori, Antonio Socci e Andrea Tornielli, solo per indicarne i più rappresentativi. In questo articolo, però, mi limiterò a tratteggiare solo un aspetto, dei molti che compongono gli studi sulla storicità della nascita di Gesù al 25 dicembre, rimandando, se possibile, ad un altro intervento l’approfondimento sulla questione dell’anno di nascita, di gran lunga più complesso e spinoso del primo, che del libro ne costituisce la I Parte.

Come è noto, secondo non pochi studiosi del cristianesimo antico, e sostenitori dell’ipotesi cosiddetta mitologica, la data del 25 dicembre fu scelta dalla Chiesa del secolo IV – tra alcune possibili – per “oscurare” e, nello stesso tempo, “soppiantare” la festa pagana del dio sole, o più propriamente del Sol Invictus, la ricorrenza religiosa celebrata da diversi popoli, soprattutto politeisti, in concomitanza del giorno del solstizio d’inverno. Alla luce dello studio delle fonti dell’epoca, sembra invece che sia accaduto esattamente il contrario. È infatti la festa pagana del Sole Invitto ad essere stata posta o, ancor meglio, posposta al 25 dicembre, nel tentativo di oscurare o di sovrapporsi a quella cristiana del Natale del Signore. Infatti, prima del 354 d.C., ancora durante il regno di Licinio (imperatore dal 308 al 324), il culto alla divinità solare veniva celebrato, a Roma, il 19 dicembre, non il 25. Potremmo aggiungere, poi, che questa antica festa astronomica era celebrata nell’Urbe, come altrove, anche in diverse altre date dell’anno, tra cui spesso veniva scelto il periodo compreso tra il 19 e il 22 ottobre.

Il culto del dio Sole – solo per fare ulteriore chiarezza – era stato introdotto a Roma da Eliogabalo (imperatore dal 218 al 222 d.C.), ma ufficializzato per la prima volta da Aureliano (214-275) soltanto nel 274, che proprio il 25 dicembre dello stesso anno consacrava il Tempio dedicato al culto del Sol Invictus. La festa pagana prese in tal modo il titolo di giorno di nascita del Sole Invitto, ricorrenza, quindi, che potrebbe aver visto le sue origini cultuali – almeno a Roma – soltanto sul finire del secolo III d.C.
Di contro, la fonte più antica in nostro possesso, che fissa al 25 dicembre la nascita di Gesù, è quella di Ippolito di Roma (170 circa-235), che già nel 204 riferiva della celebrazione del Natale, nell’Urbe, proprio in quella data. In conclusione, è la festa pagana del dio sole che è stata “spostata” al 25 dicembre, nel tentativo di sostituirla a quella del Natale cristiano. Così facendo, l’Impero romano non avrebbe fatto altro che aggiungere un’altra tessera al mosaico che stava componendo, e cioè mettere in atto tutte le strategie possibili per arginare, limitare, se non cancellare – e non solo attraverso le indimenticabili e efferate persecuzioni – l’ormai ingombrante comunità cristiana di Roma e d’Europa.

 

Qui sotto l’intervista all’autore in occasione della presentazione del volume al teatro Petruzzelli di Bari il 28 novembre 2011

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Dalla Spagna un documentario su dodici incredibili conversioni cattoliche

“Te puede pasar a ti” è la proposta più recente del regista Juan Manuel Cotelo, che nel 2010 stupì la Spagna col film La última cima, non ancora arrivato in Italia, un cine-documentario dall’immenso successo sulla vita e la morte di Pablo Domínguez Prieto, sacerdote morto a soli 44 anni in sèguito a un incidente alpinistico.

Il film in prossima uscita sarà diviso in più puntate. Nell’ultimo anno, il regista spagnolo ha percorso numerosi paesi per motivi professionali ed è entrato in contatto con dodici storie di conversioni in dieci paesi diversi. Ogni volta chiedeva: “ti posso intervistare?”,  e così ha trascorso 27 ore parlando con uomini e donne che per tutta la loro vita hanno voltato le spalle a Dio, finché Dio stesso non ha incrociato il loro cammino per cambiarli radicalmente. E’ rimasto molto colpito dalla pace, dalla serenità e dalla forza straordinarie che trasparivano da questo persone, così ha voluto girato questo film-documentario intervistando queste persone eccezionali sul suo caravan.

Una delle prime storie è quella di Rubén, un omosessuale messicano che si prostituiva da quando aveva 18 anni, convinto che Dio amasse tutti tranne gli omosessuali, e che invece un giorno, dopo un ritiro spirituale invitato da un’amica, ha percepito di essere amato anche lui. Da allora, in castità, dedica la sua vita a far conoscere il Vangelo. Nel documentario un gruppo di gay e lesbiche saranno invitati a discutere in un dibattito sul caso di Rubén. Un’altra storia incredibile è quella dell’irlandese Shane O’Doherty, terrorista dell’IRA da quando aveva 15 anni, tornato a Dio dopo che in carcere ha cominciato a leggere i Vangeli. Oggi sono trent’anni che chiede perdono alle vittime.

