Il Centro Ricerche ENEA sulla Sindone: «rimane un mistero per la scienza»

Dopo cinque anni di studi sulla colorazione simil-sindonica per capire come abbia potuto generarsi l’immagine sulla Sindone di Torino, il Centro Ricerche ENEA di Frascati, l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, ha pubblicato un resoconto ufficiale arrivando ad affermare che tutti i tentativi di replica dell’immagine sinora effettuati con le più moderne tecnologie (e con i mezzi disponibili nel passato) sono falliti.

Ancora oggi la scienza non è ancora in grado di spiegare come si sia formata l’immagine. Il dott. Paolo Di Lazzaro, fisico e dirigente di ricerca presso il Centro Ricerche Enea di Frascati, ha presentando in anteprima su UCCR quel che da oggi è  disponibile sul sito web di ENEA.

I risultati hanno dimostrato la possibilità di colorare tessuti di lino in modo simil-sindonico tramite la luce UV e VUV di un laser eccimero impulsato della durata di alcuni miliardesimi di secondo. Un brevissimo e intenso lampo di radiazione VUV direzionale può colorare un tessuto di lino in modo da riprodurre molte delle peculiari caratteristiche della immagine corporea della Sindone di Torino, incluse la tonalità del colore, la colorazione superficiale delle fibrille più esterne della trama del lino, e l’assenza di fluorescenza. Tuttavia, l’immagine sindonica presenta alcune caratteristiche ancora impossibili da riprodurre, per esempio le striature e la sfumatura dell’immagine dovuta ad una diversa concentrazione di fibrille colorate gialle alternate a fibrille non colorate.

Come spiegava il fisico Di Lazzaro, è forse possibile la loro replica usando una batteria di diecimila laser eccimeri, ma evidentemente questo -sempre che sia possibile- non ci porterebbe molto lontano. La questione non è la possibilità teorica di riprodurre l’immagine con macchinari ad alta tecnologia, ma spiegare come abbia potuto formarsi prima del 1353, data universalmente accettata dagli storici come prima documentazione certa dell’esistenza della Sindone (ricordiamo che la fotografia venne inventata dopo il 1700).

Viene dunque smentita di fatto l’ipotesi del falsario medievale, indipendentemente dai controversi risultati dell’esame al C14, sui quali aleggia un’ombra di assai poca scientificità e molta “forzatura” dei risultati. Un documentario inedito a breve uscita si concentrerà proprio su questa faccenda. Si legge nel rapporto ENEA: «ad oggi la Scienza non è ancora in grado di spiegare come si sia formata l’immagine», questo perché l’immagine non si è formata dal contatto del lino con il corpo, c’è solo un’estrema superficialità della colorazione e non c’è presenza di pigmenti. Sotto le macchie di sangue non c’è immagine e quindi esse si sono depositate prima dell’immagine, formatasi in un momento successivo alla deposizione del cadavere. Inoltre, tutte le macchie di sangue hanno contorni ben definiti, senza sbavature, quindi si può ipotizzare che il cadavere non fu asportato dal lenzuolo. E ancora: «Mancano segni di putrefazione in corrispondenza degli orifizi, che si manifestano dopo circa 40 ore dalla morte. Di conseguenza, l’immagine non dipende dai gas di putrefazione e il cadavere non rimase nel lenzuolo per più due giorni». Tutto questo «rende estremamente improbabile ottenere una immagine simil-sindonica tramite metodi chimici a contatto, sia in un moderno laboratorio, sia a maggior ragione da parte di un ipotetico falsario medioevale».

Il cuore della questione è tutta qui, «indipendentemente dall’età del lenzuolo sindonico, che sia medioevale (1260 – 1390) come risulta dalla controversa datazione al radiocarbonio o più antico come risulta da altre indagini, e indipendentemente dalla reale portata dei controversi documenti storici sull’esistenza della Sindone negli anni precedenti il 1260, la domanda più importante, la “domanda delle domande” rimane la stessa: come è stata generata l’immagine corporea sulla Sindone?». Non siamo alla conclusione, dicono gli scienziati, «stiamo componendo i tasselli di un puzzle scientifico affascinante e complesso. L’enigma dell’origine dell’immagine della Sindone di Torino rimane ancora “una provocazione all’intelligenza”», citando le parole di Giovanni Paolo II pronunciate il 24/6/98.

La redazione

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Pochissimi i Paesi ad aver legalizzato l’eutanasia, inutili le pressioni psicologiche

Uno dei metodi di assuefazione delle masse usate dalle lobby anticlericali e pro-death è quello di sostenere che il proprio Paese sia uno degli ultimi retrogradi a non riconoscere una tale legge, come ad esempio quella sull’eutanasia. Questo tipo di pressione psicologica lo si è osservato dopo il suicidio assistito di Lucio Magri, quando si è voluto far credere -come scrive Alessandra Nucci su “La Bussola Quotidiana”– che l’eutanasia sarebbe legale oltre che nel Benelux (i Paesi nord europei di Olanda, Belgio e Lussemburgo), una popolazione totale che è meno della metà di quella italiana, anche in Canada, Australia e in “alcuni stati” degli USA. Ovviamente è tutto falso.

