Studio australiano: giovani meno delinquenti se nella famiglia è presente il padre

Uno studio realizzato dal Melbourne Institute of Applied Economic and Social Research presso l’Università di Melbourne, ha scoperto che i ragazzi adolescenti (meno per le femmine) che hanno una figura paterna presente nella loro vita hanno significativamente meno probabilità di impegnarsi in successivi comportamenti delinquenziali rispetto ai loro coetanei orfani o senza padre.

«Il senso di sicurezza generato dalla presenza di un modello di ruolo maschile in un giovane un effetto protettivo per un bambino, indipendentemente dal grado di interazione tra il bambino e il padre», ha detto il professor Deborah Cobb-Clark, direttore del Melbourne Institute e autore principale dello studio. Dunque è importante anche solo la presenza, senza valutare la qualità di questa figura.

«I padri offrono ai bambini modelli di ruolo maschile e possono influenzare le preferenze dei bambini, valori e atteggiamenti, dando loro un senso di sicurezza e rafforzano la loro autostima», ha continuato. In particolare, lo studio ha rilevato che ogni forma di comportamento delinquenziale è stato ridotto di 7,6 punti percentuali per i ragazzi che vivevano con i loro padri biologici, e di 5 punti percentuali per quelli che vivono con il loro padre non biologico. «I padri sono associati ad una riduzione particolarmente grande di incidenza in comportamenti violenti e la lotta tra gang di ragazzi adolescenti», si legge nello studio.

La ricerca colpisce indirettamente i sostenitori dell’adozione per le coppie omosessuali, dimostrando che l’assenza del padre è deleteria, come lo è d’altra parte l’assenza della madre. Una recente ricerca della Essex University dimostrava che l’influenza maggiore sulla felicità di un bambino avveniva se essi vivevano con entrambi i genitori, maschio e femmina.

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Londra: dopo la visita di Benedetto XVI, più fedeli a Messa

La visita del Papa del settembre 2010 ha portato più fedeli alla messa a Westminster. Secondo statistiche pubblicate nell’ultima edizione del “Westminster Year book”, l’annuario che raccoglie tutti i dati relativi a questa diocesi della Chiesa cattolica di Inghilterra e Galles, la frequenza alla messa è aumentata di quasi tremila persone tra l’ottobre 2009 e l’ottobre 2010.

Il conto di quanti fedeli partecipano alla Messa viene fatto in ottobre ogni anno e nel 2010 è stato completato poco dopo la visita di stato di Benedetto XVI. Sono state 158.574 le presenze a messa nel 2010 rispetto alle 155.880 nel 2009 nella chiesa madre del cattolicesimo inglese. Le statistiche provenienti dalle parrocchie della diocesi guidata dal Primate, mons. Vincent Nichols confermano, inoltre, un aumento dei battesimi, del numero di chi diventa cattolico e dei matrimoni.

L’annuario rivela che le cinque parrocchie più frequentate sono quella polacca di “Our Lady Mother of the Church”, con 4.321 persone, di Westminster cathedral, con 3.980 persone, di Greenford con 2.272, dell’“Oratory”, un’altra importante chiesa del centro di Londra dove hanno frequentato la messa, nel 2010, 2.221 fedeli e di Stamford Hill, con 2.061.

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I “New atheist”? Già da rottamare, dall’America arriva il laicismo “soft”

I “New Atheist”? Già vecchi, da archiviare. Dopo che il loro gran sacerdote, Richard Dawkins, ha ammesso pubblicamente andando in pensione di avere fallito nella sua battaglia per l’ateismo, arrivano dall’America a sostituirlo i “New new atheist” i quali si oppongono proprio ai vecchi e consumati Dawkins, Hitchens, Dennett e Sam Harris.

I leader di questo “nuovo secolarismo” sono autorevolissime voci intellettuali -“laiche”- i quali non credono più in istanze bellicose verso quanti credono, né sono pregiudizialmen­te chiusi rispetto a quanti possiedono un riferimento religioso. Ad accendere il dibattito in America, scrive Fazzini in un articolo ironico su “Avvenire”, è stata la pubblicazione di un libro a più mani, “The Joy of Secularism. 11 Essays for How We Live Now” (Princeton University Press, 2011). Il curatore, George Levine, Distinguished Scholar alla New York University, presenta così l’intento del suo lavoro, compartecipato da storici, filosofi, scienziati, scrittori: «Esplorare l’idea che il secolarismo è una condizione positiva, non negativa, non una negazione del mondo dello spirito o della religione, ma un’affermazione del mondo in cui noi viviamo adesso».