C’è anche il noto sceneggiatore di Hollywood Joe Eszterhas, autore del thriller erotico “Basic Instinct”, che un giorno, dopo aver scoperto di avere un tumore alla laringe, si è ritrovato a piangere disperato in mezzo alla strada gridando: “Per favore, Dio, aiutami!”. Una conversione immediata la sua e da quel giorno si reca a messa quotidianamente. Con lui, sul caravan, ci saranno attori, registi e altra gente del cinema. Il caso di Irene Sánchez è ancora più estremo: massone, sposata tre volte e con tre aborti sulla sua coscienza, è appartenuta a varie sette anticristiane cercando di sottrarre fedeli alla Chiesa Cattolica. Un giorno, durante un ritiro spirituale a cui partecipò per polemizzare, ha percepito una voce che le chiedeva se era felice. “Non so da dove venne questa voce, però mi fece riflettere”, ha detto Irene. Oggi ha undici figli, dirige Radio Maria in Messico ed evangelizza nel carcere femminile più pericoloso del paese.

La storia di Bill Butler e sua moglie è quasi un miracolo: la sua barca a vela affondò in mezzo al Pacifico, e loro sopravvissero su un canotto di gomma accerchiati da squali, senza acqua né cibo. Bill non credeva in Dio, però, ha cominciato a pregare convinto dalla moglie. Miracolosamente con le sole mani riuscirono a prendere tanto pesce da sfamarsi per 66 giorni, prima di essere tratti in salvo.  Altra storia è quella del francese Tim Guénard, abbandonato da sua madre a tre anni e massacrato di botte dal padre (54 ossa rotte). Vagabondo dai tredici anni e prostituito dai venti, il suo unico obiettivo nella vita era uccidere suo padre a pugni. L’amicizia con un sacerdote gli ha trasmesso la forza del perdono e oggi è apicoltore, ha quattro figli, una donna che adora.

Enrique Cabrera era un marxista duro e un ateo furibondo, con avversione a tutto ciò che c’è di ecclesiale: “Se vedevo un prete per la strada, gli sputavo”, ha raccontato. Dopo aver incontrato il suo camerata Juan Carlos che leggeva un catechismo (“fu un duro colpo”), volle documentarsi anche lui. Oggi è un sacerdote. Il colombiano Juan Gonzalo Callejas, detto “Juango”, è anche lui un sacerdote. Anni fa però era un criminale, collega di narcotrafficanti e assassini, intenditore del sesso e di magia bianca, rossa e nera, adoratore del rock satanico e simpatizzante dello stesso Satana (“Satana è il mio padrone” affermava il gran poster che presidiava casa sua). Dopo essere scampato alla morte per due volte ed essere coinvolto in un grave incidente nel quale “vidi tutta la mia vita come in fotografia, tale come è agli occhi di Dio”, cominciò a pregare, tagliando nettamente col suo passato. Diversi anni dopo fu ordinato sacerdote.

Il messaggio di Cotelo, facendo parlare i protagonisti convertiti e coloro che con loro dialogheranno nel film, è che chiunque può cambiare. Questi testimoni ci fanno scoprire un Dio vicino, Qualcuno che si può incontrare, all’improvviso. Paolo VI disse: “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri”. Il regista ha scommesso su questa frase, per dimostrarci che quanto successo a loro può succedere a chiunque.

 

Qui sotto il promo del film, con l’intervista ad alcuni personaggi

La redazione

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L’ex gay Bennett: «la cura per l’omosessualità? Aver perdonato mio padre»

Tra i più noti ex omosessuali americani c’è sicuramente Stephen Bennett, artista, cantautore e commentatore su radio, televisione e stampa, il quale ama definirsi “marito, padre ed ex omosessuale”. Ha più volte raccontato la sua storia. Nato come eterosessuale ha passato l’infanzia innamorato della sua amica Lynn, con la quale fantasticava di avere una vita assieme. Questa cotta giovanile lo distoglieva anche dall’instabile vita familiare, con una mamma e un papà veri che bevevano e litigavano la maggior parte del tempo.