In Canada, continua l’articolista, l’eutanasia è punita senza eccezioni, ai sensi della sezione 222 del Codice penale, ovvero come omicidio. La sezione 241 dello stesso codice vieta il suicidio assistito e precisa che è proibito assistere, favorire o consigliare il suicidio. In Australia, nel 1995 lo stato del Northern Territory fu il primo nel mondo ad approvare una legge per il “diritto di morire”, con il nome di “Diritti dei malati terminali”, ma nel giro di nove mesi fu abrogato dal Parlamento federale australiano. Oggi l’eutanasia volontaria e il suicidio assistito sono illegali in tutti i territori australiani e le uniche leggi riguardante il fine-vita sono quelle in tema di “direttive mediche avanzate”, nessuna delle quali permette di chiedere un’assistenza attiva al suicidio. Negli Stati Uniti l’eutanasia è illegale ovunque e il suicidio assistito è permesso solo in due stati su 50, l’Oregon e Washington.

Significativo invece è l’osservare il prevedibile piano inclinato a cui sono andati incontro coloro che hanno approvato l’eutanasia. La Svizzera, ad esempio, ha legalizzato il suicidio assistito per “motivi compassionevoli” nel 1942 e oggi è meta di “suicidio turistico”, il fondatore dell’Istituto “Dignitas” definisce il suicidio assistito una “meravigliosa opportunità”. Nel 2007 ha esteso il servizio benevolo anche a chi è affetto da malattia mentale, ivi compresa la curabilissima depressione. Un altro caso tipico è l’Olanda, che nel 1973 ha depenalizzato l’eutanasia limitatamente all’atto compiuto da un medico per “compassione” verso un malato terminale. Dopo quasi vent’anni la Corte Suprema olandese ha approvato il suicidio assistito per i depressi, nel 1995. Appena due anni dopo, nel 1997, è arrivato il permesso di eutanasia per i neonati disabili. Oggi, attesta la rivista medica The Lancet, l’8 per cento delle morti infantili deriva da iniezione letale. Nel 2006 in Olanda si prevede l’eutanasia dei bambini al di sotto dei 12 anni (Protocollo di Groningen). In questi anni studi statistici ufficiali attestano l’aumento costante di casi di eutanasia da quando è entrata in vigore la legge, e l’estensione del fenomeno anche a malati non terminali e sempre di più, come in Svizzera, a quelli che semplicemente non hanno più voglia di vivere. Oltretutto in Olanda la classe medica si auto-legittima, visto che chi controlla l’operato dei medici che applicano la legge sull’eutanasia, decidendo per il bene dei pazienti di farli morire, sono altri medici, anche nei casi nei quali l’eutanasia non sia richiesta.

Interessante, continua la Nucci, che in Austria, nel gennaio scorso, siano state ritrovate, vicino ad un ospedale che si voleva ampliare, delle fosse comuni con i resti di 200 malati uccisi probabilmente tra il 1942 e il 1944 in applicazione alla legge sull’eutanasia nazista. Ciò ci ricorda opportunamente che il Mein Kampf prevedeva, fra i progetti “umanitari” da portare avanti in Germania insieme all’eugenetica, anche l’eutanasia. Concludendo: chi ha legalizzato l’eutanasia è solo una piccolissima minoranza di Paesi, i quali si sono ben presto trasformati in veri e propri centri di culto della morte.

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La verità e l’interpretazione: l’auto-contraddizione dei relativisti

In principio, per ogni persona che dà un giudizio su un evento o ragiona di un argomento, c’è una visione del mondo e della vita. È il sistema di idee in cui uno crede, sul quale conforma il suo modo d’interpretare le esperienze che fa. Per esempio, la maggior parte di noi (fanno eccezione alcuni scienziati in stato confusionale e i bambini) non crede che le cose possano apparire dal nulla e se assistiamo allo spettacolo di un prestigiatore che fa apparire improvvisamente qualcosa sappiamo che c’è un trucco sotto. Non tiriamo questa conclusione a causa di ciò che abbiamo visto, ma perché è l’unica spiegazione compatibile con la nostra visione delle cose: il sistema delle nostre credenze si è ripercosso sull’interpretazione di ciò che abbiamo osservato. Un bambino trae una conclusione differente perché non ha ancora abbastanza esperienza da sapere che nessuno ha il potere di far apparire le cose dal niente. Adulti e bambini, tutti hanno fatto la stessa esperienza, ma gli uni e gli altri ne hanno dato una diversa interpretazione.