Come afferma il filosofo della religione, Charles Taylor, questi “atei moderati” riiniziano ad interrogarsi sul senso della vita. Anche i media, quegli stessi che hanno fatto per lungo tempo cassa di risonanza alla coppia Dawkins&Hitchens, notano un cambiamento positivo. Un esempio è il New Yorker, il quale ha certificato questa nuova prospettiva priva di sguardo religioso definendola «New Secularism»: «È un atteggiamento tollerante e anche interessato alla varietà delle pratiche religiose, e mantiene un tono di voce impegnato ed equo», come rilevato da James Wood in un lungo e recente articolo dedicato alla questione. Commentando un altro articolo su questi “New new atheist”, Wood spiega: «Questo ateismo è capace di dar credito al fatto che le religioni fanno del bene. In particolare, questa prospettiva constata quanto le religioni offrono in termini di comunità, compagnia e forza in epoche di bisogno, e come la religione ha frequentemente ispirato la gente normale a notevoli gesti di carità e altruismo», per poi evidenziare che i fautori del «New Secularism» «riconoscono che molti credenti di oggi non hanno niente a che spartire con quella religione letteralistica che gli atei militanti imputano ai credenti come una colpa».

Pure il New York Times, in un articolo recente, ha segnalato questo cambiamento di registro presentato dai «nuovi secolari». Gary Gutting vi ha dedicato un articolo, sotto il significativo titolo Beyond “New Atheism”, elogiando questo indirizzo di pensiero, il quale che va appunto «oltre» il «nuovo ateismo». Guitting analizza il pensiero di Philip Kitcher, filosofo della Columbia University, annotando che i nuovi secolari «prendono sul serio la domanda se l’ateismo possa rimpiazzare il senso che i credenti trovano nella religione. Kitcher concorda nel fatto che la sola liberazione dal teismo non è sufficiente. Gli atei devono andare verso il progetto positivo di mostrare come la loro visione del mondo può arrivare a quella che lui chiama “le funzioni etiche” del teismo. La posizione di Kitcher è aperta a serie obiezioni, ma possiede la statura concettuale e logica che manca nelle polemiche degli “atei scientifici”».  Un vento interessante e innovativo dunque nella stantia e finora fallimentare, seppur così giovane, cultura  laicista.

Aggiornamento 16/12/11. Nel momento in cui è stato scritto l’articolo non era ancora diffusa la notizia della morte di Christopher Hitchens, il testo non intende avere alcuna correlazione con essa. La redazione esprime le più sentite condoglianze alla famiglia del noto scrittore.

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Le Isole Baleari smettono di finanziare l’aborto e sostengono la vita

Il governo della provincia spagnola delle Isole Baleari ha deciso che interromperà, a partire dal 2012, il finanziamento per le interruzioni di gravidanza effettuate in cliniche private. Il provvedimento è stato intrapreso su richiesta dell’IPFB (Istituto per la politica familiare delle Isole Baleari), ed ha visto sopprimere un finanziamento per cui, nel 2011, erano stati assegnati 540.000 € alla pratica abortista. I soldi risparmiati in questo modo, dunque, saranno destinati da subito al sostenimento delle donne in gravidanza che ne facciano richiesta.

E’ sicuramente un primo segnale dell’arrivo al governo del Partito Popolare, che ha vinto le elezioni nelle Baleari nel giugno 2011 e nel novembre 2011 in Spagna. Augustin Buades, delegato dell’IPFB, ha accolto favorevolmente l’invito della consigliera del dipartimento della “Salute, Famiglia e Benessere Sociale”, Carmen Castro Gandasegui, dicendo: «La Signora Castro ha dichiarato così che debbano essere soppresse le sovvenzioni alle cliniche abortiste private, ha sottolineato che la possibilità di abortire esiste anche nelle cliniche pubbliche e che, nel caso il medico rifiuti di eseguire l’aborto, si cercherà un altro ginecologo». E’ dunque stata anche difesa l’obiezione di coscienza. Tuttavia, l’annuncio non è stato accolto favorevolmente dal gruppo parlamentare PSM-IV-ExM, che aveva avviato la procedura di sostegno all’aborto. La deputata Fina Santiago ha affermato, infatti, che il ritiro delle sovvenzioni fosse “inaccettabile” perché, a suo dire, «pone limiti ad un diritto ottenuto dalle donne dopo molti anni e che viene decretato da una legge tutt’ora in vigore».