Una volta adulto, dopo un periodo di forte depressione (droga e alcool), ha trovato conforto in rapporti con lo stesso sesso. Nei primi anni ’90, dopo numerosissime storie fugaci, ha vissuto una relazione stabile: «Se guardo indietro a quel momento nella mia vita, ricordo esattamente come mi sentivo. Avevamo tutto. Eravamo in cima al mondo. Una bella casa, un cane, due gatti, grandi amici e un amore a lungo termine, un “rapporto impegnato” da libro di favole. Pensavo che, senza dubbio, saremmo rimasti insieme per tutta la vita. OK, non era esattamente come lo avevo immaginato anni prima con Lynn, ma hey, era l’uomo dei miei sogni». Ma, mentre mette per iscritto la sua storia guarda i suoi «due bambini che dormono profondamente. Anche mia moglie dorme tranquillamente, prega ogni sera per i nostri familiari ma anche per le tantissime altre famiglie e amici in tutto il paese i cui cari sono intrappolati nello stile di vita omosessuale».

Si accorge che «lo stile di vita omosessuale era un’ingannevole contraffazione della “cosa reale”. Il mio compagno ed io eravamo come i bambini nella mia infanzia di un tempo. Eravamo due uomini che pensavano di avere il mondo nel palmo delle loro mani, quando in realtà, non avevamo niente. Eravamo due anime perdute che vivono in un mondo di finzione, due ragazzi emotivamente feriti che giocano alla “casa”, disperatamente aggrappati l’uno all’altro sera dopo sera, settimana dopo settimana, anno dopo anno». Dalla sua esperienza può riconoscere che «mentre uomini e donne omosessuali in tutto il paese lottano per i loro “diritti speciali”, unioni civili e, infine, matrimoni tra persone dello stesso sesso, posso testimoniare in prima persona che queste persone stanno facendo ogni possibile tentativo per risolvere il loro conflitto omosessuale interiore. Questi sono sentimenti e pensieri che la maggior parte di loro hanno avuto fin dall’infanzia». Anche inconsapevolmente, non si accettano come omosessuali e «la loro lotta interiore per l’auto-accettazione si è trasformata in una lotta esteriore, sbagliata, per i diritti civili […]. Instancabilmente, continuano per tutta la vita la loro ricerca incessante del loro “Santo Graal”: l’auto-accettazione. Non importa quanto duramente si cerca o per quanto tempo ci si prova, purtroppo è qualcosa che non sarà mai trovato. L’omosessualità è chiaramente l’espressione esteriore di qualcosa che vive nella parte più profonda della persona, è una questione che per molti ha avuto origine nell’infanzia».

Come dimostrato dalle ricerche sui gemelli omozigoti, l’importanza del libero arbitrio e delle abitudini sono le uniche cose determinanti nella genesi del comportamento sessuale. Inoltre, come dice Bennett, «per gli uomini omosessuali, nella maggior parte dei casi ha a che fare con la mancanza del rapporto con il padre. Per le donne, il problema può avere le sue radici nel rapporto con la madre e/o il padre o un’altra figura maschile. Per alcuni, le molestie o una precoce esperienza sessuale è stata la spinta verso lo stile di vita omosessuale. A prescindere da quali siano stati i fattori che hanno portato verso le pulsioni omosessuali dobbiamo ricordare una cosa: nessuno nasce omosessuale. Affermare che si è nati omosessuali è una tragica capitolazione, ma è anche una scappatoia». Le “ferite emotive” sono quel che «conducono una persona verso questo sentiero». Ma se vengono affrontate allora si trova la forza di volontà per abbandonare il comportamento.

Bennett questa forza l’ha trovata nel 1992, anche in seguito alla conversione cristiana. E dopo 28 anni è riuscito a riconciliare il rapporto con suo padre, «l’unico uomo il cui amore desideravo e bramavo più di tutto, i miei tanti anni di peregrinazioni e di numerosi incontri omosessuali erano giunti bruscamente al termine. E’ successo una mattina nella cucina dei miei genitori. Mio padre ed io abbiamo fatto qualcosa che non avevamo mai veramente fatto prima: abbiamo parlato. Entrambi abbiamo affrontato il passato, abbiamo dato sfogo alle nostre emozioni, abbiamo fatto domande, abbiamo capito e siamo guariti. E in un abbraccio emotivo che non dimenticherò mai, entrambi abbiamo fatto qualcosa di diverso: abbiamo perdonato. Non sono stato più lo stesso uomo da allora». La porta con l’omosessualità è stata chiusa in un istante e anche lui ha «varcato quella spaventosa soglia che tanti altri uomini e donne coraggiosi nelle mie stesse condizioni hanno varcato prima di me. E in tal modo, ho trovato qualcosa che non avrei mai immaginato, ovvero la cura per l’omosessualità: il perdono».

L’ex omosessuale americano aiuta oggi tantissimi omosessuali ad uscire dalla loro condizione: «Ho trovato la cura per l’omosessualità, è il Perdono. Dillo ai tuoi amici e alle tue amiche omosessuali. Dai loro alcuni spunti di riflessione. Non c’è dubbio che oggi sento di avere una missione: portare la verità riguardo l’omosessualità: che nessuno nasce omosessuale, che ha tutto a che fare con l’infanzia, e che il completo cambiamento è possibile. Completamente possibile. Dalle chiamate che arrivano settimanalmente da tutto il paese da parte dI uomini e donne omosessuali, vi posso dire che questo messaggio sta avendo un grande impatto … un cuore alla volta che perdona».