La visione che abbiamo delle cose è un vero e proprio pregiudizio: un “pre-giudizio” è un giudizio presente prima dell’evidenza empirica, è consolidato nel tempo e c’impedisce di avere la mente del tutto aperta. Ciò non è necessariamente uno svantaggio: nel caso sopra, la visione adulta aiuta a tirare la conclusione giusta, perché esclude la possibilità che una cosa possa apparire dal niente; il bambino, invece, trae la conclusione errata perché ha il pregiudizio errato che i maghi possano fare ciò che è impossibile alla gente comune. Se consideriamo l’insieme di tutti i nostri assunti, non solo di quelli cui adattiamo la nostra quotidiana esperienza, ma anche delle verità più grandi su cui basiamo le nostre scelte etiche e religiose, e più in generale la nostra visione del mondo e della vita, allora si parla di Weltanschauung. La Weltanschauung è la personale visione del mondo di ognuno: “Essa è qualcosa di totale e universale a un tempo. […] Le visioni del mondo sono idee, manifestazioni supreme ed espressioni totali dell’uomo. […] Le posizioni ultime che l’anima occupa, […] le forze che la muovono” (K. Jaspers, “Psicologia delle visioni del mondo”). È un fatto che noi uomini siamo in grande disaccordo sulle assunzioni più importanti: l’esistenza di Dio, la natura della verità, l’origine dell’Universo, il senso della vita, l’esistenza di leggi morali naturali, ecc. E quando la gente è in disaccordo sugli assunti fondamentali, come si può determinare la giusta Weltanschauung?

Consideriamo un’osservazione scientifica, quella dei moti celesti. Secoli fa si credeva in un modello geocentrico elaborato dal greco Tolomeo (II sec. d.C.), basato sull’assunto che il Sole ed i pianeti girassero intorno alla Terra. Oggi invece, la maggioranza della gente è di fede copernicana, perché crede nel modello eliocentrico proposto dal polacco Nicolò Copernico (1473-1543), secondo il quale sono i pianeti (inclusa la Terra) a orbitare intorno al Sole. Qualcuno potrebbe pensare che sia facile decidere tra i due modelli astronomici, che basti l’evidenza sperimentale per stabilire come si muovono i pianeti. Ma dove ci dovremmo collocare nello spazio per decidere che cosa si muove rispetto a che cosa?! In realtà, ciò che avviene nella nostra testa segue l’ordine opposto: è il modello pre-giudiziale che interpreta l’esperienza. Certo, la geometria dei moti planetari è compatibile con l’eliocentrismo, ma questi moti erano ben conosciuti anche nell’antichità e Tolomeo li poté spiegare entro la sua visione geocentrica con speciali assunzioni ad hoc: egli postulò che ogni pianeta orbitasse lungo una piccola circonferenza (“epiciclo”) che a sua volta girava in una circonferenza più grande (“deferente”) intorno alla Terra. Nella sua visione, i pianeti orbitano intorno alla Terra spiraleggiando e ciò spiegava per lui l’evidenza osservata. Per giunta, il modello di Tolomeo è capace di predire le posizioni dei pianeti con un’accuratezza matematica uguale a quella del modello eliocentrico, a dispetto che sia sbagliato!  Un momento: perché sbagliato?
Dove sta la differenza tra le due visioni scientifiche concorrenti, per cui deve preferirsi l’una all’altra? Una differenza è che il modello eliocentrico è più semplice del geocentrico: richiede soltanto circonferenze, mentre il suo concorrente richiede anche gli epicicli. Inoltre Tolomeo non spiegava perché la Luna non avesse l’epiciclo e ruotasse direttamente intorno alla Terra come il Sole, né sarebbe riuscito ad interpretare i moti dei satelliti degli altri pianeti se solo li avesse potuti avvistare, senza introdurre altri accorgimenti matematici oltre gli epicicli. Questa è la lezione: un’interpretazione scientifica è preferibile se richiede un minor numero di ipotesi ad hoc per adattarsi ai fatti e allo stesso tempo spiega più fatti e con maggior precisione. È questo il principio del rasoio di Occam, alla base del metodo scientifico.

Nelle scienze le interpretazioni si chiamano modelli. Un modello deve essere logicamente coerente al suo interno (non deve fare predizioni opposte!) e col minor numero di pre-assunzioni deve spiegare il maggior numero di osservazioni con gli errori minori nelle predizioni delle misure. Un insieme poi di modelli coerenti, in grado di spiegare un vasto dominio di fenomeni, forma una teoria. Tali sono, per es., la teoria della gravitazione in fisica, o dell’evoluzione in biologia, o della tettonica a placche in geologia. Così, il modello eliocentrico può rientrare nella teoria della gravitazione di Newton, che con i suoi pochi assiomi (matematicamente codificati in un’equazione vettoriale) spiega un numero maggiore di evidenze sperimentali del modello copernicano da solo: la teoria newtoniana spiega anche le tre leggi di Keplero, la caduta di una mela, le traiettorie dei proiettili, le maree, ecc. Nella Weltanschauung del cristiano il mondo con le sue leggi è stato creato da Dio e l’uomo, creato con la ragione a somiglianza di Dio, può attingere a quelle leggi. Nessuna meraviglia, quindi, che la fede nell’esistenza di quelle leggi e nella possibilità di conoscerle abbia dato origine in Occidente, nelle università cristiane medievali, alla ricerca scientifica così come oggi la concepiamo; nessuna scienza sarebbe potuta nascere in Oriente, dove il pensiero sapienziale e religioso ignora il logos e attribuisce l’origine ed il funzionamento del mondo al caso. Le scienze naturali sono, nella visione cristiana, conoscenza oggettiva e cumulativa della natura. Se nell’atto della Creazione le cose sono venute all’essere adeguandosi al Logos divino (Fiat lux!), inversamente nell’atto del conoscere il logos umano (che è della stessa sostanza di quello divino) si adegua all’essere delle cose. La verità è questa uguaglianza di pensiero ed essere che avviene nella conoscenza umana. La conoscenza scientifica è oggettiva, perché si riferisce alle cose, e cumulativa perché nel progresso scientifico ogni nuova teoria assorbe quelle precedenti. La competizione tra modelli e teorie non avviene tanto in termini di efficienza tecnica, ma piuttosto in termini di ampiezza esplicativa che proprio in quanto portatrice di maggiore e migliore conoscenza produce anche dominio tecnico più efficace. Per es., alla teoria di Newton è succeduta dopo due secoli e mezzo la teoria della relatività generale di Einstein: questa, con un numero ancora minore di eleganti pre-assunzioni, codificate matematicamente in un’equazione tensoriale, oltre che spiegare con una maggiore precisione i fenomeni della gravitazione newtoniana (per es. la precessione di Mercurio), ha fatto nuove predizioni (come l’espansione dell’Universo). E la maggiore conoscenza ha prodotto tra le altre cose, come spin off, la tecnica del gps.