Augustin Buades, ad ogni modo, ha risposto alle accuse affermando che «in un momento in cui mancano le risorse finanziare per sostenere sanità e istruzione, il denaro pubblico non dovrebbe mai andare a finanziare l’aborto. Il finanziamento regionale dell’attività abortiva è particolarmente offensiva, in particolare nei confronti dei cittadini che pagano le tasse», e che magari sono contrari all’interruzione di gravidanza. L’IPFB ricorda, inoltre, che «l’aborto interrompe una vita umana, per cui è una grande tragedia per la donna che lo sceglie, rendendo anche la nostra società più disumana: è inammissibile finanziarlo con denaro pubblico».

Michele Silvi

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Di fronte al male innocente, solo il cristianesimo può resistere

Il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura, è intervenuto recentemente al convegno organizzato a Milano dai Medici Cattolici, i quali si sono domandati il “perché” della sofferenza e del dolore.

Il cardinale ha risposto in modo molto interessante e significativo alla questione: «Quando siamo ammalati abbiamo bisogno di essere confortati, guardiamo alla vita in modo diverso, cambiano le priorità e se la malattia si aggrava cambia anche la scala dei nostri valori. La prima risposta è semplice, logica e razionale: il dolore è una componente della finitezza delle creature». Il male, cioè, ricorda a noi l’essere creature, ci disillude dal pericoloso concetto di autodeterminazione, di governo e possesso della propria persona. Il dolore non è accettato nella nostra società orgogliosa e tecnologica, la morte la si occulta in tutti i modi, con l’eutanasia eliminando direttamente il soggetto o si insegue la possibilità di vivere fino a 120 o 130 anni, continuando ad allontanare l’appuntamento.

E’ evidente che però questo non basta a guardare al dolore innocente. «Resta drammatica quella pagina de “La Peste” di Albert Camus, dove davanti alla morte di un bambino si afferma: non posso credere a un Dio che permette questo». spiega Ravasi. Il problema è l’eccesso del male: «qui ha inizio la frontiera in cui si attestano le religioni con le loro risposte, che non esauriscono il mistero. Nel “Libro di Giobbe”, al culmine della disperazione umana, Dio parla e spazza via tutte le spiegazioni e i tentativi di razionalizzare. La soluzione può essere solo meta-razionale, globale e trascendente e si trova nell’incontro con Dio».

La risposta, l’unica risposta che riesce a stare di fronte al dolore «è quella cristiana, totalmente diversa dalle altre religioni. Perché nel cristianesimo è Dio stesso, in Cristo, che non solo si piega verso di noi per spiegarci il significato della sofferenza, non solo in qualche caso guarisce grazie alla sua onnipotenza con i miracoli, ma entra nella nostra umanità e prova tutto il dolore dell’uomo. Il dolore fisico, morale, la paura, il silenzio del Padre. E alla fine anche la morte, che è la carta d’identità dell’uomo, non di Dio. Diventa un cadavere, senza mai cessare di essere Dio, soffre tutta la sofferenza umana e vi depone un germe di trasfigurazione, che è la resurrezione, fecondando la nostra natura mortale». Cristo non ha risposto al dolore cancellandolo, ma «lo ha assunto su di sé e trasfigurato con il germe dell’infinito, che è preludio d’eternità per noi. Il cristianesimo è una religione fieramente carnale e vicina al dramma di chi soffre – al contrario di tante altre religioni – perché per i cristiani Dio è diventato un uomo ed è morto in croce. I cristiani, come attesta la nascita degli ospedali, hanno sempre avuto questa attenzione verso i malati, perché credono in un Dio che è stato sofferente, ha conosciuto la morte ed è risorto».