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Mentre Corrado Augias era la spia dei comunisti, la Chiesa condannava don Verzè

Gli anni passano anche per Corrado Augias, a quota 77 primavere. Sembrano così lontani i tempi in cui (nel 2009) trascriveva interi brani del biologo Wilson senza citare la fonte e facendoli passare come suoi, venendo scaricato perfino dal teologo ateo Vito Mancuso. Il quotidiano Repubblica lo ha da allora relegato a rispondere a qualche lettera arrivata in redazione.

Eppure ne ha combinate grosse ugualmente. Ad esempio ha scambiato l’esoterico e astrologo Giordano Bruno con uno dei grandi pensatori scientifici ponendolo fra i massimi geni della storia della cultura occidentale (cfr. Ultimissima 20/12/10). Per non parlare di quando ha voluto tirare fuori incredibilmente la leggenda dei “fratelli di Gesù”, oggi che è andata ormai completamente fuori moda .

In questi giorni, sempre nella veste di postino, ha risposto ad una lettera chiedendo «cosa aspetta la Chiesa a scomunicare don Luigi Verzé?».  Corradone ha puntato come al solito al Papa, citando Marcinkus e lo Ior per sottolineare come l’intervento di Benedetto XVI sia troppo lento. In realtà è proprio Ratzinger ad aver condannato Marcinkus e aver purificato la banca del Vaticano, in tempi strettissimi come hanno riconosciuto tutti ormai. Lo stesso per la questione dei preti pedofili, di fatti è stato davvero apprezzato a livello internazionale il suo duro intervento, fin dal 2005, quando -come riporta giustamente l’ottimo blog “Paparatzinger”- i media non si occupavano di questa cosa, al contrario del cardinal Ratzinger.

Tornando a Verzé, Augias omette volontariamente di dire che nel 1964 gli venne comminata dalla Curia milanese «la proibizione di esercitare il Sacro ministero», mentre nel 1973 venne sospeso a divinis dalla stessa Curia, ovvero una pena di carattere giuridico che viene comminata ai sacerdoti per mancanze ritenute molto gravi e consiste nell’interdizione a svolgere le funzioni ministeriali sacre come la Celebrazione della Messa o l’amministrazione dei Sacramenti quali la Confessione, la Comunione, il Battesimo e l’Unzione degli Infermi. Il soggetto non è più un sacerdote effettivo fino a quando non sarà stata fatta piena luce su quanto riferito. Ovviamente rimane sacerdote in quanto il sacerdozio è un sacramento e come tale non può essere cancellato.

Come fa Augias a non saperlo? Effettivamente però l’anticlericale ha un alibi di ferro, infatti proprio  tra il 1963 e il 1967 sotto il nome in codice “Donat” faceva la spia per gli agenti cecoslovacchi, ovvero collaborava con una nazione allora nemica e sottoposta alla spietata dittatura comunista, come ha rivelato Il Giornale qualche anno fa divulgando le accuse arrivate direttamente da ex membri dei servizi di sicurezza cecoslovacchi. Un giornalista d’assalto come lui solitamente dovrebbe colmare le lacune, però. Evidentemente non è così, oppure l’omissione è volontaria. Ha pienamente ragione, invece, quando accusa Verzé di avere fatto un vaniloquio paragonandosi a Gesù sulla croce.

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In Corea del Nord i credenti sfidano l’ateismo di stato

Nell’unico Stato in cui i non credenti (65%) superano i credenti e in uno dei pochi in cui permane ancora oggi l’ateismo di stato, la situazione per i cristiani è ovviamente tragica.

Secondo una classifica pubblicata da Open Doors, la Corea del Nord è attualmente il paese con la più grave persecuzione dei cristiani nel mondo, e ultima nella classifica del rispetto dei diritti umani. Nel settembre scorso, oltre 40 organizzazioni che operano sul campo per i diritti umani e la legalità, diffuse a livello internazionale, hanno formato una coalizione e avviato una campagna di pressione presso le Nazioni Unite. Anche l’associazione inglese “Persecution watchdog Release International” ha presentato recentemente una petizione con 20 mila firme all’ambasciata nordcoreana di Londra chiedendo la libertà religiosa per i cristiani in Corea del Nord, quotidianamente torturati e discriminati dalla dittatura atea che vige nel Paese.