Molti ritengono che l’importanza dell’io e delle sue interpretazioni (categoriali e pulsionali) nella conoscenza della realtà sia nata con Cartesio e sia stata poi sviluppata da Kant, Schopenhauer, Nietzsche, ecc.: che si tratti, insomma, di una scoperta della modernità. Però già Tommaso d’Aquino aveva messo in evidenza il ruolo non meramente passivo della ragione con l’annotazione “cognitum est in cognoscente per modum cognoscentis”, demistificando così l’empirismo ingenuo che considera la nostra mente una tabula rasa disponibile a recepire i dati tali e quali le provengono dall’esperienza. La novità di gran parte della filosofia moderna – l’errore del relativismo filosofico – è di capovolgere il rapporto tra essere e pensiero (dal realismo all’idealismo), di far dipendere la realtà dall’io, di giudicare che tutte le interpretazioni siano equivalenti e che non esista la verità. Nella sua “Volontà di potenza” Nietzsche scrive: Non esistono fatti, esistono solo interpretazioni […] il mondo non ha un senso dietro di sé, ma innumerevoli sensi. Sono i nostri bisogni che interpretano il mondo: i nostri istinti, i loro pro e contro. Ogni istinto è una sorta di avidità di potenza, ognuno ha la sua prospettiva che vorrebbe imporre come norma a tutti gli altri. […] Il criterio della verità si trova solo nell’aumento della sensazione di accresciuta potenza”. Una volta negata la capacità della ragione umana di cogliere (anche imperfettamente) la realtà, non c’è più distinzione tra scienza e tecnica: le scienze non darebbero conoscenza, ma solo strumentazione utile a dominare la natura. Né tanto meno, secondo tale Weltanschauung, è la filosofia a dare conoscenza, perché la razionalità umana sarebbe solo un epifenomeno di autodifesa di una specie fondata sul carbonio, evoluta per caso in un pianeta minore in orbita intorno ad una stella media di classe G2, che si trova sul bordo esterno di una galassia tipica, che è solo una di un centinaio di miliardi di galassie, di un Universo senza senso, eterno o nato per caso.

“Noi non assegniamo nessun valore di verità alle proposizioni filosofiche”, ripetono a voce alta nel nostro blog i relativisti. La ragione (e la logica, la matematica, tutte le scienze naturali e la filosofia) non direbbero nulla del reale, ma fornirebbero solo schemi utili con i quali attraverso i sensi controlliamo i fenomeni, che del reale inaccessibile sarebbero le costruzioni cerebrali di una specie (probabilmente) tra tante. Molti, anche tra gli scienziati quando filosofano, declinano questa Weltanschauung “idealistica” nelle sue varie sfumature criticista, positivista, esistenzialista, ecc. Se nel metodo scientifico è il rasoio di Occam a selezionare l’interpretazione giusta, al livello filosofico esiste un criterio per scegliere un’interpretazione realistica piuttosto che idealistica? A prescindere dalla rivelazione, abbiamo noi cristiani un motivo forte per affermare l’esistenza della verità intesa come adeguarsi dell’intelletto alla cosa? O siamo gli ultimi mohicani a difesa di una ragione definitivamente screditata in un Occidente nichilista? Tommaso ci ha insegnato che l’avversario è battuto non quando evidenziamo il contrasto delle sue tesi con le nostre, ma se riusciamo a mostrare le contraddizioni del suo discorso con se stesso! Dell’autocontraddizione del relativismo (derivante dalla propria visione naturalistica) si accorse C. Darwin negli ultimi anni della sua vita: “Se io discendo da una scimmia [che è discesa casualmente da un microbo, che è disceso casualmente da una combinazione di atomi], come posso credere a quello che affermo?”, come posso avere fiducia negli studi che ho fatto? Quale valore di verità ha il mio ragionare anche il più sofisticato? Quale validità ha la scienza cui mi appiglio come ultima dea? Insomma, l’autocontraddizione dei relativisti sta nel fatto che la ragione è invincibile perché, per combatterla come fanno ogni volta che filosofano, vi fanno ricorso senza crederci!