Il dolore che arriva dall’uomo è a causa della sua libertà, essere liberi comporta una responsabilità. Ma al male innocente, nessuno può stare di fronte. Lo si cerca di ignorare nichilisticamente come fa il buddhismo o lo si nega del tutto come fece Spinoza o Leibniz dicendo che il nostro è il miglior mondo possibile. Solo il cristianesimo offre una risposta valida: Gesù risponde al male trasformandolo da scandalo a mistero accettabile. Solo il Dio cristiano non può essere coinvolto dalla bestemmia dell’uomo per la marea di dolore che lo sovrasta, Egli propone uno scandalo maggiore: è Lui stesso che patisce il martirio per primo.

La sofferenza ha un significato, misterioso e che sfugge, ma che può indurci ad accoglierla perché fa parte di un disegno divino alle cui regole Dio stesso si è sottomesso, questo è abbastanza perché ne comprendiamo il valore. Solo Gesù ci fa passare dalla rivolta all’accettazione della sofferenza, la risposta al male non sono parole, non è una filosofia, ma è una Persona a cui guardare, sempre che si sia disposti a guardarLa. Di fronte all’esistenza del male, tutte le religioni crollano -ateismo compreso-, solo il cristianesimo riesce a starvi di fronte, come chiarisce bene la conversione del giornalista comunista Renzo Foa (cfr. Ultimissima 9/6/10)

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L’eugenista Odifreddi: «Lo Stato imponga l’aborto alle donne»

Avevamo appena finito di parlare degli insulti di Piergiorgio Odifreddi verso i medici cattolici, che considera letteralmente dei “malati di mente” (cfr. Ultimissima 9/12/11).

Il “matematico” sedicente impertinente ne ha combinata un’altra, scoprendosi anche eugenista.

Oltre che per sistemare questioni personali molto scottanti, il matematico abusa spesso del suo blog “Il non senso della vita di Piergiorgio Odifreddi” (senza alcuna virgola!), per occuparsi anche di bioetica ed eugenetica.

Si è così interessato della storia della sedicenne di Trento che desiderava tenere il figlio concepito con un albanese, ma i genitori si sono rivolti al tribunale per farla abortire, ricevendo però risposta negativa perché l’aborto è un diritto, non certo un dovere.

Odifreddi, esaltato dalla politica del figlio unico cinese, ha fatto un appello nazionale.

Se si scoprisse a priori che il nascituro non potrà vivere una vita felice (e chi lo stabilisce?), allora «i tribunali dovrebbero intervenire per impedire la procreazione. Anzitutto, in maniera preventiva, forzando all’uso di anticoncezionali. E poi, quando la prevenzione avesse fallito, imponendo la cessazione della gravidanza […]. La procreazione responsabile è un dovere civile e sociale anche, e soprattutto, dei cittadini adulti sposati. E uno stato degno di questo nome dovrebbe vigilare affinché essa fosse praticata, e imposta quando non lo fosse». Lo Stato dunque dovrebbe valutare chi potrà essere felice e chi non potrà esserlo, obbligando le donne ad abortire.

Di reazioni non ce ne sono state molte, d’altra parte Odifreddi non se lo filano in molti. Sottolineiamo solo il giudizio di Monica Mondo, che commenta così: «Chiaro, semplice. Dunque: nella pianificazione necessaria dello Stato facciamo fuori i bambini che nascerebbero poveri: quelli che potrebbero nascere “diversi”, ammalati, o che potrebbero diventarlo, c’è l’analisi del dna a garanzia; quelli brutti, quelli maschi e/o femmine, a seconda di quanto serva, in Corea e in Cina ci riescono benissimo (gay, zingari? Per ora no, non sta bene, sono categorie protette. Ma si sa mai…) Si chiama eugenetica. La praticavano i geniali aguzzini di Hitler, tanti anni fa. Erano dei geni, qualcuno anche scienziato. La ragione la usavano benissimo».

Qualcun’altro lo definisce invece “nazista”.

Notiamo comunque che non solo i suoi seguaci più affezionati si sono indignati nei commenti sotto il suo blog. Ma anche diversi non credenti dai loro siti web hanno preso posizione: «per Odifreddi se una coppia è povera, incasinata, non in grado di assicurare al nascituro la felicità (cosa che immagino invece sia perfettamente alla portata dei famosi matematici anticattolici) lo Stato ha il dovere di impedirgli di avere figli. Ricorrendo alla contraccezione forzata o all’aborto forzato. Idee agghiaccianti, che abbiamo visto realizzarsi solo nei regimi più crudeli. O nelle distopie più cupe e pessimistiche. Come 1984 di Orwell, appunto», dice uno di quelli più interessanti.