L’Agenzia Fides informa intanto che per superare uno dei confini più militarizzati al mondo e far giungere le Bibbie alle comunità clandestine in Nord Corea, l’organizzazione ecumenica “International Christian Concern” (ICC), con sede negli Stati Uniti, ha consegnato oltre 10mila copie della Sacra Scrittura attraverso una mongolfiera. Un responsabile di ICC riferisce: «E’ uno dei paesi più chiusi, dove le persecuzioni sono terrificanti. Atti di culto o il possesso di una Bibbia possono essere puniti con la reclusione nei campi di concentramento». Secondo stime correnti, in Nordcorea vi sono circa 400mila fedeli cristiani.

“Aiuto alla Chiesa che soffre” (ACS), che promuove progetti e aiuti per i fedeli cristiani che soffrono in molti paesi del mondo, ha invece lanciato una “una grande offensiva spirituale” per mostrare vicinanza e solidarietà ai fedeli cristiani in Nord Corea. Si tratta di pregare e di offrire Sante Messe per quelli che il regime considera “avversari pericolosi”. Da oltre 50 anni, nota ACS , la dittatura cerca di sradicare la fede cristiana, applicando la detenzione o l’esecuzione immediata per i fedeli. I pochi scampati dai campi di concentramento descrivono atrocità e torture. Dal 1953, 300.000 cristiani sono stati assassinati o internati in campi di concentramento. Tutti i preti e i missionari sono stati espulsi. «Non hanno nessun prete, nessun Sacramento, sono armati solo di poche Bibbie, perché possederne una è punibile con la morte», rimarca ACS in una nota pervenuta a Fides.

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«I medici cattolici? Malati di mente», nuovo delirio di Odifreddi

Nuova odifreddura di Odifreddi: in un commento sul blog di Repubblica se la prende con i medici di fede cattolica, da lui ritenuti inaffidabili in quanto malati di mente. Non può mancare la citazione della vecchia statistica sugli scienziati atei, ampiamente confutata da sondaggi più recenti.

 
 
 

Piergiorgio Odifreddi ne ha combinata un’altra delle sue.

Ad essere presi di mira sono stati questa volta i medici di fede cattolica, dei quali il noto matematico ha dubitato della sanità mentale.

 

I recenti precedenti di Odifreddi

Lo avevamo lasciato mentre difendeva i Black Block che hanno devastato Roma poche settimane fa, mentre poco prima i suoi cavalli di battaglia venivano smentiti dal cosmologo John Barrow in un’intervista condotta proprio da lui.

Nel settembre scorso dimostrò invece di capirne poco di fisica, sostenendo che «la relatività di Einstein non prevede affatto che la velocità della luce non possa essere superata!» Qui un approfondimento interessante.

Quest’estate abbiamo avuto l’onore di incastrarlo con la recensione di un suo libro in cui il sedicente “matematico impertinente” insulta il 90% degli intellettuali italiani. Lui ha reagito prima incolpando l’editore e il co-autore del libro, poi negando la paternità di quanto scritto e infine cercando di cancellare malamente il titolo del libro dal suo sito web, dove lo stava promuovendo.

 

«I medici cattolici sono malati mentali»

Venendo all’ultima odifreddura combinata in ordine cronologico, dobbiamo spostarci sull’assurdo blog che Repubblica gli ha dato tra le mani, dal titolo assolutamente appropriato: “Il non senso della vita di Piergiorgio Odifreddi”. Scritto così, senza virgole.

Il 30 novembre 2011 Odifreddi scrive qualcosa che non può passare inosservata: «Io invece mi preoccupo se un medico è cattolico».

Quale sarebbe la preoccupazione? «Perché uno che creda che si possono sanare i ciechi sputando per terra e impastando loro gli occhi con il fango, o che si può rimanere incinte per fecondazione angelica, e più in generale che il corso delle cose viene a volte mutato da interventi soprannaturali, mi da molto poco affidamento».

Tralasciando gli errori ortografici da quinta elementare (“possono” al posto di “possano”), Piergiorgio continua: «Che poi si riesca a usare la ragione i giorni settimanali, e credere a quelle cose la domenica, mi preoccupa ancora di più, dal punto di vista della sanità (mentale). Questo non significa che non credo non possa avere altri problemi, ma chi crede certamente ha quelli».

La profonda disamina viene conclusa prevedibilmente con il solito argomento degli “scienziati atei”: «Il 94 per cento degli scienziati mondiali non crede, e del rimanente 6 per cento, la quasi totalità è ebrea o protestante, non cattolica: qualcosa vorrà pur dire».

Odifreddi quindi considera i medici cattolici dei “malati di mente”, ma lo sarebbero anche tutti coloro che credono in Dio, in particolare cristiani e cattolici. Sarebbe interessante che i medici credenti ne prendesse atto e, per rispetto nei suoi confronti, si rifiutasse di curarlo (psicologi compresi, di cui avrebbe forse bisogno).

 

Le statistiche moderne sugli scienziati credenti

L’argomento più interessante è quello delle statistiche da lui citate, probabilmente non sa che ne sono uscite di ben più aggiornate di quelle da lui riferite e che risalgono agli anni ’80 e ’90.