Certamente la fiducia cristiana nella ragione non è razionale; tecnicamente, nel linguaggio della logica moderna, essa è meta-razionale: è il pre-giudizio di una Weltanschauung opposta al relativismo. Però, se la fiducia nella ragione è posta assiomaticamente all’inizio, la giustezza della scelta si manifesta nel suo esercizio: mentre usiamo la ragione, aprendoci alla realtà, tutto nella vita acquista coerenza! Comprendiamo che essa ha un senso costante ogni volta che la mettiamo in atto nelle attività lavorative e scientifiche, ma anche nelle più personali, amicali, familiari. Il nichilismo sprofonda invece nell’autocontraddizione: se la verità non esiste, chi siete voi Heidegger, Quine, Severino, che vi chiamate filosofi? Perché dovremmo leggere e credere ai vostri libri? E voi, perché credete a voi stessi anziché ritirarvi nelle conclusioni sconsolate di Darwin? Opposto al nichilismo e ridicolo anche sul piano scientifico è l’errore dello scientismo alla Dawkins o alla Hawking o alla Veronesi che, rispetto alle mistificazioni diffuse nei mass media, non si rende conto che modelli e teorie scientifiche non sono la verità assoluta, ma stadi storici di avvicinamento della ragione umana alla conoscenza della natura, e che la scienza non ha connessione ai valori. Anche solo nel suo ambito, nessuna teoria scientifica, per quanto affascinante teoreticamente e per quante volte controllata sperimentalmente, si può mai considerare assolutamente vera, perché è sempre esposta per statuto del metodo scientifico a lacune ed errori e potenzialmente a clamorose smentite future. Se oggi credessimo ciecamente alla meccanica quantistica o alla teoria di Darwin, non saremmo meno ingenui di coloro che nell’antichità credevano al geocentrismo e alla teoria aristotelica delle sfere celesti o che nel ‘7-800 credevano all’eliocentrismo e alle forze istantanee a distanza della gravitazione di Newton. La fiducia nelle scienze naturali deve costituire per un uomo libero e pensante un habitus in progress, accompagnato sempre da un velo di dubbio, nell’attesa di nuove scoperte da parte di una ragione che è scintilla divina, ma limitata e mai sazia.

Giorgio Masiero

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Raddoppiano i partecipanti alla Marcia pro-life in Olanda

Circa 1.400 persone hanno partecipato alla Marcia annuale per la Vita svoltasi nei Paesi Bassi sabato 10 dicembre 2011. Il numero è quasi il doppio di quello dei partecipanti del marzo scorso ed è quello più alto nella storia dei raduni pro-life dello Stato.

«Siamo molto soddisfatti del crescente numero durante l’annuale Marcia per la Vita olandese», ha detto il presidente di Cry for Life, dr. Bert P. Dorenbos. Ha aggiunto, «la polizia era ben preparata e ha avuto a che fare con solo piccoli incidenti causati da manifestanti abortisti». L’evento ha commemorato la data in cui il governo olandese ha approvato la legge interruzione della gravidanza, 18 dicembre 1980, consentendo la disponibilità di aborto su richiesta per tutte le donne fino alla 24a settimana di gravidanza.

«La Marcia per la Vita serve a sensibilizzare l’opinione pubblica alla protezione dei non nati», ha affermato Dorenbos. Due donne vittime della sindrome post-aborto hanno offerto la loro testimonianza pubblica. Hanno partecipato alcuni politici, convinti che la questione vada discussa anche in Parlamento. Altre informazioni qui: www.schreeuwomleven.nl

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Nuovo studio: i cristiani sono più propensi a fare beneficenza

In un periodo storico in cui l’orgoglio laico arriva ad eccessi imbarazzanti, quasi patologici, diventano interessanti anche studi scientifici che riportano risultati decisamente ovvi, ovvero in linea con il sapere popolare: le persone di fede cristiana sono più propense a fare beneficenza, ad esempio. Vedendo l’ardore con cui la cultura laica cerca una competizione dialettica su queste tematiche, è bene non dare nulla per scontato.

Un risultato simile era stato stabilito recentemente da uno studio sociologico americano dove si sosteneva che chi frequenta la chiesa ha molte più probabilità di finanziare progetti umanitari rispetto a chi non è religioso (cfr. Ultimissima 19/6/11).

Lo stesso risultato è riportato in questi giorni su “Social Behavior and Personality: an international journal”. La ricerca si è svolta a Taiwan, essendo un’area con un buon mix di religione popolare, ateismo e religioni (buddismo e cristianesimo). I ricercatori Hiewu Su e Tungshan Chou, docenti presso la University of Taiwan, hanno testato un campione rappresentativo di persone provenienti, come già detto, dal cristianesimo, buddhismo, religioni popolari (come taoismo) e ateismo.