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Lo scrittore De Botton: «la società laica non funziona, guardiamo al cristianesimo»

Abbiamo già avuto modo di parlare (cfr. Ultimissima 7/9/11) dello scrittore, giornalista ed editorialista Alain de Botton, autore di “Del buon uso della religione” (Guanda 2011), ovvero una sorta di risposta al libro di Giulio Giorello intitolato “Del buon uso dell’ateismo”. E’ un dialogo tra non credenti intelligenti e non certo razionalisti. In passato abbiamo apprezzato la posizione di Giorello.

De Botton parla ancora una volta parla della sua educazione forzata all’ateismo: «Sono cresciuto in una famiglia di atei convinti, figlio di ebrei non osservanti che mettevano la fede religiosa sullo stesso piano della fede in Babbo Natale. Nonostante fossi stato fortemente influenzato dall’atteggiamento dei miei genitori, passati i vent’anni il mio ateismo mi ha mandato in crisi». Al posto di approdare alla fede però, come spesso capita, è oggi convinto della necessità di “sfruttare” il benessere culturale che la vita religiosa, in particolare cristiana, offre: «Mi sono reso conto che la mia protratta resistenza alle teorie sull’aldilà o sugli abitanti del paradiso non era una giustificazione sufficiente per liquidare la musica, gli edifici, le preghiere, i rituali, le celebrazioni, i santuari, i pellegrinaggi, i pasti in comunione e i manoscritti miniati». Ed è opportuno farlo, secondo lui, per contrastare la disgregazione del senso di comunità nella società laica moderna, e per far fronte alle fragilità che minano l’equilibrio di tutti gli esseri umani. Afferma: «Nella società di oggi ci viene chiesto di fare una scelta, di dichiarare se siamo religiosi o se non lo siamo affatto. O si crede o non si crede, punto. Mettere le cose in questo modo mi sembra un po’ ridicolo, perché in realtà nella pratica religiosa si trovano elementi importanti che non riguardano in realtà solo “la fede” in senso stretto. In particolare, credo che un po’ tutti noi abbiamo bisogno di imparare dalla religione come organizzare la nostra vita spirituale». Propone quindi di «leggere le fedi, principalmente quella cristiana e, in misura minore, quella giudaica e quella buddista, alla ricerca di intuizioni che possano tornare utili nella vita laica, soprattutto in relazione ai problemi sollevati dalla convivenza all’interno di una comunità e dalle sofferenze mentali e fisiche. Non si tratta di negare i valori della laicità: la mia tesi è che spesso abbiamo laicizzato malamente, cioè che, mentre cercavamo di liberarci di idee inattuabili, abbiamo erroneamente rinunciato anche ad alcuni degli aspetti più utili e affascinanti della religione».

Uno spunto insolito quello dell’intellettuale svizzero, seppur non innovativo. Già Giuliano l’Apostata riteneva che i cristiani andassero combattuti sul loro campo, imitandoli nella sobrietà e nella benevolenza verso gli altri. Tuttavia l’intellettuale afferma indirettamente l’incapacità della realizzazione di una morale laica (almeno fino a prova contraria), così come aveva già sottolineato il “papa laico” Norberto Bobbio: «La morale razionale che noi laici proponiamo è l’unica che abbiamo, ma in realtà è irragionevole. Io non ho nessuna speranza. In quanto laico, vivo in un mondo in cui è sconosciuta la dimensione della speranza». E ancora in un’intervista inedita: «Gli uomini sono cattivi. Il male è la storia umana. È la sconfitta di Dio e la sconfitta della ragione. Questo secolo lo dimostra più di ogni altra epoca. E il cristianesimo, dov’è il cristianesimo? […]. Come diceva Croce, non possiamo non dirci cristiani. Senza l’etica cristiana non c’è convivenza. Ma il cristianesimo come fede è un’altra cosa. E io non riesco a non dubitare». Il tentativo dello scrittore svizzero non appare comunque realizzabile, perché nessuna etica sopravvive se non è agganciata a qualcosa che sovrasti l’uomo. Detta in termini sportivi, i giocatori non sanno farsi le regole. Recentemente ha ampliato questo concetto il filosofo Benedetto Ippolito, docente presso l’Università degli Studi “Roma Tre”: «l’unico pilastro con cui è possibile salvaguardare l’intelligenza, la libertà dell’uomo e il rispetto della natura circostante è solo Dio creatore, perché Egli è il principio che permette di concepire il valore supremo della natura creata rispetto ai tanti interessi esistenti». E perfino il teologo dissidente Hans Küng: «L’umano è salvaguardato solo se viene fondato sul divino. Solo l’Assoluto può vincolare in maniera assoluta».