Nel settembre 2011 sul “Journal for the Scientific Study of Religion” sono apparsi i risultati di uno studio sociologico tra scienziati e ricercatori d’élite, nel quale si apprende che la maggioranza di essi (il 70%) vede il rapporto tra “fede e scienza” come non conflittuale, ma anzi «la religione e la scienza sono due valide strade della conoscenza».

Nel giugno 2010 invece, è stato dimostrato da un’altra ricerca pubblicata dalla Oxford University Press, che tra gli scienziati d’elite, «il 50% è religioso e la maggioranza dei restanti sono “imprenditori spirituale”, cioè lavorano per diminuire le tensioni tra scienza e fede». Molto più attinente alla tematica uno terzo studio , secondo cui la maggior parte dei medici (3 su 4) si professa profondamente religioso e crede ad una vita ultraterrena (neurologi, anatomisti, fisiologi, cardiologi, chirurghi, medici legali, pediatri e psichiatri). Inoltre, i medici sono più propensi a partecipare alle funzioni religiose rispetto alla media della popolazione degli Stati Uniti (che non è proprio la Corea del Nord…).

Riconoscere di non avere più argomenti a disposizione porta Odifreddi al linguaggio violento e all’insulto.

Attendiamo con impazienza la prossima odifreddura.

La redazione

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Studio USA: il 17% degli scienziati atei porta i figli in chiesa

In questi anni la facoltà di sociologia della Rice University si è occupata di aggiornare gli studi sulla religione professata dagli scienziati occidentali.

Nel 2010 la prestigiosa Oxford University Press ha così pubblicato lo studio di Elaine Howard Ecklund, sociologa della Università americana, nel quale si dimostra che il 50% degli scienziati è oggi religioso/credente, e la maggioranza dei restanti sono “imprenditori spirituale”, cioè lavorano per diminuire le tensioni tra scienza e fede (cfr. Ultimissima 2/7/10). Nel giugno del 2011 invece, un secondo studio pubblicato sulla rivista “Sociology of Religion”, si è voluto nuovamente studiare un campione di scienziati di alto livello, arrivando comunque in qualche modo a confermare il precedente studio. Dei 1.700 scienziati intervistati, il 72% si è definito “spirituale” (anche se non sempre legati ad una religione), e tra i non credenti, il 22% di questi si è dichiarato “ateo spirituale” (cfr. Ultimissima 15/6/11).

In questi giorni è stato invece ultimato un terzo studio nel quale i ricercatori hanno voluto prendere in considerazione soltanto un campione di scienziati non credenti, scoprendo che il 17% di essi ha partecipato ad una funzione religiosa più di una volta all’anno e desidera educare i propri figli secondo un principio religioso«La nostra ricerca mostra quanto strettamente siano legate la religione e la famiglia nella società americana, tanto che anche alcune delle persone meno religiose della società trovano che la religione sia importante nella loro vita privata», ha detto la sociologa Howard Ecklund, co-autrice dello studio.

In particolare, si è scoperto che i partecipanti allo studio desiderano esporre i loro figli a tutte le fonti di conoscenza (compresa la religione) e permettere loro di fare le proprie scelte sull’identità religiosa. Inoltre, molto spesso i partecipanti allo studio sono stati coinvolti nella chiesa dal loro coniuge o partner. Infine, è emerso che i partecipanti allo studio apprezzano il senso di concezione morale e di comportamento che emerge dagli ambiti religiosi, anche se non sono d’accordo con essi. La sociologa ha detto che una delle scoperte più interessanti è stato scoprire non tanto che alcuni scienziati atei vogliono esporre i loro figli alle istituzioni religiose, ma lo fanno proprio grazie alla loro identità scientifica.

La ricerca è stata pubblicata in peer-review sul “Journal for the Scientific Study of Religion” e co-scritta assieme al sociologo dell’University di Buffalo SUNY, Kristen Schultz Lee.

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Il Papa non dovrà pagare una multa per la cintura di sicurezza

L’indaffaratissima (sic!) lobby anticlericale tedesca ha trovato il modo di fare parlare di sé mandando un suo membro, difeso da un avvocato del partito di sinistra “Die Linken”, a denunciare Benedetto XVI perché nel recente viaggio pastorale il Pontefice non indossava la cintura di sicurezza sulla Papamobile.

Non che nel resto del mondo ci siano iniziative migliori: in America le associazioni atee organizzano orge e gruppi di autoerotismo e contemporaneamente si lamentano perché nei loro raduni pullulano militanti fanatici, gli ateo-comunisti russi promuovono invece campagne pubblicitarie pro-Stalin mentre la setta ateo-razionalsita italiana chiede che le particole consacrate siano esaminate scientificamente per dimostrare che non c’è Dio. La lobby laicista inglese -capitanata da Richard Dawkins- usa invece  l’immagine di un gruppo di bambini sorridenti per sostenere che essere “atei significa essere felici”, anche se poi si scopre che questi bambini fanno parte di una devotissima famiglia cristiana di Londra.