I dati hanno indicato chiaramente che gli adulti taiwanesi (compresi i non religiosi) hanno maggiori probabilità di fare donazioni verso enti di beneficenza sostenuti da persone religiose. Inoltre, è anche evidente che le persone non religiose appaiono molto meno inclini a fare beneficenza rispetto alle altre categorie di persone. «Aderenti delle grandi religioni, (buddisti e cristiani)», si legge nello studio, «d’altro canto, sono molto disposti a fare beneficenza e questo è probabile che sia causato direttamente dall’adesione agli enti cui sono affiliati». In particolare, le persone di fede cristiana mettono a disposizione maggior tempo e maggiori somme di denaro rispetto a buddhisti, religiosi popolari e non credenti.

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Perché secolarizzazione fa rima con depressione?

secolarizzazione infelicitàAll’aumentare della secolarizzazione degli ultimi due secoli, è aumentato anche il disagio dell’uomo. E’ un dato di fatto, vediamo cosa dicono gli indici più recenti.

Cresce l’uso di alcool, antidepressivi e droghe, cresce l’autolesionismo sopratutto nei giovani, aumentano le malattie mentali, più di un terzo degli europei soffre di disturbi psicologici, aumentano le vittime della depressione, aumentano le forme di dipendenza in particolare quelle sessuali e forme di perversione come la zoorostia, cresce l’analfabetismo.  Il Censis in un suo recente rapporto ha letto così la società italiana e moderna: «sempre meno valori e ideali comuni a cui appartenere. I legami e le relazioni sociali sono sempre più fragili e inconsistenti».

Il filosofo Pietro Barcellona, docente presso l’Università di Catania, ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura e già deputato PCI, laico anche se avvicinatosi al cattolicesimo negli ultimi tempi, è intervenuto sulla questione affermando: «L’aumento allarmante delle manifestazioni di tipo depressivo dovrebbe indurci tutti insieme a domandarci perché nella nostra epoca gli uomini sperimentano una condizione di solitudine angosciante che non ha precedenti in altre epoche caratterizzate da disastri ambientali, pestilenze ed epidemie. Questo non significa affatto dire che si stava meglio quando si stava peggio perché nessuno vuole contestare gli effetti benefici della scoperta della penicillina o della chemioterapia, ma soltanto riaffermare che la dimensione propriamente umana della malattia e della sofferenza non ha niente a che vedere con la sua spiegazione scientifica».

Inutile voler ridurre la sofferenza dell’uomo a motivazioni misurabili, «il dolore umano è il più grande mistero della nostra condizione perché lega indissolubilmente la storia di ciascuno al senso dello stare al mondo e della destinazione di tutti gli esseri umani di fronte alla inevitabile percezione della caducità e della mortalità di tutto ciò che noi siamo e di tutto ciò che ci sta di fronte. La condizione umana per questa specifica comprensione del dolore trascende il pragmatismo empirico del rimedio della cura e rimanda inevitabilmente alle questioni ultime a cui la filosofia e la religione hanno cercato di rispondere nel corso della storia. La domanda sulle cose ultime è intimamente connessa all’esperienza del dolore e al senso della vita rispetto all’angoscia di morte, e perciò pone l’uomo sempre di fronte ad un problema della comprensione di sé e degli altri che non si lascia ridurre a puri meccanismi meccanici e fisiologici di causa ed effetto».

Il problema appare dunque esistenziale, proprio nell’epoca in cui è evidente il tentativo di eclissare Dio dalla società. Ma da questo non deriva alcun risultato positivo per l’uomo, anzi egli appare essere «più esposto alla paura di non sapersi dare una ragione per vivere, e che spesso a causa di questa esperienza di sofferenza è colpito da malattie che riguardano anche il suo funzionamento fisiologico, è un problema che ha a che vedere anche con il modo di essere della nostra società». La crisi non è solo economica, «ma direttamente riferibile alla fragilità del nostro statuto antropologico. Il chi siamo e il dove andiamo non è un problema al quale le scienze positive potranno dare risposte». Da questo riconoscimento, compreso quello che gli esseri umani non sono soltanto biologia e non sono neppure soltanto società, dalla «consapevolezza dell’assenza di risposte» è possibile che fiorisca «l’apertura dell’essere umano verso un senso della vita che va ricercato e che, tuttavia, sempre sfugge ad ogni possesso immediato», conclude Barcellona.

Il filosofo  Fabrice Hadjadj, scrittore e docente all’Università di Tolone, centrava il punto qualche mese fa: «Nel suo umani­smo più rivoluzionario l’Europa ha diffuso una speranza mondana, sostituto della speranza cristiana. Ora che tale speranza è morta, il nostro Continente non conosce al­tro che la disperazione, che cerca di fuggire gettandosi a peso morto nel divertimento dello spettacolo e nei sogni della tecnologia».

La redazione

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La vita di Gianna Jessen, la donna scampata all’aborto, diventa un film

La commovente storia di Gianna Jessen è diventata un film. Lei è una donna scampata all’aborto, l’hanno tentata di sopprimere per rispettare i diritti della donna a scegliere della vita di un altro. Oggi Gianna gira il mondo portando la sua forte testimonianza, tanto potente che l’industria cinematografica ha voluto portarla sul grande schermo in un film intitolato “October Baby”, che uscirà nelle sale a marzo 2012.

Il film dispone già di un portale (www.octoberbabymovie.net) che offre informazioni relative alla produzione, social network come la pagina di Facebook e un trailer di promozione.