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Giudice americano: «il Vaticano non è responsabile dei preti pedofili»

Nonostante ci abbia provato per mesi e mesi con grande spreco di risorse, tempo ed energie, la lobby anticlericale americana non è ancora riuscita a dimostrare come il Vaticano possa essere responsabile del comportamento pedofilo di alcuni sacerdoti. Ancora una volta infatti, un giudice federale di Portland ha rifiutato un interrogatorio per i funzionari vaticani richiesto dagli agguerriti avvocati americani (a volte denunciati per frode dalle stesse vittime che avrebbero dovuto difendere), i quali hanno sostenuto appunto che il Vaticano sia il datore di lavoro del prete accusato di abusi compiuti nel 1960. Il caso è precisamente quello di John V. Doe vs. Santa Sede. Il giudici ha stabilito che nelle 70 pagine di documenti arrivate dal Vaticano era evidente come nessuno era a conoscenza della cattiva condotta sessuale del sacerdote fino a quando il suo ordine religioso lo ha denunciato.

Ricordiamo che nel maggio 2011 è stata scoperta la causa della pedofilia negli ambienti clericali. Ci sono voluti 1,8 milioni di dollari per finanziare quello che il New York Times ha definito lo studio più autorevole condotto finora sulla questione, ovvero quello del team di ricercatori del John Jay College of Criminal Justice di New York. La conclusione è che la pedofilia di alcuni preti non è dovuta né al celibato né all’omosessualità, bensì al clima culturale libertario e permissivo (originato da ambienti anticlericali e laicisti) della fine degli anni Sessanta e al fatto che i preti in quel periodo fossero poco preparati e poco monitorati, sotto stress e spaesati dal tumulto sociale e sessuale di quegli anni. Praticamente la rivoluzione sessuale, il ’68 e quel relativismo ideologico che ha condizionato la società da lì in poi. Il rapporto ha anche rilevato come la maggior parte degli abusi si sia verificata negli anni successivi al 1968, attribuendo dunque la colpa a quello che viene denominato come effetto Woodstock. La guerra al pensiero della Chiesa e alla metafisica classica, la causa reale del ’68 come sottolineava già a quei tempi con la solita lucidità il filosofo Augusto Del Noce, fece esplodere il fenomeno della pornografia, dello svuotamento della famiglia e anche della pedofilia in tutta la società, con richieste ufficiali di liberalizzazione del sesso con i minori, come avvenne nel 1977 nel manifesto firmato dai leader della cultura laica e anticlericale di allora come Simone de Beauvoir, Michel Foucault e Jean-Paul Sartre.
Nel rapporto, finanziato dal National Institute of Justice, dalla Cei americana e dal Dipartimento di Giustizia americano, si sostiene inoltre che non sarebbe stato possibile per la Chiesa né per nessun altro individuare in anticipo i preti pedofili, perché non presenterebbero “particolari “caratteristiche psicologiche”, “storie di sviluppo” o disturbi dell’umore” tipici dei pedofili. Per questo, il rapporto sostiene anche che la maggior parte dei preti che hanno commesso abusi non possono essere definiti “pedofili”.

Ricordiamo infine che il governo degli Stati Uniti e il presidente Obama, sono scesi in campo a sostegno della Santa Sede, che i cattolici americani hanno capito l’assurdità delle accuse ed è aumentata la loro stima per la Chiesa, così come hanno fatto tantissimi intellettuali, credenti e non credenti, firmando appelli in difesa del Papa, compresi quotidiani come il Washington Post e il Wall Street Journal. I laici Marcello Pera e Giuliano Ferrara hanno dichiarato: «chi conduce la campagna contro la Chiesa non mira ai preti. Dietro l’attacco al Pontefice si rivela la guerra culturale ai valori giudaico-cristiani» e «la pedofilia è una scusa, l’obiettivo è la Chiesa».