Tuttavia un’iniziativa del genere come quella tedesca ancora non si era ancora vista. In Vaticano ha suscitato molta ironia e padre Federico Lombardi ha raccontato della reazione curiosa e divertita del Papa, anche se -ha detto- «qualcuno dei suoi connazionali non brilla per elasticità nell’interpretazione del senso delle norme». Un portavoce per l’amministrazione della città di Friburgo ha comunque confermato che la denuncia è nulla dato che «se una strada è chiusa al traffico pubblico, allora anche le regole del codice della strada non valgono più».

Qualcuno trovi qualcosa da fare agli annoiati razionalisti moderni!

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Richard Dawkins in guerra contro le femministe atee

Rebecca Watson è una giovane signora statunitense che gestisce un blog al femminile, Skepchick. Il titolo è un neologismo che, tradotto liberamente, in italiano suona più o meno come La Pollastrella Scettica. Skepchick viene descritto dalla Watson come “un’organizzazione dedicata alla diffusione tra le donne di tutto il mondo dello scetticismo e del pensiero critico”.

La blogger, che si autodefinisce atea, fino alla scorsa estate nutriva una sincera stima per l’elegante ultra-darwinista Richard Dawkins. A un certo punto, però, qualcosa si è rotto. Sentite come sono andate le cose. Nella prima settimana del giugno di quest’anno, Rebecca Watson partecipa insieme a Richard Dawkins alla “World Atheist Convention” di Dublino. Nel corso della tavola rotonda intitolata “Comunicare l’ateismo”, tenutasi nel pomeriggio del 4 giugno, Rebecca Watson siede proprio accanto al suo mito, Richard Dawkins (come si può vedere in questo video), e parla della sua contrastata attività a favore di un maggior rilievo delle donne nell’ambito del movimento ateista; in particolare, sottolinea di aver ricevuto per questo, più volte, minacce di violenza sessuale.

La discussione si prolunga fino a ben oltre il dopo cena, al bar dell’albergo. Verso le quattro del mattino la Watson decide che si è fatto veramente tardi e si avvia verso la sua camera. A questo punto succede qualcosa di spiacevole, anche se senza gravi conseguenze. In ascensore, un uomo non specificato (evidentemente uno dei partecipanti alla Conferenza) le fa una proposta: “Non prenderla male, ma ti trovo interessante. Vorrei parlare ancora con te. Che ne diresti di venire a prendere un caffè in camera mia?”. Rebecca declina l’offerta, un chiaro tentativo di seduzione. Commentando l’accaduto nel filmato pubblicato su Skepchick il 20 giugno, la blogger dichiara: “A buon intenditor, poche parole: ragazzi, non fate così”, e conclude osservando di essersi sentita incredibilmente a disagio, essendo “una donna sola in un paese straniero, alle quattro del mattino, chiusa nell’ascensore di un albergo” con un uomo che le fa proposte sessuali. Pensate che la faccenda finisca così, con lo sfogo – comprensibilissimo – di una giovane donna amareggiata per il comportamento poco elegante di un collega ateo?

Ebbene no. Il 2 luglio, in un articolo pubblicato su Pharyngula, il noto ateo-scientista PZ Myers esprime solidarietà alla Watson, mostrandosi inoltre particolarmente infastidito dal fatto che il suo mancato seduttore sia stato un collega di “fede”. Apriti cielo! Immediatamente, Richard Dawkins in persona sente il dovere di manifestare la sua eccelsa opinione sulla faccenda. Lo fa da par suo: minimizzando, in maniera sarcastica, la rimostranza di Rebecca Watson. In pratica, le consiglia di fare la brava bambina e di non lamentarsi istericamente di aver ricevuto attenzioni sessuali, quando nel mondo ci sono donne costrette a subire mutilazioni genitali. Il sarcastico commento di Dawkins lo si può leggere integralmente qui. Questo segna l’atto ufficiale di nascita dello scandalo ormai noto come “Elevatorgate”. All’infelice osservazione dell’ultra-darwinista inglese si susseguono infatti decine di risposte e contro-risposte, tra le quali va notata una dello stesso Dawkins, in cui il disagio provocato da un approccio sessuale in ascensore viene equiparato al fastidio suscitato da “un tizio che mastichi chewing gum” troppo vicino a lui. Come si può vedere qui , i colleghi scettici e atei di Rebecca Watson e Richard Dawkins si dividono immediatamente in due fazioni contrapposte, a sostegno dell’una o dell’altro.  E intanto la notizia fa letteralmente il giro del mondo.