In Ultimissima 26/11/10 abbiamo pubblicato un video di una sua testimonianza tenuta l’8 settembre 2008 presso il Parlamento australiano.

 

Riproponiamo il video qui sotto

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Il virologo Perno: «la risposta all’AIDS non è il preservativo, ma l’educazione»

Quest’anno si celebra il trentennale dell’AIDS essendo essa stata descritta per la prima volta nel 1981. Frequentemente si sente parlare del profilattico come la salvezza di tutto, la prevenzione e perfino la cura. I radicali, sopratutto, sanno conquistarsi apprezzamenti cavalcando e approfittandosi di questi slogan. Molto schierata sull’argomento è poi la lobby omosessualista, dato che -come ha recentemente dimostrato il “Centers for Disease Control”– gli uomini omosessuali coprono il 61% delle nuove infezioni da HIV (negli Stati Uniti), nonostante essi siano solo il 2% della popolazione del Paese e i giovani omosessuali sono l’unico gruppo in cui le nuove infezioni da HIV aumentano (cfr. Ultimissima 24/08/11).

Tuttavia, si sa benissimo che in Africa l’unico metodo ad aver sconfitto l’AIDS è stato quello proposto da Suor Miriam Duggan in Uganda, basato su fedeltà al matrimonio e astinenza. La religiosa è stata recentemente premiata dall’Università di Harvard, dall’Holy Cross College degli Stati Uniti, e nel 2008 ha ricevuto un premio di riconoscimento per la sua opera dal Presidente e dal Parlamento dell’Uganda (cfr. Ultimissima 3/12/11). Gli stessi ricercatori di Harvard, come Edward C. Green e Daniel Halperin, hanno riconosciuto attraverso studi scientifici la correlazione tra maggior disponibilità e uso dei condoms e tassi di infezioni HIV più alti.

Il motivo lo ha spiegato di recente Carlo-Federico Perno, responsabile dell’Unità di monitoraggio delle terapie antivirali e antineoplastiche presso l’IRCCS L. Spallanzani di Roma, direttore dell’Unità di Virologia Molecolare al Policlinico Universitario Tor Vergata e grande esperto di AIDS. In un comunicato ufficiale di Medicina e Persona, una libera Associazione fra Operatori Sanitari (www.medicinaepersona.org), ha spiegato che «l’unico modo di impedire la progressione della malattia è quello di assumere per lunghi anni, probabilmente per tutta la vita, la terapia antivirale. Il vaccino è ancora lontanissimo». Qui si dovrebbero concentrare le risorse e l’attenzione mediatica, sempre che ci sia vero interesse per il fenomeno. Ma una delle ragioni per cui il problema dell’AIDS non è ancora risolto è il fatto che «manca la percezione delle ragioni fondanti della diffusione della malattia, basate spesso su elementi comportamentali, quali l’uso di droghe iniettive e soprattutto la promiscuità sessuale. Questi elementi ancor oggi mantengono stabile, anno dopo anno, il numero di nuove infezioni (in Italia più di 3000 nel 2011), nonostante che i farmaci abbiano fatto la differenza in termini di riduzione della mortalità».

Ed ecco il punto su cui nessuno vuole soffermarsi, eccetto la Chiesa ovviamente: «La domanda fondante che pone questa malattia rimane sempre la stessa: è possibile eliminare una malattia legata spesso ai comportamenti, senza cambiare i comportamenti stessi? Il ritorno della sifilide, della gonorrea, e in genere l’aumento di tutte le patologie a trasmissione sessuale, indicano con chiarezza che il problema non è l’AIDS, ma che l’AIDS è l’epifenomeno di un problema ben più ampio, legato primariamente ad una visione positivista e libertaria. Positivista, perché ritiene certa la capacità dell’uomo di controllare l’HIV con strumenti tecnici, quali farmaci (per la terapia) e preservativi (per la prevenzione). Libertaria, perché giustificando la libertà dell’uomo di essere pieno artefice della propria vita, di fatto autorizza qualsiasi comportamento, con la sola precauzione di limitarne le conseguenze (appunto, la cultura del preservativo.

Ma la vera prevenzione non si fa tamponando il problema con rimedi e artefici tecnici (con l’altissimo rischio di svalutare il rapporto affettivo), ma modificando culturalmente i comportamenti. Continua l’ordinario di Virologia: «Come medici, il nostro intervento sull’AIDS guarda in primis all’uomo malato, ma chiede anche la capacità di dare un giudizio sulle cause di queste malattie, sapendo che attraverso tale giudizio passano le scelte di politica sanitaria in termini di prevenzione dell’infezione».

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Cuba: l’ateismo di stato è solo un ricordo, oggi rifiorisce la fede

Anche Cuba ha avuto “l’onore” di vedere imposto dalla terribile dittatura di Fidel Castro l’ateismo di Stato. Questo durò dall’anno in cui l’ateissimo Líder máximo divenne capo del partito comunista nel 1959, fino al 1992. In questo periodo, e solo in questo, Cuba ha violato i diritti umani dei suoi cittadini, innumerevoli persone vennero massacrate e torturate sotto ordine degli esponenti del regime. Naturalmente, come in ogni totalitarsmo ateo del ’900, la repressione religiosa divenne l’attività preferita del governo.