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Gli ebrei difendono Pio XII, trovato un nuovo documento

Gary Krupp, un ebreo americano, è venuto in possesso della lettera di una donna ebrea la cui famiglia si salvo grazie all’intervento diretto del Vaticano. «E’ una lettera insolita, scritta da una donna che vive oggi nel nord dell’Italia e che dice che lei, con sua madre, suo zio e pochi altri parenti era a un’udienza con Pio XII nel 1947», ha dichiarato. Vicino al Papa, durante l’incontro c’era anche monsignor Giovanni Montini, il futuro Papa Paolo VI. Suo zio -ha spiegato Krupp- fissando il Papa disse: “Voi eravate vestito come un Francescano”, poi rivolgendosi a Montini: “e voi come un sacerdote. Mi avete portato fuori dal Ghetto fino in Vaticano”. Montini ha risposto subito: “Silenzio, non dite mai nulla di questa storia”.

Krupp ha parlato di questo documento riconoscendone l’autenticità, innanzitutto per la fonte e poi perché in linea con la personalità di Pio XII, il quale desiderava accertarsi delle cose con i propri occhi, infatti era solito girare in macchina per le zone bombardate di Roma. Secondo Krupp è quindi estremamente credibile che sia entrato nel ghetto per vedere di persona cosa vi accadeva. Gary Krupp e sua moglie Meredith, entrambi ebrei, hanno fondato nel 2002 la fondazione “Pave the Way” per “identificare ed eliminare gli ostacoli non teologici tra le religioni”. Nel 2006 iniziò a studiare la figura di Papa Pio XII e il suo atteggiamento durante la seconda guerra mondiale. «Noi siamo ebrei. Siamo cresciuti odiando il nome di Pio XII», dice. «Credevamo fosse un antisemita e un collaboratore dei Nazisti. Credevamo tutto quello che era stato affermato su di lui». Ma quando ha iniziato a studiare i documenti dell’epoca è rimasto estremamente sorpreso e «la sorpresa si tramutò in rabbia perchè mi era stato mentito», ha affermato.

Oggi Krupp, e come lui il rabbino David G. Dalin e tanti altri, concorda fermamente con le conclusioni di Pinchas Lapide, storico ebreo e diplomatico Israeliano che disse che le azioni dirette di Papa Pio XII e del Vaticano salvarono circa 897.000 ebrei durante la guerra. “Pave the Way” ha raccolto oltre 46.000 pagine di documenti storici che lo provano e sul proprio sito web pubblica numerose interviste di testimoni oculari e storici. «Credo che sia una responsabilità morale, questo non ha nulla a che vedere con la Chiesa Cattolica», ha dichiarato, «riguarda solo la responsabilità ebraica di riconoscere un uomo che ha agito per salvare un’enorme numero di ebrei in tutto il mondo mentre era circondato da forze ostili, spiate e sotto minaccia di morte». Krupp ha spiegato che Pio XII usò la rete globale di ambasciate della Santa Sede per aiutare gli ebrei a fuggire dall’Europa occupata. In un caso il Vaticano chiese, segretamente, alla repubblica Dominicana i visti (800 in una volta) per aiutare la fuga degli ebrei. Con questa sola iniziativa si stima che abbia salvato oltre 11.000 ebrei tra il 1939 e il 1945. Inoltre i conventi e i monasteri di Roma (territorio neutrale durante la Guerra) furono usati come nascondigli per gli ebrei.

Dopo la sua elezione al soglio pontificio nel 1939, A. W. Klieforth, il console generale americano a Colonia, inviò un telegramma segreto al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti illustrando i sentimenti di Papa Pio XII nei confronti del Nazismo in Germania. Krupp descrive la reputazione del Papa come luminosa e intatta fino a quando, nel 1963, lo scrittore tedesco Rolf Hochhuth scrisse la sua commedia “Il Vicario”. Egli ritrasse Papa Pio come un ipocrita che rimase in silenzio riguardo la persecuzione degli ebrei e da lì è nata la leggenda, ripresa da anticlericali e anticattolici. Il sito internet di “Pave the Way” porta la testimonianza di un ex ufficiale del KGB, Mihai Pacepa, che sostiene come quello di macchiare la reputazione del Papa fosse un piano sovietico. L’obiettivo dei comunisti sarebbe stato di «screditare il Papa dopo la sua morte, per distruggere la reputazione della Chiesa Cattolica e, più importante per noi, per isolare gli ebrei dai Cattolici. E sono riusciti bene nei loro intenti», ha sostenuto l’ebreo.