Ora, proviamo a fare il punto della situazione. Prima di tutto, notiamo che la polemica si è svolta interamente all’interno della comunità ateista: il che ci permette di avere uno sguardo abbastanza obiettivo sulla faccenda. Non entrerò però nel merito dell’episodio dell’ascensore (ognuno se ne formi le sue personali opinioni, se vuole), perché credo che esso in realtà racconti qualcosa di molto più interessante del fatto in sé. Secondo me, infatti, dall’infuocato scambio di battute tra i “dawkinsiani” e i “watsoniani” emerge pubblicamente uno dei lati più oscuri del movimento ateista: ed è la scarsissima considerazione – se non il disprezzo – in cui sono tenute le donne. Si ricordi che Rebecca Watson  ha raccontato di aver ricevuto minacce di violenza sessuale solo per aver parlato di una diffusa misoginia nella comunità ateista. C’è da dire che questi atteggiamenti di disprezzo non fanno tanto bene alla causa ateista, visto che – a quanto pare – fanno perdere continuamente consensi dalla parte femminile del movimento, anche a causa della violenza che promuovono (cfr. Ultimissima 2/9/10). In conclusione, perciò, si può dire che le altezzose sparate di Dawkins almeno un effetto positivo ce l’hanno: quello di tenere le donne ben lontane dalle sue perniciose filosofie!

Michele Forastiere
e-mail: michele.forastiere@gmail.com

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A Madrid si ricorda come la Chiesa difese i nativi dai colonialisti

Il prossimo 21 dicembre verrà commemorato il 500° anniversario della storica omelia pronunciata dal frate domenicano Antonio de Montesinos sull’isola caraibica di Hispaniola, nella quale denunciò lo sfruttamento degli indigeni da parte dei colonialisti e reclamò la loro dignità di figli e figlie di Dio. Il religioso fu una delle tante risposte della Chiesa alla violenta invasione degli occidentali e spagnoli nelle terre indigene. Era la IV domenica di Avvento, il 21 dicembre del 1511, quando il frate domenicano tenne il celebre e durissimo sermone sull’isola di Hispaniola – oggi divisa tra Haiti e la Repubblica Dominicana – a nome della comunità domenicana.

Questi frati domenicani, ha affermato fra Calvo Alonso a Zenit.it, «sono stati dei profeti. Hanno ascoltato il grido degli indigeni maltrattati, sono rimasti sconvolti dalla sofferenza degli innocenti e hanno parlato in nome di Dio: “con che diritto e che giustizia tenete questi indiani in servitù tanto crudele e orribile? Non sono forse uomini?”». La denuncia scosse le coscienze delle autorità spagnole, che reagirono promulgando le cosiddette “Leggi di Burgos” (1512) e “Leggi di Valladolid” (1513) per migliorare la sorte degli indigeni, anche se vennero poco ascoltate.

Prima di Montesinos comunque, già papa Eugenio IV (1383-1487) indirizzò fin dai primi anni alle autorità religiose locali la bolla “Sicut Dudum”(1435) con la quale, in modo netto e senza ambiguità, condannò la schiavitù delle popolazioni indigene e, sotto pena di scomunica, concesse a chi era coinvolto nello schiavismo, 15 giorni dalla ricezione della bolla, per «riportare alla precedente condizione di libertà tutte le persone di entrambi i sessi una volta residenti delle dette Isole Canarie, queste persone dovranno essere considerate totalmente e per sempre libere («ac totaliter liberos perpetuo esse») e dovranno essere lasciate andare senza estorsione o ricezione di denaro». Nel 1462, anche papa Pio II (1405-1464), riferendosi al governatore locale delle Isole Canarie, condannò il commercio degli schiavi considerandolo «un grande crimine» («magnum scelus»). Come abbiamo dimostrato nel nostro dossier apposito, Chiesa e colonialismo, numerosi altri Pontefici si espresso in tali termini anche in seguito. Addirittura nella famosa battaglia di Mbororè, i gesuiti combatterono fianco a fianco dei Nativi per respingere gli attacchi dei colonialisti europei.

La posizione dei religiosi e della Chiesa ha ancora oggi un posto importante nella storia dei diritti umani, il primo “embrione” della Dichiarazione dei Diritti umani, tant’è che l’Ordine dei Predicatori (OP) ha organizzato in tutto il mondo una serie di congressi, conferenze e celebrazioni. L’evento principale si svolgerà a Madrid il 21 dicembre presso la “Casa de América”, dove interverranno il Maestro dell’Ordine, fra Bruno Cadoré, José Antonio Pastor Ridruejo, cattedratico di Diritto ed esperto dei diritti umani, e il filosofo Mate Reyes. Ad organizzare l’evento sarà la Giunta Iberica delle Province Domenicane di Spagna, insieme con la “Casa de América” (www.dominicos.org/500-sermon-montesino)

 

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