Tuttavia oggi, dopo vent’anni, la situazione è cambiata. La piazza della Rivoluzione ed il Parco adiacente lo Stadio nazionale sono stati nei giorni scorsi riempiti da fedeli cattolici per il Pellegrinaggio nazionale della Madonna della Caridad del Cobre. Guidati dal vescovo ausiliare della capitale cubana, Juan de Dios Hernández, centinaia di persone si sono riunite nella notte tra venerdì e sabato scorsi per dare vita ad un atto di venerazione mariana senza precedenti. All’evento erano addirittura presenti i funzionari dell’Ufficio per gli Affari religiosi del Partito Comunista. Insomma, pare proprio che anche nella capitale cubana il mito di Ernesto Guevara de la Serna, detto per gli amici Che Guevara (proprio quello che prima di sparare univa due teste alla volta così da risparmiare proiettili), sia definitivamente tramontato.

Questo evento è una cosa assolutamente inconcepibile fino a pochi anni fa, quando solo nel 1961 tutti i beni degli enti ecclesiastici vennero confiscati senza compensazione e l’80% dei sacerdoti cattolici e protestanti dovettero rifugiarsi negli Stati Uniti. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, lo Stato ha adottato una posizione più conciliante nei confronti della religione e ha diminuito la promozione dell’ateismo. Nel novembre del 1991, il partito comunista ha cominciato a permettere ai credenti di ritrovarsi. Nel luglio 1992, la costituzione è stata modificata per rimuovere l’ateismo governativo e venne aggiunto l’articolo 42, vietando la discriminazione sulla base del credo religioso. Tuttavia, nei primi anni ’90, dopo tre decenni di ateismo di stato, la società cubana era quasi totalmente secolarizzata e le discriminazioni continuarono, Cuba aveva il minor numero di sacerdoti per abitante rispetto a qualsiasi altro paese dell’America Latina. Lentamente la situazione è migliorata.

A marzo del 2012 si attende già l’arrivo quasi certo di Benedetto XVI e la mente torna al primo e ultimo atto religioso consentito dalle autorità cubane, ovvero la Messa presieduta dal beato Giovanni Paolo II, il 25 gennaio 1998, al termine della sua storica visita.

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Stefano Rodotà scatenato contro i medici obiettori, il giudice Rocchi gli risponde

Tutti devono godere dell’autodeterminazione, della libertà di agire come e quando si crede. Queste le solite dichiarazioni preconfezionate della cultura pro-death e abortista. Tuttavia, gli unici che non possono godere di questi privilegi sarebbero i medici obiettori, coloro che vorrebbero non essere obbligati a svolgere un’azione contro la loro coscienza e i propri convincimenti. Per loro, e solo per loro, l’autodeterminazione e la libertà d’azione dev’essere bandita.

I numeri degli obiettori oggi sono davvero bulgari, oltre l’80% degli operatori sanitari (70% di ginecologi) non pratica la soppressione del feto umano. Ad opporsi a questo diritto c’è il solito gruppetto di fondamentalisti governati, su questo tema, dal giurista Stefano Rodotà, per il quale: «a più di trent’anni dall’approvazione della legge sull’interruzione di gravidanza, la possibilità dell’obiezione di coscienza dei medici andrebbe semplicemente abolita», come ha scritto recentemente su Repubblica. A questo ha risposto, oltre al neonatologo Carlo Bellieni, anche il magistrato Giacomo Rocchi, giudice presso il Tribunale di Firenze.  Ricordiamo che l’obiezione di coscienza è stata riconosciuta proprio un anno dal Consiglio d’Europa.

Secondo il guru dei pro-death italiani, «quando la legge è stata approvata, la clausola dell’obiezione di coscienza era ragionevole e giustificata: i medici avevano iniziato la loro carriera quando l’aborto era addirittura un reato ed era comprensibile che alcuni di loro opponessero ragioni di coscienza». I nuovi medici, sempre secondo Rodotà, iniziano invece a lavorare quando l’aborto è un diritto e quindi non possono opporre “ragioni di coscienza”. «In questa frase», spiega Rocchi, «è racchiusa la concezione che ha Rodotà, sia dell’arte medica che del lavoro dei giuristi». Gli abortisti pretendono che la coscienza dei medici coincida obbligatoriamente con il dettato della legge.

Non stupisce più di tanto, comunque, questa violazione della libertà da parte di Rodotà. Riflette Rocchi: «quando si è violato il diritto fondamentale alla vita, davvero è possibile rispettare la libertà di coscienza dei medici? E per quanto tempo ancora gli obiettori di coscienza non saranno discriminati per legge (a partire dai bandi per l’assunzione riservati ai non obiettori, che Rodotà propone)?». Rodotà sostiene anche che i medici non obiettori sarebbero oggi considerati come «medici di serie B che fanno solo aborti, con il rischio di una dequalificazione professionale». E Rocchi replica ancora una volta ironico: «non sarà che la qualificazione professionale si ottiene curando il paziente e non sopprimendo bambini?».

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