Concludendo, ritiene comunque che oggi la diga stia cedendo e ci sia una fondamentale revisione dei fatti che riguardano Papa Pio XII durante il tempo di guerra. Paradossalmente, conclude, ha dichiarato di trovare più resistenza su Pacelli quando parla nelle parrocchie cattoliche piuttosto che nelle sinagoghe ebraiche.

Davide Galati

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Se il più importante filosofo del buddhismo diventa cattolico

Tra i massimi studiosi europei delle religioni orientali vi è Paul Williams, professore emerito di “Filosofia indiana e tibetana” presso il Dipartimento di Teologia e Studi religiosi dell’Università di Bristol, uno delle maggiori autorità accademiche sul buddismo.

Tuttavia nel 1999 si è convertito con grande sorpresa al cattolicesimo, dopo aver seriamente riflettuto sul karma e l’aldilà.

Era un convinto buddista, intellettuale e professionista fino alla conversione che, come dicevamo ha sorpreso i suoi allievi, colleghi e familiari. La rivista buddhista inglese, Dharmalife, la prese davvero male scrivendo: «Williams è uno dei principali studiosi inglesi del buddismo e un praticante buddista da molti anni. Come stupefacentemente è stato udito, ha deciso di diventare cattolico. Cattolicesimo!».

Nel 2002 ha pubblicato un libro con la sua testimonianza di conversione e riflessioni dove racconta come sia stato educato da anglicano, ma dopo la laurea in filosofia buddhista ha abbandonato. Scrive: «Nel 1973 ero tranquillo: avevo studiato il buddismo e sembrava coerente, Dio non era necessario ed ero considerato come un buddista». In qualità di professore ha creato la sua cerchia di buddisti. «Ho praticato la meditazione buddhista tenendo conferenze nelle riunioni, nei talk show e partecipando a dibattiti pubblici con il cattolico dissidente Hans Küng. Non credevo in Dio…o meglio, non sembrava esserci ragione di credere in Dio e l’esistenza del male era per noi un argomento positivo in questo senso. Nel buddismo si ha un sistema di moralità, spiritualità e filosofia immensamente sofisticato (ed esotico), non hai bisogno di Dio per nulla».

Nel cosiddetto buddhismo occidentale, ha piegato il filosofoalcuni leader buddisti promuovono la “bestemmia terapeutica” per facilitare il distacco dal background cristiano, le cose offensive sono considerate sacre nella loro cultura. Anche altre cose sono sempre rimaste poco ragionevoli per Williams: l’infinita reincarnazione, anche in forme di animali e per sfuggire a tutto questo -che anche loro considerano terribile- il buddismo insegna che è possibile raggiungere l’illuminazione, il nirvana, la perfezione assoluta in questa vita e il distacco, cosa però rarissima e suprema. L’inesistenza di una spiegazione al dolore innocente è poi la cosa che lascia davvero spaesati: «non può essere visto come soddisfacente. Il buddhismo non aveva speranza per me. I cristiani hanno invece speranza, così ho voluto tornare ad essere cristiano. Mi sono reso conto che è razionale credere in Dio, molto di più del non credere».

Dopo aver esaminato la chiave del messaggio cristiano, la resurrezione di Gesù, «sono rimasto sorpreso di scoprire che la risurrezione letterale di Cristo dai morti dopo la sua crocifissione è la spiegazione più razionale di quello che è successo. Questo ha reso il cristianesimo l’opzione più razionale delle religioni teistiche, e come cristiano ho sentito che la priorità dovrebbe essere data alla Chiesa Cattolica. Il cristianesimo è la religione del valore infinito di ogni persona. Ogni persona è una creazione individuale di Dio. Qui sta tutta la morale cristiana dal valore di altruismo della famiglia e del sacrificio dei santi». Oggi Paul Williams è un domenicano laico e un grande ammiratore di San Tommaso d’Aquino, anche se continua ad essere professore e specialista di Buddismo.

La redazione

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